Michele. In questo tuo articolo su Trump fai una cosa molto utile: inviti a prendere Trump più sul serio di quanto si sia fatto sino ad ora ed a considerarlo un fenomeno politico non uno scherzo dei media. Se non ti dispiace partiamo dall'articolo perché definisce un utile punto di vista sul quale possiamo poi elaborare assieme. Togliamo di mezzo le cose su cui siamo certamente d'accordo e che propongo di lasciare, per oggi almeno, al margine. Che DT stia facendo una campagna elettorale mediaticamente geniale non si discute e che il metodo "Grillo" funzioni anche qui negli USA, idem. Va aggiunto, sul "metodo Grillo", che esso sembra funzionare se e solo se il soggetto che lo pratica è già una "celebrità popolare". Se il pubblico televisivo non ti conosce il giochetto non funziona: puoi dire e fare quello che vuoi, di te non parleranno. Questo fatto, a me sembra, crea un forte bias nella selezione di persone che possano tentare di essere alternative ai politici di professione: sarà il pascolo preferito di istrioni televisivi e questo non promette bene. Condivido anche la forte antipatia che esprimi verso Hillary Clinton, la quale deve fare i conti con una sempre maggiore difficoltà di diventare un candidato che sollevi entusiasmi nel proprio elettorato. Approfitto per aggiungere che la sua è e rimarrà una candidatura ad alto rischio sino al giorno del voto: la signora HC ha tanti di quegli scheletri nell'armadio che uno scandalo mortale potrebbe esplodere in ogni momento e travolgerla.
Veniamo al punto che ci interessa: Trump non è il prodotto dell'estemporaneità e quanto ha fatto emergere c'è e resterà perché c'è da tempo. Infatti, 24 anni fa c'era Ross Perot a parlare contro NAFTA ed immigrazione illegate a quelle stesse persone a cui oggi parla Trump. Era meno divertente e meno volgare però, mutatis mutandis, vendeva un messaggio molto simile. La fetta di elettorato che votò Perot allora non è per nulla dissimile da quella che vota per Trump ora. Insomma, quel tipo di malessere socio-politico negli USA c'è da molto tempo, forse da sempre. Ma trova raramente una rappresentanza politica esplicita. Questi son due temi che forse vale la pena esaminare approfonditamente: chi sono gli elettori di Trump, cosa vogliono e perché il sistema politico non li ha rappresentati sino ad ora. Aggiungo una prima nota critica: io non credo che l'elettorato Perot/Trump sia estraneo al Partito Repubblicano, a mio avviso questo è vero solo in parte. Questo è elettorato repubblicano di riserva che aveva già cominciato a "prendersi" fette del GOP per mezzo del Tea Party. Il problema "tattico" del GOP, ora, è che con Cruz come miglior antagonista di Trump quell'elettorato targato Tea Party rischiano di spaccarlo in due e questo è costoso. Senza dieci anni di Tea Party non ci sarebbe ora Trump candidato del GOP, dovrebbe correre come esterno. E questo dovrebbe portarci ad un'altra domanda: quanto grande è, effettivamente, il supporto per Trump? È maggiore o minore di quello che ebbe a suo tempo Perot?
Francesco. Quel che più mi premeva era sottrarre Trump al folklore e al pregiudizio moralistico di certa stampa e di molti osservatori i quali giudicano il loro sentimento (e non l'oggetto che lo forma) prigionieri delle loro opinioni, piuttosto che le cose "per come accadono". Anche se accadono - per l'appunto - a loro dispetto. Credo bisogna avere, invece, l'umiltà e l'onestà intellettuale di scendere ora nel mondo, senza il "ditino alzato", perché - a mio avviso -Trump esiste. Esiste eccome. Anzi è più effetto che causa di un fenomeno che, come segnali tu, si ripete e ora sembra addirittura endemico. Eh, già, Trump come Grillo, e Grillo come tanti altri effetti di un risentimento su scala occidentale nei confronti di quella che, per comodità, chiamerei "politica tradizionale".
Ora che - a quanto pare - Bloomberg si sottrae dalla corsa, anche se non é mai stato in corsa, ma poteva essere una soluzione (ha appena scritto: "As the race stands now, with Republicans in charge of both Houses, there is a good chance that my candidacy could lead to the election of Donald Trump or Senator Ted Cruz. That is not a risk I can take in good conscience. We cannot 'make America great again' by turning our backs on the values that made us the world's greatest nation in the first place. I love our country too much to play a role in electing a candidate who would weaken our unity and darken our future -- and so I will not enter the race for president of the United States.") il problema diventa monumentale per il partito Repubblicano. (Tra parentesi: se ho ben capito l'ex sindaco di NY sta tirando la volata alla Clinton. Se così fosse, lo vedi che è lei il candidato più Repubblicano?)
Ma chi ha "scolpito" il monumento - torno a Trump e scusa la metafora un po' scema - con tanto di ciuffo, è senza dubbio l'apparato del partito Repubblicano negli anni imbrigliato nelle spire del Tea Party. E il Tea Party, semmai ha allargato i consensi tra e per i Repubblicani, ha anche portato molta ambiguità. Soprattuto di tipo economico-sociale. Ancora una volta mi pare un caso di inciampo nella corsa al consenso facile ...
Michele. Speravo fossimo in disaccordo più sostanziale, invece sembra di no. Concordo ovviamente sulla tua lettura della rinuncia di Bloomberg a correre: oggi come oggi rischia di indebolire HC che è quella a lui di fatto più vicina (entrambi, alla fine, appartengono all'elite finanziaria di NY, lui come titolare effettivo, lei ed il marito come "bought and paid for" ...) e nel cui elettorato pescherebbe. Ed è senz'altro vero che HC sia oggi una "repubblicana classica", specialmente nel suo essere controllata dai grandi gruppi d'interesse economici (financial sector, pharmas, copyright industry, airlines, and so on). La qual cosa suggerisce che, in realtà, se i due partiti tradizionali "esplodessero" grazie all'azione di Sanders da un lato e di Trump&Cruz dall'altro potremmo avere una riaggregazione in tre partiti. Uno socialisteggiante di stile molto scandinavo, un partito centrista ed amico del business dominante, ed uno reazionario a forte impronta nazionalista, religiosa ed ovviamente razzista. Quest'ultimo sarebbe il partito di Trump e di Cruz, infatti. Ma rimaniamo su Trump per il momento. Quello che mi preme sottolineare è che, se leggo bene chi va a votarlo, chi va ai suoi meeting e quello che lui stesso dice, Trump è l'espressione di quelli che, negli USA, dalla globalizzazione e dal progresso tecnologico degli ultimi decenni sono rimasti schiacciati. Oggi il WSJ titolava in prima pagina che Trump è primo nei sondaggi del Michigan (dove quando questo articolo uscirà forse avranno già votato) perché la classe operaia (i "blue collars") vota per lui. Sulla sua pagina leggi, in uno dei tanti articoli che lo elogiano, il seguente testo:
Maine, in many ways, represents just the kind of state where Trump has resonated. “It’s a rural state and it’s suffering through the process of post-industrialism, and that’s leaving a lot of people behind,” said Mike Cuzzi, a Democratic strategist and Maine resident. “A lot of people are feeling angry, like both the political parties have let them down.”
Questo mi sembra il punto chiave: negli USA come in Europa cresce l'onda politica dei perdenti che reagiscono alla globalizzazione post 1980. Quelli che vogliono che il mondo torni al trentennio precedente e che la loro "nazione" sia "great again" (o risorga più grande e più bella che pria, stessa roba). A me pare questo il filo rosso che collega Perrot a Trump e che, attraversando l'Atlantico, li collega ai Le Pen, a Salvini, a UKeep, eccetera. E sai qual'è il vero dramma di questa gente? Che da un lato hanno alcuni motivi personali ragionevoli per essere "incazzati" (i benefici della globalizzazione e del cambio tecnologico sono distribuiti in modo molto ineguale) e, dall'altro, ciò che chiedono è impossibile ed i loro leader politici di riferimento li conducono per vicoli privi di sbocco, in realtà sfruttando la loro rabbia al puro fine di avere un supporto elettorale che dia loro un ruolo. Ma le politiche che questi gruppi sociali chiedono sono, semplicemente, impossibili.
Francesco. Per me - al di là dell'identificazione del cosidetto blocco sociale che si riconosce in Trump (è quello che nel mio articolo ho definito, non con sprezzo, ma credo realisticamente, "bifolchi": esattamente coloro che sono in affanno rispetto alla fuga della realtà che li circonda, all'accellerazione delle nuove tecnologie, come di tante altre cose non per forza buone: finanza marcia, consumismo sfrenato ... "sviluppo senza progresso" per dirla alla Pasolini) - rimane abbastanza misterioso Trump stesso. Sono convinto che egli reciti una parte (gli viene bene, per carità) alla quale la sua "anima" (forse è meglio dire: il suo nocciolo) non aderisce appieno. Se alla fine della corsa risultasse lui il vincitore delle primarie, credi che continuerebbe a battere sugli stessi tasti? Si può davvero permettere un possibile atteggiamento, l'esibizione di un programma elettorale così ottuso? Si può permettere l'aspirante inquilino della Casa Bianca di essere così "divisivo"?
Guarda, che neanche Berlusconi lo fu a tal punto. Anzi, per certi versi B. (col quale DT c'entra poco a parte il quoziente di volgarità e il portafogli) polarizzò la scena. Ed hai ragione tu (lo vedi, non riusciamo proprio a dissentire!) sullo scenario futuro della spartizione politica americana, e dunque ribadisco che pur nel dissenso organizzato, B. portò al bipolarismo. Ovviamente, non tanto per la d'un tratto trovata ripartizione partitica, ma per una spaccatura netta tra i suoi pro e suoi contro. Infatti, vorrei far notare, uscito di scena lui, arieccoci alla frantumazione...
Vabbè, sono scivolato nel solito provincialismo: parlo d'Italia, ma in verità penso ancora all'America. Penso - a tal punto - che Trump non potrà vincere perchè è quasi "tecnicamente" impossibile: credo che l'America (il mondo) non se lo possa permettere. Con buona pace di quella fetta di americani che continueranno ad arrancare dietro alla storia, che si sentiranno dalla parte "giusta" perchè "perdente" e continueranno ad alimentare il loro livore, a tentare di dare un senso alle loro frustrazioni, magari nel contempo sperando - comunque e segretamente - di poter un giorno vedere i propri figli impiegati a Wall street.
Bene, molto chiarificatore il vostro dialogo. Poi di là c'è lo scandinavo-retrò Sanders. Ma non sono certo della possibilità di una aggregazione di tale tipo a sinistra, in caso di crisi e ristrutturazione dell'offerta politica negli US.
Mi sembrerebbe più probabile che sorgano 2 populismi, uno a destra ed uno con narrativa di sinistra, con elettorati largamente overlapping (i bifolchi e forconi) e quindi (ahimè la geometria euclidea di Hotelling non sarebbe più d'aiuto) polarizzaizone a dx o sin in base a chi dei 2 leader, adesso ed in futuro, sia più bravo.
Mi viene in mente il momento iniziale, creativo del 99% specie a NYC (la fase preclassica, NIETZSCHE; l'innamoramento, ALBERONI). Nella piazza girava molta base Tea Party e simili le tematiche, la rabbia anti-ricchezza (ecc.). Poi, come in ogni regime assembleare, arrivarono i guru che la sapevano lunga e pennellarono di rosso un movimento nuovo, quindi incolore. Ergo ci sarebbe, in ipotesi, una evoluzione LePennica dai TPs a Trump a droite; ed una Podemos dai 99% allo scandinavo Sanders. Che ci sia comunque (quanto populista o soc-dem si vedrà) una possibilità di legittimazione di un discorso 'socialista' negli US sarebbe un fatto epocale, che la precedente Grande Crisi dei 1930s non indusse (l'unico Keynesismo allora accettabile dall'elettorato fu quello militare).