Non solo produttività: lezioni dalla Polonia

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Liberalizziamo il mercato del lavoro come hanno fatto i polacchi.

Esiste un’isola felice sopravvisuta al diluvio della crisi globale. L’unico paese europeo a non subire una violenta recessione per l’intero anno 2009 è stata la Polonia. Mentre l’intera economia europea crollava mediamente di un -4,2%, l’economia polacca cresceva giuliva del +1,7%. Polonia a parte, il 2009 non ha risparmiato nessuno, colpendo pesantemente paesi grandi (Italia –5,0%, Germania –4,7%), piccoli (Austria –3,9%, Svizzera –1,9%), del Nord (Svezia –5,1%), del Sud (Grecia –2,0%), dell’Ovest (Spagna –3,6%) e dell’Est (Ungheria –6,3%). Non si può di certo dire che il successo polacco sia dovuto ad un dinamismo comune nell’Est europeo perché dopo quindici anni di crescita sostenuta questi paesi hanno subito un crollo ben peggiore della media europea (Lettonia –18,0%, Lituania –14,8% per nominarne un paio). Qualcosa di giusto e di diverso devono pure averlo fatto questi polacchi, ed è bene analizzare più a fondo a cosa sia dovuta questa prosperità (relativa) ed imparare quale vincente politica economica sia stata implementata.

Mentre nel biennio 2008-2009 l’Europa perdeva un -1% dei suoi occupati (3 milioni di lavoratori), l’occupazione polacca cresceva, imperturbata dalla crisi globale, di un sorprendente +4% (600 mila lavoratori). Una tale solidità di fronte alla recente tempesta economica deve per forza avere radici profonde, e difatti è da diversi anni che la Polonia avanza convinta. Come altre nazioni dell’Est Europa, è da metà degli anni novanta che il PIL polacco cresce ad una media del +4%, ma guardando i dati sull’occupazione c’è una svolta particolare nel 2003. Da metà anni ’90 fino al 2003 l’economia cresceva ma la disoccupazione aumentava. La percentuale di popolazione occupata era crollata dal 58,9% nel 1997 fino 51,2% nel 2003. La Polonia soffriva in effetti seri problemi di impieghi, avendo la percentuale di occupazione più bassa in Europa, rispetto ad una media europea di popolazione impiegata del 62,6%. Prima del 2003 era l’aumento di produttività, non di lavoro, che spingeva la crescita economica. Questo era dovuto per la maggior parte ad efficenze guadagnate durante la transizione dall’era comunista.

 

 

Dall’infimo 51,2% nel 2003, come per magia, l’occupazione polacca si è impennata raggiungendo il 59,3% nel 2009. La crescita economica polacca di questi ultimi 7 anni non è dovuta ad un aumento di produttività, ma ad un sostenuto aumento della forza lavoro. Che cosa è successo? La buona sorte occupazionale non pare essere dovuta all’accesso all’Unione Europea nel 2004. Altri nove paesi entrarono nella UE in quell’anno, e anche se tutti videro aumentare l’occupazione, solo la Polonia non ha subito un recente declino occupazionale causato dalla crisi globale. Inoltre, è risaputo che gli effetti sul mercato del lavoro europeo si sono fatti sentire ben prima, dato che già negli anni novanta si registravano forti flussi migratori dall'Est Europa. Le fortune del mercato del lavoro polacco non sono neanche riconducibili ad investimenti esteri. L’arrivo di capitale straniero può spiegare l’aumento di occupazione polacca in buona parte di questo decennio, ma gli investimenti stranieri erano altrettanto robusti durante il declino occupazionale degli anni novanta, e l’improvviso prosciugamento di capitale estero dovuto alla crisi finanziaria non ha intaccato il mercato del lavoro polacco nel 2009.

Per capire cosa sia successo bisogna analizzare un po’ più a fondo. Ricapitolando, il successo economico polacco di fronte all’ultima crisi globale è dovuto ad una sostenuta e inscalfibile crescita dell’occupazione che ha le radici nel 2003. Che cosa successe nel 2003? Successe che la Polonia riformò le normative sul lavoro. Per capire che tipo di riforma abbiano fatto basta guardare la composizione dei due milioni di posti che hanno creato dal 2003. L’85% dei nuovi impieghi sono a tempo determinato, ossia di cosiddetti precari. Sono posti di lavoro che, secondo un recente studio econometrico, sono stati occupati non solo da disoccupati in cassa integrazione, ma in buona parte anche da tanti potenziali lavoratori scoraggiati. I due milioni di nuove posizioni a tempo determinato sono composti in maggior parte da giovani, e soprattutto da giovani donne. In conclusione la Polonia ha liberalizzato il mercato del lavoro basandosi su posti di lavoro precari; però, nell’insieme, questa occupazione precaria si è rivelata robusta e durevole anche di fronte alla recente crisi.

Ho tralasciato un piccolo particolare: la riforma polacca viola spudoratamente le normative sul lavoro dell’Unione Europea del 1999 e, nel 2008, la UE ha ripreso la Polonia per non dare sufficente protezione ai lavoratori precari. In sintesi la riforma polacca aboliva il limite di tre contratti a tempo determinato, e del loro massimo di tre mesi ciascuno. In seguito la Polonia ha reintrodotto il limite di tre contratti, ma dopo due settimane di disoccupazione è possibile iniziare un nuovo ciclo. Dal punto di vista del datore di lavoro questo facilita l’assunzione perché, evitando il costo del lavoratore permanente, l’imprenditore assume più facilmente basandosi solo su costi di breve termine. In Polonia questo ha creato un ciclo virtuoso e sostenuto, addirittura di fronte all’ultima crisi,  intaccando però la sicurezza rappresentata da una posizione a tempo indeterminato.

Dunque, le fortune della Polonia potrebbero avere vita breve se costretta da Bruxelles a riallinearsi con le normative UE. A meno che l’Europa non decida di considerare l’esperimento polacco come un esempio da seguire per il resto d’Europa. L’ideale sarebbe senzaltro avere un sistema di tipo danese, con flessibilità nel mercato del lavoro (che favorisce i datori di lavoro) e servizi sociali estremamente generosi (che sostituiscono la pace d’animo garantita da una posizione permanente). Putroppo paesi come la Polonia (o ancora di più come lo stato italiano) hanno una situazione di conti pubblici che non consente una generosità scandinava con i propri disoccupati. Per questo una liberalizzazione alla polacca può essere la soluzione per far ripartire un mercato del lavoro stagnante. Ciò consentirebbe di aumentare il gettito fiscale ed alleggerire gli onerosi costi per lo stato di una disoccupazione cronica, risparmiando così risorse da utilizzarsi poi per l’implementazione di un sistema scandinavo di servizi sociali.

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Commenti

Ci sono 219 commenti

Lavoro da considerarsi merce a tutti gli effetti dunque.

ma può questo essere condiderato tale?

mah

Tu cosa proponi? Lo consideriamo un servizio? Per me va bene ...

Oppure preferisci lavorare gratis, che così non "mercifichi" il (tuo) lavoro?

Anche quella è un'ipotesi interessante. Potremmo lavorare gratis e vivere della generosità degli altri. Dicono possa funzionare ...

L.P. prima di scrivere l'articolo era meglio se consultavi un sito di annunci di lavoro. Adesso (ma su larga scala va avanti dal 2004 dalla famosa Biagi) il 90% dei nuovi posti di lavoro sono a progetto o a tempo determinato.

Maledetta ISTAT! Sempre che mentono, sempre che mentono con le loro maledette statistiche!

Invece di dirci la verità continuano a raccontarci la bugia che solo il 12,04% dei lavoratori dipendenti è a termine!

Guarda un po' che gente ...

:-)

 

Questa obiezione non regge: mettiamo che per ipotesi il mercato sia in grado di creare un posto di lavoro fisso ogni 9 "precari", ma nel paese A ho una legge che limita questi precari e nel paese B no.  In entrambi i casi avrò il 90% dei nuovi posti di lavoro costituiti da contratti a progetto o a tempo determinato, ma nel paese A ho un vincolo alla creazione dei posti di lavoro, nel paese B no.

L'ipotesi è molto semplificativa e non è neanche l'unica in grado di rendere il senso del meccanismo, ma il dato che citi tu mi sembra indicare solo che il mercato ha fame di contratti "non indeterminati".

Se non ricordo male la cosa è iniziata con la Treu negli anni '90, la Biagi ha convertito i cococo in cocopro, mettendo appunto limiti al numero di proroghe.L' idea è che non potendo progare ad libitum l' impresa finisca con l'assumere a tempo indeterminato: immagino che in alcuni casi succeda, ma più spesso finisca per sortire l' effetto opposto ed un fiorire di trucchetti vari (tipo società di comodo).

 

L’85% dei nuovi impieghi sono a tempo determinato, ossia di cosiddetti precari.

 

Gli economisti siete voi ma mi sconcerta un po' questa supposta uguaglianza fra tempo determinato e precariato che, nella mia modesta e personalissima esperienza, non esiste.

Lo so che con gli aneddoti si va poco lontano ma solo quelli ho e quindi mi scuserete se li uso come esempio. Prendiamo due esempi reali:

* Io attualmente ho un contratto di un anno come post-doc in una università olandese. Si tratta decisamente di un posto di lavoro a tempo determinato (alla fine dell'anno il contratto scade ed io mi devo cercare un nuovo posto) ma non me sentirei proprio di dire che sono un precario. Infatti godo di ferie pagate, assistenza medica, uno stipendio più che dignitoso, nonché di una serie di benefit (connessione Internet gratuita e incentivi per l'acquisto di una bicicletta). Insomma, se invece del post-doc facessi il professore ordinario avrei una posizione più siura e meglio pagata ma non è che mi possa proprio lamentare.

* Tizio (che esiste ma di cui non mi pare il caso di fare il nome) è un giovane architetto che è stato assunto a progetto da un comune del centro Italia per sviluppare un piano di infrastrutture per rilanciare il turismo nella zona. Tizio ha lavorato tre mesi gratis nell'attesa che il progetto (approvato e tutto) si decidesse a partire. Poi ha lavorato altri 6 mesi senza vedere una lira perché "lo avrebbero pagato a fine progetto". Per rendere la cosa più allegra, quando finalmente il progetto è partito, Tizio si è reso conto che i soldi nel contratto erano circa la metà di quelli che gli erano stati promessi. Dato che protestare voleva dire annullare il contratto (ovvero essere licenziati senza vedere un soldo) ha stretto i denti ed è andato avanti.arrivati alla fine dei sei mesi è stato finalmente pagato, gli sono stati fatti i complimenti per l'ottimo lavoro svolto e, siccome ci sarebbe stato da andare avanti, gli hanno proposto di continuare a lavorare (a titolo gratuito) con la vaga promessa che, se ci fossero stati i fondi, avrebbero fatto un altro contratto a progetto analogo al primo. Per quelli che non hanno familiarità con i contratti a progetto vorrei sottolineare che non prevedono malattia o ferie. Per di più il "datore di lavoro" può, in ogni momento, dichiarare che non stai facendo un buon lavoro, rescindere il contratto e non darti una lira (i soldi arrivano alla fine del periodo e solo se il datore di lavoro da parere positivo sul lavoro svolto).

Insomma, io ho un contratto a tempo determinato. Tizio è un precario. La mia situazione è sacrosanta e perfettamente accettabile, la sua sta a mezzo fra la presa per i fondelli e la schiavitù. Le due cose NON sono analoghe manco per sbaglio.

Insomma, io ho un contratto a tempo determinato. Tizio è un precario. La mia situazione è sacrosanta e perfettamente accettabile, la sua sta a mezzo fra la presa per i fondelli e la schiavitù. Le due cose NON sono analoghe manco per sbaglio.

A mia parziale discolpa ho usato le virgolette per il termine "precario", però ogni contratto a termine è per definizione "meno certo" :)

Il problema però non è l'inquadramento contrattuale, o meglio non è l'assenza di inquadramento contrattuale indeterminato, ma la tipologia di lavoro svolto e di professionalità impiegata.

Tanto per mettere in campo le esperienze personali, ho fatto le mie prime esperienze lavorative con contratti di collaborazione: il primo studio non aveva fondamentalmente bisogno del valore aggiunto che potevo fornire e quindi non avevo potere contrattuale (sottopagato, ignorato, ecc...), il secondo invece sì e la situazione era di conseguenza completamente diversa.

Tornando al tuo esempio: Tizio ha lavorato per un committente a cui non interessava avere un bravo architetto, tant'è che si è visto (nella busta paga) quanto valore ha attribuito al suo valore.  Se Tizio è convinto che il suo lavoro abbia un valore più alto non deve svendersi e se ha ragione ci riuscirà.  La tragedia è che quello che lui ha da offrire probabilmente non ha valore (nel senso che non c'è domanda), perlomeno nel suo contesto.  La differenza con te è che il lavoro che tu offri ha, nel contesto in cui tu ti sei messo, un valore radicalmente diverso da quello che ha il suo nel suo contesto.

... incentivi per l'acquisto della bicicletta... so'fforti sti olandesi!

Da dieci anni in Italia non fanno più un contratto a tempo indeterminato neanche ai laureati con il massimo dei voti al MIT di Boston e c'è la disoccupazione giovanile più alta d'Europa (seconda forse solo alla spagna). Germania e paesi nordici hanno mercati del lavoro mediamente rigidi e disoccupazione più bassa della media...ergo occhio alle ricette valide per tutte le occasioni....

  

Non mi piace controbattere con esempi personali ma io ho trovato lavoro con contratto a tempo indeterminato 2 mesi dopo la laurea poco più di due anni fa. E se guardo alla situazione dei miei amici e colleghi di università direi che almeno un 35% è nella stessa situazione mentre un'altro 30% sta facendo il dottorato qua in Italia o all'estero...

E non siamo laureati dell'MIT anche se ammetto che ci siamo laureati tutti bene.

Credo che sia fondamentale ricordare che, trattandosi di un mercato come un altro, nel momento in cui la risorsa è scarsa, il suo prezzo sale e viceversa.

Quanti laureati in materie scientifiche ci sono rispetto a laureati in materie umanistiche? Quanto ampio è il mercato per gli uni e quanto lo è per gli altri?

Evidenza empirica 1 a rapporto: il 100% (stando a quanto dice il sito del mio corso di laurea) dei laureati in Informatica Applicata a Urbino - triennali per di più! - ha un'occupazione. In diversi (purtroppo su questo non ho statistiche) abbiamo un posto a tempo indeterminato.

Evidenza empirica 2 a rapporto: la TeamSystem sistematicamente propone inizialmente uno stage e, a meno di non essere delle vere capre, si viene assunti con contratto a tempo indeterminato subito dopo.

Indubbiamente il Paese è vecchio, è poco innovativo, la qualità dell'istruzione sta drasticamente calando, ma quanta responsabilità ha anche il singolo giovane per la sua situazione? Primo, nello scegliere una strada professionale piuttosto che un'altra (passatemi la metafora: un Vigile del Fuoco non potrà pretendere di avere un lavoro tranquillo fisicamente come può averlo un impiegato comunale). Secondo, conterà pur qualcosa anche il fatto che si *accettano* determinate condizioni. Se si accetta una determinata proposta (per indecente che sia) significa che si reputa che il proprio tempo e il proprio lavoro siano pagati sufficientemente dall'esperienza che quel lavoro fornisce. Se così non è, basta fare facilmente il calcolo che ho fatto io: guadagno di più a stare a casa e a formarmi su quello che dico io, cercando altrove.

 

Questa invece è una lezione che viene dalla Puglia.

Liberalizzazione estrema del mercato del lavoro: niente contratti, niente controlli, niente Stato, il solo potere "contrattuale" delle parti a determinare i prezzi delle prestazioni lavorative.

C'è un errore di fondo che è difficile forse da chiarire, e che dobbiamo spiegare ogni volta che andiamo a presentare il libro in giro per l'italia: liberalizzazione non vuol dire assenza di regole e tantomeno violazione sistematica delle leggi. Il caso che presenti non ha granché a che fare con un mercato del lavoro libero.

Per questo una liberalizzazione alla polacca può essere la soluzione per far ripartire un mercato del lavoro stagnante.

 

in Italia ho l'impressione che servirebbe a licenziare i vecchi occupati stabili (con conseguente crollo dei redditi delle famiglie nell'immediato e aumento della spesa pubblica in prepensionamenti e simili subito dopo, o peggio con trasferimenti di tipo clientelare) per sostituirli con finti lavori a tempo determinato pagati meno per lavoratori più giovani (se mi serve un tornitore o un contabile di solito mi serve a tempo indeterminato, tranne che per esigenze particolari di picco, per cui il beneficio di assumere una persona, licenziarla e riassumerla non lo vedo), ma con un livello di occupazione identico.

I lavoratori licenziati probabilmente lavorerebbero in nero, alimentando il sommerso. Nel complesso, gli effetti sarebbero esattamente il contrario di quanto auspicato: più spesa, meno gettito, meno domanda.

Sarò un pessimista superfisso o superfesso...o forse c'è chi condivide l'opinione di Voltremont sui lussi che non possiamo permetterci in materia di lavoro

Per questo una liberalizzazione alla polacca può essere la soluzione per far ripartire un mercato del lavoro stagnante.

Ma non capisco, in termini di liberalizzazioni, cosa ha fatto la Polonia che noi non abbiamo già fatto?? I contratti precari ce li abbiamo, e se per questo, da noi il datore di lavoro è liberissimo di fare 3, 4 e anche 10 contratti a tempo determinato successivi (magari non di diritto, ma di fatto sì, data la totale assenza di controlli). 

Il problema è sempre lo stesso: accanirsi contro gli entranti e lasciare inalterati i privilegi di quelli che un lavoro l'hanno trovato nei tempi d'oro. 

Il problema è sempre lo stesso: accanirsi contro gli entranti e lasciare inalterati i privilegi di quelli che un lavoro l'hanno trovato nei tempi d'oro.

Sante parole.  Privilegi.  Usare risorse per sostenere settori produttivi che in realtà produttivi non sono invece che per agire su settori che potrebbero diventarlo.  Mi viene in mente l'immagine di due macchine, una con il motore scassato e l'altra no: ho una batteria e cerco di usarla per far muovere la prima con il motorino di avviamento invece che usarla per avviare quella che funziona.

Devo ricordarmi di usare questa immagine con qualche sedicente Keynesiano...

Tanto per tornare a sparlare del modello superfisso (tipo bomba H sulla croce rossa): immaginiamo una proposta per togliere la cassa integrazione e usiamo quei soldi per sgravi fiscali alle imprese.  Vi immaginate la levata di scudi contro i capitalisti che vogliono rubare agli operai?  Senza ovviamente pensare che parte dei nuovi soldi dati a queste imprese finiranno alla forza lavoro (sempre che questa sia produttiva - ops!).  Ora, il meccanismo andrebbe studiato e tarato, ma l'idea che il mercato sia il mezzo più efficiente per allocare le risorse non è decisamente di casa.  Ma d'altra parte questo è il paese in cui un ministro aveva ideato la Robin Hood Tax, dando una chiara immagine della propria comprensione di certe dinamiche.

 Ho tralasciato un piccolo particolare: la riforma polacca viola spudoratamente le normative sul lavoro dell’Unione Europea del 1999 e, nel 2008, la UE ha ripreso la Polonia per non dare sufficente protezione ai lavoratori precari. In sintesi la riforma polacca aboliva il limite di tre contratti a tempo determinato, e del loro massimo di tre mesi ciascuno. In seguito la Polonia ha reintrodotto il limite di tre contratti, ma dopo due settimane di disoccupazione è possibile iniziare un nuovo ciclo. Dal punto di vista del datore di lavoro questo facilita l’assunzione perché, evitando il costo del lavoratore permanente, l’imprenditore assume più facilmente basandosi solo su costi di breve termine. In Polonia questo ha creato un ciclo virtuoso e sostenuto, addirittura di fronte all’ultima crisi,  intaccando però la sicurezza rappresentata una posizione a tempo indeterminato.

 da ignorante, mi viene da chiedere

1. la Polonia è l'unico paese "ripreso" dalla UE per tale normativa? davvero non ci sono altri paesi, ad esempio dell'Est , con normative simili?

2. è poi così diverso in Italia e nel resto d'Europa? l'inizio del nuovo ciclo di assunzioni a tempo determinato qui mi pare presupponga una interruzione poco più lunga (credo sui 20-25 giorni per esperienze a me vicine), ci sono contratti co.co.co, co.pro ecc.  cioè, ai polacchi è bastato davvero dare un minimo in più di flessibilità contrattuale per dare taaanta occupazione in più? in sostanza, è davvero questo il vantaggio polacco?

 

2) Personalmente mi sembra inverosimile. Al di là delle forme contrattuali, i salari in Polonia sono di per sè più bassi di quelli di altre aree europee (es. Sud Italia o altri paesi dell'Est più sviluppati, come Ungheria, Slovacchia o Rep. Ceca) e questo può essere stato rilevante.

In più, ho qualche perplessità che le differenze nelle normative tra paesi siano poi così forti nella pratica. Faccio un esempio: anche se in Italia è obbligatorio un certo periodo di tempo tra la fine di un contratto a tempo determinato e la riassunzione, molto spesso questa norma non è rispettata, e il lavoratore continua a lavorare a nero nel periodo "ponte".

A questo punto forse sarebbe meglio eliminare queste restrizioni e fare in modo che le imprese e il lavoratore si accordino autonomamente sulla durata della prestazione, senza avere dei limiti legali.

Non ho elementi per mettere in discussione il contenuto dell'articolo né per dubitare delle tesi esposte. Mi chiedo soltanto se la solidità dell'economia polacca e la tenuta dell'occupazione rispetto alla crisi, oltre che dalla flessibilità del lavoro traggano origine da altri elementi come il NON aver adottato l'€uro piuttosto che altri.

Volevo anche aggiungere una notazione non polemicamente: che il lavoro venga retriuito e considerato una merce sinceramente non mi pare riduttivo nulla di riduttivo e non ci vedo nulla che possa svilire né il lavoro né chi lo svolge. A mia opinione, la dignità al lavoro la conferisce chi lo svolge con il suo impegno e la sua serietà.  Riduttivo ed avvilente, anzi umiliante credo sia il NON lavorare o non averne l'opportunità o il dover incontrare difficoltà insormontabili come ineluttabilmente accade in un paese che si rifiuta di crescere (in tutti i sensi) e che accetta con indifferenza la tragedia della perdita del suo futuro attraverso la partenza delle sue intelligenze giovani e più qualificate costrette ad andar via per trovre la loro strada.

Liberalizziamo anche la lingua italiana? Pizzati, è efficienze, non efficenze, sufficiente, non sufficente...

Liberalizziamo anche la lingua italiana

Grazie per la correzione :-)

Mi devo decidere a installare un correttore automatico anche per l'italiano perche' quelle sono le sfumature che non beccherei mai.

E' vero che la Polonia ha avuto questi ottimi risultati, ma forse occorrebbe prendere in considerazione anche la "situazione di partenza"; l'Italia, globalmente, nel 2003 (o ancor prima nel 2000) non aveva per fortuna i livelli di disoccupazione della Polonia; sicuramente la maggior flessibilità del mercato del lavoro in Polonia ha permesso di assorbire buona parte di questa disoccupazione, specie tra i giovani, ma bisogna chiedersi se questa sia la ricetta giusta anche per noi.
Più nel particolare, piuttosto, i livelli di disoccupazione della Polonia erano simili a quelle di molte zone del nostro meridione.
La questione quindi va magari posta per quelle aree: ci vuole maggiore flessibilità? oppure, se la flessibilità era simile a quella polacca perchè lì non si sono registrati gli stessi risultati?


Mi sembra di aver letto dai commenti che per molti il problema in Italia sembra esser dato più dalle "resistenze" di chi ha acquisito posizioni di rendita nel passato che non nella flessibilità della nuova forza lavoro.
A questo proposito, faccio un osservazione:qual è stato il "punto di forza" della Polonia rispetto alle altre regione, in particolar modo rispetto al Sud d'Italia?
Da qui una particolarità si rileva facilmente: la più alta percentuale di popolazione in età lavorativa (popolazione più giovane). Anzi,  si può vedere che questa "peculiarità" si è spostata negli ultimi vent'anni proprio dalle regioni della Germania e del Nord Italia, verso la Polonia e la rep. Ceca. Per conferma chiedo: come è andata la Rep. Ceca durante questa crisi?
Se in Polonia la nuova forza lavoro è stata assorbita grazie alla flessibilità, da noi i vecchi resteranno vecchi.

Non c'e' dubbio che il PIL polacco sia andato diversamente da tutti gli altri paesi, ma siamo sicuri che le statistiche sul tasso di occupazione non siano state distorte dai flussi migratori? E' vero che in Italia i polacchi arrivavano gia' negli anni 90, ma in molti altri paesi UE (Gran Bretagna e Irlanda soprattutto) c'e' stato un afflusso enorme a partire dall'entrata della Polonia nella UE. E' possibile che molti disoccupati polacchi siano andati all'estero?

Sarebbe anche interessante vedere l'andamento del tasso di occupazione di altri paesi dell'est europa - per esempio Romania o Lituania, che come la Polonia hanno prodotto molti emigrati, e Ungheria o Repubblica Ceca, che credo ne abbiano prodotti meno.

La flessibilita' del mercato del lavoro mi sembra una condizione necessaria ma non sufficiente perche' si possa crescere. Nel suo ultimo articolo Michele dice che  

la crescita viene solo dal fare cose nuove o dal fare meglio le cose che si facevano prima

Cosa producono questi polacchi per non aver risentito della crisi? Io so che la FIAT produce Panda e 500 in Polonia ma nell'articolo si dice che gli investimenti stranieri non solo un fattore rilevante.


In Italia esiste il contratto a progetto che non è sottoposto a nessun limite circa la reiterazione.

Inoltre l'art. 66 del dlgs 276/2003 è un esempio di come sia eccessivamente tutelato il lavoratore fannullone, naturalmente per colpa della solita Cgil. Infatti esso prevede che la malattia e la gravidanza non sono pagate ed il rapporto rimane sospeso mentre se supera 1/6 della durata del contratto (mettiamo contratto a progetto fino a 6 anni) il committente può recedere liberamente.

Sinceramente in Italia ci sono sin troppi diritti.

 

un po di confusione?

Purtroppo credo che il modo con il quale sia stato implementato effettivamente il mercato del lavoro flessibile, sfruttando buchi e buchetti delle leggi, non abbia favorito di molto il diffondersi di una cultura sana della flessibilità. Se si facesse un test sui giovani circa il gradimento di questo genere di contratti non credo che il primo sarebbe elevato. Aggiungiamoci che mentre la flessibilità è stata introdotta, non si è fatta nessuna riforma del welfare in direzione di una tutela dei soggetti che erano sottoposti a certe forme contrattuali atipiche. Dico solo che diventa difficile difendere il valore della flessibilità del mercato del lavoro in certe situazioni italiane dove, peraltro non c'è neppure quella crescita economica intorno alla quale si dovrebbe essere flessibili.

Ludovico, per quanto riguarda la Polonia non ci hai detto nulla a) del livello salariale di questi nuovi posti b) della situazione contributiva. Naturalmente in rapporto ai livelli a tempo indeterminato polacchi. Mi sembrano dati necessari per comprendere meglio.

Poi e' gia stato chiesto, ma non ho letto risposte sufficientemente chiare: La liberalizzazione polacca in cosa sarebbe differente dalla situazione Italiana?

A me risulta che un mio caro amico lavori da anni per una società' di servizi con contratti annuali a progetto. Va in ufficio ogni giorno con orari da dipendente, durante l'anno lo spostano da un progetto all'altro secondo le esigenze dell'azienda, e tutti gli anni gli fanno un nuovo contratto a progetto. Nella sua azienda su un centinaio di dipendenti circa 90 sono a progetto, molti da anni e anni a questa parte.

In generale ho l'impressione che i contratti a progetto vengano impiegati più' per ridurre il costo del lavoro (dal lato contributivo e fiscale) che per la flessibilità' del lavoro stesso. E che una buona fetta dell'impresa Italiana sia piu' interessata ad aumentare i margini abbattendo il costo del lavoro piuttosto che innovando/aumentando la produttivita'. Ci sono cifre in grado di smentirmi?

 

Putroppo paesi come la Polonia (o ancora di più come lo stato italiano) hanno una situazione di conti pubblici che non consente una generosità scandinava con i propri disoccupati. Per questo una liberalizzazione alla polacca può essere la soluzione per far ripartire un mercato del lavoro stagnante. Ciò consentirebbe di aumentare il gettito fiscale ed alleggerire gli onerosi costi per lo stato di una disoccupazione cronica, risparmiando così risorse da utilizzarsi poi per l’implementazione di un sistema scandinavo di servizi sociali.


Certo, nella speranza che 1) il mercato riparta davvero (ma mi sembra che in molti settori - soprattutto servizi ed alta tecnologia, correggetemi se sbaglio - in Italia di fatto ci sia di già' una flessibilità' comparabile con i contratti a progetto) e 2) che poi i soldi del gettito extra non si perdano per strada ma rientrino davvero come sussidi per la disoccupazione e formazione per riqualificare i licenziati. Vista la situazione italiana ne dubito, e ho l'impressioni che quello che tu proponi finirebbe, as ever, per favorire una parte della popolazione (la più' skilled e/o benestante e/o ammanicata) penalizzandone l'altra (povera e unskilled).

A mio parere l'unico modo accettabile per liberalizzare ulteriormente il mercato del lavoro in Italia consista nell'introdurre contestualmente (e non a babbo morto) una contribuzione previdenziale seria, sussidi efficaci e investire sulla riqualificazione dei lavoratori disoccupati. Tipo la proposta di Ichino.

 

Ho letto quasi tutto. Domani rispondo (anche se non ho tutte le risposte) perche' adesso ho giornate di fuoco.

aggiungerei anche che, se liberalizzazione deve essere, valga per tutti. Non che continuino protezioni perenni per gli insider e flessibilità/precarietà a oltranza per gli outsider

Sulla questione "lavoro precario" e "posto fisso" c'è una questione che proprio non riesco a risolvere, da tempo.

Ricordo che leggendo tempo fa La Ricchezza delle Nazioni, nella parte relativa alle variabili che regolano (regolavano) i salari, Smith segnalava che l'incostanza dell'occupazione determinava salari più alti; in pratica, i "precari" erano pagati di più.
Evidentemente Smith riportava quello che era un dato di fatto del mercato del lavoro del suo tempo (e del mercato a lui noto). E per questo dato di fatto cercava anche di dare una giustificazione: quello che guadagna mentre è occupato deve "compensare" il "precario" dei periodi di non occupazione.

Questa situazione è senz'altro ben diversa dalla situazione del nostro "precariato":
"precario".. e quasi sempre, anche meno pagato.

La questione che mi pongo è:
se è vero quello che riportava Smith, com'è che in un mercato del lavoro "non tutelato" (come direbbe oggi qualche sindacalista), dove addirittura i sindacati dei lavoratori erano vietati, il lavoro "precario" poteva godere di questi "vantaggi"?

p.s. ovviamente le differenti categorie vanno utilizzate con le dovute cautele. "posti fissi" all'epoca di Smith non ce n'erano. Quello che qualcuno chiama "precario" perchè ha un contratto determinato per Smith era comunque un lavoratore con occupazione sicura, ma credo che la questione resti comunque valida.

se è vero quello che riportava Smith, com'è che in un mercato del lavoro "non tutelato" (come direbbe oggi qualche sindacalista), dove addirittura i sindacati dei lavoratori erano vietati, il lavoro "precario" poteva godere di questi "vantaggi"?

..perchè oggi i lavoratori nei "posti fissi" hanno un salario superiore a quello di equilibrio per via dei vincoli legislativi, mentre quelli precari no (o non molto). Sono le tutele sui "posti fissi" che impediscono ai lavoratori precari di poter usufruire di salari relativamente più alti, che dovrebbero ricevere proprio perchè i loro lavori sono precari (?).

 

Sulla questione "lavoro precario" e "posto fisso" c'è una questione che proprio non riesco a risolvere, da tempo.

 

Forse il problema è che il ragionamento di Smith presuppone che (1) ciascun lavoro richieda una particolare e necessaria competenza e che (2) ciascun lavoratore sia disposto (e obbligato dalla fame) ad accettare il migliore dei lavori che gli vengono offerti, (3) senza potersi permettere di attendere in eterno il suo lavoro ideale, a prescindere dall'esistenza o meno di tale lavoro e dal possesso o meno delle qualifiche necessarie.

In un tale mondo, che riguarda miliardi di persone sulla Terra, ma non tutti, la "regola" secondo me vale.

Qualunque libero professionista chiede una certa cifra oraria per un'ora di consulenza e magari per un giorno, ma se gli viene proposto un mese di consulenza inizia a chiedere meno e se si tratta di un anno la tariffa oraria cala ancora.

Scusate, vorrei evidenziare che il problema principale e trasversale di buona parte dell'Italia è il bassissimo livello di MERITOCRAZIA.

Oltre ai problemi di rigidità abbiamo problemi di MERITOCRAZIA con tutto quello che ne discende in produzione di valore sottratto (oltre a quello prodotto dalla criminalità).

L'Italia ha  un sistema CULTURALE clientelare e di amicizia, di conseguenza paragonare solo le rigidità del mercato del lavoro  non dico che non serve, ma in molti settori e aree dell'Italia sono poco influenti.

Attualmente la Sardegna per quanto vi sembrerà strano in una serie di settori è regolata esattamante come la Lombardia, ovvero per vincoli di fratellanza e/o da una Compagnia decisamente Operosa, solamente mentre in altre attività private in lombardia si trova lavoro in Sardegna no.

Abbiamo molte aziende drogate da contributi dove assumere per capacità non è importante in quanto la sopravvivenza non dipende dalla bravura dei suoi dipendenti INDIPENDENTEMENTE dal contratto.

Di pagare di più un bravo consulente o dipendente in molte aree italiane o settori non frega a nessuno e non è un caso limite, è lo STANDARD!!!

 

Qualunque libero professionista chiede una certa cifra oraria per un'ora di consulenza e magari per un giorno, ma se gli viene proposto un mese di consulenza inizia a chiedere meno e se si tratta di un anno la tariffa oraria cala ancora.

 

In molti casi anche questa contrattazione non viene fatta, pagano bene il professionista amico e se tu sei bravo ti chiamano per pochissime giornate di consulenza per risolvere i casini che ha fatto l'amico.

Ma di che cosa vogliamo parlare? 

Quando si fanno i paragoni dobbiamo focalizzare i contesti e gli ambiti di applicazione!!

La discussione si è concentrata e limitata su considerazioni circa il lavoro temporaneo , a tempo limitato , precario che dir si voglia , mentre l'articolo di apertura voleva dimostrare la seguente tesi :

Il comportamento virtuoso della Polonia in termini di crescita del PIL e del tasso di occupazione ha radici addirittura nel 2003 quando per legge venne ampiamente liberalizzato il mercato del lavoro.

Ho fatto un giretto sulle tavole Eurostat ed ho ricavato la convinzione che quanto scritto è possibile ma non è supportato in modo univoco dai dati.

La metodologia è molto comune ma non mi convince  : si individua un risultato atipico , si cercano azioni altrettanto atipiche e si stabilisce una relazione di causa effetto fra risultato e la prima o la più gradita azione individuata.

Procediamo per ordine :

--- CRESCITA

Il grafico seguente mostra i tassi di crescita del PIL dal 2000 al 2009 degli Stati ex-comunisti del Nord Europa

il grafico mostra che la peculiarità della Polonia è di avere evitato la recessione nel 2009 ma negli anni precedenti la Slovacchia è cresciuta sempre di più.

Io penso che ciò possa essere piuttosto dovuto al fatto che lo zloty si è svalutato rispetto all'euro , nel 2009 rispetto al 2008 , di ben il 22,3% mentre per esempio la Corona Slovacca ( SKK ) dismessa a fine 2008 per l'adesione all'euro , con il cambio irrevocabile , si è praticamente rivalutata del 2,3%

Questo ha permesso ( unitamente al basso livello sul PIL rispetto agli altri paesi e al tipo di merci esportate ) di limitare la caduta dell'export e ridurre molto di più l'import guadagnando sul balance il 4,1%

Non è neanche da trascurare il fatto che nonostante tutto la Polonia resta il paese più povero ( PIL pro capita in € e anche a PPS ) e lo era ancora di più in partenza nel 2003.

Ciò mi ricorda come il barbone nel mezzanino del metrò dica di avere avvertito meno la crisi dell'impiegato che gli dà qualcosa ogni giorno.

Per una maggiore comprensione si veda anche la tabella in calce

--- EMPLOYMENT RATE

La tabella seguente non mostra nulla di eccezionale per la Polonia : era partita nel 2003 molto male ed ha recuperato con una crescita più o meno come quella della Slovacchia ; tranne l'ultimo anno che può ancora essere spiegato , come la crescita , dalla svalutazione 

----- CONCLUSIONI

Come conclusione direi che sicuramente la legge di liberalizzazione del lavoro avrà certamente aiutato la performance della Polonia ma non è certamente l'unica causa.

Dei paesi ex-comunisti del nord a me sembra che il vero CAMPIONE sia la Slovacchia ( non solo nel calcio avendoci eliminati dal mondiale ed umiliati )

Dei paesi più ricchi in partenza ( 2003 ) la Repubblica Ceca ha tenuto abbastanza mentre l'Ungheria sta copiando l'Italia.

C'è poi da dire che la Polonia è prima in diseguaglianza ( Gini index 32 ; un punto più alto di noi  ) mentre gli altri paesi sono leggermente meglio o  impercettibilmente peggio della Svezia ( 24 )

 

 

TABELLA DATI PER MAGGIORE PER MAGGIORE COMPRENSIONE

 

timeunitsPolandSlovakiaCzech RepHungaryItaly

PIL growth @ c.p. 09/0809/08%1,7%-4,7%-4,1%-6,3%-5,0%

PIL growth @ c.p. 09/0309/03%32,1%36,1%23,7%7,5%-0,8%

PIL @ market price2009B€310,163,3137,293,11520,9

Inhabitants2009millions38,15,410,510,060,0

PIL @ m.p. / inhabitant200981311170213112928025329

PIL @ PPS. / inhabitant20091430016900190001490024000

PIL @ PPS. / inhabitant20031010011500152001300022900

PIL growth @ PPS. 09/03%41,6%47,0%25,0%14,6%4,8%

Prices vs Italy2009ratio0,540,660,650,591,00

export / PIL2008%40,0%83,0%77,1%82,1%28,9%

export / PIL2009%38,9%70,1%69,1%77,9%24,0%

import / PIL2008%44,0%85,3%72,5%81,2%29,5%

import / PIL2009%38,8%70,4%63,5%70,9%24,4%

exp-imp balance2008%-4,0%-2,3%4,6%1,0%-0,6%

exp-imp balance2009%0,1%-0,2%5,6%7,0%-0,4%

GINI index2008ratio32,023,724,725,231,0

loc.c.cy / €08/09%-22,3%2,3%-7,7%-10,3%0,0%

pil comp. var - hh exp09/08% of PIL-0,3%3,7%0,9%-0,9%0,6%

pil comp. var - gov exp09/08% of PIL-0,3%2,2%1,7%-0,1%1,4%

pil comp. var - gr cap form09/08% of PIL-3,5%-7,5%-3,5%-4,9%-2,2%

pil comp. var - export09/08% of PIL-1,1%-12,9%-8,0%-4,3%-4,9%

pil comp. var - import09/08% of PIL-5,2%-14,9%-9,0%-10,3%-5,1%

O.T. AIUTO! non riesco più ad usare la funzione "INSERT A NEW TABLE" uso Google Chrome!

 

 

 

 

 

dimenticavo : qualcuno ( mi pare Francesco ) si chiedeva il peso nell'economia polacca della FIAT che assembla 260000 Panda l' anno

Esagerando attribuendo un VA unitario di 3000 euro fanno 780 milioni ( 0,25% del PIL 2009 )

Ok, torniamo I.T.

Ci sono stati vari commenti con testimonianze di abusi, in Italia, dei contratti precari. È un prezzo sociale (presente e futuro) da pagare, indubbiamente. D'altra parte l'articolo propone la soluzione polacca per uscire dalla crisi. Mi chiedo: vale la pena? È una ricetta adattabile anche da noi?

Stando così le cose, no. Perché purtroppo in Italia la flessibilità (se non la precarietà) colpisce solo i neo-assunti e con pesanti abusi. Le proposte di Boeri (qui e qui) mi sembrano invece piuttosto interessanti.

Per ragioni sempre di spazio posto una serie di considerazioni sul mio blog.

http://pensatoio.ilcannocchiale.it/2010/09/03/quando_non_si_sa_cosa_dire_noi.html

Credo che l'analisi qui fatta sia un po' semplificatoria

 

la svalutazione dello zloty è stata , contro euro > 20% : da 2,3 a 3,1 vs $ , da3,37 a 4,33 vs €. ( media 2009 / media 2008 da C.I.A. factbook )

vedi mio post intorno a mezzogiorno

ignoravo i fondi europei 

16,8 mld di zloty ( circa 4 mld di euro ) sono l'1,3% del PIL 2009 ; senza la crescita sarebbe stata comunque 0,4% ( no recession ) ma bisogna anche considerare i fondi 2008 e conteggiare solo la differenza. 

 

Eppoi dicono che non ci sono più i teorici del sottoconsumo!

Il pezzo su Rosa è bestiale, in tutti i sensi. Con quel livello di rigore logico potresti provare più brevemente l'esistenza degli angeli, dei cherubini e dei serafini. Forse anche degli arcangeli ... beh, almeno tu hai il coraggio di dirlo che sono Rosa&Co che ti ispirano. Brancaccio ed amici quel coraggio non ce l'hanno e si nascondono dietro alle spalle di Krugman. Onore a te.

E devi anche essere uno simpatico: almeno ammetti subito d'essere alquanto confuso.

Oddio, non che senza quella pubblica dichiarazione non ce ne saremo accorti, ma aiuta ...

Continua così, keep up the fight: il sol dell'avvenire un giorno sorgerà.

Ah, per quanto riguarda Brancaccio la sua tesi dei bassi salari non è proprio sottoconsumistica. I bassi salari sono una precondizione del sottoconsumo, ma non sono automaticamente sottoconsumo.

Comunque lui si ispira chiaramente a Marx. Non si nasconde. E' una persona sincera.

Spero che vi incontriate e vorrei esserci.

 

I bassi salari sono una precondizione del sottoconsumo, ma non sono automaticamente sottoconsumo.

 

Questa mi interessa, spiegami.

Ovviamente nel caso di "riproduzione allargata", come chiamate voi la crescita economica.

 

Spero che vi incontriate e vorrei esserci.

 

Anch'io vorrei esserci, si accettano prenotazioni?

 

Ho notato un paio di commenti riguardo il recente studio "econometrico" da me citato.

L'articolo a cui mi riferivo e' "Poland's Labor Market: a Temporary Fix?" di Mark e Hilary Ingham che io ho ricevuto per email da un collega. L'articolo fa un'analisi econometrica (un logit) utilizzando il LFS polacco. Cercando una versione online ho linkato per errore uno studio degli stessi autori con un titolo simile: "Poland's Jobless Growth: A Temporary Cure?".

In conclusione il recente studio econometrico esiste, solo che ho sbagliato il link. Ho appena cercato di nuovo una versione online e evidentemente non c'e' appunto perche' e' "recente".

A chi interessa controllare i loro risultati econometrici i quali indicano che i nuovi temporary jobs vanno a young less educated workers, puo' contattare direttamente gli autori.

Eccolo. E' una versione piu' vecchia (con altro titolo) ma e' lo stesso paper a cui mi riferivo. Nella section 4 avete tutta l'econometria che cercavate.

Pare che Polonia sia attraente non solo per la flessibilita' del lavoro

http://www.repubblica.it/esteri/2010/09/06/news/twinings_polonia-6810725/?ref=HREC1-3

L’arrivo di capitale straniero può spiegare l’aumento di occupazione polacca in buona parte di questo decennio, ma gli investimenti stranieri erano altrettanto robusti durante il declino occupazionale degli anni novanta, e l’improvviso prosciugamento di capitale estero dovuto alla crisi finanziaria non ha intaccato il mercato del lavoro polacco nel 2009.

Questo grafico sembra suggerire un'altra storia: un'incremento sostaziale di FDI a partire dal 2003. E, indipendentemente da chi e' il proprietario delle aziende polacche, mi rimane la curiosita' di sapere cosa producono questi polacchi per non aver risentito della crisi. Infine, come notato da un'altro lettore, mi sembra che la massiccia emigrazione verso l'UK potrebbe avere un effetto non irrilevante sulle statistiche di occupazione/disoccupazione

Carmine, se non ritratti giuro che non ti parlo più (e dobbiamo scrivere un paper assieme per Cato, che son ancora lì che aspettano ansiosi, non te lo scordare ... anzi devo mandarti l'extended abstract che ho mandato loro ...).

La teoria di LP magari non regge, anzi quasi sicuramente non regge perché è monocausale e queste cose hanno sempre una varietà di cause e concause. Però, almeno, è logica ed internamente coerente, oltre che consistente con i dati disponibili.

Le cose che suggerisci, invece, non lo sono. E mi spiego

- FDI. Bravo, e secondo te gli FDI arrivano per caso? Non ti suggerisce nulla il fatto che questi liberalizzino il mercato del lavoro e, giusto lo stesso anno, cominciano ad arrivare investimenti dall'estero in quantità eccezionale? Controllato mai cosa sia successo in Irlanda nella seconda metà anni '80 ed in altri paesi che hanno adottato politiche simili? Detto altrimenti, prova a chiederti perché tutto quel ben di dio d'FDI non arriva in Italia nel 2003! Infine, spero ti ricordi la differenza, di contabilità nazionale, fra FDI e total capital inflows ...

- Cosa producono o a che costi lo producono? Cosa vuoi che producano? Quasi certamente merci "mature", certo non le ultime medicine o l'ultimo software, al momento almeno. So what? So what? Avresti potuto chiedere: cosa bevono a pranzo questi polacchi? Avrebbe avuto la stessa rilevanza per il topic at hand.

- Ed infine, hai letto i papers che LP linka? Capisci la differenza fra percentuali e valori assoluti? Chi diavolo se ne frega se la gente emigra verso UK o verso lo Zambia? Ciò che conta è che il LIVELLO ASSOLUTO DELL'OCCUPAZIONE è cresciuto in modo non ordinario per quel paese!

Basta, per favore, con questi commenti scritti senza prima riflettere un attimo sugli aspetti tecnici del tema! Capisco i dilettanti ed i perdigiorno, ma ora anche i colleghi e persino gli allievi a far confusione con l'abc dell'economia!

P.S. Questa è della serie "colpirne uno per educarne 100". Quindi ho "colpito" Carmine perché c'è abituato alle mie randellate ... gli altri hanno la pelle più tenera non essendo stati trained in una certa palestra. Ma, davvero, il numero di commenti a cazzo e completamente sballati, su temi tecnici facilmente dirimibili, sta arrivando a livelli insopportabili. Passa la voglia di discutere tanto è alto il noise/signal ratio.