L’esperienza qui presentata è quella di un Comune di dimensioni medio-piccole (Ferrara, circa 135 mila abitanti) e inserito in una regione con molte meno disfunzioni della media nazionale. Per cui si può senz’altro dubitare della sua rappresentatività a livello nazionale, così come è difficile immaginare che le politiche qui di seguito raccontate possano essere sic et simpliciter estese ad una dimensione diversa o più ampia. Tuttavia, rimane interessante raccontare questa storia. Che non è certamente l’unica, ma è quella che conosco meglio, essendone una (piccola) parte.
E’ una storia che racconta il modo che l’Amministrazione Comunale – e la maggioranza che la sostiene, formata da un partito che ha la maggioranza assoluta e due liste alleate aventi un consigliere ciascuno – ha scelto per affrontare la gestione della finanza pubblica e delle aziende di proprietà comunale.
Nel 2009, all’inizio del mandato della nuova amministrazione guidata dal Sindaco Tiziano Tagliani, il Comune di Ferrara era il capoluogo più indebitato dell’Emilia Romagna, con uno stock di debito pari a 167,4 milioni di euro. In questi cinque anni è stato ridotto a 118,7 milioni, per una riduzione pari al 29% in termini nominali e superiore al 40% in termini reali. Il beneficio di tale risultato non è solo misurabile in una maggiore equità intergenerazionale, ma anche in un concreto risparmio di spesa corrente. Nel 2008 il servizio del debito (che negli enti locali, a differenza dello Stato, non è solo la quota interessi ma anche il rimborso della quota capitale) pesava sulla spesa corrente per circa 17,9 milioni di euro; quest’anno invece solo per 11,2 milioni di euro, riducendo del 37,1% la parte di spesa corrente destinata a servire e ripagare il debito e liberando cosi' risorse per utilizzi più produttivi. Visto che (come documentato ad esempio su nFA) l’aggiustamento fiscale italiano nel triennio 2010-2013 sul lato della spesa è stato sopportato soprattutto dagli enti locali, solo una parte dei 6,7 milioni di euro risparmiati sul servizio del debito hanno potuto essere reimpiegati in abbattimento della pressione fiscale locale (come vedremo tra un attimo) o in spesa pubblica più produttiva. La maggior parte di questo risparmio è finita in cospicui assegni diretti in Via Venti Settembre a Roma all’indirizzo dei tre ministri delle Finanze succedutisi in questi tre anni.
Ai non esperti di finanza locale non è forse sufficientemente noto che il debito negli enti locali non ha esattamente la stessa dinamica che ha nell’amministrazione centrale dello Stato. In quest’ultima, infatti, l’emissione di passività è consentita anche per il finanziamento della spesa corrente; negli enti locali invece, solo per spesa in conto capitale. C’è quindi un modo molto semplice per ridurre velocemente lo stock del debito finanziario di un Comune: smettere di fare investimenti. A Ferrara abbiamo scelto un’altra strada. Abbiamo scelto di preservare un livello adeguato di investimenti pubblici, consci dell’importante ruolo da essi svolto non solo nello stimolo di domanda aggregata (secondo diversi studi empirici ad essi è associato il moltiplicatore più elevato) ma anche dell’importanza dello stock di capitale pubblico (e della sua qualità) nelle dinamiche della produttività totale dei fattori. Consci, infine, che la stragrande maggioranza degli investimenti pubblici da almeno vent’anni sono realizzati dagli enti locali, e non dallo Stato centrale. Allora abbiamo semplicemente continuato a realizzare investimenti (sebbene, certo, ad un livello inferiore a quello che aveva portato all’accumulazione di un debito insostenibile!) ma cambiando la fonte di finanziamento: non più emissione di debito, ma dismissioni patrimoniali. In altre parole, prendendo a prestito il linguaggio della contabilità aziendale, abbiamo azzerato l’emissione di nuove passività, compensando però la naturale diminuzione dell’attivo patrimoniale che ne sarebbe seguita con dimissioni di componenti non necessarie delle immobilizzazioni e partecipazioni finanziarie. Così facendo, il flusso di investimenti rimaneva adeguato alle necessità della città, e il naturale ammortamento delle rate dei mutui – a fronte di emissioni di nuovo indebitamento prossime allo zero – abbatteva velocemente lo stock del debito. Ovviamente la valutazione sulla destinazione dei proventi da dismissioni patrimoniali è stata fatta di volta in volta sulla base di un corretto confronto sui costi-opportunità. In un caso (la dismissione di una quota significativa di azioni della multi-utility Hera, di cui si dirà meglio in seguito), i proventi sono stati destinati direttamente al rimborso anticipato del debito, invece che al finanziamento di nuovi investimenti, in modo da abbattere ulteriormente la spesa corrente e destinare quei proventi alla riduzione delle tasse comunali sul reddito da lavoro e da impresa.
Dal 2009 al 2014 la spesa corrente discrezionale del Comune di Ferrara (esclusi cioè i fondi vincolati provenienti da Regione, Stato o Unione Europea, su cui non si esercita la discrezionalità politica dell’ente locale) si è ridotta in termini reali del 22,85%. In termini nominali parliamo circa di 12,5 milioni di euro, anch’essi destinati in gran parte – come contributo del Comune di Ferrara – al consolidamento dei conti pubblici dello Stato.
Come è stato possibile ridurre debito e spesa in questo modo? Con due sole parole: volontà politica. E’ stata la volontà politica che ha permesso al Sindaco di parlare con le associazioni di volontariato che occupavano immobili comunali di pregio e convincerli ad accettare sedi più piccole e funzionali (e magari condivise) in modo da permettere l’alienazione di quegli immobili. E’ stata la volontà politica a far sì che Massimo (Maisto, assessore a Cultura e Turismo e vice-sindaco) decidesse di spostare la sede del suo assessorato da un palazzo signorile del centro di Ferrara ad uno più piccolo fuori dalle Mura Estensi, per consentire di sfruttare al meglio gli spazi e procedere alla vendita di quell’immobile. E’ stata la volontà politica a far sì che Aldo (Modonesi, Assessore al Patrimonio e ai Lavori Pubblici) internalizzasse il nuovo corso dell’amministrazione, sapendo che ogni euro di investimenti aggiuntivi doveva essere finanziato da un euro di alienazioni patrimoniali, creando così anche i giusti incentivi interni all’attività di governo. E’ stata la volontà politica che ha consentito a Chiara (Sapigni, assessore ai Servizi Sociali) e al Sindaco di riclassificare assieme all’assessore al Bilancio tutta la spesa comunale in welfare e scuola, euro per euro, in maniera chiara e intellegibile, per scoprire che era possibile tagliare milioni di euro senza compromettere in maniera sostanziale i servizi. Anzi, aumentandoli, visto che da settembre apriremo un asilo nido nuovo di zecca e circa 140 posti di edilizia popolare in più. Per scoprire che non tutto ciò che porta l’etichetta “spesa sociale” è in realtà al servizio dei più deboli, e renderla piu' efficiente non implica “macelleria sociale”. E’ stata la volontà politica a permettere a Luciano (Masieri, assessore allo Sport), Massimo e Chiara di dimezzare i contributi alle associazioni sportive, sociali e culturali, accompagnandole in un percorso volto a farle camminare con risorse proprie. E’ stata la volontà politica a permettere a Rossella (Zadro, assessore all’Ambiente) di utilizzare maggiormente le opportunità concesse dai fondi europei per la necessaria tutela ambientale, a Deanna (Marescotti, assessore alle attività produttive) di aiutare le attività economiche con meno burocrazia e non necessariamente con più contributi a fondo perduto. E’ stata la volontà politica a permettere a Roberta (Fusari, assessore all’urbanistica) di completare tutti i – particolarmente complessi – percorsi di approvazione dei nuovi strumenti urbanistici in tempi rapidi sfruttando appieno le proprie risorse interne ed avendo a disposizione un budget complessivo di circa 60 mila euro.
I risparmi così ottenuti, come detto, hanno dovuto principalmente essere destinati allo Stato centrale sotto forma di ripiano dei consistenti tagli ai trasferimenti effettuati in questi anni. Ma non solo. Nel bilancio 2014 (approvato, come facciamo tutti gli anni e in segno di serietà, nel dicembre dell’anno precedente) abbiamo ridotto del 17% l’addizionale comunale sull’Irpef, e abbiamo azzerato la TASI sugli immobili diversi dall’abitazione principale. A Ferrara inoltre – unico capoluogo in Emilia Romagna – non si paga la cosiddetta mini-IMU. Negli anni scorsi inoltre abbiamo reso gratuite le pratiche amministrative (Dichiarazione Inizio Attività e Segnalazione Certificata di Inizio Attività) per le imprese, e avevamo pure – prima che il governo ce la vietasse, vai tu a sapere il perché – l’aliquota IMU al minimo per qualsiasi attività produttiva che costruisse a Ferrara o rilevasse un’impresa fallita.
Sul versante delle società comunali, abbiamo dismesso alcune società che consideravamo non più consone alla missione istituzionale di un Comune (il consorzio ParcAgri, la Locazione Case Srl) o che possono anche essere svolti da soggetti privati sotto la regolazione pubblica (il Consorzio Provinciale di Formazione Professionale, e la società per la Derattizzazione e la Disinfestazione). Le rimanenti società (parcheggi, cimiteri, verde pubblico, reti idriche, farmacie comunali e onoranze funebri) sono state raggruppate in un’unica Holding, con amministratore unico. Tutti gli altri organi amministrativi – di ciascuna società, tranne una – sono stati azzerati. Questo non solo ha consentito un significativo risparmio di indennità, ma ha anche consentito un accentramento del controllo e una diminuzione di costi delle società stesse, quali il dimezzamento dei dirigenti e procedure comuni di gestione della liquidità e di controllo di gestione. Recentemente abbiamo venduto l’intera quota azionaria della multi-utility Hera Spa non vincolata dal Patto di Sindacato (l’accordo parasociale tra i soci pubblici di Hera che ne costituisce la “stanza di comando”), e abbiamo annunciato l’uscita del Comune di Ferrara dal Patto stesso alla sua scadenza, alla fine dell’anno in corso. Perche? Perché crediamo che affermare che i patti di sindacato sono strumenti che non hanno sempre aiutato lo sviluppo industriale, e affermare che nei servizi pubblici locali occorre separare rigidamente proprietà e regolamentazione, significhi qualcosa di più che semplicemente ripetere a pappagallo questi concetti. Ogni tanto significa anche fare qualcosa di concreto in merito, certo nel nostro piccolo.
La storia appena raccontata non vuol essere una stucchevole (auto)celebrazione nè, come detto, pretende di costituire un modello la cui replicazione sia possibile velocemente e senza costi. Così come è senz’altro vero che anche nel Comune di Ferrara (territorio storicamente debole dal punto di vista economico) tanto, tantissimo rimane da fare. Questa storia vuole solo suggerire tre punti:
- Una gestione sana delle finanze pubbliche non è solo una questione economica: è anche un tema politico. La competenza tecnica di chi ha la diretta responsabilità delle finanze di una comunità locale o nazionale è condizione (forse) necessaria, ma sicuramente non sufficiente. In un paese in cui la risorsa pubblica è sempre stata utilizzata per acquisto e mantenimento di consenso politico, un suo utilizzo efficiente e sano non può che essere, ergo, un tema di natura prettamente politica.
- Nessun processo di risanamento delle finanze pubbliche può avvenire in tempi brevi. Quando nel 2010 a Ferrara iniziammo questo percorso, annunciammo chiaramente che i benefici si sarebbero visti solo in seguito, e che nel breve periodo i cittadini avrebbero dovuto sopportare qualche costo. Nel 2011 ad esempio fummo costretti ad un aumento delle aliquote Irpef e un lieve ritocco delle tariffe dei parcheggi; ma una volta realizzato il dividendo del risanamento, esso è stato immediatamente restituito ai cittadini: nel 2014 l’aliquota Irpef sul primo scaglione è del 10% inferiore a quella del 2009, le aliquote IMU/TASI sono tra le più basse d’Italia, e lasciare l’automobile nel parcheggio in pieno centro storico costa al massimo 3,20 euro al giorno. E’ perciò fondamentale avere un orizzonte temporale (e un respiro politico) sufficiente a realizzare un proficuo scambio intertemporale tra transitori costi immediati e duraturi benefici futuri.
- Tali processi di risanamento riescono meglio (molto meglio) con sistema istituzionale che garantisca stabilità di governo, e con scelte politiche che rendano le maggioranze strette e coese. Quasi nessuna delle scelte che abbiamo fatto sarebbe stata possibile con una maggioranza (quale quelle presenti in passato) composta da svariati partiti e partitini in cerca esclusivamente di potere di veto e visibilità personale.
In conclusione, questo piccolo e forse insignificante case-study vuol solo far sorgere il dubbio che anche sulle scelte di finanza pubblica, in questo sgangherato Paese, la miglior cosa possibile non è proprio sempre impossibile.
L'articolo di Marattin, oltre che chiaro e concreto, mi sembra politicamente importante. Suggerisce una strategia: focalizzare gli sforzi (di analisi e di azione) sulle realtà locali, in modo da creare casi esemplari che possano riprodursi per imitazione, e da usare anche come strumento di persuasione.
Mi rendo conto che è difficile e che tentativi sono stati già fatti, con scarso successo. Forse, a livello locale, conviene agire all'interno dei principali partiti esistenti -- com'è avvenuto a Ferrara.
Che ne pensa Marattin, anche in base alla sua esperienza?
Fermo restando che, a mio modo di vedere, l'esempio ferrarese rappresenta il giusto modo di fare le cose, mi chiedevo come potesse essere replicato altrove.
In un piccolo paese, già fortemente indebitato, senza prospettive e in cui il patrimonio pubblico è contenuto, cosa si potrebbe fare? Dismettere? Chi investirebbe in un piccolo comune senza opportunità da qui a cinque anni? Si rischierebbe di svendere e non centrare l'obbiettivo. Il patto di stabilità impone di tenere sotto controllo i bilanci, quindi è intile pensare di tagliare da subito le aliquote per raccoglierne i frutti poi. In paesi come questo, in paesi come il mio(purtroppo), la coperta è veramente corta. Siamo una realtà che vive soprattutto di agricoltura e pesca, con un terziario che pesa veramente poco e un secondiario quasi inesistente. Si vive nei mesi estivi soprattutto di turismo, ma la crisi ha ridotto notevolmente i flussi e le imposte sulla seconda casa, rende ancora più difficile trovare affitti adeguati rispetto al valore offerto dal paese. In comuni di questo genere, non ancora giuridicamente, ma nella realtà quotidiana, già in default, l'unica via d'uscita, è o non è l'aumento della spesa pubblica? Quella virtuosa ovviamente.