Le recenti manifestazioni in Francia contro i cambiamenti della legislazione sul lavoro introdotti da Villepin sono state accolte con robusto scetticismo da una vasta maggioranza degli economisti (traduzione: ai miei amici che scrivono su questo sito le manifestazioni non sono piaciute). Contatemi pure nella maggioranza, anche a me le dimostrazioni sono parse fuori misura e fuori bersaglio. Ho però l’impressione che ci siano varie cose poco chiare nella vicenda, e voglio provare (soprattutto) a porre alcune domande e (molto meno) ad abbozzare alcune risposte.
Le reazioni che finora ho visto si possono riassumere più o meno come segue. I giovani francesi sbagliano a opporsi al contratto di primo impiego (questo è il nome politically correct dell’innovazione legislativa) perché un elevato grado di flessibilità è imprescindibile quando si inizia a lavorare. Pretendere il posto fisso al primo impiego è non solo irrealizzabile, ma anche indesiderabile. È irrealizzabile perché le imprese non assumeranno con un contratto permanente lavoratori di cui non sanno nulla, ed è indesiderabile perché ingessa il mercato del lavoro e le carriere, bloccando la creatività e l’innovazione che devono invece caratterizzare un lavoratore alle prime esperienze. Le proteste sembrano quindi essere guidate o da altri obiettivi (tipo la presenza di ragazze in vestiti leggeri nelle manifestazioni e il piacere di passeggiare per Parigi in primavera) o da profonda irrazionalità.
Qui comincio ad avere dei problemi, perché sono istintivamente diffidente verso spiegazioni dei fenomeni sociali basati sull’irrazionalità di massa. È pur vero che manifestare a Parigi in primavera è divertente e gradevole (e non c’è nemmeno bisogno di menzionare le francesine in vestiti leggeri), ma se proprio ci si deve divertire manifestando per una causa non vedo nessuna ragione per non scegliere una causa razionale e conveniente. Perché scegliere invece di manifestare contro una legge che dovrebbe dare maggiore occupazione? Inoltre, per quel che è dato capire l’opposizione alla legge sembra essere assai diffusa, e probabilmente maggioritaria tra la popolazione. Perché tanti diligenti padri di famiglia si oppongono a una legge che dovrebbe aiutare i propri figli a trovare lavoro?
Non aspettatevi risposte nette, conosco troppo poco la situazione francese per dire qualcosa di serio. Esporrò invece una serie di dubbi. Devo peró notare che, come me, la maggior parte dei commentatori che ho letto al riguardo sono abbastanza avari tanto di dati come di dettagli istituzionali. L’unica eccezione, per quel che ho potuto vedere, è questo articolo apparso su lavoce.info. Aggiungo che non parlo francese, quindi probabilmente ho perso parti importanti della discussione.I dettagli però sono importanti per capire cosa sta succedendo.
Il primo dubbio che ho è il seguente. Possibile che la legislazione francese sia tanto differente da quella del sud Europa? In Italia per esempio esistono un’infinità di differenti misure contrattuali che garantiscono una flessibilità quasi totale nell’assunzione dei giovani. Si va dallo storico apprendistato ad altre figure contrattuali più recenti, tipo contratti temporanei camuffati da borse di studio, lavoro interinale e via flessibilizzando. Farei molta fatica a menzionare gente della mia età che abbia avuto come primo impiego un posto fisso, e non conosco solo accademici. Il legislatore italiano sembra continuamente affannato a regolare nuovi contratti che ci si ostina a chiamare atipici, e il mercato risponde inventando nuovi escamotage (un po’ di francese lo conosco perfino io). Nel caso estremo in cui tutto il resto fallisce, le aziende italiane hanno comunque l’opzione di mantenere la flessibilità evitando di crescere o appaltando parte della produzione all’esterno (è vero che questo può essere costoso in termini di efficienza economica, e quindi verrà fatto solo se la flessibilità è veramente importante), visto che sotto i 15 dipendenti il rapporto di lavoro è assai poco rigido.Non credo proprio che ciò sia dovuto in maniera sostanziale alla legge Biagi. Mi pare invece che ci sia una tendenza ormai consolidata da tempo di segmentazione del mercato del lavoro. Un settore, destinato a giovani, immigrati più o meno legali e lavoratori a qualifica professionale molto bassa, è estremamente flessibile, con contratti temporanei, facilità di licenziamento e bassa copertura in termini di sicurezza sociale. Un altro settore, destinato a lavoratori più maturi, è invece caratterizzato da un alto grado di rigidità, alta tassazione e eccellente copertura sociale.
In Spagna la situazione è sostanzialmente uguale a quella italiana. Il mio prior era (o meglio, è) che sia simile anche in Francia.Quindi, la nuova legge introdurrà cambiamenti solo marginali. L’articolo su lavoce.info ha rafforzato questo mio prior, dice esattamente quello che mi aspettavo. Ossia, la flessibilità in Francia esiste già, almeno per i giovani. La stima è che la nuova legislazione possa ridurre la la disoccupazione di mezzo punto percentuale. Non è pochissimo, ma probabilmente si otterebbe quasi lo stesso liberalizzando le licenze di taxi.
Il secondo dubbio è: quanto è fatta bene, quanto è efficace la legge. Io non l’ho letta, e non ho nemmeno letto analisi ben fatte al riguardo. In queste cose il diavolo sta spesso nei dettagli. Leggendo superficialmente i titoli dei giornali c’è però almeno una cosa che me la rende sospetta, ed è il limite massimo di 26 anni per l’utilizzo dei contratti di primo impiego. Perché mai? Perché non utilizzarli anche per i disoccupati di lungo termine, anche se sono sulla trentina?
Ora, non credo che l’opposizione alla legge sia dovuta alle sue mancanze tecniche. E se è vero che comunque la legge aggiunge solo uno strumento contrattuale addizionale, l’estensione della protesta appare comunque sproporzionata.
Volendo quindi trovare una ratio alla vicenda, sono costretto a ipotizzare che la cosa che fa arrabbiare tanto i giovani francesi è l’indirizzo generale di politica del lavoro che la legge sembra perseguire.
La proposta che la società fa ai giovani francesi (e italiani, spagnoli, greci,...) di classe media è più o meno la seguente. Entra nel mercato del lavoro, e beccati una prima fase di lavoro temporanei, poco protetti etc. Ogni volta che ti scade un contratto, avrai di fronte una lotteria con tre possibili risultati. O resti disoccupato, o becchi un altro contratto temporaneo, o entri nel mercato protetto. Nel mercato protetto è difficile entrare, visto che i datori di lavoro sono riluttanti a dare posti fissi. I posti sono quindi razionati, ma la probabilità è crescente nel tempo perché lavoratori con più esperienza (che deriva dalla sequenza di contratti temporanei) sono preferiti. Quindi, non disperare. È questione di tempo ma prima o poi ce la fai. Inoltre, basta che ti vada bene una sola volta. Quando sei entrato nel mercato protetto, non ti ci leva più nessuno.
La cosa attraente di questa proposta è che fa sopportare tutta l’incertezza in un periodo in cui è più facile sopportarla, ossia quando si è giovani e senza una famiglia da mantenere. In cambio di questo periodo abbastanza irritante, arriverà finalmente l’agognato posto protetto. La mia impressione è che il parametro più importante per la gran parte dei giovani sia la probabilità di passaggio al settore protetto del mercato del lavoro, ossia la lunghezza media del periodo di precarietà. Mi sembra invece che sia relativamente poco importante la probabilità di trovare lavori temporanei nel periodo di precarietà. È comunque un periodo transitorio. Se si lavora bene, ma se si resta disoccupati qualche mese in più non cambia poi tanto. Quindi, i giovani accoglieranno con favore iniziative legislative che accorcino il tempo di precariato, e si opporranno a iniziative che lo allungano.
Il tempo di precariato è inefficientemente lungo, dal punto di vista del benessere sociale. Abbiamo già detto che un po’ di sperimentazione, cambiamento e flessibilità vanno bene quando si inizia a lavorare. Ma i giovani oggi finiscono per sperimentare un po’ troppo a lungo, oltre il punto in cui è socialmente efficiente. La ragione è quella standard dei modelli di efficiency wages: i lavori protetti sono razionati, e le imprese sono molto riluttanti a dare posti fissi.
Cosa cambia questa legge? Mi pare sia ‘more of the same’: più flessibilità per chi è già flessibile, e continuata rigidità per chi è protetto. Rendendo marginalmente più facile dare lavoro flessibile, e mantenendo ugualmente costoso il lavoro protetto, la nuova legge essenzialmente allunga il periodo di flessibilità, senza cambiare nei suoi contorni principali il percorso normale di carriera. Se le cose stanno così, non è sorprendente che i giovani francesi protestino. In più, è vero, Parigi di primavera è proprio bella.
Se l’analisi sopra riportata è corretta, la legge sbaglia bersaglio. La cosa più urgente da fare non è flessibilizzare ancora di più il lavoro dei giovani sotto i 26 anni, ma rendere più flessibile il lavoro delle fasce protette. Questo potrebbe avere un impatto maggiore; il lavoro protetto sarebbe un po’ meno protetto, ma sarebbe più facile da conseguire, e il tempo di permanenza medio nell’area del lavoro flessibile si ridurrebbe. Mi rendo perfettamente conto che una cosa del genere è politicamente impossibile, i lavoratori protetti si opporrebbero in modo furibondo visto che avrebbero solo da perdere. Mi aspetto quindi che in Francia (e Italia, Spagna e così via) il dualismo nel mercato del lavoro continuerà per un bel pezzo.
Un’ultima osservazione. Al mercato del lavoro non protetto partecipano non solo i giovani, ma anche immigrati e lavoratori a qualifica molto bassa. A essere influenzati da un aumento della flessibilità sono solo i giovani, che sono quelli che hanno una probabilità positiva (e, mi pare, abbastanza alta) di entrare prima o poi nel mercato del lavoro protetto. Se la mia interpretazione è giusta, questi giovani stanno sostanzialmente protestando contro l’allungamento dei tempi di entrata nel lavoro protetto. Non sembra che protestino troppo invece immigrati altri non-qualificati. Questo è razionale, visto che per loro la situazione comunque non cambia: continueranno, come prima, a non essere protetti per tutta la vita.
Sono d'accordo con l'analisi - molto lucida - del brusco. Il punto dolente sembra proprio essere la dicotomia del mercato del lavoro (anch'io parlo solo per sentito dire) in un segmento - quello dei giovani - abbastanza flessibile e poco protetto, e in un altro segmento - quello dei "over-26" - protetto in misura eccessiva ed inefficiente. Il problema e' che se il segmento protetto rappresenta la maggioranza degli aventi diritto al voto (com'e' sicuramente il caso in Italia, vista la situazione demografica), ogni cambiamento dello status quo appare estremamente improbabile. Forse, paradossalmente, non ha tutti i torti il berlusca a citare l'incremento delle nascite come un risultato positivo!