Dalle percentuali di voto di Fare per Fermare il Declino risaltano delle forti divergenze regionali. Questa la mappa e la tabella (con voti e percentuale) dei risultati regionali in ordine decrescente:
La differenza tra Calabria e Veneto è considerevole, e sarebbe un errore amalgamare questi risultati regionali come pressapoco tutti uguali al di sotto del 2%. FARE si è rivelato un partito lombardo-veneto, se consideriamo i risultati al di sopra dell’1,5%, o per essere più cattivi un partito padano, se guardiamo ai risultati al di sopra dell’1%. Le regioni dell’arco appenninico hanno dato risultati al di sotto dell’1%, e in calo più si abbassava la latitudine.
FARE non ha avuto il risalto televisivo di altre forze politiche, ma in ogni caso ha avuto una certa esposizione mediatica sulla stampa e sulle televisioni nazionali in maniera omogenea per tutto il territorio italiano. Anche gli altri fattori avversi dell’ultima settimana di campagna hanno avuto un impatto uniforme su tutto il bacino elettorale. Come spiegare quindi il risultato cosi' eterogeneo sul territorio nazionale?
Non credo proprio che la colpa sia dell’accento veneto di Michele Boldrin. La distribuzione territoriale di voti puo' senz'altro essere dovuta più ad una elevata concentrazione di iscritti e di attività (come serate di presentazione, gazebo, ecc..) su alcune regioni. Anche se questa attività è probabilmente in buona parte determinata a sua volta dagli effetti che essa genera: i Fondatori parlavano dove erano chiamati a farlo, cioè dove piu' fertile era il loro messaggio.
Ma la principale ragione per cui FARE ha ottenuto risultati con così elevata divergenza regionale è, a mio avviso, il programma elettorale, che è appetibile per l’elettore mediano di alcune regioni e avverso per quello di altre. I punti principali del programma di FARE consistono nel diminuire la pressione fiscale e la spesa pubblica, che è l’unica politica fiscale ragionevole per uno stato sull’orlo del collasso come quello italiano. Non si tratta di una politica di destra o di sinistra, ma dell’unica ricetta per garantire uno spiraglio di crescita (tramite la diminuzione di tasse) finanziandolo nell’unica maniera possibile (dato che siamo arrivati al capolinea dell’indebitamento). Casomai, l’attuazione di questa politica fiscale vincente poteva prendere una connotazione ideologica o redistributiva a seconda di che spesa pubblica e che tasse si tagliavano. Per quanto sia l’unica ricetta seria, questa si infrange inevitabilmente su uno scoglio elettorale.
Promettere meno tasse e meno spesa pubblica è appetibile per gli elettori che vedono la propria attività soffocata dalla pressione fiscale più elevata al mondo, e che non percepiscono abbastanza vantaggi dalla spesa pubblica. Viceversa, gli elettori che ricevono più vantaggi dalla spesa pubblica, e che sono indifferenti alla pressione fiscale, possono percepire il programma di FARE come un pericolo al loro benessere.
Ogni regione ha naturalmente un mix di persone che danno più di quanto ricevono e viceversa, ma la distribuzione è eterogenea regione per regione. Da quanto trapela dai residui fiscali regionali, la politica fiscale di FARE dovrebbe essere più appetibile per una maggioranza di elettori nelle regioni con residuo fiscale positivo, dove l’elettore mediano paga allo stato più di quanto riceve come servizio pubblico. Grossomodo, facendo uno scatter plot delle percentuali prese da FARE e il residuo fiscale pro capite, non sorprende notare la presenza di una certa correlazione.
Residuo Fiscale pro capite calcolato da Entrate e Spese dei CPT
http://www.dps.tesoro.it/cpt/cpt.asp
Ora, una volta scavalcati gli ostacoli organizzativi e mediatici, che prospettive ha un partito italiano con un programma come quello di FARE? A mio avviso rimarrà lo scoglio territoriale che ha trovato la Lega. I contenuti saranno anche più studiati e presentabili, ma permane il problema di fondo dovuto alla situazione eterogenea dell’elettorato. Al massimo FARE potrà ambire a rappresentare una maggioranza degli elettori del lombardo-veneto, ma con questo programma sarà sempre una minoranza nel contesto parlamentare romano, rendendo l’esecuzione del proprio programma difficilmente realizzabile.
Quindi ci stai dicendo che abbiamo superato il punto in cui i "beneficiati" superano i "benefattori". Ossia chi lavora nel privato e paga imposte vere e non figurative è orami una minoranza che viene e verrà comunque schiacciata da una maggioranza di elettori. E' altamente probabile che non sia poi tanto lontano dal vero. And so? Esiste ancora una prospettiva di uscire da questa trappola?
Secondo me si.
L'attuale programma è spiegato in modo troppo tecnico e senza una vera spiegazione degli intenti.
Spesso le persone si chiedono: "Con queste cose, io ci guadagno o ci perdo?"
Servirebbe almeno un'introduzione dove si spiega che l'obiettivo non è "fare gli interessi di qualcuno", ma lavorare tutti insieme sul lungo periodo.
A quel punto diventa più facile capire che ognuno deve mollare il suo piccolo osso per poter acchiappare la gallina.
;)
Di gran lunga. Dal punto di vista della percezione individuale il numero dei "beneficiati" lo stimo al 80-90%.
Bisogna tener conto che nel circo mediatico italiano si cerca di raccontare agli elettori favole come quella che sanita' e pensioni sono "regali" dello Stato ai suoi sudditi, e non sono per nulla servizi statali pagati mediamente da loro stessi, dove l'intermediazione dello Stato comporta. in sostanza, grandi sprechi per consulenze, politici incompetenti strapagati, corruzione, tangenti, e ad un servizio razionato e di scadente qualita'. L'elettore italiano medio non ha l'alfabetizzazione economica sufficiente a non essere influenzato da queste favole.
Se consideriamo invece la realta' economica, secondo me solo il 25% circa dell'economia italiana opera in regime di effettiva concorrenza internazionele, e soffre senza sconti l'enorme pressione fiscale imposta, il restante 75% dell'economia e' composto da statali, dipendenti di grandi industrie statali o private ma assistite e protette dallo Stato, e una pletora di impiegati e professionisti "tutelati" dallo Stato contro la concorrenza sia internazionale sia interna italiana.
Con una riforma decente dello Stato ci sarebbero vantaggi per l'80-90% dei cittadini, anche la netta maggioranza dei "tutelati" e assistiti, e svantaggi sostanzialmente per l'alta dirigenza dello Stato, politici, e grandi industriali privati assistiti. Ma mentre il 25% degli italiani direttamente esposti alla concorrenza e al mercato puo' fare i conti facilmente e capire quanto nocivo e fallimentare sia lo Stato italiano per la loro attivita', specie nel confronto col nord-Europa, il ~10% di italiani che naviga nell'oro del bilancio pubblico ha comunque invischiato una solida maggioranza di elettori italiani nella sua ragnatela di corruzione, pensioni di invalidita' false, evasione fiscale tollerata, posti statali con bassi stipendi ma possibilita' di andare a fare la spesa in orario d'ufficio, spazzini e portantini di ambulanza assunti per non far nulla perche' mancano perfino le ambulanze e i camion per farli lavorare, e mille altri sprechi statali. Questo ~65% di "invischiati" si aggiunge al 10% di quelli che grazie allo Stato navigano nell'oro facendo un 75% di contrari ad ogni riforma seria. Per riformare il sistema prima dell'inevitabile fallimento ci vuole un mezzo miracolo.