La questione di Mirafiori (e di Pomigliano) aperta dall'AD della Fiat, Sergio Marchionne, sta generando urla sguaiate da tutte le parti. Persone altrimenti ragionevoli come Furio Colombo scrivono:
Nella visione di Marchionne, l’impresa è una cattedrale senza Dio. [...] L’impresa è una tastiera di uomini e cose altrettanto regolate, altrettanto ubbidienti. In questa visione, il sindacalista diventa un kapò [...]
Per non parlare di Luigi De Magistris e Beppe Giulietti, cui l'iperbole deve essere oggettivamente sfuggita di mano. Rispettivamente:
Mirafiori e Pomigliano: benvenuti nell’era del nuovo schiavismo, della riduzione del lavoratore a merce nel mondo della mercificazione globale, dell’emarginazione del sindacato fedele a se stesso, della distruzione dell’unità sindacale e del Contratto nazionale di lavoro, della soppressione della Costituzione, della morte della concertazione, del tramonto del conflitto sociale per mezzo del quale i deboli tentano di ridefinire gli equilibri di forza in loro favore, dello stravolgimento dei rapporti industriali a vantaggio datoriale.
“O si, o si”, questo sarà il quesito referendario che le lavoratrici e i lavoratori della Fiat si troveranno sulla scheda, sarà una innovazione interessante che finalmente ci metterà alla pari con le più avanzate democrazie liberali: dalla Cina alla Corea del nord, passando per la Birmania.
Bum!
Infine, il sociologo Luciano Gallino se la prende con l'Amerika (e con chi altri, se no?):
[...] l'ad Sergio Marchionne pensa evidentemente di importare in Italia non solo le auto, ma anche le relazioni industriali degli Usa. Il motivo è chiaro: legislazione e giurisprudenza statunitensi sulle libertà sindacali sono assai più arretrate che in Europa. [...] Assumendo crumiri al posto di lavoratori in sciopero, ad esempio, oppure esercitando pressioni inaudite sul singolo lavoratore affinchè non segua le indicazioni del sindacato. Il tutto nel rispetto della sottosviluppata legislazione del luogo.
A Gallino deve piacer da matti definire la legislazione amerikana arretrata e sottosviluppata. Contento lui...
Per cercare di capire onestamente cosa sta succedendo, ho trovato utili solo il post di Marco Esposito e quello di Pietro Ichino sulla questione sindacale. Vorrei provare a contribuire con un semplice modellino di economia internazionale. Semplice, semplice. Il modello serve a chiarire (a se stessi e agli altri) quali siano gli elementi importanti della questione e quali non lo siano. Per questo le ipotesi sono eroiche e i risultati estremi.
Il modello. La nostra economia mondiale ha i=1,2,...,N paesi. In ognuno di essi una impresa, che chiameremo col nome del paese, i, produce automobili. Supponiamo che esista un solo tipo di auto, la Pippo. La tecnologia per produrre la Pippo è identica in tutto il mondo: 1 lavoratore e 1 unità di capitale producono A(i) Pippo (evito di avventurarmi con il plurale, che può essere rischioso); dove A(i) è la produttività totale del paese i - una misura di come infrastrutture e istituzioni (porti, aeroporti, strade, scuole, giustizia, …) funzionano nel paese.
Libero commercio di beni e capitali. Ogni impresa produce nel proprio paese e vende in tutto il mondo. Per semplicità, e per avere risultati più chiari, supponiamo che non vi siano costi di trasporto. I capitali sono liberi di muoversi senza vincoli, per cui il rendimento del capitale è uguale in tutto il mondo. Chiamiamo R il rendimento del capitale. Ipotizziamo invece che il lavoro sia locale, cioè che i lavoratori non si muovano tra paesi. Il salario nel paese i è w(i).
Il costo di produrre una Pippo nel paese i è:
c(i)=(R+w(i))/A(i).
Assumiamo, essenzialmente senza perdita di generalità, che i costi per paese siano ordinabili:
c(1)>c(2)>c(3)>......>c(N)
In questa economia, in equilibrio - dopo che il capitale si è spostato dove preferisce spostarsi - l’impresa del paese N produrrà tutte le Pippo del mondo. Il prezzo di vendita è p=c(N-1), ossia il costo del concorrente con il secondo costo più basso (un prezzo più alto farebbe entrare nel mercato anche l'impresa del paese N-1, e l'impresa del paese N non vuole questo).
Investimenti diretti dall'estero. Supponiamo ora che le imprese di un paese siano libere di produrre dove vogliono, in particolare anche in paesi esteri. Il mercato del lavoro è locale come sopra. Le cose non cambiano molto.
In questa economia, tutte le imprese, in equilibrio, producono nel paese N (ossia ''delocalizzano'', nella curiosa parlata corrente). Il prezzo a questo punto risulta essere p=c(N), dato che la concorrenza tra le imprese spinge il prezzo del prodotto al costo marginale. Le Pippo costano meno e i consumatori ci guadagnano. Per quanto riguarda i lavoratori, continueranno a essere occupati nella produzione di auto solo nel paese N. [A volere essere precisi, dato che si fa qualche auto in più (il prezzo di vendita è più basso, quindi se ne vendono di più) ci sarà qualche lavoratore in più nel paese N occupato a far auto].
Fino ad adesso abbiamo tenuto i salari fissi. Se il salario si aggiusta per adattarsi alla produttività totale, in modo che (R+w(i))/A(i) sia uguale in ogni paese, allora avremmo in tutti i paesi lo stesso costo per ogni Pippo prodotta. Al di là dei dettagli, questa non è una ipotesi assurda. Il lavoro in Bangladesh costa meno che in Germania; ma in Bangladesh non c’è nulla che funzioni. Non è ovvio quindi che produrre Pippo in Bangladesh sia conveniente, anche se i salari nel Bangladesh sono enormemente inferiori ai salari tedeschi. E’ per questo che sono la Polonia e la Serbia a concorrere con Mirafiori - perché le infrastrutture e le istituzioni in Serbia e Polonia sono ormai non troppo arretrate rispetto all’Italia, ma il costo del lavoro (al momento) è sostanzialmente minore in quei paesi. Il problema degli operai di Mirafiori è che le Serbie e le Polonie di questo mondo sono sempre di più: Brasile, India, Cina,...
Ma tant'è. Mettiamoci adesso nella posizione del paese i, un paese qualunque che, in equilibrio, non produce auto. Cosa può fare tale paese per far lavorare i propri lavoratori nell'industria dell'auto? D'accordo, nel lungo periodo può migliorare istituzioni, infrastrutture, sistema giudizario e tutto il resto che fa aumentare la produttività, ossia A(i). Ma non è facile e in ogni caso, al momento, stiamo guardando il breve periodo.
Bene, nel breve periodo ci sono essenzialmente tre possibilità:
- Abbassare i salari. Specificamente, abbassare w(i) fino a un livello per cui (R+w(i))/A(i) è uguale a (R+w(N))/A(N).
- Sussidiare l’impresa (l’industria dell’auto), ossia dare all'impresa un sussidio (s) per ogni Pippo prodotta, tale che c(i)-s sia minore o uguale a c(N).
- Concedere potere monopolistico all’impresa nazionale, impedendo alle altre di vendere nel paese i (o imponendo pesanti dazi doganali - che è la stessa cosa).
Stiamo qua ignorando possibili reazioni dei paesi terzi, che possono a loro volta abbassare salari, concedere sussidi e imporre dazi, magari per altre industrie. È per scongiurare tali guerre commerciali che si sono creati organizzazioni come il WTO, ma facciamo finta che questo non sia un problema. Torniamo quindi ai nostri tre casi e ignoriamo le possibili reazioni.
Nel primo caso pagano i lavoratori, dato che l'aumento dell'occupazione nel settore dell'auto avviene a spese dei salari. Nel secondo pagano i contribuenti: i sussidi non possono che essere finanziati attraverso imposizione fiscale. Nel terzo pagano i consumatori, che nel paese i finiscono per pagare le auto più care.
I risultati del modello sono chiari. [Ma forse è il modello a non cogliere aspetti importanti; non credo, ne discuto nell'appendice - qualunque post con un modello ha una appendice.] Non resta che scegliere chi paga. Il resto è nebbia.
In Italia: il costo del lavoro è relativamente alto, in termini di margine sulla produttività (e il lavoro relativamente protetto); l’impresa i (la Fiat) ha tradizionalmente goduto di sussidi e di potere monopolistico a iosa; la produttività totale è bassa, assurdamente bassa. [Importante: il costo del lavoro è alto ma il salario netto che va in tasca ai metalmeccanici è basso a causa della imposizione fiscale - si torna alla questione della produttività totale bassa.]
Io non vedo spazi di manovra - a meno di lavorare a infrastrutture e istituzioni per aumentare A(i), ma chi vogliamo prendere per i fondelli? Tutta la mia simpatia emotiva ai metalmeccanici - che lavorano duro per un salario netto basso. Le condizioni economiche sono contro di loro. Non v'è molto che la Fiom (o il governo) possa fare, senza addossarne il costo ai contribuenti e ai consumatori, che sono ormai alle corde.
Sostenere
Il costo del lavoro più basso dei cinesi ci mette fuori mercato. Quindi la globalizzazione è disumana, l’economia è disumana, la logica del profitto, l’efficienza è disumana: chiudiamo la globalizzazione.
come fa Luciano Gallino (come citato da Piergiorgio Gawronski; non ho trovato l'originale) significa semplicemente rispondere che a pagare devono essere i contribuenti e i consumatori. Oltre ovviamente agli operai cinesi che torneranno a morire di fame; a quanto pare Gallino non pensa che ciò sia disumano.
A meno di andare di fantasia, e vivere nel mondo dei sogni e della magia. Ancora Furio Colombo:
Prezzo e volume di vendita, vi direbbe qualunque tecnico di impresa, sono due fattori che dipendono dalla fabbrica solo in caso di guerra (costo delle materie prime) o di rivoluzione (scioperi a oltranza). [Grassetto nell'originale; ndr]
E poi Piergiorgio Gawronski:
i costi per unità di prodotto sono sempre all’incirca simili nelle diverse aree del mondo [...] Perché? Vi sono vari meccanismi di riequilibrio della competitività! Il più efficace sono i cambi. [Grassetto nell'originale; ndr]
No. La svalutazione è una tassa sui consumatori. Non si scappa.
Non si scappa. Non resta che scegliere chi paga. Il resto è nebbia. O magia.
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Appendice.
Si noti che il modello è il più simile possibile a un modello superfisso. Esiste una sola tecnologia di produzione ed è a coefficienti fissi. I salari sono essenzialmente variabile indipendente nel modello, come da tradizione neo-marxista e post-sraffiana. Questo è per rendere la vita il più difficile possibile a tutti i liberisti anglofili.
L'analisi non cambierebbe molto se lavoro e capitale fossero sostituibili, ossia se si potesse scegliere tra diverse tecnologie a maggiore o minore intensità di capitale. Non cambierebbe molto nemmeno includendo costi di trasporto. Arricchendo il modello con questi elementi si eviterebbe il risultato estremo di concentrazione dell'industria dell'auto in un singolo paese, ma la logica di fondo resterebbe la stessa.
Lo stesso vale se introduciamo differenziazione del prodotto, per cui non si producono solo le Pippo ma anche le Paperino, Topolino (questa l'hanno prodotta sul serio) e le Qui-Quo-Qua. Anche qui non molto cambierebbe, a patto di considerare comunque una industria matura come quella automobilistica dove, per definizione, l'innovazione tecnologica di prodotto e di processo è limitata.
Se i mercati dei capitali non fossero liberi ogni paese avrebbe il suo tasso di rendimento del capitale, R(i). I paesi più inefficienti (o i cui capitalisti sono più esosi), avrebbero R(i) più elevati. In tal caso si può pensare di rendere il paese competitivo riducendo R(i), anziché ridurre w(i). Questo sembra essere quello che molti critici della Fiat hanno in mente, quando dicono per esempio ''l'Italia vi ha dato un sacco di sussidi in passato, adesso non potete andarvene''. Ossia, dovete star qui e accettare un rendimento del capitale inferiore a quello che potete ottenere altrove.
Questa strategia può magari funzionare nel breve periodo, ma richiede restrizioni al movimento dei capitali. Se una tale strategia venisse attuata è lecito attendersi una diminuzione degli investimenti sia domestici sia stranieri. Lascerei stare. Ma se qualcuno ha in mente di ripristinare i controlli sui movimenti di capitale per favore lo dica e chiarisca che si punta all'autarchia, non si limiti agli strali sul nuovo schiavismo.
Mi fermo qui. Sono curioso di considerare qualunque ipotesi che sia ad un tempo ragionevole (non ovviamente in contraddizione con i dati) e che cambi le implicazioni del modello.
Vediamo se ci riesco:
1) R (o R(i)): preferisco ragionare in termini di R(i) perchè mi pare più che mai plausibile (oltre che empiricamente sostenibile) che ci siano imperfezioni sul mercato dei capitali (basti pensare alla semplice differenza tra tassi creditori e debitori). Posta una certa eterogeneità su R, beh allora bisogna considerare anche che le imprese non sono solo "produzione", ma diciamo che hanno un'altra attività (complementare/sostituta?) che è la gestione finanziaria: allora ad esempio il livello di tassazione sulle rendite finanziarie in Italia si sa essere molto basso, al di sotto di qualunque livello di "arbitraggio" rispetto al capitale produttivo. Quanto costerebbe aumentare dal 12.5% ad un livello almeno europeo le rendite finanziarie? Le possibilità:
A questi punti, mi verrebbe solo di aggiungere che non mi pare che le attività finanziarie (specialmente in Italia) siano correlate con le necessità produttive. Le conseguenze: beh almeno si scaricherebbe sulla parte finanziaria dell'impresa parte dei costi "sociali", magari riducendo anche le aliquote fiscali sul lavoro. Uno mi dirà ma metti da una parte e togli dall'altra? Siamo sicuri che sia un gioco a somma zero?
2) w(i): non volendo andare tanto indietro da arrivare ai salari di efficienza, cosa ce ne facciamo delle teorie sull'efficienza individuale che giustifica un salario alto (cosa che tra l'altro non è nemmeno prevista nel caso FIAT)? Mi riferisco a limited attention (uno tiene i problemi a casa perchè è senza un soldo ed è meno concentrato ed efficiente sul lavoro) o ancora a tutta quella parte su salute ed efficienza sul posto di lavoro (mangio poco, male e sono meno produttivo).
3) A(i): è vero che richiede molto tempo per modificarla, ma alcune cose si possono fare anche nel breve. Ricordo un post mi sembra di Giulio Zanella su questo punto.
Infine, breve periodo: ma se avessero iniziato almeno 20 anni fa ad agire su A(i) come staremmo?Quindi l'approccio di breve secondo me non dice molto; continueremmo solo ad imporre una mancanza di prospettiva e politica industriale del nostro paese. Nell'immediato, in Italia non ci sono soldi, ma chissà come mai che quando servono "veramente", poi i soldi stranamente escono.
Differenze in R(i) sono peanuts. Bastasse indebitarsi a Wall Street alla Fiat per risolvere i problemi...E comunque la Fiat e' quotata a WS
Forse hai mente l'esempio dell'ascensorista inutile. Vero, la riorganizzazione della produzione qualcosa puo' fare anche nel breve, ma (1) non ho idea di quali siano gli effetti quantitativi realistici di riorganizzazioni non "rivoluzionarie" (non alla Henry Ford, per dire, e tanto poi queste le possono copiare tutti gli altri) e (2) Marchionne l'ha gia' fatto a Pomigliano e sia le possibilita' sia i margini sembrano davvero bassi.