Sono deputato di Idv dal 2006. Ho partecipato alla costruzione di questo partito fin dalla sua nascita (nel 2000). Ho ricoperto per molti anni la carica di Coordinatore Nazionale dei Dipartimenti Tematici, che sono stati lo strumento attraverso il quale è stato elaborato il programma politico del partito, per lo meno fino alle scorse elezioni politiche del 2008. Fu per quella occasione infatti che venne predisposta l'ultima revisione del programma generale del partito. Oltre che Coordinatore Nazionale dei Dipartimenti Tematici ero anche Responsabile Nazionale del Dipartimento Economia. A tutt'oggi sono il Responsabile di Idv per le questioni economiche. Ritengo perciò di poter svolgere qualche riflessione e forse dare qualche risposta alle numerose questioni sollevate dagli interventi recentemente apparsi su nFA.
In primo luogo vorrei osservare che la storia di Italia dei Valori parte nel 2001, quando con una organizzazione impiantata in pochi mesi si presenta alle elezioni politiche del 2001, prende il 3,96% dei voti, ma non avendo superato il 4%, resta esclusa dal Parlamento. Quel giorno inizia la nostra lunga "marcia nel deserto" che, ci porterà dopo 5 anni (2006), ad entrare in Parlamento con il 2,36%, che diventerà il 4,2% 2 anni dopo (2008) e l'8% nelle elezioni europee di quest'anno. In mezzo vi era stata la partecipazione alle elezioni europee del 2004 (circa 2%) e con alterna fortuna alle elezioni regionali e amministrative.
Dico questo poiché vi deve essere la consapevolezza che la crescita del partito, almeno negli ultimi 4 anni, ha posto rilevanti problemi organizzativi, non sempre risolti, e che non hanno mai permesso un vero e proprio consolidamento del risultato precedentemente conseguito. Va anche osservato che mentre nella fase della "traversata del deserto", la classe dirigente era molto compatta e legata dai tipici vincoli che riuniscono "quelli della prima ora", quasi tutti alla prima esperienza politica, è evidente che gli ultimi anni hanno visto, ad ogni elezione, significativi nuovi apporti di soggetti che provenivano da diverse esperienze di altri partiti (2006 e 2008) o da una "società civile" differente da quella da cui era nata la dirigenza originaria del partito. Mi scuso per la lunga premessa, ma senza di essa appare a mio avviso difficile comprendere sia il programma generale di Idv, sia i messaggi, in qualche caso contraddittori, che appaiono all'esterno. Ciò vale naturalmente anche per il programma economico, al quale vorrei ora fare riferimento.
Il primo vero programma generale di Idv venne elaborato, come già detto, dai Dipartimenti Tematici da me coordinati, partendo dal canovaccio rappresentato dal programma del 2001, elaborato principalmente da Elio Veltri. Fu un lavoro lunghissimo, frutto anche di molti incontri, che portò ad un programma generale di circa 100 pagine. Il programma, con lo stesso metodo, fu poi rivisto alla fine del 2005. Ogni volta esso venne anche formulato in forma "ridotta" ed "in pillole", pubblicato sul sito in bozza, per raccogliere le osservazioni di iscritti e simpatizzanti. (nella rete sono ancora reperibili le tre versioni del primo programma, ad esempio cliccando qui).
Il programma di politica economica non può essere letto disgiunto dalla premessa generale che incorpora il nostro voler essere partito post ideologico e quindi non riconducibile alla semplificazione insita nel concetto di "destra" o "sinistra". Come ho evidenziato in una nota per la riscrittura della "Carta dei Valori" di Idv "di fronte al fallimento, in alcun modo superabile, dei modelli di socialismo reale ed all'insufficienza del modello liberista (crisi del '29, buona risposta del modello keynesiano del "deficit spending", ecc.) sia i propugnatori dell'uno come dell'altro hanno cercato di percorrere strade nuove, generalmente note sotto il nome di "terza via"…….Ciò ha determinato il convergere verso il medesimo obiettivo da una lato dell'esperienza della socialdemocrazia che cercava di rifondarsi (cfr. Anthony Giddens)….. Più che una filosofia o teoria ben definita essa altro non era che un insieme di azioni concrete, rinvenibili nelle politiche attuate da leader dichiarati di centro sinistra, come ad esempio Clinton negli USA, Blair in Gran Bretagna, Schroeder in Germania…..
In tale quadro si capisce perché anche nella cultura socialista si innesta il concetto di "responsabilità individuale"(cfr Etica protestante e spirito del capitalismo di Max Weber), individuando nel dovere e nel comportamento morale del singolo l'antidoto ai comportamenti devianti……. In ciò si delinea la convergenza con la liberaldemocrazia che si fonda sull'idea che i comportamenti collettivi abbiano la loro radice in quelli singoli….. molti partiti politici italiani fondano la ragione della loro presenza sulla sintesi tra le grandi correnti di pensiero del Novecento e dunque non può essere questa la base per l'identità, l'identificabilità e la differenziazione di Italia dei Valori rispetto ad essi. Ancorché anche Italia dei Valori si proponga di raggiungere quell'obiettivo tale identità, identificabilità e differenziazione si dovrà ricercare nelle "parole d'ordine" che Italia dei Valori sente di poter collocare alla base della propria azione. Tali parole d'ordine non possono, a loro volta, che trarre origine dalla storia del movimento, poi diventato partito, e che non potrà prescindere dal suo fondatore, Antonio Di Pietro, né da ciò che egli rappresenta ed ha rappresentato per il nostro Paese."
Essendo stato, come detto, l'estensore principale del programma ed in particolare di quello economico è evidente che vi ho trasfuso anche molte mie idee (che non pretendo sempre chiare). Sono di formazione liberale (non liberista), credo nel mercato e nella sua capacità di regolazione, ma ritengo che lo Stato debba svolgere un ruolo di regolatore per garantire il rispetto della "pari opportunità" ed impedire che il mercato si trasformi in tanti piccoli mercati dove vincono tendenze oligopolistiche se non addirittura monopoliste. Da qui, ad esempio, la nostra battaglia contro le società costituite dagli enti locali per gestire i servizi pubblici locali (in pochi anni ne sono sorte più di 6000 con circa 25000 consiglieri di amministrazione). Se dovessi dare un riferimento il nostro modello era in linea di massima quello "scandinavo". Alcuni sottotitoli del programma possono forse essere d'aiuto: "Meno statalismo e più Stato; meno consumismo e più Mercato", "L'effettiva uguaglianza di fronte al fisco, alle banche, alle assicurazioni, ai poteri forti", "Meno conflitti e più concorrenza vuol dire più democrazia", "Garanzia e tutela per tutti, specie per i più deboli, ma non si può vivere di solo Inps".
Qualcuno si è chiesto perché nessuno parli mai del programma Idv per l'economia. Qui devo aprire un capitolo sull'informazione in Italia e sul fatto che quel poco che riusciamo a far arrivare all'opinione pubblica è sempre filtrato da coloro che ci vedono solo come "il partito del giustizialismo". E' evidente che l'impronta della forte leadership di Di Pietro porta la stampa ad accostarci solo e soltanto alle questioni della legalità, della giustizia, della corruzione. Ad esempio abbiamo presentato progetti di legge sulla lotta all'evasione fiscale, sul sostegno alle piccole e media imprese, sulle banche, ma i giornalisti, terminata la conferenza stampa, erano sempre e soltanto interessati al pensiero di Di Pietro sul "problema del giorno" nel campo della giustizia. Uno dei motivi dell'avvio dell'esperienza di "Folder" sta proprio nel tentativo di creare un'entità che possa vivere di luce propria pur in vicinanza a Idv. Per questo ci aspettiamo che possa diventare un luogo di riflessione al quale partecipino soggetti non strettamente legati a Idv. Non credo di rivelare nulla di segreto se dico che, fondamentalmente, le situazioni illustrate da Folder nel Libro Bianco sono tratte dalla nostra esperienza di opposizione e le soluzioni proposte sono all'incirca corrispondenti al complesso degli emendamenti da noi presentati durante la discussione di quei decreti.
Nelle vostre riflessioni vi chiedete se abbiamo una linea di politica economica complessiva. Questa c'era nel programma citato più volte ma è anche facilmente ricostruibile dalla attività parlamentare del nostro gruppo. Ad esempio all'apparire della crisi noi abbiamo fatto una proposta complessiva di stimolo che chiedevamo fosse realizzata con 15-20 miliardi di euro di risorse "vere", in particolare per sostenere i consumi interni, attraverso l'aumento del potere d'acquisto della famiglie. Ovviamente non con nuove tasse. Abbiamo indicato precisamente dove potevano essere raccolte: abbiamo scoperto che nel condoni del 2003-2005 vi sono somme autodenunciate, rateizzate e non incassate dall'Erario per 5 milardi di Euro, si poteva sospendere per due anni la seconda parte della manovra di esenzione Ici per i benestanti (voluta da questo governo) recuperando 2 miliardi di Euro, si potevano utilizzare minori interessi passivi sul debito pubblico già a bilancio 2009 per altri 4-5 miliardi, si potevano reintrodurre alcune norme sulla tracciabilità dei pagamenti recuperando 2-3 miliardi all'evasione fiscale. Noi ci siamo opposti, ad esempio, fin dall'inizio all'idea di Tremonti di entrare nel capitale delle banche. E molte altre ancora.
Altra questione è l'esistenza di messaggi anche contraddittori, in particolare nel campo del lavoro, del welfare, dell'energia, della gestione dei rifiuti, della spesa pubblica. Come osservavo all'inizio la crescita tumultuosa del consenso si è anche legata ad apporti di personalità provenienti da aree diverse sia della politica che della società civile. Probabilmente ciò riflette anche un elettorato in movimento, non stabile per quanto riguarda Idv. Non dimentichiamo poi l'influenza della rete, anche quando non rifletta necessariamente l'elettorato, ma che si "fa sentire" in forme molto convincenti.
A partire dalle elezioni 2008 e poi nel 2009 Di Pietro ha abbandonato la presentazione di un programma globale preferendo concentrarsi su una decina di slogan programmatici. Ancora sul nostro elettorato mi permetto di dire che è vero che percentualmente prendiamo più voti al sud rispetto al nord (alle europee circa 9% rispetto al 7%) però siamo più radicati al nord che al sud: alle amministrative lo scarto rispetto alle europee era al nord di 1-1,5%, al sud del 4-5%). I flussi elettorali ci dicono che tra le elezioni del 2008 e quelle del 2009 solo il 47% degli elettori ci ha rivotato, ma abbiamo avuto un travaso di 900 mila voti dal Pd, di 280 mila da Pdl-Lega, di 50 mila da Udc. Analisi fatte fare da noi prima delle elezioni dicono che abbiamo più probabilità di crescere al nord che al sud, ed in particolare tra gli elettori della Lega.
Non so se queste mie riflessioni possono essere di aiuto nel comprendere meglio la politica economica di Italia dei Valori. Resto naturalmente a disposizione per ogni possibile chiarimento.
No, io almeno non ci ho capito nulla. Ad esempio: sostegno al reddito con 15-20 miliardi di risorse "vere" e per vere intendete "somme non ancora incassate dall'erario", reintroduzione dell'ICI, i minori interessi sul debito (se esistono ancora) li terrei cari, visto che anche le entarte si stanno riducendo, ma soprattutto i "soldi veri" stanno sempre dal solito lato: le entrate. E le spese ?
Ancora: siete "liberali, ma non liberisti", il concetto è oscuro: c'è qualcosa di sbagliato nel liberismo ? o sta confondendo qualcosa ?
Quindi le devo dire, per parte mia, che il suo post è una delusione, FOLDER da questo punto di vista, pur essendo contradditorio, era almeno semplice, il suo ragionamento mi è parso un pò contorto e non esplicativo.
Interessante è la parte sui flussi delle votazioni, qui lei è stato molto chiaro e fornisce interessanti spunti di discussione, e la ringrazio.
Domandona: visto e considerato che pensate di riuscire a crescere di più al nord che al Sud, a spese della Lega, perchè non elaborate un programma economico che vada incontro alla domanda di chi vota Lega , invece di inseguire il PD sulla follia del "tassa e spendi?"
non voglio certo rispondere per l'autore ma
it.wikipedia.org/wiki/Liberalismo
ad esempio: possiamo dire che sacconi sia liberista ma non liberale? In Francia si potrebbe dire anche se, negli ultimi, i liberali sono sempre stati anche liberisti e quindi per alcuni i due termini sono diventati intercambiabili. Sacconi è liberticida nei confronti dei diritti individuali (ergo non è liberale) ma è anche liberista perchè appoggia il liberismo dottrina economica (ridurre il pubblico, ampliare il settore privato, privatizzare). Chi si dichiara liberale è prima di tutti attento al rispetto dei diritti dell'individuo contro ogni potere, poi si occupa di mercato. Al contrario un liberista può anche abitare a casa di Pinochet. Spesso però le due posizioni ovviamente si intrecciano perchè i diritti dell'individuo sono anche economici ovviamente, essendo la sfera economica parte fondante della vita di ognuno di noi. Che poi il liberismo reale garantisca questi diritti ci sarebbe da discutere.
Esempio: è liberale appoggiare le leggi USA che limitano al massimo il diritto di organizzarsi nei luoghi di lavoro? No, però indiscutibilmente questo atteggiamento fa parte delle posizioni liberiste espresse dai Repubblicani. Che poi questo - immagino - non rientri nell'ortodossia dei libri di riferimento del liberismo non significa che le posizioni non siano queste. Aspetto delucidazioni dai professori amerikani.