Ovviamente, un programma di governo spesso rappresenta un insieme di desideri e di proposte più o meno vaghe che hanno anche una forte componente propagandistica. Pur tuttavia, esiste sempre la speranza che le proposte riflettano un orientamento preciso, degli obiettivi concreti, che diano un'idea di come un partito voglia muoversi qualora fosse al governo. Con questo obiettivo analizziamo dunque le proposte del PD (qui il testo integrale) in materia di mercato del lavoro: quelle più direttamente attinenti al mercato del lavoro sono descritte ai capitoli 2 e 6 della sezione intitolata "DODICI AZIONI DI GOVERNO" ("2. PER UN FISCO AMICO DELLO SVILUPPO" e "6. STATO SOCIALE: PIÙ EGUAGLIANZA E PIÙ SOSTEGNO ALLA FAMIGLIA, PER CRESCERE MEGLIO"). [non resisto alla tentazione di commentare il formato del programma: ci sono quattro problemi (del paese), dieci pilastri (del progetto), dodici azioni (di governo), dove poi ogni "azione" è frantumata in una miriade di punti, commi, sotto-commi, ecc. Mi ricorda la famosa barzelletta di quando ero alle elementari: "cinque sono i quattro continenti del mondo, e sono i tre seguenti: europa e asia".]
Per aiutare il lettore nella navigazione, propongo un piccolo glossario ragionato di alcuni termini adoperati nel programma.
Salario orario minimo. Di questo abbiamo già discusso altrove su questo sito. Tale legislazione stipula un salario minimo che dev'essere pagato da qualsiasi datore di lavoro per ogni ora lavorata. Come già osservato, se da un lato tale strumento può spingere i lavoratori a cercare un lavoro in modo più attivo, dall’altro esso può indurre le imprese a ridurre la propria “domanda di lavoro”, ad assumere lavoratori in nero, o addirittura a chiudere i battenti qualora i loro margini di profitto siano già ridotti all’osso. L’evidenza empirica, sia negli Stati Uniti che in diversi paesi europei, suggerisce che il salario orario minimo tende ad avere effetti negativi su occupazione, ore lavorate, e partecipazione al mercato del lavoro – soprattutto per i gruppi di lavoratori che più si vorrebbe sostenere: giovani, donne, minoranze.
Reddito minimo garantito. Questa è cosa ben diversa dal salario orario minimo, in quanto slegata dallo svolgimento di un’attività lavorativa. Lo scopo principale di tale strumento è quello di fornire un reddito minimo “di sicurezza” a persone o famiglie che si trovino al di sotto di una soglia minima di povertà. Ho scoperto che una versione del reddito minimo è stata sperimentata in Italia nel 1999-2001, in 39 Comuni italiani. Il problema principale di questo tipo di programmi è che tende a ridurre l’offerta di lavoro: riduce infatti l’incentivo da parte dei lavoratori non-occupati a mettersi alla ricerca di un posto di lavoro, oppure induce a lavorare meno ore. Se io ricevo un reddito minimo sia che lavori sia che non lavori, non ho alcun incentivo a lavorare finché il mio reddito da lavoro non raggiunga un livello strettamente superiore a quello minimo garantito; perché mai dovrei far fatica al lavoro se comunque posso ricevere un reddito garantito? (Per i secchioni, come li chiama Michele, sto parlando di disutilità del lavoro, e non c’entrano niente l’effetto di sostituzione e quello di reddito).
Negative Income Tax. Questo strumento (molto simile al seguente) è un modo di implementare il reddito minimo garantito che riduce l’effetto di disincentivazione al lavoro. L’idea, proposta originariamente da Milton Friedman nel 1962 (e descritta da Robert Moffitt in questa nota) è quella di usare una combinazione modulata di trasferimenti e tasse, diminuendo lentamente i trasferimenti all’aumentare del salario da lavoro in modo tale da mitigare il più possibile l’incentivo a non lavorare che il puro reddito garantito implicherebbe. Il reddito minimo garantito si basa su un trasferimento dallo Stato che avviene anche se uno non lavora; se uno lavora il trasferimento viene ridotto euro per euro di un ammontare corrispondente al salario guadagnato dal lavoratore. Mettiamo che se non lavoro prendo un reddito minimo garantito di 500 Euro al mese; ebbene, se comincio a lavorare e guadagno 300 Euro al mese, il trasferimento dallo Stato viene ridotto a 200 Euro, in modo che il mio reddito complessivo resti comunque a 500 Euro. Questo equivale a dire che l’aliquota dell’imposta sul reddito è del 100% per salari sotto il reddito minimo. L’idea di Friedman era di modulare la cosa più intelligentemente, usando un'aliquota più bassa. Continuando nell'esempio di prima, se comincio a lavorare e guadagno 100 Euro, il trasferimento si riduce a 450 Euro (ovvero, il reddito da lavoro viene "tassato" al 50%, non al 100%), così arrivo a 550 ed ho incentivo a lavorare un po' di più; se guadagno 200, il trasferimento si riduce a 400 e arrivo a 600 Euro complessivi; e così via finché arrivo a 1,000 Euro di reddito da lavoro e il trasferimento dallo Stato scompare del tutto. Questa semplice idea fa sì che anche a bassi salari, dove ancora incide il reddito minimo, i lavoratori abbiano comunque l’incentivo a cercare di lavorare per aumentare il proprio reddito complessivo.
[Idea semplice sì, ma ancora oggi ci sono persone che non la comprendono, e che auspicano l’avvento di un reddito minimo garantito con un’aliquota del 100% per salari inferiori al minimo. Altri invece, come Tito Boeri, sono più avveduti e se capisco bene suggeriscono di usare, ad esempio, un’aliquota del 60%. Tito suggerisce anche di usare il reddito minimo garantito al posto di un nugolo di altri programmi di assistenza, come le pensioni sociali, quelle di inabilità, eccetera: qui l’idea (e questa era anche l’intenzione di Friedman) è di ridurre possibili effetti di incentivi perversi che si vengono a creare quando si definiscono programmi di assistenza per categorie estremamente circoscritte di persone.]
Credito d’imposta sul reddito da lavoro. Lo scopo di questo strumento è ancora una volta di integrazione del reddito per lavoratori a bassi livelli di salari, e il modo in cui viene implementato è simile a quello della NIT. Si tratta di un credito d’imposta che aumenta gradualmente all’aumentare del reddito da lavoro, raggiunge un massimo, e quando lo stipendio raggiunge un certo livello, invece di sparire di colpo (con i soliti problemi di incentivi), viene ridotto gradualmente fino a sparire del tutto. La differenza fondamentale rispetto alla NIT è che mentre questa fornisce un sussidio anche a zero ore lavorate, il credito d’imposta entra in gioco solo a livelli positivi di reddito da lavoro. Negli Stati Uniti questo strumento esiste a livello federale dal 1975 (ma è stato ampliato a diverse riprese nel 1986, 1990, 1993 e 2001 fino a diventare uno dei più grossi programmi di assistenza pubblica negli USA), e ogni Stato può integrarlo in misura diversa e con regole diverse a seconda della presenza di figli a carico, ecc.
Sussidio alla disoccupazione. Qui l’idea è di fornire un sussidio monetario a persone che diventino disoccupate, per un periodo limitato nel tempo (che va da qualche mese a più di un anno). Di solito il sussidio è condizionato al fatto che la persona cerchi attivamente un lavoro, ma in pratica l’attività di search è difficile da monitorare. Il problema, ancora una volta, è di incentivi: se ricevo un sussidio (più o meno generoso) quando sono disoccupato, questo riduce l’urgenza di trovare lavoro – questo, sia chiaro, da un lato è un bene ma dall’altro può rivelarsi controproducente per il lavoratore stesso. Difatti sono stati proposti varimodi di mitigare il problema di incentivi: sostanzialmente si tratta di far sì che il sussidio diminuisca progressivamente nel tempo, per aumentare l'incentivo a cercare attivamente un lavoro. Insomma, un'altra variante di NIT e credito d'imposta.
Veniamo allora alle proposte del PD. La lunga introduzione era necessaria per cercare di capire esattamente cosa comportano i vari strumenti che appaiono nel programma. Vediamoli allora uno per uno, commentandoli di volta in volta.
Compenso minimo legale:
“Sperimentazione di un compenso minimo legale fissato in via tripartita (parti sociali e governo), per i collaboratori economicamente dipendenti (con l'obiettivo di raggiungere 1000/1100 euro netti mensili). Va verificato con le parti sociali se questo minimo possa essere esteso a quei lavoratori dipendenti che non godono di adeguata protezione da parte della contrattazione collettiva.”
Qui la confusione regna sovrana. Non si capisce, oggettivamente, se si tratta di salario orario minimo, di salario mensile minimo, o di reddito minimo garantito. L'interpretazione del testo (che manco gli esegeti biblici...!) mi fa propendere per la prima ipotesi, magari definita secondo criteri mensili piuttosto che orari. In entrambi i casi, la proposta è perniciosa, come abbiamo visto, dato che distorce sia l'offerta che la domanda di lavoro e genera effetti di de-occupazione. In più, essendo così ambigua, si presta ad ulteriori distorsioni sul fronte delle ore lavorate. Peggio di così non si può.
Imposta negativa per redditi bassi:
“La detrazione [IRPEF, per i lavoratori dipendenti] può essere utilizzata anche per sperimentare forme di "imposta negativa": si tratta di sostenere i redditi più bassi, erogando la detrazione come trasferimento a favore dei lavoratori incapienti.”
“Sostenere i redditi più bassi con un trasferimento monetario a loro favore: per le famiglie con figli, la Dote [per figli a carico, sostituirebbe gli assegni familiari] stessa fa da imposta negativa in quanto viene erogata come trasferimento a favore delle famiglie incapienti.”
Bene, almeno si comincia a parlare di imposta negativa sul reddito (bicchiere mezzo pieno). Male, non si fa minimamente accenno ai problemi di incentivi legati alla NIT qualora NON si usi un'aliquota d'imposta minore del 100% (bicchiere mezzo vuoto). Caro Friedman: fiato sprecato. Forse non è tradotto in italiano ...
Sussidio di disoccupazione:
“ci vogliono politiche attive sul mercato del lavoro, che forniscano tutele del reddito in caso di disoccupazione. [...] [I beneficiari del sussidio] sono tenuti non solo ad accettare offerte di impiego e di formazione, pena la decadenza dal sussidio, ma ad attivarsi per cercare il reimpiego. Cercare lavoro è in sé un’occupazione, che per questo va retribuita, con un contratto specifico di ricerca d’occupazione”
Un programma di sussidi di disoccupazione va benissimo, come abbiamo visto - certo, con le dovute cautele per far sì che la persona disoccupata non perda l'incentivo a cercare lavoro. Qui invece il dirigismo torna sovrano: invece di disegnare il sussidio in modo che fornisca gli incentivi corretti (e il modo esiste), ci inventiamo un contratto specifico di ricerca d'occupazione. Con tanto di tutele legali, vincoli, codici e codicilli. Mi immagino già i costi sociali per garantire il rispetto di tali contratti, i ricorsi in tribunale, eccetera. Fantastico!
Credito d'imposta:
“Credito d'imposta rimborsabile per le donne che lavorano, adeguato a sostenere le spese di cura, così da essere incentivante e graduato in rapporto al numero dei figli e al livello di reddito. Tutte le donne lavoratrici - dipendenti, autonome, atipiche - con figli e reddito familiare al di sotto di una certa soglia (che potrà crescere nel tempo) dovranno poterne beneficiare. Nei primi due anni della Legislatura, il credito d'imposta potrà essere applicato alle donne lavoratrici del Sud, per poi essere esteso a tutto il territorio nazionale.”
Anche qui, l'idea in sé va benissimo, l'implementazione specifica che viene suggerita fa cascare le braccia. L'enfasi è sulle donne che lavorano, mentre invece dovrebbe essere sulle famiglie. L'accenno alle spese di cura appare fuori posto: perché si parla di voci di spesa specifiche? L'idea di applicare la cosa solo al Sud, per poi (dopodomani?) estenderlo a tutto il paese non la commentiamo nemmeno.
Precariato:
“Troppi giovani sono ora “intrappolati” troppo a lungo, spesso per anni, in rapporti di lavoro precari. Questa situazione va contrastata da una parte facendo costare di più i lavori atipici e di meno il lavoro stabile; dall’altra favorendo un percorso graduale verso il lavoro stabile e garantito [...] Contratti "atipici"? Devono costare di più”
“allungamento del periodo di prova, in misura da concertare con le parti sociali”
"I contratti temporanei dovrebbero essere utilizzati soltanto per prestazioni lavorative veramente a termine, riducendone la durata massima a due anni e imponendo ai datori di lavoro che li utilizzano il pagamento di contributi più elevati per l’assicurazione contro la disoccupazione"
Qui di nuovo l'enfasi è sul precariato invece che su una riforma seria dei contratti a tempo indeterminato, e sulle rigidità imposte dalla contrattazione nazionale collettiva. Il problema non è tanto l'allungamento della prova (un contentino alla Confindustria?), quanto di aumentare la flessibilità del contratto a tempo indeterminato, mantenendo sì delle garanzie per i lavoratori ma allo stesso tempo permettendo alle imprese di licenziare anche per motivi economici. Il "modello mentale", poi, non cambia: tutto dev'essere stabilito di concerto con le parti sociali (leggi Sindacati e Confindustria) e tramite lo strumento legislativo (durata massima di due anni? E perché non 22 mesi, o 26, o...?), invece di lasciare libere le singole parti di stabilire i termini del rapporto di lavoro che essi preferiscono.
La contrattazione collettiva:
“favorire un migliore rispetto degli standard stabiliti della contrattazione collettiva, anche sperimentando forme concordate con le parti sociali di estensione dell'efficacia dei contratti.”
Questo l'ho messo solo per illustrare, ancora una volta, il riflesso pavloviano che fa sì che s'invochi prima di tutto la contrattazione collettiva, i vincoli scritti a tavolino e fissati per legge, il ruolo sovrano della triade sindacale.
I congedi parentali:
“nuovo congedo di paternità interamente retribuito, dalle imprese, come nei Paesi scandinavi, addizionale alla maternità/paternità già oggi prevista e non fruibile dalle donne; congedi parentali al 100% per 12 mesi, come in Francia”
Rifarsi ai paesi scandinavi e alla Francia non mi sembra il modo migliore per cercare di ottenere maggiore flessibilità e occupazione. E non è certo questo il modo di stimolare le nascite e la partecipazione delle donne al mercato del lavoro. Se si vuole davvero aumentare la partecipazione femminile, che si liberi il mercato del lavoro dalle pastoie in cui esso è ingabbiato (oltre che aumentare i servizi di "child care", asili nido eccetera - questo, almeno, c'è nel programma). Non oso pensare ai costi che tale istituto (di congedi parentali così generosi) comporterebbe per le imprese. Evidentemente la crescita di produttività in Italia è così elevata che possiamo permetterci questo e altro...
Conclusione. Desolante, purtroppo. Anche le idee che a prima vista vanno nella direzione giusta (imposta negativa sul reddito, credito d'imposta, sussidio di disoccupazione) quando si guarda ai dettagli sono implementate in modo da distorcere gli incentivi e generare quindi effetti perversi su occupazione, partecipazione al mercato del lavoro, domanda di lavoro da parte delle imprese. Altre cose, come il compenso minimo garantito e le proposte riguardanti il precariato, sono semplicemente dannose. Ma la cosa che fa più impressione è la miopia di fondo che impedisce di pensare anche solo lontanamente ad affrontare i nodi veri, come le rigidità del contratto a tempo indeterminato, la contrattazione collettiva, l'impulso irresistibile a sovra-codificare ogni aspetto del rapporto lavorativo.
Sarà per un'altra volta allora, aspettando sempre, fiduciosi, Godot.
secondo me, a naso, il compenso minimo legale è una specie di salario mensile minimo per lavoratori con contratti atipici, magari da estendere a quei lavoratori dipendenti che non sono compresi nei rinnovi contrattuali della contrattazione collettiva (praticamente è come si concretizza la proposta sul "precariato").
Credo voglia essere un disincentivo a pratiche tipo "stage" semestrali, magari poi rinnovati, pagati solo con rimborso spese (o neanche), senza garanzia di assunzione al termine del periodo di prova, che non sono rari.
Bisogna vedere però come impatta una misura del genere su alcune (molte?) imprese che nel periodo di prova fanno quasi esclusivamente formazione. Tutte le imprese finanziarie italiane per assumere nel ramo commerciale (promotori finanziari, assicuratori vita e cose simili), fanno cose di questo tipo. Nessuno di questi ha interesse a non assumere, al termine della formazione, il lavoratore (che anzi a quel punto ha più potere contrattuale, se non altro perché è più qualificato). E non è consuetudine solo del ramo commerciale (parte importante dei neolaureati "brillanti" in economia e ingegneria, in italia, cerca/trova il primo impiego come consulente/analista junior presso imprese che fanno in outsourcing la contabilità analitica, i servizi informatici, la finanza di imprese medio-grandi). Alzare legalmente il salario di ingresso a 1100 euro per tutti questi stagisti di sicuro limita un bel po' le possibilità di assunzione per chi in questi settori non ha la dimensione e la fama di Accenture, e magari gli stagisti è già costretto a sceglierseli bene e non con colloqui stile
Grazie, Filippo. Son d'accordo con te circa i limiti che un eventuale salario mensile minimo imporrebbe alla capacita' di assunzione da parte delle imprese che descrivi. Proprio per i contratti di formazione o "stage" puo' convenire sia alle imprese che ai lavoratori stabilire un salario iniziale molto basso, cui corrisponde l'acquisizione di competenze specifiche da parte del lavoratore (aumenta il "capitale umano") e la possibilita' (ma non l'obbligo) di assunzione futura. Conviene all'impresa per abbassare i costi e per assicurarsi contro la possibilita' che il lavoratore, una volta terminata la formazione, se ne vada in un'altra ditta. Conviene al lavoratore per acquisire capitale umano e rendersi piu' appetibile non solo alla ditta che gli ha fatto la formazione, ma anche ad altre ditte del settore.
D'altra parte, mentre il lavoratore fa il suo "stage", deve anche poter mangiare: e' per questo che sono importanti gli strumenti dell'imposta negativa sul reddito, o del credito d'imposta. Ma non fissare arbitrariamente un minimo salariale che non tiene conto degli interessi di entrambe le parti (lavoratore e impresa).