Favole & Numeri: una mini mappa

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Ho appena finito di scrivere un libro, che sarà pubblicato da Egea-Università Bocconi. Il libro è composto come un lamento riguardo alle favole che si raccontano e ai numeri che si danno nel dibattito economico italiano. Questo post è un aperitivo per i lettori di nFA: una mini mappa delle favole e dei numeri che sono discussi nel libro.

Favole (che si raccontano a chi ci vuol credere, senza sostegno alcuno nei modelli della teoria economica).

  1. Le scuole economiche. L’economia è una disciplina semi-umanistica. In quanto tale deve essere costituita da scuole che dibattono ideologicamente su tutto ed il contrario di tutto. [Cap. 1; specialmente 1.1.2]
  2. La moneta filosofale. Ad ogni problema economico reale vi è una soluzione monetaria (tipicamente indolore): a) stampare moneta per ripagare un eccessivo debito sovrano. [Cap. 1.2 dove si discute della “favola della Modern Monetary Theory”; Cap. 4.1.3]; b) svalutare per guadagnare competitività in situazione di scarsa produttività. [Cap. 4.1.3]; c) Chiamare la Banca Centrale Europea, per qualunque problema, che garantisca, annunci, prometta, compri titoli o faccia altre diavolerie. [Cap. 4.1.4].
  3. Il Dio mercato. Gli economisti (di scuola anglosassone; vedi favola 1) sono liberisti e credono al Dio mercato che se lasciato libero di intervenire ex-machina porterebbe efficienza e felicità al mondo intero sempre e comunque. [Cap. 2; specialmente 2.1]
  4. Il re Mida. I prezzi delle cose non ne rappresentano il loro “valore vero”. [Cap. 2.1.1]
  5. L’acqua. L’acqua è un bene pubblico e quindi deve essere distribuita gratuitamente. [Cap. 2.1.1]
  6. L’economia di carta. L’economia reale manifatturiera e l’economia finanziaria “di carta” sono in continuo contrasto; la prima  crea ricchezza, mentre la seconda tende a distruggerla. [Cap. 3; specialmente 3.1] 
  7. I derivati strumenti del diavolo. I derivati sono strumenti finanziari nati per ingannare il popolo. Sono in realtà così complessi che buona parte degli operatori sui mercati finanziari non li comprendevano. [Cap. 3.2.3; ma anche 3.3.2]
  8. Le banche e la fine del mondo. Le banche non possono mai fallire, devono essere salvate a tutti i costi dal governo, a meno di catastrofi planetarie in grado di rovinare ogni abitante del pianeta. [Cap. 3.3]
  9. Le banche buone e filantropiche. Le Fondazioni bancarie che controllano le banche in Italia garantiscono affinché queste ultime operino con il bene sociale e non il profitto come obiettivo. [Cap. 3.4]
  10. La crisi del capitalismo e il sottoconsumo. Il sistema economico mondiale diventa sempre più produttivo, ma al contempo i lavoratori sono sempre più poveri e i ricchi, invece di consumare loro stessi,  costringono i lavoratori a consumare a credito  (vedi favola 5). [Cap. 4.1.1]
  11. L’arbitrarietà cattiva degli speculatori. Gli speculatori fanno crollare aziende e stati sovrani a piacimento, arbitrariamente, senza nessuna ragione economica, soltanto perché possono. [Cap. 4.1.2; ma anche 4.1.1 quando si cita l’Appello degli Economisti del 2006]
  12. La spesa contro l’austerità. Alle crisi di indebitamento pubblico si risponde: a) con spesa pubblica, per evitare l’austerità: il riaggiustamento fiscale dopo, in fase di crescita, che verrà, certo che verrà.  [Cap. 4.1.5]; b) Tenendosi ben stretto il capitale del settore pubblico, per evitare di svenderlo: venderlo dopo,  in fase di crescita, quando i prezzi di mercato saliranno, che saliranno, certo che saliranno; oppure far finta di venderlo alla Cassa Depositi e Prestiti che sta lì per questo. .  [Cap. 4.1.5]; c) Non ricapitalizzando le banche che non prestano ad aziende ed imprese, per evitare che gli azionisti siano diluiti: le ricapitalizzazioni dopo,  in fase di crescita, quando i prezzi di mercato saliranno, che saliranno, certo che saliranno. [Cap. 4.2.1]
  13.  Il modello superfisso. Qualunque intervento di politica economica ha esclusivamente effetti redistributivi, null’altro si aggiusta nel sistema economico, né prezzi né quantità. [Cap. 5; specialmente nella sua versione “favola della lotta di classe” nel Cap. 5.1.1 e “lotta al precariato” nel Cap. 5.1.2 e 5.1.3]
  14. L’Articolo 18. Basterebbe eliminare l’Articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori per far risorgere il paese economicamente. [Cap. 5.2]

Numeri (che si danno a chi ci vuol credere, senza sostegno alcuno nei dati economici)

  1. Le previsioni degli economisti. L’economia come disciplina è fatta per produrre previsioni; e non ne becca una. [Cap. 1.1.1; ma anche Cap. 3.2.4 sulla bolla immobiliare].
  2. Gli anni di liberismo. Gli ultimi X anni (sostituire ad X un numero a caso, tendenzialmente grande) di liberismo hanno rovinato il paese. [Cap. 1.3]
  3. La globalizzazione. La globalizzazione ci rende tutti più poveri, ma soprattutto affama i popoli della terra già poveri.  [Cap. 1.3]
  4. L’università italiana. L’università italiana produce tanta e buona ricerca; meglio della Svizzera ad esempio. [Cap. 1.3]
  5. Il settore finanziario Usa.  Il settore finanziario è ovviamente eccessivamente sviluppato rispetto al manifatturiero o agli altri servizi. [Cap. 3.1.1]
  6. La concorrenza del mercato bancario Usa. Le banche negli Stati Uniti operano in un sistema concorrenziale e trasparente. [Cap. 3.2.1 e 3.2.6]
  7. Gli stipendi dei manager Usa.  Gli stipendi dei manager, specie quelli della finanza sono eccessivi e soprattutto frutto di rendite. [Cap. 3.2.2]
  8. Il settore pubblico e la crisi Usa. La crisi è stata opera delle operazioni del sistema finanziario privato; il settore pubblico è intervenuto per coprire le falle. [Cap. 3.2.5].
  9. Il salvataggio delle banche Usa. Il contribuente americano non ha perso nulla nell’immenso salvataggio delle banche operato dal governo a partire dal 2008. [Cap. 3.3]
  10. La patrimonializzione delle banche. Non vi è nessun bisogno di richiedere una maggiore patrimonializzazione del sistema bancario – a ciò hanno già provveduto i vari organismi internazionali competenti (Basilea III). [Cap. 3.3.3]
  11. La solidità delle banche italiane. Le banche italiane non hanno finanziato alcuna bolla immobiliare e sono solide e sicure. [Cap. 3.4]
  12. La speculazione. La speculazione finanziaria ha attaccato e fatto cadere l’ultimo governo Berlusconi nel 2011 e ha messo in ginocchio l’Italia nell’estate del 2012. [Cap. 4.1.2]
  13. I guadagni dell’Euro. I guadagni che l’Italia avrebbe ottenuto in termini di minori tassi di interesse in seguito all’entrata nell’Euro sono stati minimi o inesistenti. [Cap. 4.1.3].
  14. Il dumping salariale tedesco. L’avanzo di bilancia dei pagamenti della Germania (la crescita delle sue  esportazioni) è dovuta alla sua politica di mantenere bassi salari (o quantomeno bassi rispetto alla produttività). [Cap. 4.1.3]
  15. L’Argentina. Il successo economico dell’Argentina dopo il default è un buon esempio del fatto che uscire dall’Euro e svalutare sarebbe cosa buona per l’Italia. [Cap. 4.1.3]
  16. Il ciclo. L’Italia è oggi in una fase bassa del ciclo economico (non in una lunga fase di stagnazione). [Cap. 4.1.5]
  17. Il lavoro. Vietare contratti a tempo determinato, impedire licenziamenti per ragioni economiche, imporre simili condizioni salariali a fronte di differenze di produttività non ha effetti sull’occupazione e/o sui salari.  [Cap. 5.1]
  18. Il lavoro Usa. La legislazione sul lavoro negli Stati Uniti è arretrata rispetto a quella Europea e quindi i lavoratori sono in condizioni di grave dipendenza  e di costante precariato. [Cap. 5.1.3]
  19.  Il costo del lavoro. Il costo del lavoro in Italia è elevato soprattutto a causa dei vincoli sindacali (e non di tasse e bassa produttività totale dei fattori). [Cap. 5.2]
  20. Tasse e spesa pubblica. Non vi è spazio in Italia per abbassare le tasse e tagliare la spesa pubblica senza distruggere il sistema di protezioni e di servizi pubblici che il paese offre. [5.3.1 e 5.3.2]
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Commenti

Ci sono 34 commenti

Libro  non solo da prendere per se, ma da regalare all'amico che crede ancora alle favole.

 

Sarebbe buona cosa allegare anche solo questo articolo riassuntivo ai prossimi congressi e campagne elettorali di Fare, sottoforma di volantino, manifesto, FAQ sul sito di Fare, ecc. Era già un buon punto di partenza anche il libro su Voltremont.

Un'altra favola, che spesso si racconta, è che la attuale crescita economica mondiale, così come si sta realizzando, sia sostenibile dal Pianeta.

Sicuramente l'Italia sta dando l'esempio per fare il contrario facendo stagnazione o decrescita, e gli italiani sono molto contenti di come stanno andando le cose (battuta)...

La verità è che senza crescita, l'inevitabile conseguenza è la morte dopo lunghe e lente sofferenze.

Non si capisce cosa significhi se sia sostenibile o meno l'attuale crescita mondiale. Se dovessimo ragionare in questi termini allora nemmeno l'attuale crescita demografica mondiale pare insostenibile. Ma io non vedo alcun dato e studio che possa accertare ciò. Inoltre non significa che l'attuale forte crescita dei paesi in via di sviluppo possa continuare a lungo. La storia economica lo ha dimostrato per i Paesi avanzati, che ora crescono stabilmente e gradualmente.

A quanto sembra a me, chi vorrebbe continuare a crescere oltre le proprie capacità non sono i cattivi e fantomatici neoliberisti. Semmai qualcuno un po' più "umano", vicino ai meno abbienti (come se i liberali fossero dei mostri di cinismo), che vorrebbe spendere e fare debito crescendo. Salvo poi dare la colpa ai neoliberisti quando si è arrivati al collasso e si presentano i tempi per l'austerità. Ecco, questo è il trionfo dell'ipocrisia e dell'abiezione.

Per finire, credo che il potenziale produttivo mondiale sia parecchio sottosviluppato. Basta guardare ad interi continenti come Africa e Asia, e crescere non significa solo consumare e magari sprecare risorse perché queste possono essere riutilizzate, convertite, sostituite.

Presso quale sito è disponibile per l'acquisto?

W Alberto Bisin!


ognuno si armi di matita, ciucciata "alla grillo", e controllli questi due ricchi elenchi di voci coi filtri più varie, è  uno spasso. ad es. si segnino:

quelle che ho sentito ripetere anche dal cognato. sono molte, ma il numero 2) un vero "cognato" non se lo perde.

quelle che forniranno diritti d'autore a tremonti, per lunghi anni a venire.

quelle che sono "miei pensieri che però  non condivido" (altan)

le zanzare, quelle più fastidiose.  la favola 2) e la 10) secondo me.

le insidiose, pericolose e radicate. il sempiterno  favolone 13)

i numeri che non sapevo ma che ho sempre fatto finta di conoscere, almeno "circa". solo i coraggiosi qua potranno  fare outing.

la balla che spiega tutte le altre: il numero 16)?

 

...

 

Premesso che non ho letto (ancora) il libro, tre commenti su questo 'aperitivo', uno generalissimo, due più specifici (tutti e tre ovviamente stra provvisori, in attesa di leggere il resto!):

 

Commento generalissimo: mi chiedo se lo schema fondamentale di ragionamento sia davvero efficace, per un libro divulgativo (è un libro divulgativo, no? cioè non ci sarà nessuna analisi innovativa rispetto allo stato della letteratura specialista?). Lo schema di gioco se non mi sbaglio è il seguente, "ci sono un buon numero di cazzate che aleggiano nel dibattito pubblico italiano (le favole) - ti faccio vedere che non hanno alcun supporto scientifico". Ok, detta così opera davvero meritoria: non penso che ci sia nessuno disposto a dire che il dibattito pubblico italiano (quanto meno per come è rappresentato sui giornali) brilli per chiarezza e sofisticazione, anzi! Peraltro, non sono nemmeno sicuro che lo stato del dibattito pubblico italiano sia così peggio rispetto ad altri paesi - fai qualche confronto? Intendo, ovviamente, confronto serio fondato su qualche buona analisi empirica? Il fatto singolare, comunque, è che sono convinto che, che so, un economista neo-keynesiano invasato con Minsky, sarebbe sicuramente disposto a dire esattamente la stessa cosa (cioè che ci sono favole economiche che sono entrate nel senso comune, assolutamente non fondate scientificamente), solo ovviamente ne individuerebbe delle altre e di diverse (le c.d. favole 'liberiste'), e giungerebbe a conclusioni opposte! Quite odd, no?

Il punto fondamentale, secondo me, è che nella costruzione della 'favola', c'è sì il contributo decisivo di chi la propone (magari di testa sua, o manipolandola da argomenti rimasticati da altri), ma anche (e ugualmente, se non più, pericoloso!), il contributo di chi la vuole contestare, che 'semplifica' inopinatamente posizioni magari sbagliate ma comunque non necessariamente 'cretine', a cui contrappone la sua tesi - questa sì, resa complessa e sofisticata! Anyways, sono curioso di vedere se affronti il problema nel libro (e come riesci a risolverlo)!

 

I due commenti più specifici:

 

La favola sulle 'scuole' economiche proprio non la capisco! Due punti su tutti: 1) il fatto che l'economia sia o meno una disciplina umanistica non vedo cosa c'entri con il fatto che ci possano essere 'programmi di ricerca' molto diversi tra l'altro, che, mettendola molto dolcemente!, fanno fatica a 'comunicare' tra loro. 2) E poi, come può l'economia NON essere una disciplina umanistica: non vorrai mica negare che il 'focus' di ricerca fondamentale dell'economia sia il comportamento dell'uomo, o no? E che, quindi, la discussione sull'opportunità di usare una metodologia di ricerca o l'altra debba confrontarsi (anche), con il problema di dare una buona rappresentazione di cosa gli esseri umani fanno o non fanno, possano o non possano fare? Tra l'altro, non vedi anche tu una linea di ricerca economica (una linea bizzarra, incerta, chiaramente non retta e assolutamente discutibile, mi rendo conto!) che va da Adam Smith, Karl Marx, fino a Gary Becker e Amartya Sen e che mette al centro (in modi molto diversi, ovviamente, non voglio dire che Becker sia Marxista!) delle potenzialità di sviluppo economico di un paese le potenzialità degli individui che vi fanno parte?

 

Secondo (e ultimo) commento specifico: la favola di Re Mida, anche quella, davvero non la capisco proprio! Premesso che parlare del 'vero' valore di una cosa o l'altra, come se emanasse per non si sa quale proprietà dalla cosa stessa, è una cosa che nel linguaggio ordinario sicuramente si fa, ma tradisce una concezione metafisica molto instabile (per dirla gentile!). Detto questo, non vorrai mica dire che l'unico modo che l'uomo ha per comparare il valore di due beni sia via un'osservazione del loro 'prezzo'? Chiaramente non ho bisogno di chiedermi qual'è, o quale sarebbe in un ipotetico mercato, il prezzo dell'aria, per dire che non sarei disposto a sacrificare la possibilità di respirare per qualsiasi quantità di oro! E poi, occhio ad una distinzione (direi) abbastanza importante: un conto è il valore che viene attribuito da qualcuno a qualcosa (il fatto che quella cosa sia valued da quella persona in un modo o nell'altro, o con questa o quella intensità). Un'altra cosa è il fatto che quella stessa cosa sia effettivamente 'valuable' (as opposed to being merely valued, that is). I due esercizi (stabilire se una cosa è valued, e stabilire se è valuable) sono chiaramente collegati, specialmente in una situazione di pluralismo di valori (è possibile che qualcosa sia valuable semplicemente perchè valued da qualcuno), ma sono comunque diversi. Detta brevemente, se per il primo l'utilizzo del prezzo nel mercato può essere utile (con molte qualificazioni, però). Per il secondo ci sono, come ovviamente saprai, un sacco di problemi!

Mi associo a questo commento per due ragioni (disponibile ovviamente a rivederle dopo aver letto il libro). Innanzitutto quella di costruirsi uno "straw man" per poi spararci sopra è un'abitudine piuttosto diffusa e poco utile. Spero che non sia così nel libro, ma se lo fosse sarebbe deludente. In secondo luogo, dalla presentazione dell'autore traspare uno stile alla Boldrin, cioè un tantino arrogante. Non che sia meno arrogante sparare numeri e favole senza fondamento scientifico, però combatterle con il piglio cattedratico sprezzante ho paura che non funzioni...

Un piccolo particolare: l'aria è l'esempio sbagliato sul prezzo, in quanto non ha mercato.
E' perfettamente disponibile a tutti e nessuno ne vanta diritti di proprietà e quindi puo' venderla, a meno che abbia caratteristiche particolari (aria compressa, aria di mare ...)

Per quanto riguarda il punto due mi pare si confondano le scienze sociali (come economia e psicologia, entrambe divise in scuole ed entrambe con un rilevante uso di metodologia scientifica) con le discipline umanistiche.  Queste ultime non sono classificate all'interno delle scienze sociali.  Vedere it.wikipedia.org/wiki/Scienze_sociali

La favola migliore e' che le "banche" siano da salvare, pena la fine del mondo, che le artefici prime della fine del mondo suddetta. Esso sono gestite da vili plutocrati che in combutta con bastardi restaurano ville palladiane, nel breve periodo non danno prestiti alle masse e se danno prestiti alle masse e' ancora peggio.

Su una meno favola, 'economia' il termine e' altamente ambiguo. Se l'ambiguita' viene risolta si ottengono acuti risultati. Mi spiego con una analogia. E' un linguista, ovvero fa linguistica Roland Barthes e Bartezzaghi? si, secono l'"espresso", no secondo Richard Kayne (Kayne e' la persona che identifico' che tutte le frasi possibili vanno da sinistra a destra, sto semplificando ma chi conosce l'argomento sa cosa vuol dire, ha nulla a che fare con dove si siede emma bonino in parlamento) ergo: e' economista o esperta di economia loretta napoleoni? si, secondo la RAI, l'"aria che tira" il "fatto" quotidiano" etc. no a guardare G. Debreu. E cosi' via (fa politologia GallidellaLoggia? si', dice via solferino, manco da lontano dice l'unica cosa che la politologia ha scoperto [nB.  un'altra favola e che tutto venga scoperto dai dannati anglosassonici, il piu' interessante degli elementi di conoscenza in politologia si deve al lavoro, del -- fortunamente ancora tra noi-- K. Arrow e al - a lungo deceduto -- marchese di Condorcet) Si chieda ai gallidellaloggia-e-della platea cosa han scoperto di nuovo.)  Gli scontri tra scuole hanno nulla dell'umanesimo di Piccolomini, trattasi di un' invasione di campo da parte dei vari Krugman, Giavazzi etc. che hanno --legittime- opinioni politiche ma che han ben poco a che fare con l'economia. L'economia in quanto disciplina ha il compito di modelizzare, spiegare, sichtbar machen, diceva Mario Tronti in "Operai e capitale" (Torino, 1966) l'equilibrio che si da. Per cui esiste l'economia della Svezia degli anni 1950-1999, quanto quelli della Cina dei Ching (dall'invasione mongola alla rivoluzione del dicembre del 1911.) punkt. Le grandi scuole sono un po' le battute della scala.... (per chi mi detesta, un idioma francese e' spirito della scala ed indica la sensazione che si ha sulle scale quando si scende dalla casa in cui si discuteva di x di non "averla detta proprio tutta"...

una delle mie frustrazioni più grandi? trovare un punto di incontro sui dati. la lettura della realtà da noi ( italia, e nella fattispecie, banche, dove lavoro,,) è drogata da tanti e tante "opinioni - visioni - " che sembra di stare in una fumeria d'oppio, non tra esseri un minimo razionali...

grazie. acquistato, e di certo divorato in tempo brevissimo....

Con buona pace di Galileo Galilei.

Lo leggerò senz'altro con enorme interesse.

certo, dando una scorsa ai titoli dei giornali in questi giorni (mes...anni...decenni) viene da domandarsi se ci si renda conto di quali ENORMI BENEFICI una reale, forte, radicata, CULTURA SCIENTIFICA E MATEMATICA, potrebbe apportare a questo (codesto...) Paese.

Non solo in termini di rapidità, efficienza, ma anche di osservazione scientifica, approccio empirico, falsificabilità, esperimento, rapidità, in contrasto con la sterile Autorità, o fideistica adesione al PARERE DEL VASSALLO DI TURNO/bla bla bla. Singolare. Le stesse cose che DICEVA Galileo Galilei vari SECOLI ADDIETRO, VERO?

oTTIMO SPUNTO professore, e si continui su questa strada, se posso esprimere...un auspicio...evidenza empirica e codice binario contro BLA BLA BLA.saluti

Quoto, quoto e ancora quoto. FARE, dove siete?? Abbiamo bisogno di voi!!! (E ve lo dice una iscritta al PD...). Intervenite nei dibattiti, fatevi sentire, fate ragionare la ggente, se potete! (A Boldrin in particolare: calma, tranquillità, ripetere molte volte concetti semplici, ironia ma non sarcasmo, niente attacchi ad personam e forse ce la facciamo a metabolizzare Giannino...)

 

codesto

Vabbè, questo si era capito... e finisco qui, è il mio ultimo commento!

PS Sono una lei, una delle pochissime che frequentano questo blog molto macho.

posso dire che non capisco la favola numero 4, "re mida"?

io direi che è piuttosto ovvio che i prezzi delle cose non ne rappresentano "il valore vero". se io e te scambiamo qualcosa, è perchè io reputo quanto mi dai più di valore rispetto a quanto ti do, e viceversa, e per questo l'economia è un gioco a somma diversa da zero e positiva.

probabilmente è relativo a qualcos'altro, tipo pensare che il "valore dell'acqua pubblica" , o di un diritto positivo qualsiasi, sa tale da non curarsi affatto del costo sopportato. però boh!

Mi scuso, vorrei un chiarimento. Su uno special report dell' Economist ho letto che la forte competitività della Germania è stata aiutata anche da un parziale contenimento dei salari rispetto alla produttività (che , si asserisce, sono rimasti pressochè stabili in termini reali dal 2003 ad oggi). Questo, spiegano, è parziale causa dell' asimmetria nella distribuzione della riccheza tedesca, come dimostrato dai recenti dati BCE. D' altronde è anche vero che i sindacati in Germania sono presenti nei CDA e quindi più consapevoli forse delle problematiche gestionali dell' impresa e quindi più inclini a un compromesso al fine di assicurare la competitività. Questo però è in contrasto con il suo punto 14.  (in quanto favola) commenti?

Se la Germania ha solo gestito la situazione decentemente, per cui adesso sono più competitivi dell'Italia nonostante stipendi più alti e un costo della vita più basso, è ben difficile parlare di dumping salariale, i loro stipendi non sono più bassi di quelli italiani per cui impedendo la loro crescita indiscriminata hanno solo fatto quello che era necessario.

Senza contare che ci sono mille altri motivi reali per cui le imprese tedesche sono più competitive.