E’ utile ricordare alcuni fatti recenti per apprezzare l’attualita’ del tema.
Primo, in Tunisia, in occasione del 10° congresso del partito Islamista Al Nhadha (Rinascita) tenutosi a fine maggio 2016, è stata acclamata e approvata l’apparente definitiva separazione tra la dimensione politica e quella religiosa del partito. “L’Islam politico non ha più alcuna giustificazione in Tunisia. Al Nahdha si occuperà solo ed esclusivamente di attività politica, non di religione. Sarà un bene per i politici, che non saranno più accusati di strumentalizzare la religione. E lo sarà per la religione, mai più ostaggio della politica. …. Da oggi in poi Nhadha sarà una componente democratica musulmana ispirata alla civilizzazione islamica e a quella moderna” (Rachid Ghannuchi, Presidente di Al Nahdha);
Secondo, il perseverare della guerra “di Religione” all'interno dell'Islam, di cui quella tra Arabia Saudita e Iran (Sunniti contro Sciiti, di cui Yemen e Siria sono le massime esemplificazioni) e tra sunniti del Califfato e resto dell'Islam, non hanno fatto altro che ribadire l'attaccamento all'antica matrice salafita (per una rapida introduzione al salafismo si veda qui) per un sunnismo deviato (ISIS, ma anche Fratelli Musulmani, Al Qaeda Maghreb, Al Nousra e tutto ciò che si ispira a un Islam violento) inneggiante alla purezza dell’Islam delle origini e un ritorno alle più restrittive forme di wahabismo salafita.
Infine, Le stragi “jihadiste” dell’ultimo periodo (Orlando in Florida, Dacca in Bangladesh, Nizza e Rouen, dopo Parigi, in Francia), tutte rivendicate da ISIS, insieme ai numerosi interventi armati e attentati terroristici perpetrati da frange fondamentaliste islamiche (sempre di seconde e terze generazioni di immigrati), in Europa e negli USA, confermano la presenza, anche in Occidente, di una cultura salafita fondamentalista che tende ad affermarsi sempre di più nelle enclave musulmane di molte città (paesi nordici, Francia, Belgio, Inghilterra e Germania), che pretende voler essere guida e riferimento per l’affermazione di un Islam Europeo, partendo dalle sue forme più radicalizzare e violente.
Il quadro è qiundi quanto mai caotico: politica, jihad, filosofia, teologia, sociologia si mescolano creando incertezza e confusione, soprattutto nel mondo occidentale. Cosa si deve intendere per Islam oggi? Il significato etimologico di Islam è “sottomissione, abbandono completo a Dio”. Quindi, l’Islam indica l’insieme dei popoli che nel corso dei tempi si sono sottomessi al verbo di Dio, secondo la Rivelazione ricevuta da Maometto nel VII secolo d.C. L’Islam è una cultura che per indirizzo umano ben si differenzia da quella Occidentale e, soprattutto, è, oltre che una religione, una civiltà, raggruppando in sé il complesso degli aspetti giuridici, sociali e culturali relativi alle diverse collettività che ne fanno parte. A meno di varianti democratiche significative che sono andate a interessare nazioni quali l’Indonesia, il Pakistan, la Turchia e ultimamente anche la Tunisia, il parametro culturale sulla base del quale viene organizzata la società musulmana è la Sharia, cioè la conversione in testo giuridico delle norme sociali e religiose fatte da giuristi-teologi (sin dal VII secolo, esistono quattro scuole giuridiche nell’Islam) di quanto è tracciato da Dio nel sacro Corano. È questo un dettaglio da rimarcare opportunamente, perché l’Islam nella sua evoluzione storica si è da sempre manifestato attraverso la conversione del Verbo di Allah in testo giuridico-sociale (inizialmente interpretato dal solo Profeta Maometto – da cui ne sono derivate le Hadith: detti e modi del Profeta). Nel suo insieme, l’Islam racchiude tre indicazioni teologiche: la Fede che “dirige”, il Retto Comportamento che “obbliga” e la Sottomissione per il corrispettivo “guadagno ultraterreno”. Ma, guardando alle sue interpretazioni più radicali, secondo un filosofo/teologo contemporaneo egiziano, Sayyid Qutb (1906 – 1966 autore del più diffuso e noto commentario al Corano, nonché ideologo dei Fratelli Musulmani e con ogni probabilità anche dell’ISIS), l’Islam è la religione
dell’unificazione tra tutte le forze dell’essere: è la religione dell’Unicità. L’unico suo scopo è determinare il significato dell’adorazione di Dio nella vita umana secondo il Corano (…). La realizzazione di questo scopo rimane impossibile sino a quando distingueremo nella nostra vita due parti: la materiale e la spirituale. L’Islam unifica l’atto del culto e l’atto sociale, il Dogma e la Legge, lo spirito e la materia, i valori economici e quelli essenziali, l’aldiquà e l’aldilà, la Terra e il Cielo.
Queste forme di radicalizzazione del pensiero islamico, sin dalle origini sono parte integrante delle stesse scuole giuridico-teologiche. La retta fede, che viene esercitata attraverso l’ortoprassi, comprende anche regole sociali, perché la rettitudine del comportamento esteriore è la precondizione della rettitudine dello spirito e dell’anima. L’Islam, anche nella sua più vasta accezione, è dunque religione e società, religione e stato (teologo Ibn Taymiyya 1263-1328); cioè nell’Islam vi è una stretta imprescindibile interazione tra religione e politica. In quanto tale, l’Islam, in particolare nella sua componente ortodossa, è anche una ideologia. Ne consegue che in ambito musulmano la stessa dizione ‘diritti dell’uomo’ viene contestata, poiché pone l’uomo in posizione superiore se non in opposizione rispetto a Dio. Secondo la cultura islamica si dovrebbe parlare in primo luogo dei diritti di Dio e poi di diritti dell’uomo, che sono tali in quanto concessi da Dio.
Per chi si avvicina all’Islam per motivi di studio, il solo leggere il Corano rende chiaro il messaggio politico in esso contenuto. La parola Corano significa “recitazione”, che già di per sé rende l’idea della mera recitazione mnemonica, da parte del fedele. Approfondendo gli aspetti storiografici, ci si rende anche conto che quando le Sure (capitoli) del Corano furono “rivelate all’uomo” attraverso Maometto, l’arabo era solo un insieme di dialetti, tutti appartenenti allo stesso ceppo semitico. Un dialetto che divenne lingua perché per diffondere l’Islam nelle terre lontane si rese necessaria la forma scritta. Ma è solo cinquant’anni dopo la morte del Profeta che, la necessità di poter fare leggere a tutti il Corano e di impedire errori di recitazione anche da parte dei molti arabi poco colti, fu avviata una riforma ortografica con l'introduzione di ben 12 punti diacritici e segni di vocalizzazione presi dal siriaco (su un totale di 27 caratteri).
Anche dopo questa sostanziale riforma, motivi teologici imposero il mero apprendimento mnemonico. Il teologo Al Ghazali (1058-1111), infatti, proprio per contrapporsi all’antecedente filosofia della scuola Mutazilita (748), che professava una sintesi tra razionalismo greco e la lettura del Corano, decretò l’incontrovertibilità di alcuni dogmi e l’intoccabilità del messaggio coranico. Possiamo sintetizzare i punti di Al Ghazali come segue. Il Corano:
- è la parola di Dio dettata alla lettera e senza intermediazione e rivelata attraverso il Profeta, Mohammed, e rappresenta il percorso predestinato per ogni musulmano;
- è increato e consustanziale con Dio che è eterno (tesi accettata anche dalla scuola giuridica Asharita). Questo concetto/dogma ha dato origine all’inclinazione, da parte della quasi totalità dei pensatori di qualsiasi confessione musulmana, a considerare l’epoca di Mohammed e dei suoi fedeli amici (i primi quattro Califfi) come l’età d’oro dell’Islam, in cui un’unica visione tra religione e politica, etica e comunità ha consentito di realizzare la societa’ islamica perfetta. La politica applicata in quel periodo è quindi da porre come riferimento costante da imitare e perseguire nel tempo;
- rappresenta il Verbo (Kalam=parola), un attributo di Dio, diretto senza intermediari a ogni singolo fedele.
Con Al Gazali fu quindi eliminata ogni possibilità di unire la logica all’interpretazione del Corano, dando libero sfogo sia all’ortodossia sia, ancor di più, alla rigidità del comportamento violento dei jihadisti islamici che, sin da allora, iniziarono a mirare alla società islamica perfetta.
Entrando nel dettaglio, il Corano consta di 114 Sure (capitoli) che nella versione tramandata sono state sempre proposte non in ordine temporale ma secondo quantità di versetti in essa contenuti, quindi di lunghezza. Il fattore temporale assume, per contro, una dimensione particolare se si pensa che delle 114 Sure, 90 sono state rivelate a Mecca (612-622) e 24 a Medina (622 -632). Le sure cosiddette meccane sono riferite all’inizio della rivelazione coranica: ritraggono dunque un messaggio ascetico incentrato sull’universalità degli aspetti religiosi e la via da seguire verso la salvezza. Nel periodo medinese, in cui Maometto agisce per creare la prima comunità dell’Islam, la rivelazione manifesta in tutta la sua grandezza la dimensione politica di Dio verso i musulmani, proprio al fine di ispirare e gestire socialmente la comunità. Le sure medinesi, le più lunghe e che rappresentano circa l’80% dell’intero Corano, sono quelle che hanno strutturato l'Islam dal punto di vista giuridico, politico e sociale, e hanno un carattere meno escatologico di quelle meccane.
Per il pensiero occidentale, dunque, la differenza fra sure meccane e medinesi è estremamente importante, perché su questo punto si sono innescate varie polemiche sul contenuto “violento” di molte sure del periodo medinese. Per contro, l’Islam, in particolare quello Sunnita Saudita, vieta per principio qualsiasi interpretazione ragionata del Corano, rifiutando categoricamente interpretazioni che sanciscano l’increatività del messaggio coranico. Cioè, il Corano è un tutt’uno con Dio, scritto al di fuori dal tempo e, pertanto, immutabile, intoccabile e ininterpretabile! Questa incompatibilità del rapporto tra Dio e ragione professata dal wahabismo saudita, ha definitivamente consegnato il pensiero ortodosso musulmano all’immobilismo. Il teologo-filosofo dell’Islam andaluso Ibn Roched (Averroè) si sforzò di inserire nel XII secolo, nel suo “Trattato Decisivo”, il rapporto tra Dio e ragione quale strumento allegorico per ridare la giusta logica di ragionamento imposta dal confronto Fede-Ragione. Purtroppo, malgrado il suo essere teologo musulmano, anche per lui questa scelta risultò pregiudiziale.
L’evoluzione in senso politico dell’ortodossia islamica che si richiama a un ritorno all’originale interpretazione del Corano da parte del Profeta e dei suoi discepoli (Al Salaf – Salafiti), è stata quindi il risultato di un processo storico lungo e travagliato che ha portato in età contemporanea alle rivendicazioni del Salafismo Wahabita Saudita e all’affermarsi di tutte le forme di jihadismo perverso, incluso lo Stato Islamico. Sul piano dottrinale, il Califfato proclamato da Al Baghdadi non si differenzia infatti dal wahabismo saudita che, per esempio, sostiene l’obbligo per tutti i musulmani di giurare fedeltà a un singolo leader musulmano, così come lo stesso salafismo richiama al giuramento allora richiesto dal Profeta Mohammed ai suoi seguaci di fedeltà e di difesa alla sua persona, anche a costo della propria vita. Le differenze tra ISIS e Arabia Saudita sono dunque più politiche che altro. Il Reame Saudita vuole essere considerato il riferimento teologico ai fini del proselitismo internazionale sunnita. Insieme al Qatar, l’Arabia Saudita, attraverso la lega Islamica Mondiale, è il maggior finanziatore per la costituzione di Centri di cultura islamica o, ancor di più, per la costruzione di moschee e luoghi di culto. L’ISIS, sin dalla sua trasformazione da Al Qaeda in Iraq, ha mirato alla ricostruzione del Califfato (storicamente l’ultimo Califfato è quello Ottomano scioltosi nel non lontano 1917), quindi all’unificazione dell’intero mondo musulmano. Arabia Saudita e ISIS, quindi, confermano entrambi una svolta tendenzialmente “teocratica”, con a capo dello Stato elementi di spicco o riferimenti istituzionali religiosi. Il clero wahabita, che secondo Costituzione è responsabile dell’assetto giuridico legislativo saudita, ha da sempre evidenziato un’anima marcatamente ortodossa che ha condizionato l’attività legislativa del Reame. Inoltre, le frange radicali del wahabismo hanno alimentato e protetto buona parte della Jihad e del terrorismo islamico dei giorni d’oggi. Nella pratica, anche nel caso in cui si dovesse in qualche maniera risolvere l’antica “guerra di religione” tra sunniti e sciiti e contemporaneamente azzerare la minaccia jihadista, sino a quando in Arabia Saudita continuerà a persistere l’effettiva dicotomia tra potere Reale e potere Religioso, resterà sempre attivo l’innesto per una nuova radicalizzazione del pensiero wahabita, con immancabili rinnovati moti e movimenti Jihadisti di matrice salafita.
L’affermazione di un sistema pienamente “democratico” in uno stato di cultura arabo-islamica sembra quindi di non facile attuazione, anche al di la del contesto saudita. Per l’Islam sunnita, la sede di ogni decisione politica è la Umma, la comunità dei credenti, concetto che, non a caso, spesso si sovrappone e assorbe quello di nazione. Chi non è credente: cristiano o ebreo che sia, nel pensiero politico islamico dominante, non può far parte della Umma e, quindi, non può esercitare potere decisionale o politico su quanto concerne la società stessa. E’ una questione non da poco. In Sudan, il governo laico di Khartoum nel 1985 decretò di estendere la sharia alle popolazioni cristiane e animiste del sud. Cosa che scatenò una guerra che ha fatto mezzo milione di vittime e la secessione del Sud. Pochi mesi fa, malgrado la forte presenza di caschi blu, si è verificato un riacutizzarsi della crisi. In Iran, l’ayatollah Khomeini (leggendaria guida politica e spirituale della rivoluzione “salafita” iraniana del 1979) ha ghettizzato politicamente ebrei, cristiani e zoroastriani che ancora oggi non possono votare per un candidato musulmano, né accedere ad alcuna carica pubblica di rilievo. Le guerre civili tutt’ora in corso in Iraq, Siria, Libia e Yemen, non sono altro che forme di esasperazione dell’Ortodossia sunnita. Non solo: anche nei pochi paesi islamici in cui il culto cristiano è permesso o tollerato (Egitto, Libano, Siria, Iraq, Marocco, Tunisia etc.), non è assolutamente ammesso che un musulmano si converta al cristianesimo, (pena la morte spesso, o comunque il carcere anche nei paesi cosiddetti “laici”), né che una musulmana sposi un non credente. Ne consegue che, per esempio, i molti europei che decidono di sposare con rito civile una musulmana, comunque sono costretti a convertirsi preventivamente all’Islam.
Indubbiamente, il cammino da percorrere per raggiungere un’evoluzione culturale, capace di soddisfare e salvaguardare le reciproche identità culturali e religiose, è ancora lungo. Al di là degli sforzi di superare le difficoltà di carattere concettuale, rimangono evidenti le quotidiane e concrete violazioni, in molti paesi di cultura araba del Medio Oriente e in Africa, di tanti diritti fondamentali, in particolare il diritto alla vita, la parità tra uomo e donna, la poligamia, la legge sull’eredità e l’eguaglianza al di là di qualsiasi discriminazione. Esistono tuttavia esempi che fanno sperare. Uno di questi e’ la Tunisia. Anche se l’articolo 1 della nuova costituzione tunisina del 2015 recita: “La Tunisia è una Repubblica di Religione Islamica e di lingua Araba”, vi sono segnali interessanti che provengono da questo paese. Guardando, per esempio, a quanto approvato di recente al Congresso di Al Nahdha (il partito islamista di radice Fratelli Musulmani che ancora oggi è valutato a più del 40% di preferenze in Tunisia), ci si accorge che il concetto di “Stato Democratico” sta piano piano attenuando la radice arabo-islamica di cui la cultura dominante è intrisa. Il rispetto per la sovranità popolare, il pluralismo politico e il riconoscimento anche sostanziale dei diritti di libertà e di uguaglianza sociale, sono entrati a far parte della nuova visione politica popolare. Il che significa che seppur Al Nahdha rimarrà fedele agli obblighi shariatici, quindi porterà avanti le sue battaglie politiche per l’affermazione dell’Islam, si va sempre più affermando il concetto di rispetto della volontà del popolo, che grazie alla costituzione tunisina del 2015, è da identificare nell’azione legislativa del Parlamento. Non solo, ma essendo stata messa al bando la religione, si è cancellata qualsiasi rivendicazione religiosa per quella pletora di jihadisti tunisini (ne sono stimati più di 30.000) che negli ultimi tre anni hanno aderito allo Stato Islamico.
Il processo e’ lento ma il cambiamento è possibile.
Lei scrive, tra l'alltro, "il cammino da percorrere per raggiungere un’evoluzione culturale, capace di soddisfare e salvaguardare le reciproche identità culturali e religiose, è ancora lungo". Io penso che questo cammino abbia avuto una tappa fondamentale nella conferenza di Grozny (http://www.asianews.it/notizie-it/Conferenza-di-Grozny:-Il-wahhabismo-escluso-dalla-comunit%C3%A0-sunnita.-L%E2%80%99ira-di-Riyadh-38502.html) riguardo la quale le chiedo se ritiene che si sia effettivamente di fronte a una svolta (una sorta di Concilio di Trento) ovvero che, come dice Kamel Abderrahmani nell'articolo che le ho linkato, non ci sarà un vero “divorzio” fra sunnismo e wahhabismo.
Grazie.
Avrà notato che l'articolo entra nel merito della sola possibilità/eventualità di una netta condanna del Wahabismo e di una sua altrettanto eventuale definitiva emarginazione dalla sfera "sunnita". Nessuno ha fatto invece cenno al Salafismo, da cui ne è derivato il più volte citato wahabismo. A riprova di questo, notabili Imam e Mufti (in testa gli egiziani!) che hanno partecipato al summit hanno precisato che “le genti del sunnismo e coloro che appartengono alla comunità sunnita sono gli Ashariti e i Maatiriditi, sia a livello della dottrina che al livello delle quattro scuole della giurisprudenza sunnita, e anche i sufi, sia a livello di conoscenza che a quello della morale dell’etica”.
Purtroppo è per noi occidentali difficilissimo percepire le sfumature con cui si esprimono gli arabi sunniti. In effetti il salafismo, in particolare quello wahabita, è figlio della scuola Asharita. La Shaaria non è altro che l'ordinamento giuridico discendente dal Corano e dalle Hadith. L'Arabia Saudita ha come articolo unico di riferimento costituzionale la Shaaria e, guarda caso, questa è di Scuola Asharita, che, a sua volta, ha fatto suo l'insegnamento dell'Unicità di Dio e dell'increatività del Corano di Al Ghazali memoria.
Ergo, sino a quando il mondo musulmano non riuscirà a sottoporre a un processo di storicizzazione l'intero Islam (quindi Corano e Hadith), i cambiamenti di cui al bell'esempio di Grozni saranno effettivamente paganti per l'immediato, perchè comunque vanno su una apertura alla modernità e al dialogo, ma al tempo stesso saranno virtuali o di facciata!