Provocatorio fin dal titolo, e soprattutto dal sottotitolo che recita:
perché il mercato ha ragione anche quando ha torto
il testo ci presenta il processo di mercato come un genio incompreso, un meccanismo che opera efficacemente dall'alba dei tempi, ma del quale ancora in troppi faticano a comprendere la portata e la valenza, soprattutto con riferimento all'espressione della libertà individuale.
Anche i più duri di comprendonio (per non dire di quelli ideologicamente in mala fede) hanno da tempo accettato l'idea che la presenza di un processo concorrenziale possa offrire i benefici di una maggiore libertà di scelta e di prezzi relativamente più bassi; molto più difficile da far passare è l'idea che questo meccanismo possa funzionare egregiamente senza bisogno di alcun piano prestabilito e men che meno di un manovratore illuminato, ma soprattutto quanto le informazioni che ci mette a disposizione possano incidere sulla nostra libertà.
In questo credo che risieda il maggior valore del testo: nel tratteggiare come e quanto dobbiamo rinunciare alla nostra libertà ogni volta che accettiamo delle interferenze nell'operare delle forze di mercato.
Volendo trovare un punto di debolezza, probabilmente il libro non è sufficientemente leggero per servire efficacemente la platea che si propone di raggiungere. Posto che evidentemente l'intento dell'autore non era quello di parlare a economisti e politologi, ma di rivolgersi al più vasto pubblico possibile, nonostante lo stile scorrevole, gli esempi e i riferimenti sarcastici il testo richiede ancora un certo interesse per l'argomento per essere letto dalla prima all'ultima pagina, perchè in alcuni passaggi e citazioni risulta ancora leggermente pesante.
Cionondimeno, credo che si tratti di una lettura molto utile per sfatare i troppi pregiudizi che ancora circolano contro il mercato e insinuare il dubbio salutare che alcuni di essi siano strumentali all'auto conservazione di una minoranza di individui che beneficiano di privilegi a spese della collettività. In particolare la parte conclusiva si occupa di smontare la vulgata sulla recente crisi finanziaria come "fallimento del mercato" e leggere correttamente il declino del nostro paese come prodotto di un'ipertrofia dello stato e del cosiddetto "primato della politica" senza scontio o illusioni autoassolutorie.
Se questo libro non risulta particolarmente originale al lettore tipico di nfA, che vi troverà rappresentato in modo divulgativo un punto di vista ampiamente condiviso, si tratta di un encomiabile sforzo per contribuire a diffondere presso il grande pubblico una corretta visione del mercato come processo impersonale che trascende gli individui e promuovere una più accurata percezione del costo dello stato in termini di efficienza economica e minore libertà individuale; il regalo ideale da fare alle persone che hanno voglia di schiaristi le idee rispetto alle "favole" che ancora media e politicanti raccontano in abbondanza, senza affrontare grafici paurosi e formule complicate.
In un mondo in cui la maggior parte dei commentatori sembra fare a gara per addossare al fantomatico mercato le colpe dei regolatori inadeguati e le conseguenze delle scelte dei politici; in cui la finanza e le banche (intese come istituzioni) sono considerati come gli untori della peste che affligge l'economia reale, Mingardi come un novello Don Chisciotte, affronta i mulini a vento dei luoghi comuni imperanti armato di buon senso, sarcasmo e della faccia tosta di chi ha il coraggio di dire senza mezzi termini che il re è nudo, anche solo per questo val la pena di raccomandare l'acquisto del libro.