La vicenda è ben nota. In breve, il management di MPS, che ha oggi una capitalizzazione di circa 2 miliardi di euro, aveva deciso di effettuare a partire da questo mese un aumento di capitale per 3 miliardi da concludersi entro marzo 2014, al fine di rimborsare da subito (anziché aspettare la fine del 2014) al governo italiano la gran parte dei 4 miliardi dell'oneroso prestito concesso mediante i "Monti bonds". La Fondazione MPS, che oggi detiene circa 1/3 del capitale, aveva chiesto di far slittare l'inizio dell'operazione di almeno 4 o 5 mesi. Motivo: avere il tempo di concludere trattative per vendere a buon prezzo una quota delle proprie azioni per rimborsare il proprio debito residuo di 350 milioni contratto con soggetti privati per partecipare al precedente aumento di capitale. Trattandosi della metà del valore della propria partecipazione in MPS e non potendo partecipare, causa illiquidità, al nuovo aumento di capitale, 350 milioni nella banca (il valore della partecipazione dopo aver estinto il debito della Fondazione) significano 1/6 del pacchetto azionario prima dell'aumento di capitale e una diluzione al (2/5)*(1/6) = 7% circa dopo. Se dovesse vendere a cattivo prezzo e restare, diciamo, con 1/8 del pacchetto, la diluzione scenderebbe al (2/5)*(1/8) = 5%. Questo può far differenza sia per il controllo della banca sia per la fetta di utili che la Fondazione distribuisce in erogazioni a Siena e provincia. Pertanto, quando il CdA di MPS, il 12 dicembre scorso, ha risposto picche alla carta del rinvio ("problema della Fondazione MPS, non di banca MPS" hanno detto, in sostanza) la Fondazione ha dissotterrato l'ascia di guerra e all'assemblea del 28 dicembre ha vinto la battaglia contro il management, ottenendo rinvio dell'inizio delle operazioni di aumento di capitale a maggio 2014 e conclusione entro marzo 2015.
Il CdA era contrario al rinvio per due ragioni: primo, rimborsare il grosso dei Monti bonds in anticipo risparmiando circa 130 milioni di interessi. Secondo, e più importante, andare sul mercato dei capitali prima dei concorrenti nazionali ed europei, che devono anch'essi ricapitalizzarsi massicciamente nel corso del 2014. La decisione di rinvio fa perdere entrambi questi vantaggi (riduce quindi la redditività e il valore della banca) e, in più, espone MPS al serio rischio di dimissioni del vertice dell'organizzazione, cioè del presidente Profumo e dell'amministratore delegato Viola, la cui strategia è stata bocciata in assemblea. Queste dimissioni avrebbero effetti deleteri, rendendo ancora piu' incerta la redditività e quindi ancora meno appetibile la partecipazione all'aumento di capitale da parte degli investitori. Ma allora da dove nasce il conflitto? Se le ragioni della Fondazione MPS sono quelle dette, non doveva essere interesse comune supportare il management e andare subito all'aumento di capitale? Questo avrebbe massimizzato il valore del pacchetto della Fondazione (condizionatamente al fatto che l'aumento sarebbe stato fatto in ogni caso).
L'esistenza di un conflitto fa quindi pensare che ci siano motivazioni non dette, ma che non sono difficili da immaginare. Voglio iniziare il 2014 da peccatore e pensar male, ma nemmeno troppo, perché le dichiarazioni della presidente Mansi sono praticamente una confessione:
Con le Fondazioni non c’è stata una trattativa: a tre giorni dall’assemblea non si poteva fare niente, mentre oggi ci sono più possibilità di andare ad affrontare l’argomento
La Fondazione MPS, nella mia malevola interpretazione corroborata da questa confessione, ha cioe' bisogno di tempo non tanto per vendere a buon prezzo (cosa che probabilmente avrebbe potuto fare meglio assecondando il piano del management) ma piuttosto per vendere ai compratori giusti, compratori che possano essere soci alleati, "comprensivi" e non ostili, nel futuro capitale di MPS. Per esempio, appunto, le sorelle fondazioni bancarie, ad essa consanguinee. Sul perché le fondazioni continuino ad essere il problema del sistema bancario italiano ci siamo lungamente soffermati l'anno scorso.
La Fondazione MPS ha quindi perso il pelo di una presidenza incompetente (la nuova presidente Mansi è decisamente migliore dei due precedenti messi insieme) ma non il vizio di perseguire primariamente fini politici e non meramente patrimoniali come una fondazione dovrebbe fare (ripeto: se oggi voleva tutelare il suo patrimonio in netta discontinuità con le precedenti gestioni, lo avrebbe potuto fare meglio seguendo il management di MPS sul sentiero più profittevole che aveva indicato e dismettendo quindi la quota a prezzi migliori). Il management di MPS, a sua volta, sa che la Fondazione MPS è un cattivo proprietario. Sono loro che hanno prima allevato e poi lanciato Mussari a una disastrosa presidenza della banca; loro che hanno deciso, forti allora di oltre il 50% del capitale, la disastrosa operazione Antonveneta; etc. Quindi il management, anche se dalla Fondazione è stato scelto in un momento disperato in cui si dovevano scegliere i migliori banchieri disponibili sul mercato, non si è curato del fatto che un aumento di capitale in tempi stretti avrebbe messo alla porta il cattivo proprietario illiquido, senza neppure dargli il tempo di cercare l'aiuto di alleati consanguinei più liquidi. Il management ha cioè fatto quello che un buon management dovrebbe fare, mettere l'interesse dell'organizzazione e dei piccoli azionisti (che in tutto questo sono i veri perdenti, è bene ricordarlo) prima di quello degli azionisti più grandi, quando questi non coincidono. La lesa maestà è costata una sconfitta davanti all'assemblea. Tra due settimane, con la prossima riunione del CdA, sapremo se Profumo e Viola si dimetteranno (ci sono ottime ragioni per farlo: se il proprietario uscente vuole che la banca intraprenda un sentiero diverso che lo faccia con managers compiacenti).
Quando il sorprendente "picche" del CdA alla Fondazione aveva aperto lo scenario di un MPS liberato dall'influenza nefasta della Fondazione MPS ho pensato che se un amico con (a differenza di me) due lire mi avesse chiesto un consiglio gli avrei certamente detto di considerare seriamente la partecipazione all'aumento di capitale. Oggi mi rimangerei la parola. Dice Antonella Mansi nell'intervista sopra che i mercati capiranno. Concordo: i mercati capiscono benissimo. Auguri per un buon 2014 a MPS. Ne ha davvero bisogno.
Ci sono altre cose nell'intervista a Mansi che mi fanno sobbalzare sulla sedia. Le commento qui telegraficamente a mo' di Post Scriptum.
se l’ente avesse voluto vincolare in maniera miope il destino della banca, avrebbe semplicemente potuto votare contro l’aumento di capitale.
Certo, ma in questo caso la nazionalizzazione sarebbe stata inevitabile: niente aumento di capitale, niente rimborso dei Monti bonds entro i termini contrattuali. Noi diciamo che questa scelta non e' incentive compatible per la Fondazione MPS. Per favore, non cerchiamo di far fessa la gente fregiandosi del merito di non aver scelto un'opzione che non è incentive compatible.
questa continua perturbazione mediatica non fa bene all’istituto. Sono stati anche dati messaggi del tutto catastrofistici che non hanno una solida base.
Beh, io questa "perturbazione mediatica" preferisco chiamarla "trasparenza dei mercati". Se io stasera do un messaggio catastrofico del tipo "FIAT nel 2014 chiude per bancarotta" stia pur tranquilla che nessuno mi prenderà sul serio. Se non c'è solida base di cosa si preoccupa? Lasciamo che i giornalisti economici in Italia facciano il loro mestiere, che diversi tra loro lo sanno fare bene. Se no si fa esattamente come Voltremont, ricordate? La crisi nel 2010-2011 peggiorava perché c'era tutta questa perturbazione mediatica di gente che diceva che c'era la crisi.
forte sostegno alla validità del piano di ristrutturazione, di cui non è stata toccata una virgola se non un posticipo di pochi mesi
Beh, 130 milioni, e le possibili dimissioni dei vertici di quel management che sta implementando la ristrutturazione non sono meno importanti delle virgole. Idem per il posticipo di pochi mesi: i segnali contano, le aspettative cambiano.
è sovrana, se non m'inganno, ma entro certi limiti. Nella specie, la Fondazione ha fatto prevalere il suo interesse a non vedere diluita la sua partecipazione sociale sull'interesse della Società: a norma degli artt. 2373 e 2377 cod. civ., il consiglio d'amministrazione potrebbero impugnare la deliberazione per provocarne l'annullamento e chiedere alla Fondazione il risarcimento dei danni.
a mio avviso, quale che sia la norma del codice a riguardo, deve essere la proprietà a valutare quali siano le ipotesi migliori.
infatti, pur sembrando ampiamente condivisibili, le scelte del management si basano su previsioni ovviamente incerte, a cui se ne possono sempre contrapporre altre, conducendo a un impasse che il ricorso giudice, anche solo ipotizzato, potrebbe solo aggravare. la fondazione può fare, ha fatto e il management può sempre dimettersi.
nel merito, giulio zanella evidenzia benissimo la puerilità delle scuse della fondazione, vere foglie di fico su colossali vergogne di sistema, cioè condivise da tutto il sistema bancario italiano. qua non interessa affatto "salvaguardare il patrimonio della comunità locale", bensì mantenere influenza e potere a una certa cerchia di ottimati. il tempo guadagnato serve a premere sulla cordata delle altre fondazioni sorelle, molte già stremate, non certo ad organizzare un'asta per il pacchetto di controllo.
se queste cose le ho capite io, le hanno capite tutti, anche il famoso mercato che è meno tontolone e molto più sospettoso e anche vendicativo.
Vero ma questo aumenterebbe l'incertezza. Inoltre con i tempi e l'incertezza della giustizia italiana si arriverebbe ad avere una sentenza solo a banca fallita (vabbé esagero, ma dubito che tra ricorsi e contro ricorsi si farebbe prima dei mesi di rinvio già votati dalla fondazione).
Quindi meglio, per il CDA, fare buon viso a cattivo gioco ed al massimo dimettersi se ritiene di non poter fare nulla.
Luciano,
In realta', come ho cercato di spiegare nel post, il tentativo non e' quello di evitare la diluzione della propria quota (che e' inevitabile perche' la Fondazione e' illiquida e l'aumento di capitale verra' fatto comunque, col consenso anche della stessa Fondazione che non puo' dire di no) quanto, secondo me, di cercare che la propria diluzione sia compensata dall'entrata di soci con obiettivi (preferenze) perfettamente allineati ai suoi.