Nella seconda metà del 2011 ci sono state tre manovre di intervento sui saldi di finanza pubblica: il decreto n. 98 (la “manovra di luglio”), il decreto n.138 (la “manovra di Ferragosto”) e infine il decreto n.201 (il “Salva-Italia”). Complessivamente, queste tre manovre comportano una riduzione dell’indebitamento netto della Repubblica pari a 81,329 miliardi di euro dal 2011 al 2014, vale a dire circa il 5% del Pil.
Vediamo, anno per anno, come questo sforzo senza precedenti di riduzione del deficit viene ripartito tra i tre comparti del settore pubblico: le amministrazioni centrali, le amministrazioni locali, gli enti di previdenza.
Dati: in miliardi di euro
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2011 |
2012 |
2013 |
2014 |
ENTRATE |
2,603 |
40,250 |
52,142 |
53,661 |
- Amm.centrali |
2,628 |
33,984 |
46,613 |
47,509 |
- Amm. locali |
0,031 |
4,717 |
3,756 |
4,366 |
- Enti di previdenza |
-0,057 |
1,549 |
1,773 |
1,786 |
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SPESE |
-0,237 |
-8,664 |
-23,607 |
-27,668 |
- Amm.centrali |
-0,795 |
-1,741 |
-4,805 |
-4,221 |
- Amm.locali |
0,505 |
-4,450 |
-10,564 |
-13,077 |
- Enti di previdenza |
0,053 |
-2,474 |
-8,238 |
-10,370 |
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TOTALE |
2,840 |
48,914 |
75,749 |
81,239 |
Fonte: Ragioneria Generale dello Stato
La lettura di questa semplice – ma estremamente istruttiva – tabella ci consegna quattro considerazioni fondamentali.
La prima è quella più volte ripresa da vari commentatori: due terzi della correzione totale a regime sono composti da maggiori entrate (53,6 miliardi di euro) e solo un terzo (27,6) da riduzioni di spesa. Nel primo anno di correzione vera (il 2012), le maggiori entrate sono addirittura più dell’80% dell’aggiustamento.
La seconda guarda all’articolazione di questo imponente aumento della pressione fiscale. Ben 47,5 miliardi (pari all’88,5% del totale) sono maggiori entrate dello Stato; 8,1% è appannaggio degli enti locali, e il 3,3% degli enti previdenziali.
Specularmente, la terza considerazioni attiene ai tagli di spesa pubblica. Quasi la metà (per la precisione il 47,26%) dei risparmi di spesa proviene dalle amministrazioni locali; più di un terzo (il 37,48%) dagli enti previdenziali, per effetto soprattutto del massiccio intervento sul sistema pensionistico operato col decreto “Salva Italia” nel dicembre scorso. Qual è il contributo dell'amministrazione centrale al taglio della spesa pubblica? Poco più di 4 miliardi di euro, pari al 15,25% della riduzione totale.
La quarta e ultima considerazione approfondisce quest’ultimo dato, collocandolo all’interno della dimensione complessiva della spesa pubblica statale. Il bilancio di previsione 2011 dello Stato riporta spese finali pari a 532,6 miliardi di euro. Il taglio della spesa pubblica di 4,22 miliardi (nel triennio 2011.-2014) rappresenta quindi lo 0,79% della spesa statale al netto degli interessi. Volendo escludere la spesa in conto capitale (pari a soli 42 miliardi di euro) - la quale è di solito maggiormente associata a effetti espansivi sul prodotto nazionale – possiamo utilizzare la sola spesa corrente statale, che invece ha una considerevole probabilità di nascondere al proprio interno sprechi e inefficienze di vario tipo. Ciònonostante, il taglio previsto dalla correzione della finanza pubblica nazionale ammonta allo 0,86% della parte corrente. Per dare un termine di paragone con un case-study locale, la misura analoga (il titolo primo delle uscite, vale a dire la spesa corrente) del bilancio del Comune di Ferrara ha riportato una riduzione dal 2009 al 2012 pari al 17,94% in termini nominali; in termini reali, si tratta di una correzione di spesa pari circa a un quarto del totale.
Volendo restringere l’analisi all’intervento effettuato dal governo Monti (il decreto 201, noto come “Salva Italia”), si ottiene un quadro ancora più interessante. La correzione dell’indebitamento netto attribuibile a quella manovra è pari a 21,430 miliardi, di cui circa il 70% di maggiori entrate e circa il 30% di minori spese. Non stupisce più di tanto l’articolazione delle maggiori entrate (60,9% Stato, 25,6% enti locali, 13,4% enti previdenziali), quanto il dettaglio sulle minori spese. Esse ammontano complessivamente a 6,54 miliardi. Agli enti previdenziali sono imposte minori spese per 6,96 miliardi, e agli enti locali per 1,88 miliardi. La manovra-Monti, quindi, ha imposto ai due comparti non-statali della pubblica amministrazione una riduzione di spese pari a 8,85 miliardi…pari al 135% della riduzione di spesa complessiva della Repubblica. Com’è possibile? Facile. L’eccedenza (2,317 miliardi di euro) serve a finanziare maggiore spesa dell’amministrazione statale, che risulta quindi in aumento, anziché in diminuzione.
La riforma costituzionale del 2001 – quella approvata in fretta e furia dal centrosinistra di allora, a pochi giorni dalle elezioni, per dimostrare di “aver fatto le riforme” e che è in pratica tutt’oggi rimasta in larga parte inattuata– ebbe probabilmente un solo merito storico. Quello di cambiare l’art.114 della nostra Carta Costituzionale, che fino a quel momento recitava: “La Repubblica si riparte in Regioni, Province e Comuni” . La nuova versione dell’art.114 ora invece si apre con: “”La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato”. In pratica, si riconosceva l’esistenza di diversi livelli territoriali autonomi di governo della cosa pubblica. Uno di questi è lo Stato. La Repubblica sta vivendo una delle sue fasi più difficili. Affrontarla in questo modo, con lo Stato che avoca a sé l’88% delle maggiori entrate e taglia spese per uno 0,8% imponendo percentuali quasi opposte agli enti locali, non rappresenta solo un ovvio problema economico di efficacia e efficienza del difficile processo di risanamento dei conti pubblici. Ci dice che qualcosa si è rotto nel modo in cui stanno insieme i livelli di governo di questa Repubblica. E questo è persino più pericoloso del mancato raggiungimento di un misero pareggio di bilancio.
venne maciullata dal debito accumulato dal periodo in cui lo svettamento fu adottato dal keynesianesimo dei martelli & co (la societa' dei "bisogni" e varie corbellerie inventate da agnes heller e riprese dai gazzettieri.)
lei ha affatto ragione a segnalare l'eccesso di squilirbio nella punizione inflitta alle entita' sub-statali. Le ricordo solo che, come venne notato altrove, la manovra Napolitano-Monti e' affatto centralistica, ed e' dettata dalla loro convinzione, non poi tanto balzana, che se "apre un tavolo" tra le regioni, la polisportiva di Cantu' e i pompieri di viggiu', lo spread arriva a "quota mille" in otto settimane. Dato il piano non vedo alternative.
O almeno, non così l'ho interpretato io. Ossia, il punto non è che i tagli agli enti locali andavano, contrattati, ammorbiditi, postposti e così via. Il punto è che se il governo avesse applicato la medesima politica della lesina che ha applicato agli enti locali pure alle amministrazioni centrali, anziché sostanzialmente risparmiarle, magari si poteva evitare di aumentare le tasse nella misura in cui è stato fatto.
Chissà perché questa convinzione del governo sulla inopportunità di "aprire un tavolo" per salvaguardare lo spread, è così ferma e risoluta solo quando c'è da arraffare altre risorse per lo Stato centrale. Sul mercato del lavoro e le liberalizzazioni hanno aperto tavoli a non finire (e si è visto come è andata e come hanno salvaguardato lo spread).