Il rivoluzionario primo atto della Madia è di rendere operativa una misura presa dal governo precedente, quella per cui i lavoratori pubblici non possono cumulare lavoro e pensione oltre 311 mila euro (lo stipendio del primo presidente di Cassazione). La misura vale per i dipendenti pubblici. Il ministro Madia però vorrebbe che regole simili valessero in generale. Nell'intervista spiega:
da deputata avevo presentato una proposta per agire sulle pensioni: chi percepisce una pensione oltre 6 volte la minima e continua a lavorare, deve lasciare metà pensione allo Stato
In un'altra parte dell'intervista, il ministro spiega le sue motivazioni:
è una scelta politica, per segnalare una priorità: l’attenzione all’equità sociale e al tema di un’intera generazione esclusa. [...]. Capisco chi ha pensioni basse, ma ritengo non sia etico quando il cumulo porta a soglie di reddito molto alte
Insomma, non è che la misura abbia lo scopo di ripianare il bilancio dell'INPS, o dello stato; nemmeno si vuole, giustamente secondo una legittima posizione politica, redistribuire da super-ricchi a meno ricchi. La risposta è che non è etico prendere troppi soldi, e se non etico cosa si può ribattere? E perché limitarsi alle pensioni, allora?
Si potrebbe rispondere che è poco etico non distinguere equamente fra chi si è sudato la propria pensione (alta) dopo averci contribuito (molto), e i molti che invece la ricevono senza aver versato adeguati contributi. La sacrosanta proposta di correlare le pensioni attuali all'effettivo ammontare contribuito (come sarà per noi, futuri pensionati) viene qui completamente ignorata in virtù di un taglio indiscriminato alle pensioni (per alte che siano).
Ma non è questo il punto che voglio fare. Il punto principale qui è che questa misura tasserà, con un'aliquota del 100%, il lavoro di chi prende più di 311mila euro. La Madia vorrebbe imporre una tassazione aggiuntiva del 50% (aggiuntiva alle regolari aliquote), a chi lavora ma percepisce nel privato una pensione superiore a sei volte la minima. Generalmente, chi lavora e percepisce stipendi alti sta producendo e creando lavoro e ricchezza di cui beneficiano anche i percettori di redditi inferiori. Cosa pensa, la Madia, che scelga di fare l'imprenditore o consulente, dipendente pubblico, percettore di pensione (più o meno correlata con quanto contribuito), al raggiungimento dei 311mila euro di reddito? Gli converrà o meno contribuire a creare ulteriori 1000 euro di ricchezza, se la pensione gli verrà decurtata di pari misura? Cosa succede al pensionato a 2800 euro al mese, circa 6 volte la minima, che continuasse a svolgere un'attività imprenditoriale o lavorativa se si trova a fronteggiare, oltre all'aliquota Irpef che può superare il 40%, una ulteriore decurtazione della pensione pari al 50% del proprio reddito?
Non si tratta, dunque, di difendere i ricchi, o le pensioni alte. Possiamo redistribuire, e limitare le pensioni, soprattutto quelle non commisurate ai contributi versati. È indubbio però che nella situazione attuale dobbiamo farlo con un'attenzione agli incentivi a creare ulteriore ricchezza e lavoro, perché se la scelta è sempre quella di punire chi, creando ricchezza, è responsabile per la creazione di reddito e lavoro, allora non si va da nessuna parte.
"nemmeno si vuole, legittimamente secondo molti, redistribuire da super-ricchi a meno ricchi."
A leggere la frase intera a me sembrerebbe di si:
“E’ una scelta politica, per segnalare una priorità: l’attenzione all’equità sociale e al tema di un’intera generazione esclusa. In un’epoca in cui oltre il 40% dei giovani non trova lavoro, un milione e mezzo di persone, tra pubblico e privato, cumula lavoro e pensione. Capisco chi ha pensioni basse, ma ritengo non sia etico quando il cumulo porta a soglie di reddito molto alte». “
Non so se sono un milione e mezzo (dove hai reperito questo dato?) ma credo di conoscere i motivi per cui tanti vanno in pensione e continuano a lavorare. Conoscendo alcuni casi e quello che mi hanno spiegato, si tratta di persone con una posizione salariale elevata e di responsabilità in azienda, prossima al pensionamento. Il prepensionamento comporta una notevole penalizzazione nell'importo che si riceve e continuando a lavorare si compensa questa lacuna. Inoltre si va avanti a contribuire (l'indipendente paga i contributi e mi pare che ora siano stati portati al 33%) e quindi ricupera parte del gap.
Insomma alla fine è una soluzione che permette all'azienda di non pagare dei contributi (li pagherà il lavoratore) e di diminuire un po' costi (perché il lavoratore ha comunque un'integrazione previdenziale e quindi pretende un po' meno).
Cose del genere in altri sistemi previdenziali non dovrebbero accadere, perché nei sistemi a compartizione se ti puoi ritirare anche prima, smettendo di pagare, la pensione dovresti prenderala comunque solo al raggiungimento dell'età di vecchiaia, per non danneggiare gli altri. Nei sistemi a capitalizzazione invece il prepensionamento comporta una diminuzione della rendita ma sono soldi tuoi e quindi non danneggi altri.