Fra
le tante follie dell'attuale legge elettorale (follie che i referendum
tentavano di cancellare) vi sono le "pluricandidature" e le
"liste bloccate". Pluricandidature vuol dire che una persona può
presentarsi di fatto in ogni collegio; tali prerogativa viene usata da
grandi capi e caciques vari, i cui nomi apriranno le liste
elettorali dei propri partiti/coalizioni praticamente ovunque. Liste
bloccate vuol dire che l'ordine con cui i candidati appaiono nella
lista è anche quello di elezione, perché il voto di preferenza non
esiste. L'elettore può solo porre una crocetta sul partito, e basta.
Chi andrà in parlamento, in proporzione ai voti presi, dipende
dall'ordine d'apparizione nella lista. Ma in cima alla lista ci sono
sempre gli stessi 4 o 5, i quali verranno eletti tre, quattro o cinque
volte. Questi plurieletti, decidendo d'ancorare il proprio seggio a
questo o a quel collegio, decideranno chi andrà in parlamento dagli
altri collegi. Non solo, se in ogni collegio i primi dieci o venti sono
maschietti, anche se ci fossero trenta altre feminucce nella lista, al
parlamento andranno quasi sicuramente solo i maschietti. Insomma,
l'ordine con cui si appare nelle liste conta tantissimo, e le
pluricandidature offrono ai leader nazionali un potere che facciamo
fatica a considerare costituzionale. L'appello di PM propone sia che le donne siano il 50% dei candidati, sia che le liste siano costruite alternando uomo-donna (o donna-uomo) ossia il meccanismo "cerniera", garantendo cosi' che anche il 50% degli eletti sia composto di donne. Di questo discutiamo.
Marina: “Votare ai tempi del Porcellum”.
Votare ai tempi del Porcellum è come amare ai tempi del colera: un
abbraccio mortale. Sono tra quelli che il 13 aprile voterà perché
costretta, dalla mia weltanschaung e dalla mia ragione
democratica. Come tutti sarò espropriata due volte. Questa legge
elettorale ci impedirà ancora una volta di esprimere un governo coeso,
favorendo l’arca di Noè dei partiti e le già note maggioranze
dissonanti fra Camera e Senato. Ci priverà ancora di scegliere chi
veramente vorremmo ci rappresentasse in Parlamento. Decideranno ancora
una volta le segreterie politiche con relativo vulnus alla legalità costituzionale.
In
realtà, anche se le regole della partita sono scorrette, non tutti i
giocatori lo sono. A Veltroni, per esempio, tocca la sua prima
competizione con un sistema che penalizza i corridori solitari. Una
scelta audace che restituisce un’oncia di claritas alla
competizione. Fuor di audacia, al contrario, il PD avrebbe
un’opportunità facile e felice, di quelle pronte subito, da cuocere e
mangiare, di potersi presentare con un’arma efficacissima all’insegna
della coerenza: presentare liste con una precisa alternanza che
rispetti il 50 e 50, di donne e uomini provveduti, come del resto
recita lo statuto che si è dato. Questo il senso del nostro appello,
non perché le donne vogliano le quote, termine che lascerei usare ai bookmakers, ma perché siamo il 52% della popolazione.
E siccome siamo brave persone non vogliamo strafare, ci accontentiamo
della metà! Non lo reclamiamo come diritto speciale ma come principio democratico.
Non siamo, né ci sentiamo, un gruppo speciale da proteggere, né indiani
nella riserva, ma cittadini sottorappresentati in quasi tutti gli
ambiti decisionali.
Ci sembra questa un’opportunità, per il PD,
di rispettare la parola data, a garanzia di coerenza e ottime
intenzioni. Ma con le buone intenzioni che trapelano ad ogni
dichiarazione, diceva il poeta, non si fa buona letteratura. Au contraire,
quando gli ottimi proponimenti o promesse non diventano azioni, non si
fa altro che pestare nel vuoto di una pessima politica. Coltivo la
speranza come virtù democratica e all’interno di questa speranza c’è
spazio per credere che il PD voglia essere pragmatico e realmente
riformatore, senza se e senza ma.
Michele. Le ragioni per cui non condivido la proposta sono sia di principio che relative alla situazione contingente italiana.
Ragioni di principio: creare gruppi con diritti speciali fa male alla libertà
(perché restringe le scelte degli individui), all'eguaglianza
(persone con uguali capacità vengono discriminate) e, alla fin fine, anche ai
gruppi con i diritti speciali (garantendo risultati indipendenti dal
merito elimina gli incentivi per darsi da fare). L'esperienza di "affirmative action" negli USA è lì a ricordarci che tutto questo succede.
Per di più, la scelta di gruppi con
diritti speciali mi sembra basarsi su criteri arbitrari.
Le donne sono sotto-rappresentate in politica? È vero. Sono state
discriminate, e forse lo sono ancora, nelle loro possibilità di accesso
alla politica? Molto probabilmente. Quindi? Quindi, basta pensarci
un attimo e ci si rende conto che non sono solo le donne a trovarsi in
questa incresciosa situazione. Anche gli operai metalmeccanici lo sono,
così come i pastori sardi, le persone d'età inferiore ai 50 anni, i cittadini recentemente immigrati, gli omosessuali, le persone con reddito familiare inferiore
ai 40mila euro ... la stragrande
maggioranza della popolazione italiana è discriminata. Forse che la
discriminazione contro le donne è, storicamente e nel mondo di oggi,
più diffusa e perniciosa di quella contro i poveri? Sulla base di quale criterio di "democrazia"
ed "uguaglianza" vogliamo che si garantisca il 50% dei posti per le
donne ed il 50% per gli uomini? Perché non proporre che ogni secondo candidato sia una persona con reddito
familiare inferiore ai 40mila euro annui? Alternativamente: se vi
stanno sui calli le persone di basso reddito, suggerisco di prendere in
considerazione le persone con scarsa educazione. In Italia la percentuale di laureati nel totale della popolazione
adulta è attorno al 10%, mentre raggiunge il 60-70% fra i
parlamentari. Questo segnala una forte discriminazione a favore dei laureati. Perché non chiedere, dunque, che le
liste elettorali alternino una persona con laurea a una senza laurea?
Parlo sul serio: se l'eguaglianza è questa cosa strana che si impone
facendo le quote, allora certamente la discriminazione verso i poveri e
gli ignoranti è almeno tanto grave quanto quella contro le donne. C'è poi sempre quella contro i brutti, ma lì finiamo sul soggettivo ...
Ragioni relative alla situazione italiana: le
donne sono il 51% e non si nascondono (i
poveri e gli ignoranti invece tendono a farlo, gli omosessuali pure),
sono incazzate e a VW piace scimmiottare
quelli a cui lui vorrebbe assomigliare, fra i quali c'è da sempre
Zapatero. Le donne vogliono i posti, e li avranno; magari non il
50%, ma qualche percentuale vicina. Nell'appello di PariMerito questo obiettivo viene associato all'altro, a mio avviso più desiderabile, di cambiare
la composizione della classe politica italiana.
Io
credo che le liste cerniera favoriscano il
mantenimento al potere della casta. Per una
ragione banale, anzi due. La prima è che molti sono i chiamati (in
lista), e pochi gli eletti (al parlamento). La seconda è la
pluricandidatura: questa opzione viene usata, in ogni
partito, da una decina circa di capi-casta. Ora pensate a quale sarà il
risultato dell'interazione fra questi fatti e la necessità d'inserire
in lista un 50% circa di donne.
Anzitutto spariranno dalle liste
un numero sostanziale di "maschi deboli". Di sicuro non saranno i D'Alema ed i Rutelli, ma
nemmeno gli Amendola o i Bianco, a essere invitati a non più candidarsi
o a candidarsi al 27esimo posto della lista per fare spazio a delle
nuove e senz'altro valide signore. No, a volare saranno gli stracci.
Non solo, le Bindi, le Binetti e le Melandri, o le Russo-Jervolino di
ritorno, appariranno in cima alle liste in parecchie circoscrizioni,
come fecero l'ultima volta i Prodi ed i D'Alema. Dopo i primi sei o sette nomi, paracadutati dalla
direzione nazionale, appariranno uomini e donne locali propriamente
alternati. Se a voi questo sembra un passo avanti, fatelo pure. A me
sembra un passo indietro.
Per imparare quali sono i
risultati veri delle liste cerniera basta guardare all'esperienza
spagnola. L'effetto si è già visto alle elezioni
locali: in molte piccole città e regioni si è finito per candidare delle
persone che francamente poca conoscenza della materia avevano. L'effetto peggiore, sino ad ora, è dovuto comunque all'idea di
replicare la stessa regola nei consigli d'amministrazione delle aziende
quotate in borsa. Il risultato è stato osceno: una nuova casta di
super-privilegiate-istantanee accanto a quella dei privilegiati di sempre. Le grandi società
quotate han cercato consigliere nelle università, e le han cercate in fretta e furia. Qui han trovato due
dozzine di colleghe più o meno note, ognuna delle quali siede ora nel consiglio d'amministrazione di svariate grandi imprese senza sapere assolutamente niente
di cosa succeda nella grande impresa in questione, per la semplice ragione
che non se ne erano mai occupate. Risultato: un piccolissimo gruppo di privilegiate ha visto il
proprio reddito moltiplicarsi miracolosamente per dieci o venti. Second best can be first worst.
Solo critiche distruttive? Assolutamente no, ed ecco una proposta concreta.
A me pare che il problema non sia quello di fare le quote per questo o
quest'altro gruppo particolare e discriminato. La mia opinione è che la
selezione del personale politico, nel PD come in qualsiasi altro
partito, dovrebbe essere di natura meritocratica ed avvenire attraverso
dei meccanismi di selezione non dissimili da quelli delle elezioni
primarie. Insomma, la selezione dovrebbero farla i cittadini elettori,
sulla base di candidature personali all'interno di un partito e di una
piattaforma, candidature aperte a chiunque si voglia presentare e
soddisfi dei requisiti minimi. Questa mi sembra la cosa da suggerire,
sia nel PD che altrove. Mi rendo perfettamente conto che, vista la
vicinanza della scadenza elettorale, un meccanismo di questo tipo possa
essere, in questo caso, solo simbolico. Ma la proposta si può avanzare,
ed i suoi dettagli si possono elaborare per la prossima occasione. Può
essere che alle elezioni generali si ritorni solo nel 2013, ma quelle
locali e regionali non sono molto lontane.
Sandro: Io sono a
favore e ho firmato l'appello. Avevo qualche dubbio che derivava non
dal contenuto dell'appello stesso ma dal fatto che fosse indirizzato
solo al PD. Non so ancora se e come voterò alle prossime elezioni,
quindi non posso considerarmi un elettore bona fide del PD e
non so se ha senso per me chiedere al PD alcunché, ma dato che se
dovessi votare lo prenderei in considerazione ho rotto gli indugi e ho
firmato l'appello.
Veniamo ora al merito. Io sono
decisamente e fortemente contrario a leggi o provvedimenti di natura
coercitiva che costringano i partiti, le liste elettorali, le imprese o
i comitati parrocchiali ad avere una percentuale fissa di
rappresentanza di un sesso o dell'altro, alla spagnola per intenderci.
I partiti, le imprese, le parrocchie o i blog di professori balenghi
sono organizzazioni private costruite su base volontaria; per usare una
terminologia alla moda, sono espressioni della società civile. Come
tali devono essere liberi di determinare autonomamente come vengono
diretti e come sono composti. Lo Stato, da tutto questo, deve stare
assolutamente fuori, mi pare un elementare principio liberale e
libertario. Dirò di più. Una volta riconosciuto allo Stato il diritto
di interferire e regolare minuziosamente la vita interna delle
associazioni volontarie i rischi che si corrono sono enormi. Molto
semplicemente, lo Stato in queste cose non ci deve mettere il naso,
punto.
Date le considerazioni espresse
nel paragrafo precedente, non avrei sicuramente firmato l'appello se
avesse chiesto interventi legislativi a favore della pari
rappresentanza. L'appello però non fa questo. È invece una richiesta da
parte degli elettori del PD al proprio partito affinché volontariamente
e senza alcuna coercizione statale venga fatto uno sforzo per
promuovere la rappresentanza femminile. Come tale, mi pare
assolutamente legittimo, come mi pare in generale legittimo che una
organizzazione volontaria, sia essa un partito, un'impresa o una bocciofila, decida autonomamente di promuovere la pari
rappresentaza dei generi tra i propri organismi dirigenti. Questo però
solleva un altro punto di merito che deve essere discusso, ossia: è
giusto porsi come obiettivo l'aumento della rappresentanza femminile?
L'argomento non è ozioso e la
risposta non è scontata. I miei blogfratelli argomentano che il
criterio giusto per scegliere un candidato (o un professore, o uno
spazzino o qualunque altra figura professionale) è e deve essere
esclusivamente il merito. Considerazioni di sesso, razza, religione,
colore dei capelli, lunghezza delle unghie dei piedi o quant'altro sono
totalmente irrilevanti e devono essere trattate come tali. È un punto
di vista per il quale ovviamente ho simpatia, ed è chiaro che in un
mondo ideale questo è ciò che si dovrebbe fare. In un mondo ideale non
ci sarebbe bisogno di alcun appello perché i partiti sceglierebbero
comunque i migliori candidati indipendentemente da sesso, razza,
religione. Ma in questo mondo ideale non ci siamo, quindi mi pare
giusto chiedersi quali sono gli effetti pratici di una richiesta di pari rappresentanza nelle liste elettorali, del PD o di qualunque altro partito.
A mio avviso se venisse attuata la pari rappresentanza gli effetti sarebbero positivi, per due motivi. Il primo motivo è che, data
l'attuale legge elettorale, non vale l'argomento "se gli elettori
vogliono le donne allora che votino per le donne". Chi verrà eletto
nelle prossime elezioni dipenderà unicamente dalla posizione nella
lista, e tale posizione verrà determinata da ristretti vertici di capi
di partito. Tali vertici, il vero nucleo centrale della casta, sono in
buona misura non solo maschili ma anche maschilisti. Tendono a bloccare
il rinnovamento e il ricambio, riproducendosi invece per cooptazione.
In buona misura il politico italiano oggi è un maschio che ha iniziato
giovane l'attività politica e che ha fatto una lunghissima anticamera
(questo è stato per esempio il percorso sia di Veltroni sia di Fini,
peraltro entrambi tra i più fortunati in termini di rapidità di
carriera). Non ha alternative professionali alla carriera politica e
quindi vi si abbarbica come una mignatta. Quando sceglie i propri
successori tende a scegliere persone uguali a lui. Dove ci ha portato
questa classe politica è ormai evidente a tutti, come a tutti è
evidente la necessità di un suo profondo rinnovamento. E quando parlo
di rinnovamento non intendo che i politici attuali devono mettersi a
dire e fare cose nuove. Intendo che se ne devono andare e lasciar posto
ad altri. Non voglio più che il parlamento sia la colonia di mediocri
maschi ultracinquantenni che è stata per le ultime legislature.
Perdonatemi, ma non ci credo proprio che lasciati a se stessi questi
signori scelgano in base al merito. Perfino una selezione per
estrazione casuale farebbe meglio. Ma ovviamente si può fare di meglio,
e non vedo niente di strano o di male che io, come elettore, faccia
presente ai capipartito che preferisco liste bilanciate, anziché la
solita caterva di maschi vecchi, arroganti e rincoglioniti.
Il secondo motivo è che io ritengo
che la discriminazione di genere sia un grosso problema nella società
italiana e ho molto più fiducia, ceteris paribus, che questo problema
venga affrontato in modo deciso ed efficace da una donna piuttosto che
da un uomo, per quanto tale uomo possa essere illuminato. Molto
semplicemente, quando la faccenda è personale la prendi più seriamente
e ti impegni di più. Come rimuovere le cause e le conseguenze della
discriminazione è questione complicata e delicata; ho reso chiaro che
non sono d'accordo con provvedimenti coercitivi alla spagnola e mi fa
un po' di paura la noncuranza con cui anche da parte di persone ben
intenzionate si invocano tali provvedimenti. Ma il problema esiste, e
la prima condizione per affrontarlo e risolverlo è che si voglia farlo.
Credo che questa volontà sia più facile trovarla tra le donne che tra
gli uomini.
In ogni caso, che si sia d'accordo o meno con la
pari rappresentanza, questa è la linea adottata dal PD ed è giusto come
minimo chiedere coerenza a tale partito. Il terzo capoverso dell'art. 1
dello statuto del partito afferma:
Il
Partito Democratico si impegna a rimuovere gli ostacoli che si
frappongono alla piena partecipazione politica delle donne. Assicura, a
tutti i livelli, la presenza paritaria di donne e di uomini nei suoi organismi dirigenti ed
esecutivi, pena la loro invalidazione da parte degli organismi di
garanzia. Favorisce la parità fra i generi nelle candidature per le
assemblee elettive e persegue l’obiettivo del raggiungimento della
parità fra uomini e donne anche per le cariche monocratiche
istituzionali e interne.
Anche se la terminologia è un po' ambigua (quel "favorisce la parità fra i generi nelle candidature" non è proprio lo stesso che "assicura
la parità fra i generi"; le assicurazioni si danno solo per i posti nel
partito, per i seggi in parlamento si favorisce e basta) non vedo
proprio come il PD possa rifiutare la richiesta dell'appello senza
violare alla prima occasione seria lo statuto che ha appena approvato.
Di nuovo, lo statuto è stato approvato in piena autonomia e senza
costrizioni legislative, come è giusto che sia. Tanti, me compreso,
hanno parecchi dubbi che i vertici del PD intendano veramente mantenere
tutte le promesse di rinnovamento che fanno. Se iniziano rifiutando
addirittura di applicare una norma dello statuto marchiamo molto ma
molto male.
Chiudo il mio intervento rispondendo a due obiezioni. Primo, che senso ha chiedere la
pari rappresentanza se poi al posto di una banda di uomini corrotti e
incompetenti ci troviamo con una banda di uomini e donne
corrotti e incompetenti? L'obiezione è purtroppo sensata, il rischio
c'è. Data la qualità della classe politica attuale e il fatto che
comunque le donne da mettere in lista verranno scelte dalla casta, è
perfettamente possibile che la rappresentanza femminile finisca per
essere di qualità non superiore a quella maschile (si veda ad esempio l'amica Giovanna "dancing in Kenia" Melandri). Credo però che sia
un rischio che valga la pena correre. Primo, il peggio che ci può
succedere è di non migliorare; un peggioramento mi sembra improbabile e
quasi impossibile. Secondo, qualche possibilità che l'afflusso di facce
nuove, che necessariamente verrebbe implicato da un aumento della
rappresentanza femminile, provochi un qualche miglioramento della
qualità esiste. I politici sanno che il paese è nauseato. Di per sé
questo non li convince ad andarsene, ma se una richiesta di pari
rappresentanza forza un mutamento del personale politico perché non
scegliere figure decenti? Si tratta magari di una possibilità remota,
ma ripeto che in ogni caso non mi pare abbiamo nulla da perdere.
Secondo, perché invocare la pari
rappresentanza solo per le donne e non per altre categorie
sottorappresentate? Per due ragioni. La prima è che la discriminazione
di genere è quantitativamente e storicamente la più importante nella
nostra società. Norme culturali e norme legislative (oggi per fortuna
eliminate; si pensi all'esclusione dal voto) hanno contribuito per
lunghissimo tempo a tale discriminazione ed è urgente metter mano al
problema. La seconda è che non è chiaro che altre categorie
sotto-rappresentate lo siano perché sono discriminate, mentre a mio
avviso questo è chiaro per le donne. Se, come suggerisce Michele, gli
scienziati con pubblicazioni in riviste internazionali o i dirigenti
d'azienda sono sottorappresentati questo può essere semplicemente
dovuto al fatto che a tali persone non interessa candidarsi e perder
tempo a discutere con iracondi dementi del calibro di Pecoraro Scanio o
Calderoli. Non vedo come dar loro torto. Il discorso è più delicato per
i nuovi italiani, che a mio avviso subiscono effettivamente
discriminazione. Il problema a un certo punto andrà affrontato, ma dato
che il fenomeno è momentaneamente di dimensioni quantitative inferiori
mi pare sensato iniziare dalla discriminazione femminile.
Alberto: Come le promotrici dell'appello io credo che che
i meccanismi di selezione della classe politica dirigente in Italia
siano pessimi. Da tali meccanismi, essenzialmente di cooptazione,
risulta una pessima classe politica, pessima in molti aspetti:
corrotta, ignorante, di scarse capacità intellettuali. Ma questa
classe politica non è solo corrotta, ignorante, di scarse capacità intellettuali, è anche sbilanciata rispetto al paese che essa vuole rappresentare in varie dimensioni importanti. Come le promotrici dell'appello io credo che il
genere sia forse la più importante di queste dimensioni. La
cooptazione non favorisce il cambiamento e il rinnovamento e quindi in
particolare non favorisce l'accesso delle donne alla politica, ingresso
peraltro da tempo limitato da forme di discriminazione implicita o
esplicita. La legge elettorale Porcellum certo non aiuta: non
permettendo agli elettori voti di preferenza, limita i costi
elettorale di liste non rappresentative delle preferenze dei propri
elettori. Come le promotrici dell'appello
io credo che, ceteris paribus, più donne farebbero bene al sistema
politico in Italia. Mi spiego con un po' di pedanteria. Il ceteris
paribus qualifica l'asserzione in modo fondamentale, ma non la rende
vuota: dati due politici identici, ma uno donna e l'altro uomo,
preferisco la donna in lista. Questo di per sé è assurdo: se sono
davvero identici, la differenza di genere non dovrebbe avere alcun
effetto. Quello che intendo è che se se le caratteristiche osservabili
dei due politici sono identiche, preferisco la donna i) perché
l'essere donna segnala in media caratteristiche non osservabili
migliori (ad esempio perché la donna deve avere superato più ostacoli
a parità di risultati), ii) perché la diversità della rappresentanza
politica, nel genere come in altre caratteristiche, è un bene in sé.
Ma allora perché non firmo l'appello?
Non lo firmo perché avendo identificato nel meccanismo di cooptazione
e nella legge elettorale la ragione della scarsa qualità della classe
politica, è con il meccanismo di cooptazione e con la legge elettorale
che me la voglio prendere. Non con i suoi effetti. Non voglio
confondere causa ed effetto. Richiedere l'alternanza uomo/donna nelle
liste, come nell'appello, trasforma un semplice effetto negativo, uno
dei tanti aggiungerei, in obiettivo principale. Questa classe politica è sì fatta di uomini, ma è anche corrotta,
ignorante, di scarse capacità intellettuali (e la correlazione non è
necessariamente causa). Non è un obiettivo in se avere una
rappresentanza per classe demografica nelle liste elettorali. Non
richiediamo rappresentanza per reddito, per colore degli occhi o altro.
Obiettivo in sé è avere un sistema di selezione dei candidati che
risponda delle preferenze degli elettori, che non li tenga ostaggio
dell'ideologia
(o-voti-chi-è-stato-scelto-da-Veltroni-o-ti-becchi-un'altra-volta-Berlusconi).
Ma le preferenze degli elettori
del PD, si argomenterà, molto probabilmente sono per avere molte più donne in lista. Nessuno li ascolta però gli elettori, a causa del
sistema elettorale con cui ci troviamo a votare e più in generale a
causa del meccanismo di selezione della classe politica che funziona
indisturbato dal dopoguerra. Ancora una volta, non confondiamo causa ed
effetto. È con la legge elettorale e con la cooptazione generalizzata
in politica che ce la dovremmo prendere. Il PD ha avuto la possibilità
di dare un segnale di rinnovamento al momento della propria
costituzione. Ma ha scelto la forma invece della sostanza: ha scelto il
segretario con delle primarie false e ha cooptato il gruppo dirigente
senza nessun meccanismo di scelta palese e/o democratico. In qusto
contesto, non me ne vogliano le propotrici dell'appello, richieste tipo
50% donne, 40% sotto i quarant'anni, suonano come contrattazione
politica più che come posizioni di principio. Questo secondo me era
proprio il caso della richiesta degli under-quaranta. (Li abbiamo già un po' sbertucciati i giovani del PD, non continuerò qui). Nulla di male nella contrattazione
politica, ma è bene distinguerla dai principi. Io credo che la classe
politica sia troppo vecchia. Ma lo è per le stesse ragioni per cui è
troppo composta da uomini. Io credo anche che
un paese serio non possa avere un ministro degli esteri senza una
qualche forma di educazione universitaria. Ma non chiedo che
l'educazione universitaria e/o l'età anagrafica siano considerate
esplicitamente e direttamente come un vantaggio nella carriera politica. È che il sistema di selezione delle liste non è sufficientemente
democratico, che la legge Porcellum è una porcata, non che non ci
siano abbastanza donne o giovani o intellettuali in lista. Chiedo solo
che i meccanismi di selezione siano più democratici e che si voti
almeno con un sistema che garantisca le preferenze individuali per i
candidati, che renda i candidati responsabili davanti agli eletttori. E
poi, da bravo economista, credo che il mercato (ops, il sistema
politico democratico) risolverà per magia tutti i problemi di
rappresentanza.
La classica obiezione al mio
ragionamento è che, per quanto corretto, il ragionamento è puramente
"teorico" (la stessa obiezione è spesso posta in senso inverso, cioé
che il ragionamento non è "pratico") e quindi porta per sé
all'inazione: se stiamo qui a farci le pippe sul sistema di selezione
dei candidati, il sistema elettorale, e la Costituzione, non
combineremo mai nulla e in particolare andremo alle elezioni ancora una
volta con non più del 20% di donne in lista. Questa è una obiezione
seria. Anche Sandro su queste righe ne rieccheggia i motivi e i toni.
Proverò a rispondere direttamente.
1) Ma senza cambiare il meccanismo
di selezione dei candidati le ragioni per avere donne in lista
diventano minime. Se l'appello avesse l'effetto desiderato genererebbe
sì il 50% di candidati donna, ma le donne in lista sarebbero scelte
per cooptazione (si noti ad esempio che l'appello è indirizzato a
Veltroni, ovviamente, perché in lui sta essenzialmente il potere di
accettarlo o meno). Ma donne scelte per cooptazione sarebbero scelte
così da assomigliare il più possibile agli uomini di cui
prenderebbero il posto. E l'argomento che ho fatto sopra, che essere
donna in lista segnala caratteristiche non direttamente osservabili che
in principio farebbero preferire le donne, ceteris paribus, bèh,
l'argomento va quasi completamente a farsi benedire. Guardate a destra:
il capo ama i signorsì come Bondi, e quando li sostituisce con le
donne finisce per lanciare alla ribalta la Brambilla, che fa le fusa al
capo. Onestamente, tra Bondi e la Brambilla..... E lo stesso per
l'argomento diversità. La diversità non è apprezzata dalla classe
dirigente politica, se lo fosse avremmo già più donne in parlamento;
ma allora, mantenendo cooptazione, si avranno donne il meno diverse
possibile, donne il più uomini possibile.
2) Più in generale, con un po' di
arroganza, io faccio l'economista, e lo faccio in università. Se
prendo posizioni, prendo posizioni intellettuali. È una malattia
professionale di tutti noi. Qui a nFA anche quando ci dichiariamo interisti,
diamo alla cosa una valenza intellettuale e talvolta addirittura
morale. Siamo fatti così. Di conseguenza, e a maggior ragione quando
affronto questioni di policy sulle quali come economista ho qualcosa da
dire, beh da economista e non da politico le affronto. Dirò di più.
Con una notevole dose di retorica (ma non lo so dire in modo diverso)
io credo che, da economista, sia mio dovere argomentare "teoricamente"
riguardo a questioni di policysulle quali come economista ho qualcosa da dire, ad esempio riguardo alle
proprietà del sistema di selezione della classe politica dirigente
italiana, così come riguardo al sistema elettorale. Soprattutto credo
sia profondamente sbagliato da parte di un economista prendere una
posizione che costituisca "il meno peggio" in base al fatto che il
"meglio" non è praticamente raggiungibile nella situazione politica attuale.
Insomma, il vincolo della situazione politica attuale, il vincolo
politico, non è un vincolo che da economista ed intellettuale io debba
internalizzare. Internalizzare questi vincoli porta lontano, e non
nella direzione giusta: internalizzare questi vincoli significa ad
esempio che da uomo di sinistra limito le mie prese di posizione contro
l'inefficienza del settore pubblico perché nulla è possibile fare in
quel contesto contro il parere dei sindacati; internalizzare questi vincoli significa ad esempio che da
uomo di destra limito le mie prese di posizione a favore della
liberalizzazione delle professioni perché nulla è possibile fare
contro la lobby dei notai e degli avvocati; e così via.... Voglio
dire che una volta che si sia accettato il principio che per evitare
l'inazione, in favore della pragmaticità, sia lecito a un
intellettuale internalizzare i vincoli politici nelle sue prese di
posizione pubbliche, allora quali vincoli siano internalizzati e quali
non lo siano diventa una scelta politica che squalifica completamente
il giudizio dell'intellettuale in quanto tale. Questo non significa
che un intellettuale, un economista in particolare, non possa con
professionalità ed intelligenza porsi la questione di quale sia il
modo migliore di raggiungere un obiettivo desiderabile, come ad esempio
la rappresentanza delle donne in politica, sotto il vincolo di una
particolare configurazione politica, di una particolare legge
elettorale, o di un particolare meccanismo di selezione dei candidati,
ad esempio, oggi nel PD. Ma qualora lo faccia, non prende una posizione
da economista, fa consulenza!
Paola: Cari ragazzi,
innanzitutto grazie per la vostra ospitalità, ma vi prego, cambiate il
nome della discussione [la richiesta è stata accolta, la parola "quota" è stata eliminata dal titolo, NdR]. Il termine quote fa orrore, noi chiediamo parità,
che è ben altra cosa, vale allo stesso modo per entrambi i generi e non
ne discrimina uno in particolare. Noi non vogliamo delle quote,
vogliamo la fine del monopolio maschile. Faccio un complimento
particolare a Sandro che dimostra una grande apertura di pensiero e una
conoscenza della politica italiana e del “modus operandi” dei partiti
nostrani, molto raffinate. Non ripeterò ciò che lui ha già chiarito in
modo, per me, del tutto condivisibile, per non annoiare i lettori, ma
farò qualche piccola riflessione a voce alta.
Vorrei precisare
che condivido, in linea di principio, il disgusto che provano Michele e
Alberto per le quote. Anche a me fanno schifo, ma mi fa più schifo la
discriminazione continua e strisciante che devono subire milioni di
donne, solo perché sono donne, al di là del merito e del valore. Dai
vostri discorsi si vede che non siete donne e che non vivete in Italia,
si sente che non avete mai provato sulla vostra pelle la
discriminazione e l’esclusione riservate al vostro genere di
appartenenza. Se foste nati donne, in Italia, vi assicuro che sareste
stati esclusi dai vertici, in barba ai vostri meriti e al vostro
cervello sopraffino. Qui se arrivi alla soglia dei consigli di
amministrazione, all'apice dei partiti, delle università, delle banche
e degli enti statali, semplicemente non vieni neanche presa in
considerazione se non “porti i pantaloni” e non hai fatto rete, per
almeno venti anni, con i vari potenti di turno (peraltro sempre gli
stessi che girano…). In un mondo perfetto converrei con voi
sull’inutilità delle quote e sulla loro “incostituzionalità”, ma qui
siamo in Italia e qui del merito se ne fregano alla grande. Perché non
fate una semplice prova: mandate i vostri super CV in giro per chiedere
posti di prestigio, ma fate finta di essere donne e magari di avere
anche due figli… vi faccio i miei auguri!
E’ lodevole che voi
pensiate anche a tutte le altre minoranze esistenti, neri, gay, e chi
più ne ha più ne metta, ma ora vi prego di pensare a come risolvere il
nostro problema, agli altri ci penseremo dopo, non ha senso non aiutare
nessuno perché non si possono aiutare tutti. Siate pragmatici, vi
prego! Inoltre la nostra minoranza racchiude in sé moltissime altre
minoranze: puoi essere donna e lesbica, puoi essere donna e nera, puoi
essere donna e giovane…. Ogni volta ce la prendiamo in quel posto due o
tre volte, questo vi sembra giusto? Per quanto riguarda l’obiezione di
Alberto sul suo essere intellettuale e non potersi piegare alle ragioni
del pragmatismo, posso capirlo, ma allora gli consiglio di chiudersi in
una torre d’avorio e di non occuparsi di politica. Non è questo il
posto per fare le anime belle e per fare mille distinguo, perché anche
non prendere delle decisioni significa schierarsi da una parte.
Convengo con lui che, quando sono i vertici maschili a scegliere le
donne da candidare, molto spesso le scelgono “addomesticate” e non
disponibili a traghettare altre donne ai vertici, dietro di loro.
Servirebbero le primarie, lo sappiamo tutti, ma intanto sblocchiamo il sistema così, poi continueremo a chiedere altre migliorie.
Vi
lamentate che l’Italia di oggi vi fa schifo, che la legge elettorale è
una porcata, che il merito non è riconosciuto…. Bene, condivido in
pieno, ma, per piacere, non siate solo distruttivi, cercate delle
soluzioni efficaci. Perché non ci aiutate ad avere pari dignità? Noi
non chiediamo le quote, come per le riserve indiane, chiediamo la
parità. In un paese con una democrazia evoluta, non dovremmo neanche
chiederlo, perché non ce ne sarebbe bisogno, ma in Italia, se non
facciamo qualcosa, sarà sempre peggio. E’ triste dirlo, ma siamo un
Paese civilmente e culturalmente arretrato.
Sandro ha già fatto presente come la vocazione paritaria sia parte integrante dello statuto del PD. Ebbene, sapete cosa hanno deciso ieri a Roma, in una riunione a porte chiuse di una commissione del PD? Hanno deciso che alle donne fosse riconosciuto il 30% di posti in lista…. e sapete perché?
Perché hanno fatto un po’ di calcoli e hanno visto che con il 50%
sarebbero rimasti a casa troppi potenti da riconfermare, che non
gradirebbero molto la loro esclusione….. Questa è la realtà, del merito
se ne fregano e della parità farebbero volentieri a meno. Volete
aiutarci a stanarli? Volete aiutarci a far loro capire che tutto questo
è disgustoso? Poi se vorrete battervi per tutte le altre minoranze,
fate pure, avrete tutto il nostro appoggio, ma adesso vi chiedo di
focalizzarvi su questo.
Sabato 16 febbraio ci sarà la riunione
dell’Assemblea Nazionale del PD, che voterà se far rispettare o meno la
parità di rappresentanza di genere nelle liste (ovviamente a partire
dai capo lista). Noi chiediamo a Veltroni di avere le palle di imporsi
e di ratificare con i fatti le parole già spese. Blair fece così, anni
fa, e riuscì a svecchiare e a rinnovare il Labour Party….
Per
chiudere, vi prego, non mi stressate anche voi con l’obiezione che
potrebbero andare avanti donne non di valore e non all’altezza.
Lasciate anche a noi il diritto alla stupidità! Ne vediamo già
troppi di deficienti maschi, perché dobbiamo essere sempre tre volte
più brave e lavorare sempre tre volte di più, per riuscire ad essere
accettate? Lasciateci vivere e, se avete un po’ di senso civico e di
comprensione per le umiliazioni che dobbiamo subire ogni giorno,
aiutateci a spezzare questa catena che ci opprime.
Per risolvere
la situazione di grave discriminazione delle donne in Italia, la parità
nelle liste elettorali è solo il primo passo, il cammino è lungo e
tortuoso, ma è dalla politica che hanno origine i cambiamenti più
vistosi e incisivi. Non sottovalutate il peso del riconoscimento
effettivo dei pari diritti alle donne, può essere questa la chiave di volta per il rinnovamento di una società bloccata e scarsamente meritocratica come la nostra.
Pare che le quote rosa non funzionino troppo bene... in particolare, ci sono degli incentivi perversi ad approvare leggi del genere, e molte volte possono generare risultati contrari a quelli attesi.