Ora che Maroni sta diventando il capo di una Lega Nord “ripulita” - che Bossi afferma di non voler abbandonare perché non hanno (ancora) rubato come il PSI - forse vale la pena commentare non tanto il disastro largamente predetto ma, guardando al futuro, due implicazioni del medesimo.
La prima è la più imbarazzante per chi, come noi, proviene da quelle aree del paese. Ancora una volta i fatti provano che l’elettorato del Nord non è riuscito ad esprimere una classe politica minimamente degna. Non dimentichiamo infatti che, in otto e mezzo degli ultimi undici disastrosi anni, a capo del governo del paese ci sono stati Berlusconi, Bossi, Brunetta, Sacconi e Tremonti. Tutto materiale proveniente dal nord del Po.
È certamente vero che lo scegliersi una classe politica impresentabile non distingue il Nord dal resto del paese (la classe politica espressa altrove sembra persino peggio, ma questo è poco rilevante) ed è altrettanto vero che parte della ragione per questa orrenda scelta risiede nella tragedia della tripla B - schiacciati fra un Bersani ed un Berlusconi, a molti elettori non è rimasto che affidare la loro fiducia ad un Bossi. Questi fatti non eliminano comunque la constatazione principale: l’elettorato del Nord, anche nella sua componente forse più istintivamente “incazzata” con le pratiche della casta e con il modo in cui lo stato italiano svolge le sue funzioni, rimane incapace di riconoscere a tempo debito i cialtroni, di eliminarli dal panorama politico e di impedire così che le proprie istanze vengano affidate ad una banda d’incompetenti. Al contrario: contro ogni evidenza parte dell’elettorato ha creduto davvero e per lungo tempo sia alla diversità etica della dirigenza leghista sia alla sua capacità di realizzare le smargiassate secessioniste e/o federaliste che continuava a generare senza mai concretizzare alcunché. Costoro si sono lasciati abbindolare in "buona fede" (non e' la prima volta, d'altro canto, nella storia d'Italia: pensate all'elettorato comunista sino all'altro giorno) e costituiscono, a nostro avviso, la maggioranza, dell’elettorato leghista. Forse sono persino la maggioranza della classe dirigente leghista locale, ossia quella che in questo decennio ha cominciato ad amministrare una belle fetta dei comuni e delle provincie del Nord e che sopravviverà al temporale in corso. Sia chiaro che questa non e' una giustificazione ma una triste constatazione: occorre essere ignoranti e prevenuti forte per aver fiducia in Bossi e compagnia a partire, tanto per dire un numero, dal 2001 ...
Altri, soprattuto tra artigiani ed imprenditori, si sono invece fatti ingolosire dalle sirene che promettevano la liberazione dalle catene economiche tramite il credito sussidiato delle banche occupate politicamente o tramite il colbertismo tremontiano (a proposito, cosa è successo a quel grande amore?). Non avevano compreso che l’occupazione delle banche e delle istituzioni economiche locali è il primo passo che ogni nuova classe politica compie quando intende prendere controllo della vita economica del territorio che la rappresenta. Un passo funzionale all’obiettivo finale che - come la DC ed il PSI dei “bei” tempi andati ci avevano insegnato (stessimo parlando dell’Emilia Romagna avremmo detto PCI e PSI, tranquilli) - consiste nell’asservimento dei cittadini e nello stabilirsi, appunto, come casta inamovibile. Questi elementi di, se volete, ingenuità politica ed arretratezza culturale ed economica dell’elettorato del Nord vanno tenuti in conto quando si riflette su come, nei tempi che verranno, possa essere possibile far uscire l’Italia dal suo declino attraverso la creazione di una qualche altra forza politica “diversa”. Detto altrimenti: quanto elettorato “ex leghista” si sta trasferendo oggi al Movimento 5 Stelle? C’è ragione di pensare che possa agire diversamente e selezionare altrimenti la propria rappresentanza politica?
Che valga la pena porsi quesiti simili segue dalla seconda osservazione che vorremmo fare: gli eventi delle ultime settimane suggeriscono come l’elettorato leghista sia, alla fin fine, mediamente più sensibile alla questione morale di quanto non lo siano quelli degli altri maggiori partiti, da PD a PdL. Come sappiamo, le indagini di polizia e magistratura hanno portato alla luce una cornucopia di diamanti, appartamenti, ristrutturazioni, lauree e automobili. Una volta che tali fatti sono emersi le teste all’interno della Lega hanno cominciato a saltare. Che ciò sia accaduto non è certo dovuto alla presenza di grandi statisti quali Maroni e Calderoli, un furbo democristiano rock&roll riciclato ed un dentista fascista che vive nell’appartamento pagato con i rimborsi elettorali. Piuttosto, questi ultimi soggetti, capitalizzando l’indignazione e le pressioni della base elettorale, hanno approfittato della ghiotta occasione per portare a compimento una guerra interna fra bande. Anche Maroni e Calderoli meritano di saltare perché politicamente corresponsabili di aver diretto per anni un partito che puzzava dalla testa. Calderoli, di fatto, è già saltato e, per il momento, Maroni sembra l’uomo del destino; un destino che noi prevediamo triste visto che il nuovo capo è un astuto portaborse che non ha mezza idea propria che sia un quarto. Ma questa è polemica. Il dato politicamente rilevante è altro: esso consiste nella intransigenza dell’elettorato leghista nei confronti del malcostume dei propri eletti. Per quanto ciò possa infastidire alcuni (come peraltro dovrebbe e per questo lo sottolineiamo) la base leghista pare mostrarsi la più moralmente intransigente e la meno succube all’adorazione delle proprie vacche sacre. Ne è prova il fatto che, nonostante il trio Formigoni-Penati-Boni faccia vivere la Lombardia nel marasma politico più totale, non si vedono saltar teste né nel PDL, né nel PD. Eppure i fatti di cui sono accusati costoro sono almeno tanto gravi quanto quelli di cui vengono accusati Bossi ed i suoi famigli. E neppure i Lusi o le giunte Vendoliane riescono a far scuotere più di tanto l’apparato dei rispettivi partiti. Il punto da far notare, qui, è che nonostante le magiche ampolle del Po la base leghista ha cacciato il proprio sacro padre, mentre quella del PD (per non parlare di quella del PdL) non riesce nemmeno a fare andare a casa un personaggio di secondo piano come Penati!
Uno dei più gravi problemi del Paese è di non aver mai concluso, sia a livello giudiziale che culturale, il percorso di Mani Pulite. Dopo lo sdegno forcaiolo delle monetine a Craxi (probabilmente organizzate dai vari Fini, La Russa e fascistume simile) e dopo gli attacchi di Berlusconi e soci alla magistratura, gli antichi metodi della politica sono continuati immutati. Anzi, sono platealmente peggiorati. Della qual cosa non v’è nulla di cui stupirsi: l’apparato dello stato è rimasto intatto, chi lo gestiva pure, le regole del gioco pure. Non solo: grazie soprattutto a Tremonti ma anche a Vincenzo Visco, l’intrusione politica in ogni angolo della vita economica è aumentata ed il 90% di quelli che gestivano lo stato con la Prima Repubblica continuano a farlo. Che lo stato italiano rimanga il peggiore del mondo occidentale non dovrebbe stupire nessuno. Mani Pulite ed il piccolo ed alquanto ingenuo movimento di rinascita nazionale che attorno all’operazione giudiziaria si venne costituendo son rimasti opere incompiute. E son rimaste tali perché le classi dirigenti nazionali, quelle del Nord in particolare, non le hanno fatte proprie. Anzi hanno, tanto rapidamente quanto hanno potuto, fatto tutto il possibile perché cessassero i processi sia giudiziari che politici salendo sul primo carro anti-Mani Pulite che si rendesse disponibile. A ben pensarci il successo di BS a questo si deve: se, nel 1993, Carlo de Benedetti fosse sceso in politica mandando segnali rassicuranti alle elites politico-economiche avrebbe potuto vincere lui le elezioni, invece di BS. Il problema non era certo il “chi” ma il “cosa”. E qui, in questa constatazione, sta ancora il problema irrisolto e forse irrisolvibile dell’Italia contemporanea.
Problema che ha due cause, fra loro interconnesse e, per quanto ci è dato capire, quasi insormontabili. Da un lato una cultura statalista e corporativa così diffusa ed accettata da far paura. La cultura economica italiana è quella papalino-borbonica: fa tutto lo stato, entità suprema dotata di poteri straordinari. Lo stato può entrare in ogni ambito della vita socio-economica perché deve saper risolvere qualsiasi problema. È quindi legittimo trasferire alla classe politica tutto il potere di spesa e tassazione che richiede, anzi di più. Dall’altro lato sta la cultura, non sappiamo se borbonica ma certamente cattolica, della tolleranza verso ogni forma di peccato pubblico. L’idea che i peccati privati siano tollerabili perché la loro rilevanza è limitata al privato e chi perdona è tipicamente il danneggiato, mentre lo stesso non vale per quelli pubblici nei quali le esternalità sono l’aspetto dominante, questa idea calvinista in Italia gode d’alcuna dimora. In Italia si tollera maggiormente il danno pubblico che non quello privato, perché il pubblico (vedi sopra) appartiene al re, al podestà, al principe onnipotente, quindi chisenefrega? Perché essere intransigenti con chi sporca la via pubblica se essa non appartiene a me e sta al principe, l’onnipotente principe, pulirla?
L’intransigenza (cosa ben diversa dalle forche) nei confronti della corruzione politica, al contrario di ciò che avviene in altre democrazie, in Italia è sconosciuta. Il chiedere le dimissioni e l’abbandono immediato della vita pubblica, sia per una tesi di dottorato copiata o per 30 sterline di finti rimborsi, dovrebbe essere l’istinto naturale degli elettori di qualsiasi partito. Ma in Italia non è così: preferiamo strangolare amanti che, nella confusione passionale, pronunciano il nome sbagliato piuttosto che cacciare il politico che al fratello dell’amante regala case in Montecarlo. Ovunque nel mondo tutto questo appare insensato ma a noi sembra solo sintomo di furbizia, ossia dell’unica maniera in cui valga la pena vivere. È il modo di vivere del suddito che, succube delle angherie del sovrano, trova il proprio penoso spazio di libertà nell’aggirarne per quanto possibile gli editti. Il retaggio culturale è tutto lì e come eliminarlo non è né ovvio né, tantomeno, facile.
A mò di conclusione: la parabola della Lega Nord è sintomatica. Un pezzo di paese, con istinti diversi da quelli che sembrano essere alla radice del declino, esiste. Tale pezzo di paese non sta solo nell’elettorato della Lega Nord, lungi da noi voler sostenere una tale cazzata. Ma, nell’elettorato della Lega Nord, esso sembra essere ancora la forza dominante, cosa che ha smesso di essere in quello del PD e di IdV, per non parlare del PdL. È probabile che un elettorato con simili istinti costituisca anche la maggioranza del Movimento 5 Stelle. Insomma, esso esiste e, anche se non maggioritario, è sostanziale. Ma tale elettorato non solo appare essere minoritario, esso appare anche essere ignorante e poco intransigente, disposto ad accettare uomini della provvidenza piuttosto che programmi politici credibili, credulo di promesse salvifiche piuttosto che di riforme concrete e di cambi istituzionali veri. Prono, soprattutto, a credere che la soluzione al problema di uno stato ladro ed inefficiente possa venire dall’aumento dei poteri dello stato medesimo (in mano ai “buoni”) invece che da una modificazione sostanziale delle forme in cui lo stato stesso si costituisce ed agisce e degli incentivi che, di conseguenza, genera. Detto altrimenti: prono a credere che basti mettere dei politici "buoni" alla guida di una macchina statale completamente identica a quella esistente per poter ottenere risultati migliori e che il problema non sia, invece, quello di cambiare lo stato, ridurne i poteri, introdurre meccanismi di responsabilizzazione, eccetera. Questo mito eterno, che è stato democristiano, comunista, socialista e leghista ed è ora "idivista" e "cinquestellista" è la lebbra culturale che infetta la cultura nazionale. Una lebbra, platealmente, cattolica: gli uomini buoni, si sa, fanno i miracoli qualsiasi siano le circostanze. Basta trovarli ...
Questi gli insegnamenti del caso Lega Nord. Insegnamenti che non rendono particolarmente ottimisti ma dai quali è giocoforza partire per pensare il futuro.
Sì, esistono. Ne conosco parecchi. Leghisti della prima ora, leggero sbandamento con Idv e ora M5S. Report e Travaglio sono la loro bibbia. L'unico dubbio: forse comprendono che la riforma del paese è prioritaria rispetto ad ogni "uomo della provvidenza" ma, in mancanza di alternative, ad esso si affidano.