Il provvedimento inserito nel disegno di Legge di Stabilità è infatti soltanto l’ultimo di una serie di aumenti che ha visto passare negli ultimi anni la pressione fiscale sulle fondazioni dai 100 milioni di euro del 2011 ai 360 milioni di euro stimati per il 2015 (un po’ come chiedeva Sandro Brusco proprio da questo sito nel 2011 http://noisefromamerika.org/articolo/tassiamo-fondazioni-bancarie).
Le fondazioni, nel contrastare la manovra, sottolineano però come la maggiore imposizione fiscale avrà come diretta conseguenza il taglio delle erogazioni al territorio, ovvero del contributo che tali enti assicurano ogni anno ad attività come ricerca scientifica, servizi sociali, istruzione e mondo del volontariato.
Nel riprendere la notizia, alcuni commentatori hanno evidenziato come le fondazioni, prima di tagliare le erogazioni, dovrebbero tagliare i propri costi di gestione, riferendosi in particolare alle spese per il personale e agli emolumenti percepiti dai consigli di amministrazione.
Allora chi ha ragione? La verità è che se da una parte è vero che, come evidenziato dagli economisti de LaVoce.info le spese per i board delle fondazioni bancarie sono superiori a quelli delle grandi fondazioni non profit estere[1], dall’altro la Legge di Stabilità non pone né vincoli né incentivi alle fondazioni bancarie per ridurre questi costi. L’effetto di un semplice aumento della tassazione ha pertanto buone probabilità di tradursi in un analogo taglio delle erogazioni.
Diverso sarebbe se l’imposizione fiscale fosse collegata non solo ai costi amministrativi ma anche al livello delle erogazioni, come avviene in altri Paesi, secondo un meccanismo proporzionale per cui a minori spese di amministrazione – e maggiori erogazioni – corrisponde un minore livello di tassazione. In questo modo la leva fiscale agirebbe come incentivo all’efficienza, riducendo i suoi effetti nelle fondazioni virtuose – salvaguardandone quindi le erogazioni – e aumentandoli su quelle improduttive – gravandole di un maggiore prelievo fiscale.
Questa è dunque la strada che dovrebbe seguire il Governo qualora volesse garantire la missione sociale delle fondazioni e, al tempo stesso, incentivarle a una migliore gestione delle risorse.
sei fuori strada. alcune fondazioni di poco patrimonio, come da ricerca di perotti, in effetti hanno costi di gestione superiori alle erogazioni, cioè fanno beneficenza in primis ai propri dipendenti e amministratori, rivaleggiando in questo con molte delle famigerate "partecipate" che pare siano costate il posto a carlo cottarelli.
ma questa non è per nulla la inefficenza più rilevante del sistema- fondazioni. carige e montepaschi suggeriscono ben altro: lì l'azionista di controllo ha portat0 in pratica al dissesto l'azienda bancaria sottostante con conseguente perdita di quel patrimonio del "territorio" che avrebbero dovuto tutelare; ci sono riusciti non certo erogando compensi esagerati al board della fondazione, ma perseguendo con tenacia obiettivi politici di consenso e di potere. prima della catastrofe le fondazioni montepaschi e carige avevano un rapporto fra erogazioni e spese di gestione fra i più alti (ancora dalle tabelle di perotti) e quindi a tuo parere avrebbero dovuto anche essere premiate da una tassazione agevolata.
"qualunque regola, in un quadro di sistema autoreferenziale e irresponsabile, viene aggirata con facilità. " sempre perotti, pare.
Stiamo parlando di due problemi distinti. La legge di stabilità non risolve l'uno (l'inefficienza) e non affronta l'altro (la concentrazione). Se si vuole mettere un limite alla singola partecipazione detenuta (es. 20% come in America), va benissimo, ma dovrebbe valere per tutti i tipi di partecipazioni (banche, imprese, fondi, etc.). Questo vincolo però dovrebbe essere strumentale alla salvaguardia del patrimonio e, di conseguenza, alla capacità di erogare (la vera ragion d'essere delle fondazioni). E su questo fronte la diversificazione non incide, visto che possiamo avere una fondazione completamente diversificata nel patrimonio, ma che non fa erogazioni o ne fa molto poche. Per questo serve un vincolo/limite/incentivo che leghi il beneficio fiscale dato dallo status di fondazione alla sua capacità di erogare, riducendo i costi accessori (e non a caso Perotti utilizza il rapporto erogazioni/costi di gestione, ma ve ne sono anche altri). E questo concetto potrebbe essere esteso ai casi limite in cui se una fondazione non eroga (magari per 2 o 3 anni consecutivi) non solo non può godere dei benefici fiscali, ma potrebbe perdere addirittura lo status di fondazione (che non è poi diverso dalla liquidazione di cui parlava Perotti). Uno scenario che vedrebbe a rischio proprio quelle fondazioni citate nel commento.