Il Tribunale di Venezia, con ordinanza del 3 aprile 2009, ha rimesso alla Corte Costituzionale la questione di legittimità costituzionale di vari articoli del codice civile, nella parte in cui non consentono che le persone di orientamento omosessuale possano contrarre matrimonio con persone del proprio sesso, per contrasto con gli artt. 2, 3, 29 e 117, comma 1, della Costituzione stessa.
La vicenda trae origine dalla richiesta, avanzata da due persone dello stesso sesso al Comune di Venezia, di procedere alla pubblicazione di matrimonio, poi negata dall'Ufficiale dello Stato Civile in quanto illegittima. Nella lunga ordinanza il tribunale, dopo avere premesso che nel nostro sistema il matrimonio tra persone omosessuali non è né previsto né vietato espressamente, afferma però che, indiscutibilmente, nel nostro ordinamento il matrimonio è possibile solo tra persone di sesso diverso «a fronte di una consolidata e ultramillenaria nozione di matrimonio come unione di un uomo e una donna» che impedisce anche di interpretare le norme del codice civile e di varie leggi speciali in maniera estensiva, così da consentire, appunto, la celebrazione del matrimonio omosessuale. L'unica possibilità per i giudici veneziani, dunque, è rimettere la questione alla Corte Costituzionale, che, presumibilmente tra un anno, prenderà la sua decisione.
Questi, in estrema sintesi, gli argomenti del tribunale di Venezia:
a) l'art. 2 Cost. riconosce i diritti inviolabili dell'uomo tra cui quello di sposarsi (diritto riconosciuto anche da fonti sovranazionali);
b) la libertà di sposarsi con persone dello stesso sesso non individua alcun pericolo di lesione di interessi pubblici o privati di rilevanza costituzionale;
c) l'art. 3 Cost. vieta ogni discriminazione irragionevole tra i cittadini i quali hanno il diritto di sposarsi con chiunque senza discriminazioni derivanti dal sesso o dalle condizioni personali;
d) esiste una legge (14.4.1982, n. 164) che consente ai transessuali di sposarsi con persone del proprio sesso di nascita, dichiarata conforme alla Costituzione nel 1985 (aggiungiamo che il mutamento di sesso non è causa di scioglimento dell'eventuale matrimonio già celebrato);
e) l'Avvocatura di Stato giustifica la disparità di trattamento sulla base di ragioni etiche, legate alla "tradizione" o alla "natura", che il tribunale - giustamente aggiungiamo noi - giudica pericolose quando si discute di diritti fondamentali;
f) l'art. 29, comma 1 Cost. nell'affermare che la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio, non riconosce il fondamento della famiglia in una sorta di "diritto naturale" ("naturale", come risulta dal dibattito svolto in senso all'Assemblea Costituente, non ha infatti un significato "zoologico" o "animalesco"), ma afferma la preesistenza e l'autonomia della famiglia come comunità originaria e pregiuridica (secondo alcuni parlare di famiglia come società naturale fondata sul matrimonio equivale ad un ossimoro);
g) il divieto non può essere giustificato sulla base di argomenti legati alla capacità procreativa, perchè nessuna norma prevede la capacità di avere figli come condizione per contrarre matrimonio;
h) l'art. 117, comma 1, Cost., obbliga il legislatore al rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario, dagli obblighi internazionali e da varie norme sovranazionali (es. la Carta di Nizza); atti delle istituzioni europee spingono gli stati membri a rimuovere gli ostacoli che si frappongono al matrimonio di coppie omosessuali. Si citano, infine, le legislazioni di vari Stati dell'UE, che in linea con le risoluzioni comunitarie hanno delineato una nozione di relazioni familiari tale da includere le coppie omosessuali (Olanda, Belgio, Spagna, Germania, Svezia, Norvegia Danimarca, Finlandia, Islanda).
Uno degli argomenti tradizionalmente utilizzati per avversare l'introduzione in Italia del matrimonio tra omosessuali è quello del buon costume (unito all'ordine pubblico) e tale argomento, per esempio, è stato utilizzato dal Tribunale di Latina nel 2005, per negare la trascrivibilità nei registri dello stato civile di un matrimonio tra omosessuali celebrato all'estero. Occorrere chiedersi, però, che cosa debba oggi intendersi per buon costume. A quali valori etico-sociali il legislatore intende riferirsi? È possibile parlare di una morale assoluta o il concetto stesso del buon costume è un concetto contingente che va temporalmente e spazialmente circoscritto? Il richiamo al buon costume, per il contenuto etico e per le puntualizzazioni filosofiche cui rinvia, è imbarazzante per il giurista che è costretto a muoversi in sentieri che non gli sono usuali ed il richiamo del diritto al buon costume non deve essere letto come desiderio di educare e moralizzare i propri consociati, sopravvalutando la funzione del divieto. In tale regola, come evidenziato dagli studiosi della materia, non è ravvisabile alcuna finalità educativa: non si tratta di demandare alla legge il perfezionamento morale. La legge, molto più banalmente, si limita soltanto ad impedire che l'immoralità, per svolgersi, si serva degli strumenti giuridici, rifiutando così di prestare la sua assistenza ai negozi che la morale disapprova.
Se così è, però, per negare cittadinanza al matrimonio tra omosessuali bisognerebbe allora avere la coerenza di affermare che è l'omosessualità in quanto tale ad essere immorale e che, di conseguenza, un omosessuale non può avere tutela giuridica per i suoi comportamenti, perchè la legge sarebbe solo un mezzo per tutelare uno status che è appunto immorale. In tutta onestà, però, c'è qualcuno che può legittimamente affermare che la morale comune ed il comune sentire, oggi, disapprovino l'omosessualità in quanto tale? In realtà, a parte l'anedottica personale, i prevalenti comportamenti pubblici e privati degli ultimi anni stanno a dimostrare che l'omosessualità non viene più vista - di per sè - come un comportamento contrario al buon costume o, tanto meno, all'ordine pubblico. Gli esempi sono innumerevoli in tutti i campi e del resto le elezioni di numerosi deputati dichiaratamente omosessuali, per non parlare di Vendola a governatore della Puglia lo dimostrano. Occorre pertanto aggiornare il concetto di buon costume e di conseguenza il diritto, in modo conforme alle nuove realtà che via via stanno emergendo, prendendo a riferimento quel che è il comune sentire, in merito alle unioni sia eterosessuali che omosessuali. Nel nostro Paese come nel resto del mondo.
Del resto, perchè mai due persone di sposano? Non certo per motivi religiosi. Sgomberiamo subito il campo da questo equivoco, dato che il matrimonio, dal punto di vista del diritto (che è l'unico che qui interessa), non ha nulla a che vedere con la religione ed anzi due persone tra loro coniugate solo religiosamente sono, per il nostro ordinamento, due perfetti estranei. Non per garantire l'indissolubilità del rapporto, dato che il divorzio è legale in Italia da quasi quarant'anni e ciascuno di noi può sposarsi più volte nell'arco della propria vita. Non per garantire la moralità o il buon costume o limitare la sessualità, dato che, a parte l'assoluta accettazione sociale dei rapporti sessuali come e quando si vuole tra consenzienti, nessuno si sognerebbe, ad esempio, di far dichiarare la nullità del matrimonio di una coppia regolarmente sposata sorpresa in un locale di scambisti. Non per garantire la procreazione o per dare maggior tutela ai figli. Anche in questo caso, a parte l'assoluta equiparazione di tutela ai figli nati fuori e dentro il matrimonio, nessuno si sogna di impedire di sposarsi a due ottantenni o ad una coppia sterile.
In realtà, a ben vedere ci si sposa perchè due persone legate da un sentimento (probabilmente reciproco) scelgono di vincolarsi a diritti e doveri (altrettanto reciproci) di solidarietà, affetto ed assistenza, accettando che a riempire di contenuto tali diritti e doveri sia la legge alla quale spontaneamente si sottomettono. Se così è, è del tutto irrilevante se il sesso di coloro che scelgono di vincolarsi reciprocamente sia il medesimo o differente. D'altra parte, il fine ultimo del diritto è proprio quello di fornire gli strumenti per regolare efficacemente la vita di relazione e sanzionare i comportamenti che ledono l'equilibrio sociale.
In questa prospettiva, ogni atto di autonomia privata meritevole di tutela giuridica costituisce parte del corretto funzionamento del sistema giuridico medesimo, contribuendo allo sviluppo della società civile che, quindi, da un'estensione agli omosessuali dei diritti matrimoniali non uscirebbe indebolita ma, anzi, rafforzata.
Concretamente, se la corte cost. si pronuncerà positivamente cosa potrebbe succedere?
Quel che è successo ovunque qui negli USA in casi simili: si tenterà di emendare la costituzione.
Provo a rispondere, perchè la materia è molto ostica.
Quando la Corte dichiara incostituzionali certe norme la sorte di esse è legata al tipo di sentenza che verrà emanata.
In altri termini in alcuni casi la Corte dichiara illegittime certe norme puramente e semplicemente, così espungendole dall'ordinamento. Esse in questo caso, ai sensi dell'art. 136, comma 1, Cost., cessano di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione.
Nel caso specifico la sentenza, ove di accoglimento, dovrebbe invece essere (se non sbaglio) di quelle definite "interpretative", nel senso che dichiarano illegittime le norme in quanto non prevedono la loro applicazione a certe fattispecie (nel ns. caso in quanto non prevedono il matrimonio tra omosessuali).
Quindi non occorrere alcun intervento del legislatore. Saranno gli interpreti, a loro volta, a dover re-interpretare tutte le norme che disciplinano fattispecie che presuppongono che il matrimonio avvenga tra eterosessuali (es. le norme in materia di separazione personale, divorzio, successioni etc.). Si tratterebbe, in ogni caso, di una rivoluzione (anche normativa).
E' anche possibile, sempre in teoria, che la Corte affermi ciò che il tribunale ha escluso, cioè che le norme già oggi vanno interpretate in senso estensivo, in virtù del principio, affermato più volte dalla Corte, secondo cui tra due interpretazioni, una contraria e una conforme alla Costituzione, il giudice deve sempre preferire la seconda. In tal caso la Corte formalmente non dichiarerebbe l'incostituzionalità e rinvierebbe la questione di nuovo al giudice veneziano, che dovrebbe a questo punto ordinare al Comune di Venezia di eseguire le pubblicazioni di matrimonio dei ricorrenti.
Tuttavia, poichè, come mi disse una volta un caro amico e collega «non si diventa giudici costituzionali per caso», nulla esclude che la Corte trovi il modo di "non decidere", ad es. dichiarando inammissibile la questione per motivi procedurali.
Sono certo che, nei prossimi giorni, i costituzionalisti si faranno sentire. Ad esempio già il prof. Michele Ainis si è dichiarato favorevole.