Tassiamo le fondazioni bancarie (I)

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Le fondazioni bancarie sono un'anomalia italiana. Di fatto esse permettono di mantenere un notevole influenza da parte dei politici sul sistema bancario, senza che tale sistema risulti essere di proprietà pubblica. In un articolo pubblicato sul Sole 24 Ore all'inizio di luglio, Perotti e Zingales hanno chiamato ''moderna manomorta'' tali fondazioni e ne hanno suggerito l'esproprio per pagare in parte il debito pubblico. Non è chiaro, dal punto di vista legale, se un esproprio è legalmente possibile e se lo è in quanto tempo possa essere attuato. D'altra parte, un'imposta patrimoniale sulle fondazioni bancarie sembra invece di più facile attuazione.

In questo primo articolo discutiamo cosa sono le fondazioni bancarie, quale ruolo giocano nella politica e nell'economia italiane e perché è giusto tassarle. In un secondo articolo discuteremo di quanto reddito si può ottenere da una tassa patrimoniale sulle fondazioni bancarie e quali potrebbero essere le sue conseguenze economiche.

Le fondazioni bancarie furono la risposta italiana alle richieste europee di liberalizzazione, in previsione dell'unificazione dei mercati dei capitali europei nel 1992. La repubblica italiana aveva ereditato dal fascismo un sistema bancario essenzialmente pubblico, e tale realtà non venne cambiata nel dopoguerra. Quale fonte di potere e di malsani intrecci fossero le banche per il sistema politico della prima repubblica è cosa ben nota. Non c'è quindi da stupirsi per gli insistenti tentativi di preservare tale potere, anche a fronte delle spinte liberalizzatrici provenienti dall'Europa.

Qualcosa andava fatto, ma cosa? Come eliminare la proprietà pubblica delle banche mantenendone al tempo stesso il controllo da parte dei politici? La quadratura del cerchio avvenne con la cosidetta Legge Amato del 1990. La logica può essere brevemente spiegata come segue. Le banche divenivano normali società per azioni, il cui controllo era quindi in principio contendibile (cioè ottenibile attraverso l'acquisto sul mercato di una quota maggioritaria). Ma dei congrui pacchetti azionari, tali da garantre il controllo, venivano conferiti a delle fondazioni. Le fondazioni, come noto, sono enti che vengono formati mediante conferimento di un patrimonio. Tali enti sono vincolati per legge e statuto nel tipo di uso che possono fare del proprio patrimonio e del reddito che esso genera. Sono inoltre controllati da un comitato di gestione secondo modalità previste dallo statuto della fondazione stessa. Nel caso delle fondazioni bancarie, molti degli amministratori sono tipicamente nominati da comuni, province, camere di commercio e altri organismi pubblici o semipubblici, il che significa che in larga misura tali enti sono controllati dal sistema politico.

Il punto cruciale è che, a differenza delle società per azioni, le fondazioni non sono contendibili. Mentre è concepibile che una società quotata in borsa possa essere scalata da qualcuno che ha un patrimonio sufficiente e decide quindi di acquisire una quota maggioritaria della proprietà, nulla del genere è possibile con le fondazioni. Il patrimonio della fondazione è indivisibile ed è controllato dagli amministratori, e gli amministratori sono nominati a norma di statuto (questo, per inciso, vale non solo per le fondazioni bancarie, ma per tutte le fondazioni, non importa quanto minuscole). Quindi, se si vuole acquisire il controllo di una fondazione bisogna impegnarsi in giochetti di corridoio e in congiure di palazzo, influenzando gli enti che nominano gli amministratori. Si tratta, come è facile capire, di un terreno sul quale i nostri politici si trovano assai più a proprio agio.

Quindi, riassumendo: le banche sono in principio contendibili, ma le fondazioni ne possiedono quote significative mediante le quali esercitano il controllo. Non essendo le fondazioni contendibili, anche le banche da esse controllate finiscono per essere non contendibili. Il loro controllo resta quindi, seppur in via indiretta, nelle mani dei politici.

Vi sono stati ripetuti sforzi, tipicamente su istigazione europea, per ridurre la quota di proprietà bancaria detenuta dalle fondazioni. In effetti ora quasi nessuna fondazione possiede quote maggioritarie delle banche controllate. Per contrastare tale possibile aumento della contendibilità il sistema politico ha però agito in due direzioni. Da un lato, le fondazioni hanno incrementato l'acquisizione di pacchetti azionari di altre banche, oltre alla banca di riferimento, il che ha generato intrecci dal difficile scioglimento (esempi più concreti a breve). Dall'altro, il mondo politico è sempre stato pronto a intervenire in tutte le occasioni in cui le oscillazioni dei corsi azionari hanno reso realistico un cambiamento di controllo. Per esempio, immediatamente dopo l'esplosione della crisi nel settembre 2008 vennero proposte varie misure per rendere più difficili le scalate delle società quotate (tra cui ovviamente le banche), e l'orientamento anti-scalate sembra continuare a caratterizzare l'azione della Consob sotto Vegas.

Per avere una idea di quali siano gli intrecci tra fondazioni e proprietà delle banche, è utile guardare all'assetto proprietario di alcune tra le principali banche. Se guardiamo all'assetto proprietario della Banca Intesa San Paolo (si veda pag. 20 della relazione), ad esempio, osserviamo che le fondazioni continuano a essere estremamente presenti:

Proprietario 

Percentuale cap.

ordinario

 
Compagnia San Paolo9,888%
Crédit Agricole SA4,996%
Assicurazioni Generali SpA4,973%
Fondazione CariPaRo4,924%
Fondazione Cariplo4,680%
Ente C.R. Firenze3,378%
Blackrock Inc3,179%
Fondazione C.R. BO2,734%
Carlo Tassara SpA2,504%

Non solo quindi la fondazione di riferimento (la Compagnia San Paolo) detiene circa il 10% dei diritti di voto, ma una quota anche superiore è detenuta da altre fondazioni. Uno schema simile si osserva a Unicredit, dove il principale azionista è Mediobanca ma varie fondazioni detengono quote significative. Piú semplice la situazione al Monte dei Paschi di Siena, dove (si veda pag. 7 della relazione) la relativa Fondazione possiede la maggioranza assoluta del capitale votante.

Come e da chi vengono nominati gli amministratori di una fondazione? Anche qui è utile guardare ad alcuni esempi. Per esempio, la Compagnia San Paolo ha 21 consiglieri, in maggioranza nominati da enti pubblici quali comuni, regioni e camere di commercio (si veda l'art. 8 dello statuto a pag. 9). La Fondazione Cariplo ha un consiglio di amministrazione nominato da una Commissione Centrale di Beneficenza, con 20 membri espressione degli enti locali e 20 nominati dagli enti più vari (ci stanno pure la diocesi di Milano e i rettori delle università lombarde, si veda l'art. 11 a pag. 4). E così via. Una noterella divertente, e che testimonia l'attenzione ossessiva con cui il mondo politico segue le vicende delle fondazioni bancarie, è data dalla fibrillazione che colpì il mondo politico ad agosto quando, in una delle innumerevoli versioni delle manovre estive, si ventilò l'ipotesi di abolire le province con meno di 300.000 abitanti. Risulta infatti che tali province controllano circa 50 poltrone nei consigli di amministrazione delle fondazioni bancarie. La provincia di Rovigo, tanto per dire, nomina tre seggi su 28 del Consiglio della Fondazione Cariparo (il ''paro'' sta per Padova e Rovigo). La quale a sua volta, ci informa l'articolo del Sole, controlla il 4,18% di Intesa Sanpaolo e l'1,03% di Cassa Depositi e Prestiti. Insomma, non son proprio noccioline. E infatti, non appena si sono prospettate le minacce alla Pax Bancaria, i progetti di abolizione delle province sono immediatamente rientrati. La Lega Nord, ricorderete, fu la più decisa nell'opporsi al progetto. In effetti dev'essere dura vedersi portar via il pasto caldo proprio quando ci si è riusciti a sedere alla tavola imbandita. Ma la Lega è solo l'ultima arrivata, la presenza dei principali partiti (di destra e di sinistra) è assai diffusa e pervasiva.

Che fanno le fondazioni, oltre a gestire il potere che deriva dal controllo delle banche? In teoria, tante belle cose, promuovendo attività culturali, sociali e chi più ne ha più ne metta. Quanto efficientemente lo facciano, è discutibile. Roberto Perotti aveva sollevato il problema qualche anno fa, mostrando come soprattutto nelle fondazioni più piccole i costi di gestione fossero assolutamente esorbitanti. Non mi risulta che da allora sia successo gran ché.

Anche ignorando le critiche alla gestione, comunque, la seguente questione va posta: in un momento in cui tutti beneficeremmo grandemente da una riduzione dello stock del debito pubblico, non è il caso di destinare il patrimonio delle fondazioni bancarie a tale scopo? Intendiamoci, come discuteremo più approfonditamente nell'articolo successivo il patrimonio delle fondazioni bancarie da solo non sarebbe determinante per la soluzione del debito pubblico italiano. Occorre ovviamente in primo luogo arrivare al pareggio del bilancio, principalmente mediante riduzione della spesa corrente, e occorre intraprendere altre misure di valorizzazione e dismissione del patrimonio pubblico in modo da intaccare seriamente il livello del debito e ripristinare la fiducia dei mercati. Ma all'interno di tale strategia, una forte imposta patrimoniale sulle fondazioni bancarie può giocare un ruolo importante.

Perché una patrimoniale sulle fondazioni bancarie è di gran lunga preferibile a una patrimoniale su famiglie e imprese? Per tre ragioni strettamente economiche, oltre che per una ragione di carattere etico.

La prima ragione economica è che una tassa sulle fondazioni non avrebbe gli effetti di disincentivo sul risparmio che avrebbe invece una tassa patrimoniale su famiglie e imprese. Il patrimonio di famiglie e imprese deriva infatti, in larga misura, da decisioni di risparmio passate. Un aumento della tassazione sul patrimonio inevitabilmente scoraggia il risparmio e l'accumulazione del capitale. Da un lato, sempliceemente, ci può essere minore risparmio, dall'altro il risparmio sarà con maggiore probabilità portato all'estero (cosa che si può fare legalmente). Inoltre, verrebbe scoraggiato l'afflusso di capitale dall'estero: a nessuno piace portare soldi in un paese in cui ogni tanto, senza preavviso e in modo arbitrario, il governo decide di prelevare una fetta del capitale. Quanto siano forti gli effetti di disincentivo è difficile dire, ma anche se fossero assai deboli la verità è che nessuno di questi effetti si verifica nel caso delle fondazioni bancarie. Il patrimonio di tali fondazioni infatti non deriva da decisioni individuali di risparmio ma è il risultato di decisioni amministrative. Una tassazione dei patrimoni delle fondazioni si tramuterebbe quindi in un trasferimento netto allo Stato, senza effetti distorsivi.

La seconda ragione economica è che una sostanziosa imposta patrimoniale costringerebbe le fondazioni bancarie a disfarsi dei propri pacchetti azionari delle banche. È probabile che questo riapra la competizione per il controllo delle banche stesse, e la competizione per il controllo aumenterebbe il valore delle azioni; questo sarebbe un indubbio beneficio per tanti piccoli risparmiatori. Inoltre, è abbastanza noto che il sistema bancario italiano non brilla per efficienza, un fatto che viene pagato soprattutto da chi consuma i servizi delle banche. Le idiozie sulle magnifiche banche italiane che ''non parlano inglese'' sono durate lo spazio di un mattino, e la realtà ha fatto rapidamente capolino. Un cambiamento di controllo, con l'entrata di nuove competenze manageriali, può quindi condurre a un aumento di efficienza del sistema bancario.

Infine, la terza ragione economica è che una tassa sulle fondazioni bancarie sarebbe un segnale importante per i mercati, assai più di altri tipi di tasse. Segnalerebbe infatti che il sistema politico è serio riguardo alla riduzione del debito, e in particolare che è disposto a privarsi dei privilegi che tanto danno hanno fatto al paese. Sarebbe, insomma, un segnale forte come sarebbe quello della vendita della Rai, un modo rapido per guadagnare credibilità.

La ragione etica è semplice, ed è legata al terzo punto enunciato poco sopra. Nei momenti difficili, quando si richiedono sacrifici al paese, le classi dirigenti devono dare il buon esempio. Se occorre intervenire sulle pensioni, bisogna prima abolire i vergognosi trattamenti previdenziali riservati ai parlamentari. E se bisogna intervenire con un'imposta straordinaria sui patrimoni per abbassare il debito, i patrimoni controllati dalla elite politico-economica vanno colpiti prima dei patrimoni dei comuni cittadini. Finora nulla di questo è stato fatto, e i cittadini hanno sempre pagato per primi. Anche quando i nostri politici hanno tentato di usare toni populisti, hanno sempre avuto cura di non toccare i veri interessi che stanno loro a cuore. L'esempio più lampante è quello della maggiorazione IRES per le banche (la mal chiamata  ''Robin Hood tax''). Si tratta di un'imposta che alla fine colpisce principalmente i piccoli risparmiatori e (tramite traslazione) i consumatori, lasciando intatto quello che veramente interessa ai politici: il controllo del sistema bancario. È tempo di farla finita con questi trucchetti da circo, se non si vuole che alla richiesta di sacrifici la popolazione risponda con la rivolta. I sacrifici quindi inizi a farli la casta. Poi se ne parla.

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Commenti

Ci sono 162 commenti

Per una volta non sono molto d'accordo con Sandro, per vari motivi, che elenco rapidamente

i) il problema italiano non è il deficit ma il livello di spesa pubblica. Abbattere il deficit con nuove tasse, per di più una tantum, avrebbe effetti recessivi molto gravi. Sarebbe necessario ridurre strutturalmente la spesa pubblica attesa nel lungo periodo (innalzando l'età pensionabile e riducendo gli stipendi degli statali p.es.) e compensare con misure anticicliche a breve (p.es. aumentando l'importo della cassa integrazione o distribuendo sussidi)

ii) ridurre lo stock di debito diminuirebbe la spesa per interessi, con l'effetto indesiderato di ridurre i già scarsi incentivi a tagli strutturali. 

iii) una patrimoniale sulle fondazioni ne ridurrebbe le risorse e quindi la possibilità di contribuire pro quota agli aumenti del capitale delle banche indispensabili per far fronte al collasso dell'area euro. L'alternativa sarebbe un intervento diretto statale - ancora peggio

iv) forzare le fondazioni a vendere titoli bancari deprimerebbe le quotazioni degli stessi, con risultati disastrosi a breve

In sostanza, a mio avviso la proposta di Sandro potrebbe andare bene in momenti normali ma rischia di essre disastrosa in una situazione di crisi come qualla attuale

 

 

Giovanni, sui punti i) e ii) ho risposto a Christian sotto. Sugli altri punti ti chiedo di portar pazienza e aspettare il prossimo articolo (spero di farcela per la settimana prossima), in cui discuterò di questi temi. Riprenderemo la discussione allora.

In passato (e altrove), si è pensato non tanto alla patrimoniale classica, quanto a una tassazione sul “cash vault” delle controllate.

Più che una tassa si trattava di un “tasso”. Un tasso negativo sulle riserve.

Ottimo espediente per poter  dire che non si faceva politica fiscale ma politica monetaria.

Broncobilly, grazie per l'informazione. Hai qualche riferimento che posso guardare su queste proposte?

Alcune osservazioni:

1) qualsiasi riduzione del debito ottenuta tramite misure "una tantum" ridurrebbe la spesa per interesse, e sono sicurissimo che ripartirebbe "l'assalto alla diligenza". Il deficit complessivo probabilmente non migliorerebbe significativamente, mentre quello primario peggiorerebbe. Se l'Italia e' andata avanti fino ad oggi, e' grazie al buon controllo sul deficit primario.

2) E' vero che le fondazioni sono largamente inefficienti ed in mano a baroni locali, ma esse sono comunque un'importante fonte di finanziamento per piccole iniziative importanti. Per esempio, molti asili nido a Milano e dintorni sono finanziati dalla fondazione "locale".

3) Non servirà a migliorare i conti dello stato, ma se proprio vogliamo intervenire sulle fondazioni facciamolo sulla governance e sulla trasparenza delle cariche, non sul loro patrimonio.

 

Allora:

1) In realtà su questo punto siamo d'accordo. Nel pezzo scrivo

 

Occorre ovviamente in primo luogo arrivare al pareggio del bilancio, principalmente mediante riduzione della spesa corrente, e occorre intraprendere altre misure di valorizzazione e dismissione del patrimonio pubblico in modo da intaccare seriamente il livello del debito e ripristinare la fiducia dei mercati. Ma all'interno di tale strategia, una forte imposta patrimoniale sulle fondazioni bancarie può giocare un ruolo importante.

 

Sono quindi d'accordo che la prima cosa da fare è raggiungere il pareggio di bilancio mediante riduzione della spesa. Detto questo, non vedo perché non aggiungere misure una tantum di riduzione dello stock del debito. Questo vale non solo per la patrimoniale sulle fondazioni ma anche per la dismissione di parte del patrimonio pubblico. Se prendiamo la posizione che niente possa essere fatto perché i soldi verranno immediatamente sputtanati, immagino possiamo solo allargare le braccia. Però secondo me una classe politica che decide di rinunciare alla propri influenza sul sistema bancario deve necessariamente essere molto diversa da quella attuale, per cui qualche speranza che usi i proventi per la riduzione dello stick di debito anziché per tamponare in modo temporaneo il deficit c'è. Nota che un simile argomento non si potrebbe usare per una patrimoniale sulle famiglie, che è quella che ora chiedono da tutte le parti (compresa Confindustria).

2) Su questo punto rimando all'articolo di Perotti linkato nel testo. Lo so che le fondazioni fanno anche parecchie cose meritevoli (come economista noto per esempio il finanziamento del Collegio Carlo Alberto). Il punto è se questo è il modo migliore di finanziare queste attività.

3) Su questo devi essere più specifico. Che cambiamenti concreti suggerisci? Non dire per favore ''occorre nominare gente indipendente e capace'', ho bisogno di misure operative. A me pare che dire che la provincia di Rovigo nomina tre consiglieri di CariPaRo sia molto chiaro e trasparente. Altrettanto chiaro è che in questo modo si permette ai politici di controllare il sistema bancario. Se ci va bene, non c'è molto da cambiare e mi sembra ci sia ben poco da migliorare. Se non va bene, occorre intervenire con l'accetta, non con misure al margine.

Grazie, grazie, grazie.

Questo articolo finalmente mi spiega in modo abbastanza chiaro chi controlla le banche in Italia. Posso avanzare una richiesta ai redattori?

Mi piacerebbe avere spiegato in modo altrettanto semplice chi controlla le banche in Francia, Germania e Regno Unito (e poi sarebbe bello anche per Cina, Giappone e USA, ma mi rendo conto che e' troppo).

Links to useful pages are welcome as well.

Ancora grazie.

(anzi, sarebbe bella una descrizione dei diversi tipi di controllo delle banche che ci sono nel mondo; intendo una tipologia di controllo delle banche in cui ogni paese puo' avere un suo tipo)

Magari c'e' anche un libro bello e chiaro in giro sull'argomento, o no?

L'inizio dell'articolo è molto chiaro e condivisibile.

Tuttavia la proposta di tassare le fondazioni per incentivarle a disfarsi delle partecipazioni e diminuire il loro tasso di dipendenza da pratiche politiche spartitorie mi sembra un po' debole.

Una delle domande più insidiose per gli studenti di diritto in Italia è se le fondazioni bancarie siano soggetti pubblici o privati ed è nel nodo pubblico-privato che risiede il vero problema. Negli anni '90 si è mantenuta una concezione del "pubblico" come controllo politico.

Tassarle, impoverirne il patrimonio perché tutto sommato è pubblico e quindi tanto vale ridurre il debito, mi sembra una soluzione tecnicamente troppo articolata e insoddisfacente nelle finalità. La vera soluzione dovrebbe segnare un nuovo punto di equilibrio fra pubblico e privato che è ciò di cui qui come altrove il nostro Paese ha bisogno.

 

e se domani, dopo questa riforma, tutte le principali banche italiane fossero acquistate da banche estere la cosa sarebbe nel medio/lungo termine positiva o negativa per il paese?

Irrilevante

Mi pare assolutamente meritevole sia l'idea di ridurre (al limite eliminare del tutto) l'influenza del potere politico sul sistema bancario sia quello di rendere più contendibile il controllo delle banche.

Non sono certo al 100% che la patrimoniale sia la strada più efficiente.

Un compromesso che mi viene in mente, anche per salvaguardare le finalità sociali potrebbe essere quello di:

 

  1. convertire immediatamente le partecipazioni detenute dalla fondazioni bancarie in azioni di risparmio (quindi senza diritto di voto e con dividendo privilegiato)
  2. imporre per legge alle fondazioni bancarie di ridurre sensibilmente il loro patrimonio mobiliare in un arco temporale congruo onde evitare che il realizzo avvenga ai minimi storici 

A quel punto le fondazioni potranno continuare a fare del bene e i cittadini del luogo, se hanno paura che qualche straniero gli compri la banca di casa, possono ben mettere mano al portafogli e comprare azioni con diritto di voto (magari organizzandosi in associazioni per fare massa critica). 

 

A me era venuta in mente esattamente la stessa cosa che ha scritto lei, ossia trasformare le azioni da ordinarie ad azioni di risparmio.

Non credi che trasformando le azioni da ordinarie ad azioni di risparmio altereresti in maniera un po' troppo impropria gli assetti proprietari? 

Condivido invece il secondo punto

Io non capisco perche' le vuoi tassare. La cosa sensata da fare e' liquidarle, vendere il patrimonio, farne cessare l'attivita'. La tassa non risolve il problema del controllo politico, non risolve gli intrecci societari e gli accordi sottobanco, e inevitabilmente ricadra' sui consumatori. 

Per fare le cose che dici devi prima espropriarle, come nella originaria proposta di Perotti & Zingales, visto che non sono proprietà dello stato. Nulla da eccepire in linea di argomentazione economica, ma credo che dal punto di vista giuridico sia complicato assai. La tassazione sembra più semplice e immediata, e raggiunge in buona misura gli stessi obiettivi.

Però su questo sono pronto a cambiare idea, se qualcuno mi convince che l'esproprio sarebbe facile e indolore. A me pare che non lo sarebbe affatto, e che il contenzioso giuridico potrebbe trascinarsi per decenni.

tutto molto interessante per chi come me non conosceva il "funzionamento" delle fondazioni.

Una semplice chiarimento: le azioni detenute dalle fondazioni come sono arrivate alle fondazioni stesse?

Si tratta di denaro pubblico?

Grazie

una gran parte del sistema bancario italiano era sempre stato costituito da casse di risparmio, oltre alle cooperative popolari, sin dalla loro nascita di diritto pubblico. alle cerimonie, assieme sindaco, al vescovo e al maresciallo vi era sempre anche il direttore della banchetta locale. il loro capitale si è accumulato nei lunghi anni di attività, e mai distribuito.

la riforma amato ha imposto la trasformazione delle aziende in società per azioni di diritto privato, inizialmente con unico azionista la neonata fondazione bancaria. quest'ultima però con l'obbligo di ridurre rapidamente il proprio peso percentuale a valori modesti, appunto per dividere la sorte del patrimonio locale (la fondazione) dalla proprietà e dalla gestione della banca che l'aveva generato. chi ha seguito i dettami e lo spirito della legge, ha quindi venduto, favorendo la crescita di grandi istituti bancari nazionali, e ha reinvestito perloppiù in un portafoglio-titoli, azioni e obbligazioni, come un qualsiasi investitore istituzionale, o risparmiatore privato. anche qui, la fantasia italica non è mancata e ci sarebbe molto da discutere: alcune fondazioni hanno ancora un pacchetto importante della banca d'origine, mps addirittura è al 51% .

 

 

Le fondazioni erano banche di diritto pubblico, che per lo più avevano il compito di destinare a scopi di pubblica utilità gli utili dell'attività bancaria. Diversa era la loro origine: alcune di quelle banche erano istituti di emissione degli Stati pre-unitari (Banco di Napoli, Banco di Sicilia), altre erano antichi istituti di matrice locale (Monte dei Paschi di Siena) o religiosa (Istituto Bancario di San Paolo). Altre ancora erano il risultato dell'intervento statale nell'economia, diretto a risolvere particolari esigenze creditizie: così l'Istituto Mobiliare Italiano, la Banca Nazionale del Lavoro (in origine anche della Cooperazione), il Credito Sportivo, e qualcun'altra. Poi vi erano le Casse di risparmio, istituite nel secolo XIX su un modello austriaco: la Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde fu, per l'appunto, istituita dal governo Regio Imperiale nel 1823. Com'è ovvio, diversa era la vocazione di tanti istituti, che spesso esercitavano congiuntamente il credito ordinario e quello speciale (magari attraverso sezioni specializzate).

Nel secondo dopoguerra crebbe la critica al sistema bancario ereditato non tanto dal fascismo, quanto dai precedenti regimi: da un lato si ravvisò nella coesistenza di finalità pubbliche e scopi economici una contraddizione insolubile, fonte di cattiva gestione; dall'altro, parve che la distinzione tra banche pubbliche e private, come pure la cosiddetta specializzazione funzionale, dovessero essere superate in nome di una moderna visione dell'attività bancaria. Con la legge Amato fu permesso ai vecchi enti di scorporare l'azienda bancaria per conferirla a società per azioni di nuova costituzione: le azioni che le odierne fondazioni detengono sono i titoli rappresentativi della loro partecipazione a queste. 

L'éscamotage ideatodaGiuliano Amatoha permesso anche di superare la specializzazione funzionale e di dare vita al fenomeno della banca universale (o del gruppo polifunzionale che offre ai clienti un servizio universale). Negli stessi anni l'ordinamento del credito è stato profondamente modificato, soprattutto per quando riguarda la vigilanza che, nella vecchia legge bancaria aveva una connotazione dirigista mentre nella nuova dovrebbe essere essenzialmente regolazione rispettosa dell'iniziativa delle imprese bancarie operanti in un mercato concorrenziale.

La risposta è, allora: le fondazioni non hanno acquistato le azioni delle banche con denaro pubblico, ma hanno costituito le banche in forma privata attribuendo loro risorse pubbliche. Si è trattato di una privatizzazione sui generis: ciò spiega, almeno in parte, la situazione attuale. In particolare: alla S.p.A. Intesa Sanpaolo partecipano le fondazioni delle Casse di risparmio e dell'Istituto publbico che conferirono le loro aziende bancarie, in epoche diverse.

Meno chiaro è se la privatizzazione abbia riguardato anche gli enti originari: le fondazioni sono spesso qualificate come enti di diritto privato, peraltro soggetti ad ingerenze pubbliche nella nomina dei loro esponenti e sottoposte al controllo delle autorità creditizie. Considerato che molte di esse traggono origine da comunità territoriali, sembra difficile che lo Stato possa disporre del loro patrimonio senza suscitare un diffuso outcry dei poteri locali e, forse, sollevare questioni di legittimità costituzionale. Credo che queste ultime non si porrebbero di fronte ad una tassazione dei loro patrimoni, ma le proteste locali sì.

 

Considerato che molte di esse traggono origine da comunità territoriali, sembra difficile che lo Stato possa disporre del loro patrimonio senza suscitare un diffuso outcry dei poteri locali e, forse, sollevare questioni di legittimità costituzionale. Credo che queste ultime non si porrebbero di fronte ad una tassazione dei loro patrimoni, ma le proteste locali sì.

 

Luciano, grazie mille per questo intervento. È quello che ho cercato, chiaramente con scarso successo, di dire prima. L'espropriazione crea problemi giuricidici non piccoli. Sono d'accordo che ci saranno comunque proteste da parte degli enti locali e anche dei cittadini, ma a quel punto è facile rispondere: ''preferite una tassa sulla casa''?

 

Grazie e 1000 per l'illustrazione. Sa suggerire un libro accessibile ma completo e ben fatto in cui sia raccontata la storia delle banche italiane?

grazie per approfondita risposta.

giorgio p

ottimo post, che però porta ad una domanda: come si concilierebbe questa tassa con i probabili aumenti di capitale necessari?

 

 

ottimo post, che però porta ad una domanda: come si concilierebbe questa tassa con i probabili aumenti di capitale necessari?

 

credo che la questione vada affrontata secondo un criterio di efficienza; se gli aumenti di capitale sono garantiti  dalle fondazioni e solo da loro, vuol dire che non sono convenienti a quelle condizioni. le fondazioni in genere accettano per due motivi:

1) non sono soldi dei consiglieri! non gli importa un fico che il patrimonio si depauperi e si concentri su un solo, rischioso titolo. come credete che li trovi la fondazione i soldi per l'aumento di capitale? vende gli altri titoli in portafoglio, meno interessanti in termini di potere e magari invece più convenienti.

2) così facendo, mantengono  la loro influenza sulla banca d'origine, contro lo spirito esplicito della riforma amato.

se così è, allora si trasferiscono risorse locali pubbliche alle banche e premiando quelle più inefficienti. la tassazione, che pure non mi convince tanto, ostacolerebbe questa inefficienza: che gli aumenti di capitale le banche  se li cerchino sul mercato, allora.

 

 

Dal mio punto di vista il problema principale non e' tanto la contendibilita' quanto l'ingerenza della politica nella gestione delle banche.

Domanda: invece di costringere a vendere (con i problemi che sono stati evidenziati) o di espropriare le fondazioni non sarebbe meglio indurle a convertire le azioni ordinarie in azioni di risparmio?

EDIT

Ignorate il post perche' Famularo mi ha preceduto

 

Ma stabilire che le fondazioni non possano detenere piu’ dell’1% non sarebbe una soluzione migliore e piu’ veloce per far diminuire il loro peso nell’azionariato delle banche?  

Ottima proposta, appoggio in pieno.

Non ho letto tutti i commenti, ma mi pare un'ottima idea per privatizzare davvero il sistema bancario dopo la semi-farsa di Amato.

Si tirano su soldi - non so quanti -, si sottrae il sistema bancario dal controllo della politica, costringendo anche al digiuno un po' di parassiti vari, e si fa guadagnare efficienza al sistema bancario stesso. Tra l'altro ogni qual volta sento come le fondazioni buttano dalla finestra cifre importanti mi viene il voltastomaco.

NB: patrimoniale del 100%, diciamo diluito in qualche tempo: queste fondazioni devono semplicemente sparire.

Dovresti leggere i commenti. Specialmente quelli di carattere giuridico (vedi x es. Sabino Patruno)

Il problema sollevato da SB è logico ed economico.

Logico perchè le "Fondazioni bancarie" sono espressione della politica, che quindi continua a ingerirsi dei fatti economici (a me viene sempre in mente la Banca(rella) del Mezzogiorno, fortunatamente desaparecida), e quando la politica si intromette si creano delle "distorsioni" (Credito Cooperativo Fiorentino dice niente ?). Su questo aspetto, puramente logico, basta modificare l'art 25 comma 3 Dlgs 153/99, sostituendo la frase:

 

la fondazione non può esercitare il diritto di voto nelle assemblee ordinarie e straordinarie delle società indicate nei commi 1 e 2 per le azioni eccedenti il 30 per cento del capitale rappresentato da azioni aventi diritto di voto nelle medesime assemblee

 

con "per le azioni eccedenti l'1 % del capitale". Si chiama "sterilizzazione del diritto di voto", è legale, non si espropria nessuno e la politica esce dalle banche. Facile e indolore, a volerlo.

Sull'aspetto economico (una patrimoniale sulle fondazioni bancarie) la cosa è più complessa, una patrimoniale drena liquidità, se le fondazioni non ne hanno dovranno vendere le partecipazioni, deprimendo ulteriormente il già basso valore delle azioni, ed anche se poi è questo lo scopo (diluendo la partecipazione scende anche il peso della fondazione nell'azionariato), la cosa è difficilmente percorribile di colpo. La soluzione (all'italiana) è di scrivere una legge del tipo "le fondazioni di cui al Dlgs 153/99 che alla data del 1° Gennaio 2010 hanno partecipazioni in società di cui al dlgs 385/93 superiore al 5% del capitale sociale saranno soggette a un'imposta del 30%(fate vobis) sulla quota del valore eccedente il suddetto 5% facendo riferimento alla quotazione di borsa del 30.06.2010 (così gli fai pure male-)) fino alla concorrenza della percentuale detenuta. Detta imposta è rateizzabile in anni due (fate vobis, ma evitiamo il problema della liquidità)".  E' un esproprio ? NO. E' una legge ad fondationem ? Certo, ma dopo quelle ad personam, ad aziendam, io ho tanto di quel pelo sullo stomaco che digerisco pure la legge ad fondationem..

Scusa Marco (e scusate tutti, in verità).

C'è una cosa di fondo che non capisco in questo thread: quanta parte del patrimonio delle Fondazioni è rappresentata da denaro pubblico e quindi giustifica forme di esproprio o tassazione speciale da parte dello Stato?

Perchè a me pare (e posso sbagliare) che le Fondazioni e, prima, le Casse di Risparmio abbiano generato i propri asset attuali facendo affari con privati cittadini che liberamente sceglievano di depositare i propri risparmi (o pagare interessi su mutui e fidi) in un banca che, a torto o a ragione, era vista come locale e quindi piú affidabile o vicina al territorio.

Il fatto che rappresentanti delle istituzioni locali fossero presenti nei consigli di amministrazione (insieme a rappresentanti della diocesi o dei sindacati o delle associazioni imprenditoriali) era cosa nota ed, anzi, il motivo fondante di tali banche: gli investitori e i clienti lo sapevano e liberamente sceglievano e scelgono di usare i loro servizi.

Quindi perchè accanirsi su queste istituzioni con tasse, espropri, limitazioni di voto se non sono coinvolte risorse pubbliche sottratte ai contribuenti, ma si tratta di ricchezza e profitti generati stando sul mercato (soprattutto oggi, quando si può scegliere fra la cassa di risparmio del posto o la filiale di una banca straniera, per dire)?

Se io preferisco lavorare con una banca locale, perchè so che una parte dei profitti verranno distribuiti dalla fondazione sul territorio (sia pure attraverso mediazione politica), perchè dovrei accettare che lo Stato si impossessi di tale risorse, alla fin fine generate con soldi miei che ho liberamente scelto di investire lì piuttosto che in una banca privata?

Grazie per l'ospitalità.

 

 

 

 

 

 

 

 

In sostanza mi pare che questa ipotetica patrimoniale sulle fondazioni abbia un po' un sapore voltremontiano, cioè punitivo con qualche accento moralistico.

Siccome non ci piace -perché inefficiente- l'influenza politica allora le tassiamo indebolendole e costringendole a cedere le partecipazioni. Senza contare però che se ci sono "forze" che vogliono mantenere influenza e metodi politici in capo alle banche non si sa come si troverebbe il consenso per tassare le fondazioni.

Io scinderei i due problemi.

Se non piacciono le fondazioni perché non sono "vere" fondazioni ma una specie di manomorta come dice Zingales, allora ci vorrebbe un "movimento" che ne promuova, per legge di iniziativa popolare o per referendum, la fine. La liquidazione come dice qui Roberto non sarebbe certo un dramma, solo sarebbe prevedibilmente osteggiata dagli stessi che vogliono questo sistema.

Ma se non piace l'influenza politica ci sarebbe un'altra soluzione, altrettanto semplice: un altro movimento "di popolo" che offra alle fondazioni un prezzo per i loro titoli maggiore della quotazione in borsa, magari muovendosi poi all'unisono per realizzare dei cambiamenti radicali nel sistema bancario.

Entrambe queste soluzioni mi sembrerebbero molto più efficienti di una tassa che comunque lascerebbe in piedi enti molto inutili e molto deboli ma non abbastanza per sparire.

 

Quanto occorrerebbe offrire per comperare le azioni in mano alle fondazioni? qualcuno ne ha un'idea?

Chiedo all'autore, se posso "rubare" le informazioni di questo articolo per realizzare un video su YouTube. L'idea è di simulare il format di voyager, o di mistero: questi programmi trash della mediocrazia italiana, nonostante dicano cappellate fuori di misura (che neanche la Gelmini...) riescono a raccogliere un grande pubblico sfruttando questo incomprensibile bisogno della gente di credere nei complotti e nelle verità occulte. Voglio vedere se riesco a sfruttare questo giochetto, con un po' di ironia, per cercare di fare un po' di informazione.

Ovviamente citerei fonte e autore. Mi autorizzate?

Adriano, scusami ma leggo solo oggi il tuo commento. Certo che puoi utilizzare il contenuto. In generale, la nostra policy è riportata in findo ala pagina, e recita come segue:

 

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Devo aggiungere ai miei precedenti interventi qualche ulteriore osservazione. Premetto che la materia è complessa, posto in poco più di un decennio circa il legislatore ha prodotto in sequenza diverse norme di legge: è, allora, opportuno fare riferimento alla giurisprudenza della Corte Costituzionale che, nel 2003, ha emanato due importanti sentenze (29 settembre 2003, n. 300 e 301).

Con le citate sentenze, la Corte ha affermato che, per effetto della sequenza legislativa menzionata, gli originari enti conferenti non sono più enti pubblici ma persone giuridiche di diritto privato, senza fine di lucro, dotate di piena autonomia statutaria e gestionale, ancorché perseguano esclusivamente scopi di utilità sociale e di promozione dello sviluppo economico. Di conseguenza, la Corte ha dichiarato costituzionalmente illegittime alcune disposizioni della legge finanziaria 28.12.2001, n. 448, che:

- avevano attribuito all'autorità di vigilanza il potere di modificare con proprio regolamento l'individuazione dei settori nei quali le "fondazioni bancarie" possono operare;

- avevano attribuito "una prevalente e qualificata rappresentanza" agli enti locali (comuni, province, città metropolitane e regioni) senza comprendervi "quelle diverse realtà locali, pubbliche e private, radicate sul territorio ed espressive, per tradizione storica, anche connessa all'origine delle sinfgole fondazioni, di interessi  meritevoli di essere rappresentati nell'organo di indirizzo";

- avevano attribuito all'autorità di vigilanza il potere di indirizzo sull'attività delle fondazioni.   

E' stato scritto che tali disposizioni, e le relative norme regolamentari, presentavano "un chiaro passo indietri nel processo di privatizzazione", inteso a  permettere al legislatore di "riappropriarsi di funzioni prescrittive nei confronti di soggetti sottoposti al regime civilistico (...) e restituiti all'autonomia privata". La Corte ha così manifestato "una linea di sfavore nei confronti delle forme di direzione pubblica delle fondazioni di origine bancaria", che peraltro non esclude forme di regolazione che mirino soprettutto alla trasparenza della loro attività ed alla parità di trattamento tra i possibili beneficiari di essa  (G. Napolitano, Le fondazioni di origine bancaria nell'ordinamento civile: alla ricerca del corretto equilibrio tra disciplina pubblica e autonomia privata, in Corriere Giuridico, 2003, p. 1576 ss.). 

A me pare che tali precedenti rendano piuttosto improbabile un provvedimento legislativo che tratti le fondazioni come enti appartenenti all'amministrazione pubblica e, come tali, soggetti a provvedimenti unilaterali di scioglimento per destinare al bilancio pubblico i loro patrimoni. Quanto a forme di tassazione che riguardino solo tali enti, vi si oppone l'art. 3 della Costituzione.

A mo' di conclusione ironica: le disposizioni dichiarate incostituzionali erano contenute nella prima finanziaria del governo Berlusconi nella legislatura 2001/2006. C'è qualche punto di contatto tra la politica di Tremonti e quella di Sandro Brusco, o no?

OK, mi pare però (correggimi se sbaglio) che in queste sentenze la Corte abbia bilanciato l'interesse generale ad avere degli Enti di tipo privatistico con l'interesse del potere politico a controllarli.

Non credo che possa esistere una sentenza che dice che in assoluto un Ente non si può cancellare. Ci potrebbero essere sentenze positive o negative se alcune scelte legislative, regolamentari o referendarie, bilanciano in modo giusto o meno degli interessi meritevoli di tutela.

La proposta-Brusco divenuta legge potrebbe non andare bene se la Corte rilevasse che si soddisfa in modo ingiusto solo un certo tipo di interessi.

Ma ci sarà pure un modo per soddisafare giustamente gli interessi e non tenersi qualsiasi Ente.

Se no, visto che le Province svolgono istituzionalmente attività per interessi meritevoli di tutela dovremmo dire che non aboliremo mai le Province.

C'è qualcosa che mi sfugge nel ragionamento?

Dal sito linkato parrebbe proprio un problema di equilibri finanziari ... ma non è detto che Dagospia sia un analista esperto in materia. 

In realtà è un articolo del fatto quotidiano cartaceo di ieri a firma Vittorio Malagutti . Sarà esperto ?

 

che delusuione

il professore non solo non le tassa ma le salva

09:05 02/12/2011
Fondazioni: alla Cdp il ruolo di garante finale (Il Sole 24 Ore)
Milano, 02 dic - La Cassa depositi e prestiti (Cdp) si prepara a scendere in campo come ultima garanzia delle Fondazioni di origine bancaria. Lo afferma 'Il Sole 24 Ore', precisando che "il provvedimento e' allo studio del Governo Monti, che potrebbe inserirlo gia' nella manovra all'ordine del giorno del consiglio dei ministri di lunedi' prossimo". Gli azionisti stabili delle banche italiane, spiega il quotidiano, soffrono perche' sui bilanci delle aziende di credito pesano i titoli di Stato, che l'Autorita' europea del settore (Eba) chiede vengano contabilizzati a valore di mercato, costringendo il sistema a una nuova ondata di ricapitalizzazioni nell'ordine di 14,7 miliardi (la cifra e' provvisoria). Con Cdp garante di ultima istanza, afferma il quotidiano, lo Stato "compenserebbe in parte il sacrificio delle Fondazioni, rendendo il loro percorso meno rischioso". Per Siena, dove la Fondazione Mps e' alle prese con una complessa gestione del debito, osserva il giornale, "lo scudo di Cdp rappresenterebbe al seconda boccata di ossigeno nel giro di pochi giorni". Red-pal 02-12-11 09:05:00 (0057) 5

 

 

Per fortuna che il governo Monti è guardato a vista dal PD, che difenderà con forza e determinazione gli interessi del proletariato. Aspetta, era ''proletariato'' o ''boiardi del Monte dei Paschi''? Non mi ricordo più bene ...

se i bookies avessero quotato questa mossa sarei ricco talmente era scontata. fa specie che la prenda uno come monti.

aspettiamo lunedi, ma se queste sono le premesse...