Su quali spalle pubbliche grava davvero il pareggio di bilancio.

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E' noto che due terzi della correzione triennale dei conti operata lo scorso anno è costituito da maggiori entrate, e solo un terzo da tagli di spesa. Si presta solitamente meno attenzione a come quest'imponente aggiustamento fiscale sia distribuito attraverso i tre macro-comparti del settore pubblico: amministrazioni centrali, amministrazioni locali ed enti previdenziali. Una semplice analisi dei dati della Ragioneria Generale dello Stato ci rivela che lo Stato avoca a sè l'88,5% delle nuove maggiori entrate, mentre è responsabile solo del 15,25% della riduzione totale di spesa pubblica, la quale corrisponde appena allo 0,8% del bilancio dello Stato di parte corrente. Quasi la metà dei tagli di spesa è sopportata dalle amministrazioni locali. La sola analisi del decreto "Salva-Italia" (DL 201 dello scorso dicembre) ci consegna un quadro ancor più squilibrato in relazione a come il cammino verso il pareggio di bilancio sia articolato tra i vari livelli di governo della cosa pubblica.

Nella seconda metà del 2011 ci sono state tre manovre di intervento sui saldi di finanza pubblica: il decreto n. 98 (la “manovra di luglio”), il decreto n.138 (la “manovra di Ferragosto”) e infine il decreto n.201 (il “Salva-Italia”). Complessivamente, queste tre manovre comportano una riduzione dell’indebitamento netto della Repubblica pari a 81,329 miliardi di euro dal 2011 al 2014, vale a dire circa il 5% del Pil.

Vediamo, anno per anno, come questo sforzo senza precedenti di riduzione del deficit viene ripartito tra i tre comparti del settore pubblico: le amministrazioni centrali, le amministrazioni locali, gli enti di previdenza.

Dati: in miliardi di euro

 

 

 
 

2011

 
 

2012

 
 

2013

 
 

2014

 
 

ENTRATE

 
 

2,603

 
 

40,250

 
 

52,142

 
 

53,661

 
 

-            Amm.centrali

 
 

2,628

 
 

33,984

 
 

46,613

 
 

47,509

 
 

-            Amm. locali

 
 

0,031

 
 

4,717

 
 

3,756

 
 

4,366

 
 

-            Enti di previdenza

 
 

-0,057

 
 

1,549

 
 

1,773

 
 

1,786

 
 

 

 
 

 

 
 

 

 
 

 

 
 

 

 
 

SPESE

 
 

-0,237

 
 

-8,664

 
 

-23,607

 
 

-27,668

 
 

-            Amm.centrali

 
 

-0,795

 
 

-1,741

 
 

-4,805

 
 

-4,221

 
 

-            Amm.locali

 
 

0,505

 
 

-4,450

 
 

-10,564

 
 

-13,077

 
 

-            Enti di previdenza

 
 

0,053

 
 

-2,474

 
 

-8,238

 
 

-10,370

 
 

 

 
 

 

 
 

 

 
 

 

 
 

 

 
 

TOTALE

 
 

2,840

 
 

48,914

 
 

75,749

 
 

81,239

 

Fonte: Ragioneria Generale dello Stato

La lettura di questa semplice – ma estremamente istruttiva – tabella ci consegna quattro considerazioni fondamentali.

La prima è quella più volte ripresa da vari commentatori: due terzi della correzione totale a regime sono composti da maggiori entrate (53,6 miliardi di euro) e solo un terzo (27,6) da riduzioni di spesa. Nel primo anno di correzione vera (il 2012), le maggiori entrate sono addirittura più dell’80% dell’aggiustamento.

La seconda guarda all’articolazione di questo imponente aumento della pressione fiscale. Ben 47,5 miliardi (pari all’88,5% del totale) sono maggiori entrate dello Stato; 8,1% è appannaggio degli enti locali, e il 3,3% degli enti previdenziali.

Specularmente, la terza considerazioni attiene ai tagli di spesa pubblica. Quasi la metà (per la precisione il 47,26%) dei risparmi di spesa proviene dalle amministrazioni locali; più di un terzo (il 37,48%) dagli enti previdenziali, per effetto soprattutto del massiccio intervento sul sistema pensionistico operato col decreto “Salva Italia” nel dicembre scorso. Qual è il contributo dell'amministrazione centrale al taglio della spesa pubblica? Poco più di 4 miliardi di euro, pari al 15,25% della riduzione totale.

La quarta e ultima considerazione approfondisce quest’ultimo dato, collocandolo all’interno della dimensione complessiva della spesa pubblica statale. Il bilancio di previsione 2011 dello Stato riporta spese finali pari a 532,6 miliardi di euro. Il taglio della spesa pubblica di 4,22 miliardi (nel triennio 2011.-2014) rappresenta quindi lo 0,79% della spesa statale al netto degli interessi. Volendo escludere la spesa in conto capitale (pari a soli 42 miliardi di euro) - la quale è di solito maggiormente associata a effetti espansivi sul prodotto nazionale – possiamo utilizzare la sola spesa corrente statale, che invece ha una considerevole probabilità di nascondere al proprio interno sprechi e inefficienze di vario tipo. Ciònonostante, il taglio previsto dalla correzione della finanza pubblica nazionale ammonta allo 0,86% della parte corrente. Per dare un termine di paragone con un case-study locale, la misura analoga (il titolo primo delle uscite, vale a dire la spesa corrente) del bilancio del Comune di Ferrara ha riportato una riduzione dal 2009 al 2012 pari al 17,94% in termini nominali; in termini reali, si tratta di una correzione di spesa pari circa a un quarto del totale.

Volendo restringere l’analisi all’intervento effettuato dal governo Monti (il decreto 201, noto come “Salva Italia”), si ottiene un quadro ancora più interessante. La correzione dell’indebitamento netto attribuibile a quella manovra è pari a 21,430 miliardi, di cui circa il 70% di maggiori entrate e circa il 30% di minori spese. Non stupisce più di tanto l’articolazione delle maggiori entrate (60,9% Stato, 25,6% enti locali, 13,4% enti previdenziali), quanto il dettaglio sulle minori spese. Esse ammontano complessivamente a 6,54 miliardi. Agli enti previdenziali sono imposte minori spese per 6,96 miliardi, e agli enti locali per 1,88 miliardi. La manovra-Monti, quindi, ha imposto ai due comparti non-statali della pubblica amministrazione una riduzione di spese pari a 8,85 miliardi…pari al 135% della riduzione di spesa complessiva della Repubblica. Com’è possibile? Facile. L’eccedenza (2,317 miliardi di euro) serve a finanziare maggiore spesa dell’amministrazione statale, che risulta quindi in aumento, anziché in diminuzione.

La riforma costituzionale del 2001 – quella approvata in fretta e furia dal centrosinistra di allora, a pochi giorni dalle elezioni, per dimostrare di “aver fatto le riforme” e che è in pratica tutt’oggi rimasta in larga parte inattuata– ebbe probabilmente un solo merito storico. Quello di cambiare l’art.114 della nostra Carta Costituzionale, che fino a quel momento recitava: “La Repubblica si riparte in Regioni, Province e Comuni” . La nuova versione dell’art.114 ora invece si apre con: “”La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato”. In pratica, si riconosceva l’esistenza di diversi livelli territoriali autonomi di governo della cosa pubblica. Uno di questi è lo Stato. La Repubblica sta vivendo una delle sue fasi più difficili. Affrontarla in questo modo, con lo Stato che avoca a sé l’88% delle maggiori entrate e taglia spese per uno 0,8% imponendo percentuali quasi opposte agli enti locali, non rappresenta solo un ovvio problema economico di efficacia e efficienza del difficile processo di risanamento dei conti pubblici. Ci dice che qualcosa si è rotto nel modo in cui stanno insieme i livelli di governo di questa Repubblica. E questo è persino più pericoloso del mancato raggiungimento di un misero pareggio di bilancio.

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Commenti

Ci sono 73 commenti

venne maciullata dal debito accumulato dal periodo in cui lo svettamento fu adottato dal keynesianesimo dei martelli & co (la societa' dei "bisogni" e varie corbellerie inventate da agnes heller e riprese dai gazzettieri.)

lei ha affatto ragione a segnalare l'eccesso di squilirbio nella punizione inflitta alle entita' sub-statali. Le ricordo solo che, come venne notato altrove, la manovra Napolitano-Monti e' affatto centralistica, ed e' dettata dalla loro convinzione, non poi tanto balzana, che se "apre un tavolo" tra le regioni, la polisportiva di Cantu' e i pompieri di viggiu', lo spread arriva a "quota mille" in otto settimane. Dato il piano non vedo alternative.

O almeno, non così l'ho interpretato io. Ossia, il punto non è che i tagli agli enti locali andavano, contrattati, ammorbiditi, postposti e così via. Il punto è che se il governo avesse applicato la medesima politica della lesina che ha applicato agli enti locali pure alle amministrazioni centrali, anziché sostanzialmente risparmiarle, magari si poteva evitare di aumentare le tasse nella  misura in cui è stato fatto.

Chissà perché questa convinzione del governo sulla inopportunità di "aprire un tavolo" per salvaguardare lo spread, è così ferma e risoluta solo quando c'è da arraffare altre risorse per lo Stato centrale. Sul mercato del lavoro e le liberalizzazioni hanno aperto tavoli a non finire (e si è visto come è andata e come hanno salvaguardato lo spread).

 

A me non piace affatto la nuova formulazione dell'art. 114. Non vedo che bisogno ci fosse di ribadire in costituzione la necessità delle province, e ancor meno penso sia una buona idea costituzionalizzare le città metropolitane. Sarebbe stato molto meglio tener questi enti fuori dalla costituzione, e lasciare le decisioni al loro riguardo unicamente alla legislazione ordinaria.

Sandro, sono d'accordo con te. La necessità di razionalizzare i livelli di governo era presente anche nel 2001, nonostante il dibattito politico di allora non la riconoscesse. Tuttavia il mio riferimento all'art.114 era di natura diversa: la nuova formulazione ha invertito l'assetto precedente ("La Repubblica è lo Stato, il quale poi ha la gentilezza di articolarsi in tre livelli inferiori e sfigati"), determinando un nuovo set-up (la Repubblica è fatta da quegli enti autonomi E dallo Stato) in cui ai livelli di governo (che erano e sono troppi) è riconosciuta pari dignità. Purtroppo tale solenne principio giuridico è rimasto sulla carta, benchè si tratti di quella suprema, vale a dire la Carta Costituzionale. Non solo, infatti, la legislazione ha atteso addirittura un decennio prima di produrre i (timidi, timidissimi) provvedimenti attuativi, ma - venendo all'aspetto economico - la politica fiscale e gli aggiustamenti di finanza pubblica hanno continuato a trattare le amministrazioni locali come mera emanazione del livello centrale.

1. Mi sono chiesto se lo sforzo richiesto alle Amministrazioni locali non fosse tuttavia dovuto ad una loro peggiore performance nel periodo precedente. In effetti, sembra che i Comuni, anche grazie all'obbligo di rispettare le regole del Patto, da ormai oltre dieci anni stiano generalmente comportandosi bene. Lo stesso però non può dirsi per il comparto regionale. Un articolo riassuntivo, scritto qualche giorno fa proprio da Giarda su Il Sole, si trova qui.

2. Mi sembra esagerato il dato su Ferrara. Non sbagliato, certamente, visto il ruolo ricoperto dall'autore. Ma non è che, sulla logica del ragionamento precedente, la correzione richiesta a Ferrara non derivi da eccessi di spesa (o di deficit) precedenti?

3. L'enfasi sulla necessità di riduzione di spesa corrente mi sembra non mal posta ma incompleta. Senza un'analisi precisa di quale spesa sia produttiva e quale no (una "spending review" a livello locale e statale), chiedere di ridurre la spesa potrebbe a sua volta voler dire aumentare i costi per i cittadini. Magari non in termini di imposte su tutti ma di tasse e tariffe sui fruitori di determinati servizi (es.: taglio le spese di trasporto e quindi deve aumentare il biglietto. O aumento il ticket sanitario. Che magari è anche giusto ma a me serve come esempio per dire che taglio di spesa significherà pure risparmio pubblico ma spesso anche aumento di spesa privata).

Sul primo punto, l'articolo di Giarda riporta un suo approccio - sostenuto da qualche tempo sia nella sua veste di accademico che di politico - al problema della misurazione accurata del contributo degli enti locali alla formazione dell'indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni. Pur con la necessaria ritrosia derivante dall'essere qualche anno luce dietro a Giarda sia sul piano accademico che su quello politico, devo tuttavia confessare che a mio (e di altri) modestissimo parere tale approccio e' passibile di qualche critica.

 

Sul secondo punto, il dato di Ferrara e' proprio quello. Non credo sia interessante analizzare un dato locale più di tanto, in ogni caso perche volesse approfondire le manovre degli ultimi anni, ho creato un' apposita sezione sul sito del Comune: www.comune.fe.it/index.phtml

 

Sul terzo punto sono d'accordo, del resto stiamo aspettando i risultati della spending review statale, i cui benefici erano stati quantificati prima in 10, poi in 5 miliardi di euro, ma che ultimamente proprio Giarda ha praticamente azzerato, annunciando che "non ha grandi aspettative" da essa.

"La finanza pubblica deve essere sana,
il bilancio  deve essere in pareggio,
il debito pubblico deve essere ridotto,
l'arroganza dell'amministrazione deve essere combattuta e controllata 
 e l'aiuto ai paesi stranieri deve essere diminuito per evitare il

fallimento di Roma.
La popolazione deve ancora imparare a lavorare invece di vivere di
sussidi pubblici.”

 

 

 

Cicerone ,    55 A.C.

Morale:   La crisi dura da 2066 anni…..questo ci tranquillizza.

 

Riformista nel 2002. Libertario nel 2012. Nel mezzo, per Claudio Velardi, una serie non trascurabile di stati di transizione (un tempo, per semplicità, bastava definirlo “dalemiano”). Vale la pena ricordarne qualcuno, ora che il fondatore del quotidiano arancione ha lanciato la sua nuova idea editoriale, il Libertario, snello quotidiano, forse cartaceo (si parlava di quattro pagine, distribuite su Roma e Milano) ma più probabilmente, in piena crisi dell’editoria tradizionale, corposo sito web. Già, perché al vulcanico imprenditore partenopeo, “scartare” non è mai dispiaciuto. A partire dall’ultimo incarico politico, da consulente della campagna elettorale per la presidenza della regione Lazio di Renata Polverini. «L’unica leader è lei, Renata», pare abbia profetizzato in pubblico, quando si giocava ancora al toto nomi anti Berlusconi. Sarà la stessa Polverini, a fine 2011, a designare il suo spin doctor nel cda del Maxxi, il museo d’arte contemporanea romano firmato da Zaha Hadid. Prima della svolta a destra era stato assessore al turismo del governatore campano Bassolino, ma più che il “trasversale” Velardi politico, è quello imprenditore e/o editore che qui interessa. Il fondatore di Reti spa, per esempio, la società di lobbying che il Sole 24 Ore non esiterà a definire «con i conti in rosso», nonostante al quinto piano di palazzo Grazioli regni «quasi sempre il buon umore». Come editore, Velardi in quanto amante della distruzione creativa, può essere ragionevolmente ascritto alla categoria degli schumpeteriani. Lancia il Riformista, poi vende le sue quote agli Angelucci prima che i tempi diventino grami, nel 2007 crea SherpaTv (durerà circa un anno, non proprio un successo), nel 2009 tenta l’avventura sul web aprendo thefrontpage.it con Fabrizio Rondolino. Proprio da thefrontpage pone le condizioni perché il quotidiano degli “anti-stato” italiani finalmente si realizzi. «Servono soldi, non molti, perché nell’editoria spesso e volentieri i soldi si buttano». E poi «serve un business plan convincente. Il Libertario o starà sul mercato – senza nessun tipo di sovvenzione pubblica – oppure non sarà». Infine, «serve una proposta editoriale radicalmente innovativa». Con Oscar Giannino e Rondolino, i due papabili condirettori, «stiamo lavorando su questi tre punti».

 

cioè, uno che va con Velardi in nome del liberismo? 

 

ha lanciato la sua nuova idea editoriale, il Libertario, snello quotidiano

 

Il nome è tutto un programma.  La mia previsione: Oscar Giannino scriverà un articolo dal titolo "Lo stiracchiamento di Procruste" in cui annuncerà di abbandonare la trasmissione su Radio 24 per protesta contro le tasse troppo alte, lo statalismo e il collettivismo della società italiana.  Privata di questo strumento fondamentale d'informazione, l'industria del nostro paese crollerà e lo sprèdd schizzerà alle stelle.  Il governo Monti, dopo vani tentativi di imporre nuove tasse sugli italiani si sfalderà e Giannino riapparirà finalmente in pubblico.  Insieme a Velardi preparerà un lungo discorso radio in cui spiegherà a tutti gli italiani il fondamento assolutamente logico, razionale ed obiettivo della filosofia politica libertaria, e tutti vivranno felici grazie alla virtù dell'egoismo razionale.

questa è la prova provata che la direzione intrapresa dai governi negli ultimi anni è l'esatto contrario del federalismo. Da una parte le tasse le incassa lo stato e dall'altra il taglio delle spese è quasi tutto sul groppo degli enti locali. Credo che questo processo sia stato alimentato anche da Tremonti, ecco perchè lui si dice Socialista. Farlo capire ai leghisti no?

Vedi cara, è difficile spiegare, è difficile capire se non hai capito già (F.Guccini)

Più che dei leghisti io mi preoccuperei del federalismo.

Secondo me , in un paese come l'Italia, sarebbe stato un toccasana (ovviamente dipende sempre dal "come") e ora temo che la Lega lo abbia definitivamente affondato come argomento serio di dibattito politico. Come purtroppo aveva profetizzato Michele Boldrin.

 

“”La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato”. In pratica, si riconosceva l’esistenza di diversi livelli territoriali autonomi di governo della cosa pubblica. Uno di questi è lo Stato.

Una decisione penosa. Se ci sono mangiatoie e falle nella spesa pubblica, queste si annidano soprattutto nella spesa sanitaria territoriale.  Molteplici ricerche parlano di grandi variabilità nei prezzi delle forniture, e di forti corruttele.

Urge centralizzare il processo di decisione della spesa, e di criminalizzare politicamente tutti gli aedi e i sostenitori di ogni qualsivoglia "federalismo" (?) e di decentramento.

RR

 

Urge centralizzare il processo di decisione della spesa, e di criminalizzare politicamente tutti gli aedi e i sostenitori di ogni qualsivoglia "federalismo" (?) e di decentramento.

 

Esistono Stati federali come USA, Svizzera, Canada e Australia che sono a mio parere amministrati meglio di Stati centralisti come la Francia e infinitamente meglio dell'Italia, che nella sostanza e' uno Stato centralista, nonostante un po' di disonesto fumo negli occhi inserito dall'Ulivo nella costituzione del 2000.

 

Nei sistema federali seri, onesti e ben funzionanti i livelli locali di governo amministrano tendenzialmente/primariamente risorse provenienti dallo stesso territorio amministrato, realizzando automaticamente un vincolo virtuoso.  Solo nei sistemi statali piu' stupidi e disonesti, come lo Stato italiano, esiste una variante degenere di federalismo dove i livelli locali di governo hanno autonomie di spesa su risorse di natura centralista, alimentate dallo Stato centrale con finanza di trasferimento, e periodicamente con ridicoli rimborsi a pie' di lista su sforamenti di bilanci concordati.

oppure passare ad un sistema bismark, dove la spesa è locale ed è rimborsata localmente (a livello provinciale o sub-provinciale) da assicurazioni obbligatorie. Quindi le malversazioni di Bolzano non le deve pagare Enna.  Oggi non è cosi' perché la spesa sanitaria è solo in parte finanziata dall'IRAP (dietro cui non c'è alcun soggetto con intenzioni legate alla spesa sanitaria) ma il grosso è ancora spesa centrale.  Soprattutto al sud.  Il problema atroce (per l'incompetenza di chi ha inventato IRAP) è che non c'è un soggetto finanziatore che è interessato a risparmiare ma anzi, chi paga l'IRAP (evesione a parte) vorrebbe ambire a crescere, a pagare di piu'. Ma come puo' essere virtuoso un simile becero sistema?

vede, il problema probabilmente è che la Lega da tempo ha abbandonato la volontà di combattere contro lo statalismo, anzi spesso se ne è immedesimata. Oggi è lo specchio di un partito socialista, proprio come Tremonti. Altro problema è che una parte dei leghisti, non pochi, questo non lo sa.

questa e' la mia reazione leggendo le ultime gesta del governo Monti su

Spending review: taglio a posti letto e ospedali, province, auto blu dove si legge

 

Stretta per le auto blu. Nel 2013 la spesa per le auto blu non dovrà superare il 50% di quanto speso nel 2011. “A decorrere dall’anno 2013 – si spiega nella bozza del decreto – le amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, incluse le autorità indipendenti, non possono effettuare spese di ammontare superiore al 50 per cento della spesa sostenuta nell’anno 2011 per l’acquisto, la manutenzione, il noleggio e l’esercizio di autovetture, nonché per l’acquisto di buoni taxi; il predetto limite può essere derogato, per il solo anno 2013, esclusivamente per effetto di contratti pluriennali già in essere”.

Ora immaginiamo che nel 2009 nella terra dei cachi, in seguito alla crisi, ci siano due province, la provincia A virtuosa e la provincia B viziosa.  La provincia virtuosa A delibera di ridurre al minimo indispensabile la spesa per le auto blu.  Nella provincia viziosa B le discussioni tra giunta e consiglio si possono riassumere cosi': "la pacchia della spesa pubblica senza limiti potrebbe subire qualche colpo, approfittiamone subito per assegnare l'auto blu a cani e porci".

Arriva nel 2012 il governo di Roma, e impone alla provincia virtuosa lo stesso identico taglio della provincia viziosa, mettendo in difficolta' la prima e non punendo minimamente la seconda. Provvedimenti del genere sono identici a quelli dell'ultimo governo Berlusconi (ne ho visto molti fotocopia per l'Universita') e in generale scommetto sono paragonabili al tipico provvedimento di taglio di tutti i governi italiani, da Prodi ad Andreotti e Pomicino.

Se nemmeno i professori della Bocconi si rendono conto della stupidita' di leggi del genere vuol dire che non c'e' possibilita' di redenzione per il disastro-Italia.  Eppure sarebbe semplicissimo scrivere una norma virtuosa, basterebbe scrivere: tutte le amminitrazioni che lo superano, dovranno ridurre il costo per abitante per auto blu al 50%  media nazionale del 2011. Semplice, equo, virtuoso.  Ma inarrivabile per la cultura politica italiana.