Franceschini e Scajola hanno reagito quasi con le stesse identiche parole alla proposta (il giorno dopo rimangiata) di Calderoli di re-introdurre le “gabbie salariali”: la gente non arriva alla fine del mese, altro che gabbie salariali, dicono i nostri eroi.
Una discussione invece pacata e interessante viene da Pietro Garibaldi sulla Stampa, qualche giorno fa.
Proviamo a fare ordine. Chi non abbia fegato per una lezioncina teorica (cos'e' un prezzo relativo?) condita da finti esempi puo' aspettare un articolo di Sandro, che arrivera', chiaro come sempre, con tanto di grafici di domanda e offerta di lavoro.
Lasciamo stare la forma – le “gabbie” hanno raccolto negativa reputazione in passato per ragioni che non e’ il caso di rivangare – e guardiamo alla sostanza, salari determinati contrattualmente in termini reali e non nominali, di questo sta parlando Calderoli.
Cosa significa salari determinati contrattualmente in termini reali? Significa che governo, sindacati, e confindustria aprono un tavolo (si’, e’ ironico) e si accordano su un numero, diciamo il numero 8, intendendo con cio’ che il salario base a Biandrate nell’anno 2010 e’ di 8 Euro all’ora. A Pizzo Calabro si costruisce quindi - con metodi predeterminati (e un occhio acuto al moral hazard, che non sara’ mai che il droghiere alza i prezzi solo quando arriva il dirigente dell’Istat per la rilevazione) – un indice dei prezzi p relativi a quelli di Biandrate. E ogni lavoratore di Pizzo Calabro riceve un salario base nell’anno t pari a 8p. Ogni paese del Belpaese fa come Pizzo Calabro: Garbagnate, Biandrate, Portogruaro, e Fiume – ops, Fiume no. Vabbe’ magari e’ piu’ facile fare sta procedura per regione che non per paese (che anche il problema di moral hazard e’ meno grave per regione).. Ma procediamo coi finti esempi di paese che hanno nomi piu' espressivi.
E’ questa di fissare salari determinati contrattualmente in termini reali una procedura sensata? Non molto. Per capire cosa Calderoli stesse cercando di proporre (prima di rimangiarselo), consideriamo il seguente esempio. Supponiamo che a Pizzo Calabro decidano di togliere uno 0 da tutti i prezzi: il pane, che stava a 1 Euro il chilo, adesso sta a 10 centesimi al chilo, il ristorante Al Terremoto ha un prezzo fisso a 1.5 caffe’ incluso, e cosi’ via. In buona sostanza a Pizzo Calabro hanno adottato una nuova unita’ di conto, chiamiamolo Euro/0. Beh, in questo caso, ovviamente, non ha molto senso pagare i lavoratori 8 Euro/0 all’ora, a Pizzo Calabro. Solo la CGIL non capirebbe che in questo caso i lavoratori a Pizzo Calabro andrebbero pagati 80 centesimi di Euro/0 all’ora. Al mercato dei cambi un Euro/0 varra’ 10 Euro (se valesse di piu’ andremmo tutti a Pizzo Calabro a fare la spesa e al ristorante; se valesse meno, la Coop di Biandrate sarebbe piena di calabresi). Questo e’ quello che ha in mente Calderoli. Se a Pizzo Calabro il pane sta a 10 centesimi di Euro/0 al chilo e nel resto del paese a 1 Euro al chilo e’ semplicemente stupido fissare i salari a 8 all’ora, qualunque sia l’unita’ di conto. Si puo’ fare 8 Euro o 80 centesimi di Euro/0, fa lo stesso. Ma non 8 Euro/0. Questo e’ ovvio. E cosi’ ragiona Calderoli: come se, senza gabbie, stessimo pagando i lavoratori di Pizzo Calabro 8 Euro/0 all’ora.
Ma non e’ questa la situazione. A Pizzo Calabro usano Euro come a Biandrate. E’ a Pizzo Calabro ci vogliono 700 Euro al mese per sopravvivere, mentre a Biandrate ce ne vogliono 1.000. Com’e’ 'sta storia? Coim’e’ possibile. E’ che c’e’ piu’ domanda per vivere a Biandrate che a Pizzo Calabro. Poiche’ siamo tutti d’accordo che Biandrate e’ uno schifo (piove, c’e’ la nebbia, il cielo e’ grigio, e la gente parla un dialetto che li fa sembrare un po’ tonti) deve essere che a Pizzo Calabro e’ ancora peggio in qualche altra dimensione. Non e' difficile, provo a tirare a indovinare: non ci sono strade, la scuola fa schifo, all’ospedale ci sono i topi, la ‘ndrangheta fa il bello e il cattivo tempo,... E poi non c’e’ lavoro, ma di questo dobbiamo parlare ancora, rimandiamo alla fine una discussione sul perche' non c'e' lavoro a Pizzo Calabro.
Insomma, la questione non e’ come dice Calderoli, che a Pizzo Calabro i prezzi son bassi e quindi dobbiamo diminuire i salari. Ma piuttosto che, a parita’ di salario, i prezzi a Pizzo Calabro son bassi cosi' che non tutti emigrino a Biandrate. Non e' un caso che i prezzi piu' bassi a Pizzo Calabro siano i prezzi dei beni "non-tradable" locali, la casa, alcuni servizi, etc.
Fintanto che il paese tutto (l'Italia) usa una singola valuta (l'Euro), e fintanto che il paese resta aperto al commercio e al movimento di capitale e lavoro al suo interno, i prezzi – anche l’indice del costo della vita – paese per paese o regione per regione – non sono una variabile indipendente. Evidentemente non e’ solo la Cgil a far confusione con le variabili indipendenti e il modello superfisso.
Ma ho lasciato stare la questione del lavoro. Riprendiamola. A Pizzo Calabro c’e’ meno lavoro. E’ un caso? C’entra la questione con le gabbie salariali? C’entra si’. Gli 8 Euro all’ora fissati dal tavolo nazionale non tengono conto della produttivita’ del lavoro nelle diverse regioni. Questo e’ un punto importante e allora bisogna essere piu’ specifici: parliamo di salario/produttivita' dell’industria privata che produce beni venduti sui mercati nazionali/internazionali ad un unico prezzo (non beni "non-tradable" locali a prezzo diverso per paese o regione). Se, a parita’ di occupazione, la produttivita’ del lavoro e’ piu’ bassa a Pizzo Calabro (per le strade, le scuole, gli ospedali, la ‘ndrangheta), fissando il salario a 8 Euro si ottengono due risultati: 1) minore occupazione a Pizzo Calabro (piu’ bassa l’occupazione piu’ alta la produttivita’ del singolo lavoratore), 2) un vigoroso settore di produzione illegale in “nero”, a salari inferiori a 8 Euro all’ora.
Guarda caso entrambi i risultati valgono per Pizzo Calabro. Una delle ragioni per cui a Pizzo Calabro il costo della vita e’ relativamente basso e’ che non c’e’ lavoro (o meglio, c’e’ tanto lavoro nero a basso salario), e non c’e’ lavoro a causa della contrattazione nazionale – in presenza di differenziali di produttivita’. Alla fine, Calderoli sara’ anche confuso ma e’ pur sempre colpa della Cgil. D’altra parte sono loro (ok, anche la Uil) a dire cose tipo:
Morena Piccinnini, Segretaria Confederale CGIL:
«Siamo contrarissimi [alle gabbie, ndr] perchè il lavoro è uguale e dunque deve essere pagato ugualmente in Italia ovunque»
Luigi Angeletti, Segretario Uil:
«i salari sono il compenso per il lavoro che si fa non per dove o si fa»
senza capire che lavoro a diversa produttivita’ e’ stesso lavoro tanto quanto Berlusconi e’ Blair e Hillary e’ Carla’.
E, dulcis in fundo, arriviamo alla questione del lavoro nel settore pubblico. Qui i salari sono cosi’ superiori alla produttivita’ che l’impiego pubblico non e’ che sussidio (in media, ok, in media; ho anch’io un cugino a Pizzo Calabro che e’ un ottimo bidello). Il problema non sono le gabbie o meno, e’ il salario a fronte di lavoro rubato all’agricoltura. Una prova? Vi ricordate il caso degli insegnanti campani che lavoravano gratis alle scuole private pur di avere miglior punteggio per la graduatoria pubblica? Quod Erat Demonstrandum.
Qualcuno sembra aver capito la questione,
Renata Polverini, Segretaria Ugl:
«la differenziazione salariale vanificherebbe l’obiettivo, inseguito per tanto tempo, e raggiunto con grande fatica con la riforma contrattuale, di premiare i livelli di produttività, [....]
se non fosse che poi a scanso di equivoci, chiede soldi:
[....] riforma che il governo dovrebbe sostenere anche con politiche fiscali di incentivo»
Oh, dimenticavo, la sapete l'ultima?
Raffaele Bonanni, Segretario Generale della Cisl:
[Le gabbie, ndr] sarebbero un ritorno all’Unione Sovietica, scavalcando le parti sociali proprio dopo aver definito il nuovo impianto contrattuale che dà forza alla contrattazione locale e aziendale. Non è una proposta seria»
Condivido l'impianto generale dell'articolo ma non penso che si possa giudicare una proposta della LN che (per quanto so io) non esiste scritta e articolata in maniera seria. Quello che si puo' cercare di giudicare sono delle intenzioni che traspaiono da affermazioni molto manipolate dal circo mediatico italiano e comunque per quanto si puo' capire anche alla loro origine piu' simili alle chiacchiere da bar che a proposte concrete. Quello che personalmente critico alla LN e' di cianciare tanto senza mettere per iscritto o spiegare pubblicamente per bene cosa concretamente propongono, su questo tema.
Personalmente ritengo che salari differenziati siano necessari e utili direttamente o indirettamente a tutti i cittadini italiani, sia del Nord che del Sud, specialmente nel pubblico impiego. La LN e' praticamente l'unico movimento di una qualche consistenza che 1) fa indubbiamente e direttamente gli interessi dei suoi elettori ad ottenere salari differenziati 2) sia pure confusamente propone qualcosa del genere, almeno in qualche proclama di cui rimane opportuno verificare la consistenza e la coerenza con proposte legislative serie.
Ritengo indifendibile la posizione dei sindacati e delle altre forze politiche (inclusa la stampa confindustriale) che si oppongono alla differenziazione dei salari con pretesti vari (dalla "rigidita'" al principio teorico del compenso nominale uguale per uguale lavoro). Tutte queste forze politiche agiscono contro l'interesse sia dei lavoratori del Nord che hanno salari reali inferiori a parita' di lavoro, sia dei cittadini del Sud che devono vivere in un sistema economico caratterizzato da elevata disoccupazione che maschera il fatto che 2/3 dell'economia privata e' in nero e/o illegale, non tanto per inclinazione culturale, che probabilmente anche esiste, ma per la forza di un contesto di mercato in cui i salari legali nominali sono artificialmente eccessivamente spinti verso l'alto sia dagli stipendi pubblici nominalmente uguali al centro-nord sia dai contratti privati nazionali con baricentro nel centro-nord.
L'opposizione alla differenziazione salariale da parte di queste forze politiche e' ulteriormente riprovevole perche' segue la tradizione vigente in Italia di comperare consenso politico mediante spesa pubblica eccessiva e improduttiva a beneficio di dipendenti pubblici delle aree povere e sottosviluppate del Paese (e a "imprenditori" assistiti del centro-nord): una ricetta che se anche non e' riuscita ancora ad uccidere del tutto la vitalita' economica del centro-nord, sicuramente ha condannato alla poverta' e al sottosviluppo il sud.