Il testo dei decreti delegati si può leggere qui. Mi soffermerò brevemente sulla questione che a me sembra, in un periodo di crisi e ristrutturazione come questo, quella piu' rilevante sul piano macroeconomico: la regolazione dei licenziamenti collettivi. Non ritengo invece interessante la diatriba sull'applicabilità o meno al settore pubblico. Ammesso e non concesso il governo rendesse le norme della 183/14 applicabili anche al settore pubblico, vorrei proprio vedere quale amministrazione pubblica licenzierebbe e chi! Non licenziano i condannati per corruzione in via definitiva e gli assenteisti, per non parlare delle maestre assunte mentre sono sotto processo per percosse, figuriamoci i lavativi semplici.
I punti che vale la pena sottolineare sono, a mio parere, due: da un lato le condizioni sotto le quali il licenziamento collettivo e' possibile e, dall'altro, la curiosa mancanza di una clausola “ponte” o di salvaguardia. Il decreto dice:
Art. 10 – Licenziamento collettivo.
In caso di licenziamento collettivo ai sensi degli articoli 4 e 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223, intimato senza l’osservanza della forma scritta, si applica il regime sanzionatorio di cui all’articolo 2 del presente decreto [due mensilità per ogni anno, NdR]. In caso di violazione delle procedure richiamate all’articolo 4, comma 12, o dei criteri di scelta di cui all’art. 5, comma 1, della legge n. 233 del 1991, si applica il regime di cui all’articolo 3, comma 1 [mensilità riconosciute per ogni anno di servizio].
L'aspetto innovativo è che ora il giudice può al massimo stabilire il numero di mensilità “risarcitorie”, ma se c'è un accordo precedente, o se l'azienda si attiene alla lettera della legge, il licenziamento è legittimo, si paga e tutto finisce lì. In questo meccanismo automatico manca qualcosa (o meglio qualcuno): i sindacati. Fino ad oggi quando si voleva chiudere un'azienda o un ramo di attività, in perdita o meno che fossero, cominciava per forza di cose un lungo tira e molla con i sindacalisti. Questi erano controparte obbligata per legge e questo dava loro un potere sia enorme che abnorme.
Con questi decreti attuativi spariscono sindacati e sindacalisti, anzi nemmeno vengono nominati. Ben si capisce, quindi, l'astio di Camusso & Co. nei confronti di una legge che semplicemente li ignora e ne ridimensiona quindi il potere interdittivo e di veto che aveva loro dato, nei quasi 50 anni precedenti, l'enorme ruolo che hanno nell'economia italiana. Vedremo se questo atteggiamento del governo continuerà o assisteremo a una qualche retromarcia.
Qui sorge la curiosità, per cosi' dire: manca completamente una norma che disciplini sia “la furbata" (ovvero: la finta chiusura di uno stabilimento/attività/azienda/whatever e la riapertura con una newco che riassuma i dipendenti con un nuovo contratto) che il semplice e regolare riassorbimento a fronte di crisi effettive, ristrutturazione stile "Chapter 11 negli USA" e riapertura di una nuova societa' che riesce ad occupare, a condizioni diverse, almeno una parte dei dipendenti di quella decotta. Chi lavora con il gruppo FIAT, ad esempio, ben sa che più di una volta la FIAT ha cambiato ragione sociale ad uno stabilimento per i motivi piu' svariati, spesso interni (lo stabilimento di Pomigliano è una newco, ad esempio, e a breve lo dovrebbe diventare anche Melfi). Lo ha fatto licenziando e riassumendo (riassorbendo, in gergo sindacale) i lavoratori i quali, quindi, si trovavano a firmare un nuovo contratto a fronte di una semplice riorganizzazione societaria di natura del tutto finanziaria ed aliena all'attivita' industriale vera e propria. Un caso tipico di "riassorbimento da vera ristrutturazione" e' quello delle fusioni in campo bancario, con sportelli della banca assorbita ceduti dalla sera alla mattina. In tutti questi casi normalmente i lavoratori sono "riassorbiti" con stipendi e mansioni uguali a prima e nulla cambia. Ecco, questo era vero sino ad ora ma ora una domanda sorge ovvia: l'art.18 che fine fa ? Si mantiene, come un diritto acquisito, o essendo i dipendenti entrati in un "nuovo rapporto di lavoro" con una nuova azienda, cessa di applicarsi?
Molti paventano licenziamenti in massa nel prossimo futuro per trarre vantaggio di questa "dimenticanza", io lo dubito per ovvie ragioni politiche e di governo dell'azienda, ma non e' questo il punto. Il punto che m'interessa e' notare che di una sorprendente dimenticanza si tratta perche' vi sono "riassorbimenti-furbata" e vi sono "riassorbimenti-veri" ... e la differenza conta! Nel secondo caso chi è svantaggiato è l'azienda, che si potrebbe trovare di fronte a contenziosi e proteste pur avendo compiuto una ristrutturazione e creazione di newco del tutto legittime senza le quali l'impresa precedente avrebbe semplicemente chiuso mandando tutti a casa.
Ecco, manca una norma che disciplini quello che già avviene costantemente, magari una norma in via transitoria, ma manca. Dimenticata per sbadatezza, incompetenza, o volutamente? Ah, saperlo...
Il regime introdotto sui licenziamenti è di tipo "risarcitorio", il giudice può al massimo stabilire su che base calcolare il risarcimento, quello che ho mancato di esplicitare (la fretta e i troppi roccocò...) è che se l'azienda paga subito il massimo che un giudice può infliggere (24 mensilità di stipendio) il giudizio non si pone proprio.
Rimangono fuori solo i licenziamenti "discriminatori", difficilmente dimostrabili in caso di licenziamenti collettivi, a meno di clamorose fesserie (ad es.: sono licenziate solo le operaie incinte, oppure solo gli iscritti a un determinato sindacato).