Quinto potere

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Ci sono i tre classici, a cui spesso si aggiunge quello degli organi d'informazione indipendenti. In Italia, a mio avviso, il quarto manca ma in compenso c'è il quinto potere, quello dei sindacati e dei loro iscritti.

Nessuno in Italia sembra rendersi conto dell'anomalia, anzi della follia di tutto questo

Sono in corso delle elezioni private, o meglio un referendum privato, per approvare o disapprovare alcune leggi dello stato. Tale referendum è stato organizzato da tre lobbies (i sindacati CGIL-CISL-UIL) che rappresentano una risibile minoranza dei cittadini elettori. Gli iscritti alla CGIL sono circa 5.6M, quelli della CISL sono 4.3M e quelli della UIL 1.8M, per un totale di 11.7M: ovvero il 25% del corpo elettorale italiano. Di questi 11.7M di cittadini, circa il 45-50% sono pensionati. Il referendum in questione non è regolato (ed ovviamente non e' richiesto) da alcuna legislazione, né è oggetto di imparziale supervisione da parte di terzi. Nella costituzione italiana, che io sappia, non si dice che prima di essere approvate da esecutivo e legislativo le leggi italiane debbano essere sottoposte a referendum consultativo organizzato da CGIL-CISL-UIL.

Alla faccia del dettato costituzionale, invece, da quasi quarant'anni a questa parte in Italia tutti (tutti?) hanno accettato la seguente prassi. I dirigenti di tre associazioni private - a volte son quattro, la quarta si chiama Confindustria; in alcuni rarissimi casi altre si aggiungono all'indecente partouze, tipo Confesercenti, Confcommercio, e Confartigianato - concludono un accordo con l'esecutivo, accordo che vorrebbero far applicare a tutti i cittadini italiani trasformandone il contenuto in legge dello stato. I medesimi dirigenti poi chiedono ai loro iscritti e simpatizzanti se i contenuti dell'accordo sono di loro gradimento. Nel frattempo, finche' questa consultazione del tutto privata ed a-costituzionale si svolge, governo e parlamento democraticamente eletti siedono passivi, in attesa del responso di coloro che in CGIL-CISL-UIL si riconoscono. Se la consultazione da' risultato negativo, si ritorna al tavolo negoziale, altrimenti si legifera.

Il referendum si svolge in maniera del tutto anomala, ed è completamente gestito dalle tre organizzazioni private in questione: i seggi sono nelle loro sedi, o dove i funzionari sindacali abbiano deciso di installarli. La campagna elettorale è gestita dalle organizzazioni sindacali, e la scelta a disposizione è fra un "si'" globale ed un "no" altrettanto globale. Chi non soddisfa i requisiti decisi unilateralmente dalle tre organizzazioni non ha diritto di voto; come spiego sotto, questo significa che a circa 2/3 dei cittadini italiani di maggiore eta' è proibito partecipare ad un referendum che pure deciderà delle loro imposte, delle loro pensioni, delle loro condizioni di lavoro, dei loro assegni familiari. Un elettore su tre, invece, gode dello speciale diritto di approvare o disapprovare la legislazione in materia.

Io pensavo che decidere e legislare su questi temi fosse compito esclusivo e principale dei poteri esecutivo e legislativo, secondo le modalità e le procedure a tutti note. Pensavo che per questo ci fossero le elezioni, i parlamenti e le centinaia di lautamente compensati parlamentari, con le loro commissioni, i loro uffici legislativi, i loro esperti. Sembra invece di no: in Italia la legislazione fiscale, pensionistica, del lavoro e assistenziale la decidono gli iscritti a tre associazioni private chiamate CGIL-CISL-UIL. E a tutti sembra una gran bella cosa, una cosa normale, un segno di democrazia e civiltà. Scrive il giornalista de La Repubblica:

Il voto. Alle urne (fino alle 14 di mercoledì), oltre ai

lavoratori a tempo indeterminato e ai pensionati, possono andare anche

precari e disoccupati, presentando la busta paga o il certificato di

iscrizione al collocamento. Positivi i commenti sull'affluenza da parte

dei sindacati, che contano di superare il risultato del referendum del

1995 sulla riforma delle pensioni. Allora votarono oltre 4,4 milioni di

lavoratori e vinsero i "sì". Le previsioni parlano di circa 5 milioni

di votanti.

Credo di aver letto bene: secondo i capi di queste associazioni private, voteranno 5M di persone, ossia meno di metà degli "aventi diritto" (mai il virgolettato mi è risultato più necessario). I cittadini italiani sono quasi 60M, ed i maggiori di 18 anni sono circa 48M! Questo implica che (approssimativamente) un 11% super-privilegiato del corpo elettorale decide, in forma privata, la sostanza della legislazione assistenziale, fiscale, pensionistica e lavorativa. Gli altri 9/10 che si adeguino e non rompano: sono cittadini di serie B.

In realta' gli aventi diritto al voto sono leggermente di piu' degli iscritti al sindacato, bonta' loro. Apprendo, sempre su La Repubblica, che i criteri per votare sono i seguenti

Possono votare lavoratori dipendenti, pensionati, precari e disoccupati

presentando nei seggi la busta paga, il libretto di pensione o il

certificato del collocamento. Al voto si arriva dopo 53.000 [assemblee, credo] fatte per

spiegare l'accordo sul welfare a lavoratori e pensionati.

Insomma, in teoria sono "autorizzati" a votare 15/16 milioni di persone - da cui il mio calcolo precedente: 16/48 = 1/3 del corpo elettorale si arroga il diritto di decidere per tutti. Ma in realta', come i sindacati stessi ci spiegano e come e' ovvio attendersi conoscendo il funzionamento della macchina sindacale italiana, finiranno per votare in 5 o 6 milioni al piu': ossia l'11-12% del corpo elettorale. Ad informarsi si scopre che non voteranno solo su contenuti tipicamente sindacali, ma persino sulle politiche a favore della competitivita' e sulla regolamentazione dell'immigrazione. Praticamente l'intera politica economica del governo Prodi viene decisa dai sindacati CGIL-CISL-UIL, ci spiega tutto felice l'articolista di La Repubblica, che ovviamente non nota alcuna anomalia.

Quesiti - Riguardano i nove grandi temi del protocollo: giovani,

donne, ammortizzatori sociali, immigrati ed extracomunitari, mercato

del lavoro, pensionati, lavori particolarmente usuranti, l'età del

pensionamento, le misure a sostegno delle competitività.

E tutti sono contenti che si faccia così, nessuno grida al colpo di stato, alla violazione delle più banali regole della democrazia rappresentativa, all'usurpazione dello stato di diritto ed all'umiliazione del parlamento: sembra di essere in una "democrazia popolare" (credo le chiamassero così, al tempo) in cui gli iscritti al partito decidono per tutti, ed il resto della popolazione si adegua, timorosa della propria incolumità.  

Sono pazzo io o in Italia state molto male?

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Commenti

Ci sono 33 commenti

Condivido il fatto che il potere dei sindacati in Italia sia una autentica iattura: di questo ho gia scritto in precedenza su questo sito.

Non sono sicuro pero' di condividere quanto dici riguardo le regole della democrazia. Il sindacato e' una delle tante lobby, e le lobby hanno un preciso ruolo da svolgere nel processo democratico: quello di contribuire alla definizione delle leggi. Sulla procedura di "contrattazione" fra lobby e parlamento/governo non ho molto da dire; parlamento e lobby hanno tutti i diritti di interagire nei modi che

ritengono opportuni nella definizione delle leggi. Questo fanno le

lobby in tutto il mondo: scrivono le leggi, contrattano nelle

commissioni parlamentari sui comma, etc... e' proprio il loro ruolo! Ci possono essere lobby e governi con procedure diverse, quelli con le procedure piu' efficienti emergeranno.

L'anomalia non e' che il governo si accordi o contratti con i sindacati. E' la procedura specifica adottata, e cioe' il fatto che il governo si sieda ad attendere il risultato del referendum, senza interrogarsi sul fatto che un referendum svoltosi a giochi fatti non fa che supportare l'idea che le decisioni vengano prese ed imposte dall'alto della gerarchia sindacale. Perche' il governo non si interroga sulla effettiva rappresentativita' dei sindacalisti con cui sta contrattando? Credono davvero che la certificazione di un referendum ex-post conferisca legittimita' rappresentativa ai vertici sindacali.

 

L'anomalia non e' che il governo si accordi o contratti con i sindacati. E' la procedura specifica adottata, e cioe' il fatto che il governo si sieda ad attendere il risultato del referendum, senza interrogarsi sul fatto che un referendum svoltosi a giochi fatti non fa che supportare l'idea che le decisioni vengano prese ed imposte dall'alto della gerarchia sindacale. Perche' il governo non si interroga sulla effettiva rappresentativita' dei sindacalisti con cui sta contrattando? Credono davvero che la certificazione di un referendum ex-post conferisca legittimita' rappresentativa ai vertici sindacali.

 

Il problema è che il governo si regge al senato su un paio di voti e quindi ha la necessità continua di trovare puntelli esterni dato che non è sufficientemente forte da imporre la sua politica.

Il "referendum" - sul quale l'analisi di Boldrin è lucida e pienamente condivisibile - rappresenta uno di questi puntelli, nel senso che una possibile approvazione dell'intesa da parte dell'elettorato di riferimento di Rifondazione & Co. limita il rischio di una azione di cecchinaggio parlamentare cui potrebbero sentirsi spinti i parlamentari della sinistra "antagonista" (qualunque cosa questo termine vuole dire).

Il che non toglie che sempre di triste spettacolo si tratta.

 

Riporto un episodio osservato ieri sera a Porta a Porta. Anche

se un po' fuori tema, rivela la scarsezza intellettuale della nostra

classe dirigente. Mi spiace di non poter riportare le citazioni esatte,

ma il succo della vicenda lo ricordo bene. 

Il segretario della

CGIL Epifani era collegato via telefono; in sala c'era Rizzo, dei

comunisti

italiani. Rizzo, come hanno documentato oggi i giornali (evidenzando

poco i fatti peraltro) ha mostrato alcuni documenti dimostranti che due

lavoratori erano riusciti a votare in almeno 3 seggi

elettorali (facendo nomi e cognomi e mostrando alcune fotocopie). Rizzo

ha persino invitando gli

iscritti al sindacato ad andare a votare piu' volte, oggi e mercoledi',

per vedere se l'anomalia ed il mancato controllo sono generalizzati (e'

ovvio che lo sono: l'intento dei comunisti italiani non e' di

controllare ma di delegittimare il referendum scavalcando a sinistra i

sindacati).

Ebbene

la cosa piu' sconvolgente e' stata la risposta di

Epifani, che rivela la bassezza intellettuale, e anche di semplice IQ,

cui sta arrivando la dirigenza italiana. Trasecolando, ha

inizialmente minimizzato dicendo che questo e' semplicemente una

consultazione, che non si stanno prendendo decisioni importanti

(immagino quelle non le lascino ai lavoratori), ed ironizzando che ora

cercheranno di chiamare gli ispettori dell'ONU. Poi invece di salvarsi

in corner (bastava mentire

sostenendo che erano a conoscenza di alcune anomalie isolate) si e'

messo a protestare lamentandosi della scorrettezza dell'interlocutore

nell'aver fatto lo scoop in

TV, etc... (anche il piu' ingenuo degli spettatori non puo' non aver

sospettato che Rizzo e i comunisti avevano preparato la cosa da

giorni). Mi scuso se non cito gli interventi con esattezza; l'episodio

comunque rivela quanta considerazione abbiano i vertici sindacali

dell'opinione dei lavoratori.

La chicca della serata poi viene quando

Vespa interpella sull'argomento Mastella in collegamento

da NYC (in precedenza mastella gongolava sul fatto che in America

venisse osannato, al

contrario del giudice De Magistris che invece li' "nessuno lo

conosce"). Mastella cercava di supportare il governo minimizzando

sull'accusa di brogli referendari. Dopo alcune frasi senza chiara

connessione ai fatti, ad un certo punto dice che gran parte degli

iscritti al

sindacato sono metalmeccanici, che sono gente dura, non si puo'

scherzare con i metalmeccanici, e cose simili. Vorrei poter rivedere il

filmato per riportare le parole esatte. L'interpretazione

dell'intervento e' alquanto difficile, ma sembrava quasi volesse dire

che bisogna stare attenti a fare dei brogli elettorali con i

metalmeccanici, che poi si finisce male. Qualcuno ricorda meglio

l'intervento? Roba da non credersi.

Se vuoi rivedere la puntata in tutto il suo orrore ecco il link:

www.raiclicktv.it/raiclickpc/secure/folder.srv;

Credo che il gesto compiuto dai sindacati abbia un aspetto fortemente positivo: portare la gente comune lontana dal partito ma vicino al sindacato ad esprimere la propria opinione. E questo penso sia giusto farlo su temi di politica economica, altrimenti sono temi da bar. Sarei contento di vedere se vanno a votare tutti e 11 milioni di lavoratori. Ma dalla lucida spiegazione di Boldrin, non saranno mai 11...manco 5.

L'aspetto che mi inquieta è il passaggio da semplice opinione e movimento di opinione su temi caldi d'interesse del sindacato, si passi ad una vera manovra di politica economica perché così ha deciso il popolo. Grave sarebbe se Schioppa & Prodi prendessero per "opinioni di popolo" le opinioni della minoranza del popolo.

Aggiungo: ma in tutto questo gran vociare e votare non c'era una parola sul debito? Ce ne fosse una di fazione che promuove l'abbattimento del debito...solo IMF e Commissione, che noia!

 

Caro Format

se ci si limitasse solo ad ignorare il problema del debito sarebbe un grave problema ma c'è un sito www.appellodeglieconomisti.com dove 70 economisti e più certificano l'idea che il debito può essere stabilizzato e non ridotto e questo per me è molto più grave: nel loro manifesto si afferma tra l'altro: "A questo scopo, noi proponiamo che il Governo fissi come obiettivo generale di legislatura non l’abbattimento ma la sola stabilizzazione del debito rispetto al Pil, determinando conseguentemente il valore del rapporto tra deficit e Pil". Bisognerebbe fare su nFA un contro manifesto sottoscritto dagli amici del "nFA team" e dai lettori per illustrare i pericoli di una simile politica. Il debito pubblico è stato il nostro ammortizzatore. Tutti a concertare e le risorse mancanti venivano create attraverso il disavanzo finanziato con debito pubblico. Ed a sedere sul tavolo della concertazione vi erano organi che rappresentavano e rappresentano una piccola parte del popolo italico, come ha argomentato efficacemente Michele. Le generazioni attuali e quelle future si sono ritrovate sulla groppa uno stock di debito superiore al Pil che nella spesa per interessi equivale quasi a due finanziarie. Ho visto nel sito di Alberto Bisin nei materiali didattici per i suoi corsi consigliato il paper sulla "sgradevole aritmetica monetarista" di Sargent e Wallace che a più di 25 anni dalla sua pubblicazione in Italia viene ancora quasi ignorato.

 

Questo, ne son certo, sorprendera' Marco. Ma io la vedo come segue:

Mentre e' vero che quasi tutto, o forse tutto, quanto detto in quel sito mi sembra basato su una sostanziale incomprensione di come funzionano i sistemi economici (e la logica), l'unica proposizione che condivido o che, perlomeno, non trovo sbagliata e' che il debito basta stabilizzarlo in rapporto al PIL, non serve necessariamente diminuirlo.

Le ragioni per cui ritengo che quella particolare proposta non sia insensata sono BEN ALTRE da quelle che i soggetti che firmano l'appello adducono (e che non ho nemmeno capito). Pero' si da' il caso che l'ossessione della sinistra italiana per il debito, mutata dalle follie delle Commissione come definite da Maastricht, a sua volta dovute a fissazioni nazionali tedesche, io non le intendo ne' le giustifico su NESSUNA base teorica, o anche empirica. L'ho detto, abbastanza chiaramente, circa un anno fa criticando la prima finanziaria di TPS e VV, e vale anche per oggi. A dire il vero, l'ho detto anche 20 anni fa ... Questo NON vuol dire che il rapporto debito/PIL puo' andare da tutte le parti, vuol dire che fare una religione del 60% o dell'80% o anche del 110% e' insensato. Che si studiassero il Giappone!

Mi rendo conto che, come argomentazione teorica, questa sia molto debole ma vado di fretta. Mettiamola cosi:

PERCHE' E' NECESSARIO RIDURRE IL RAPPORTO DEBITO/PIL AL 60% (o qualsiasi altro numero <1 che piaccia a voi)?

Qualcuno, per favore, me lo spiega? La spiegazione che non accetto e' che cosi' si riduce la spesa pubblica improduttiva ed inefficiente. Quest'ultimo, sacrosanto, obiettivo, si puo' raggiungere riducendo simultaneamente spesa e tasse, che sarebbe la cosa ideale. Lasciando il debito esattamente dov'e' ora in rapporto al PIL! Le due cose NON hanno alcuna connessione, ne' teorica, ne' pratica.

 

 

 

Una modesta ma empirica tesi sulla sostenibilità della politica fiscale

(Indicatori e Test di sostenibilità della politica fiscale: il caso italiano 1970-2006) mi ha insegnato che il

problema dell'entità del debito è più un problema di sostenibilità del debito in

relazione alle altre variabili che sono espresse nell'equazione di moto del

debito.

La dinamica del debito è uguale alla differenze (entrate e uscite fiscali)

più la differenza tra (tasso d'interesse sul debito e tasso di crescita

dell'economia) moltiplicato per lo stock di debito. Se scaliamo le varabili per

l'entità del PIL abbiamo il moto dinamico del debito in termini di PIL ovvero

come il debito evolve nel tempo. Per assicurare la sostenibilità è sufficiente

che il valore degli avanzi primari scontati eccedono il valore presente scontato

dei disavanzi primari per un ammontare necessario a bilanciare il valore

iniziale dello stock del debito ed il valore presente e scontato dello stock di

debito finale.

Teoria a parte, ciò che deve essere rispettato nella pratica è il vincolo di

bilancio intertemporale (l'uguaglianza tra il valore atteso e scontato degli

avanzi primari ed il valore inziale del debito pubblico)e la condizione

di trasversalità (il tasso di crescita del debito deve essere inferiore al tasso

di crescita dell'economia).

Per le due ragioni soprastanti, concordo con chi afferma che non esiste un

livello di debito/Pil oltre il quale bisogna iniziare a preoccuparsi ma sono in

disaccordo con chi pensa che non bisogna stabilizzare e abbattere il debito in

Italia. La prima ragione è che non esiste una teoria che definisce il livello di

debito "preoccupante" e che occorre osservare alla sostenibilità del debito. La

seconda ragione è perché osservando i dati sull'Italia (1970-2006) si osserva

una preoccupante crescita dell'avanzo primario e quindi un mancato rispetto

della prima condizione. Penso sia questa motivazione che abbia spinto TPS a fare

una finanziaria che ristabilisca l'avanzo primario e di conseguenza ristabilisca

il debito.

Per tornare alla discussione e scartare la teoria economica... mi fa

imbestialire che con gli interessi sul debito si potrebbero fare un paio di

finanziarie o un'intera Sanità!!

Aggiungi anche un altro dettaglio (non insignificante) alla teoria: i beni capitali pubblici. Non vi e' alcuna ragione che lo stato abbia un patrimonio finanziario netto. Quindi il valore di mercato del debito residuo (ovviamente scontato, eccetera) dovrebbe banalmente essere uguale al valore di mercato dei beni capitali posseduti dallo stato e che vengono trasferiti dal periodo T al periodo T+1. La qual cosa anche implica che la maniera corretta di eliminare il debito NON e' tassando, ma alienando beni capitali, ossia privatizzando. Le caserme, per esempio, o palazzi ministeriali in centro citta', Roma specialmente. Altro che tasse.

Stabilito, comunque, che NON esiste un numero magico x% a cui il rapporto debt/gnp dovrebbe attenersi e che l'unico indicatore credibile che si e' passata la soglia accettabile e' l'apparire di un premio al rischio sul debito pubblico (al momento, in Italia, un bel 0.0%), veniamo ai fatti. Dici

La

seconda ragione è perché osservando i dati sull'Italia (1970-2006) si osserva

una preoccupante crescita dell'avanzo [disavanzo credo tu intenda] primario e quindi un mancato rispetto

della prima condizione. Penso sia questa motivazione che abbia spinto TPS a fare

una finanziaria che ristabilisca l'avanzo primario e di conseguenza ristabilisca

il debito.

Chiedo: mi mostri i dati? A me non risulta proprio che cosi' sia successo, in particolare in relazione al PIL. Secondo, dove diavolo TPS avrebbe ristabilito un avanzo primario con le sue mosse? Ti sei letto la discussione in corso sulla Finanziaria 2008? Per favore, mi puoi documentare questi "fatti"? A me non risultano, ma sarei felicissimo di dovermi ricredere. 

Sugli interessi, ho gia' detto sopra. Per risparmiare gli interessi voi vendereste gli ospedali, mica male come idea. 

Cari amici di nFA vedo che nella notte e nella prima mattinata il dibattito si è elevato in seguito agli interventi tra gli altri di Michele, Enzo, Format, LuigiP. Devo dire a Michele che sono sorpreso meno di quello che lui pensa visto che ieri dopo aver inserito il commento sono andato a leggermi vecchi contributi sull'argomento presenti su nFA: tra i quali anche il pezzo che lui ricorda. Pur concordando sul nonsense dei parametri di Mastricht, tenendo presenti le lucide analisi di Format ed Enzo, per me va inserita nel programma del governo la riduzione del debito per lanciare un messaggio ai concertatori che il disavanzo ed il debito sono dei vincoli e non un residuo. In Italia si sono fatte politiche coerenti solo quando abbiamo avuto la morsa dei vincoli esterni. Vista la vostra competenza vorrei chiedervi alcuni chiarimenti: 1) considerare solo il debito pubblico di una nazione e non il suo debito totale dato dalla somma di quello pubblico e di quello privato è sensato o no; 2) ha senso rapportare uno stock: il debito ad un flusso: il Pil; 3) ha senso calcolare il debito pubblico procapite di una nazione includendo nel calcolo lo stock di titoli detenuto dai residenti visto che Melon diceva che il debito interno di una nazione è il debito che la mano destra deve alla sinistra. Un caro saluto M  

Caro Marco,

sono molto d'accordo con te. Anche io vedo il debito (stock) come un problema che riguarda il valore atteso e scontato dei futuri avanzi primari (attenzione agli interessi!!) di bilancio (flussi). Per questa ragione è un vincolo, non un residuo. Anche perché mi interessa discutere del perché è aumentato molto meno di come limiterà la crescita, le mie future tasse (ho 25 anni e voglio vedere quanto pagherò di tasse per pagare gli interessi sul debito, il debito, i fondi per la mia pensione, gli accantonamenti per la pensione di mio figlio) e la futura spesa (più sanità, più scuola, più università).

Credo che:

1) sia sbagliato mettere insieme i due debiti (pubblico e privato) perché sebbene siano parte della stessa famiglia (i cittadini) hanno natura, gestione e conseguenze diverse.  Di più non so, purtroppo.

2) sia giusto rapportare uno stock ad un flusso solo nel caso in cui ci interessa sapere la dimensione del "problema". Successivamente occorre misurare i diversi flussi...tasso di crescita del Pil con tasso di crescita reale del Pil.

3) No so, corro a ripassare Melon.

 Facciamo anche noi un referendum? (polemico)

Format 

1) considerare solo il debito pubblico di una nazione e non il suo

debito totale dato dalla somma di quello pubblico e di quello privato è

sensato o no;

Il debito privato non e' un fattore ignorabile perche' puo' avere conseguenze destabilizzanti (vedi le paure per l'economia USA se ci fosse un crollo dei prezzi delle case, la cui crescita ha sinora tenuti vivi i consumi a suon d'ipoteche). Tuttavia, certe assunzioni che valgono per il debito pubblico ovviamente non valgono per quello privato: per dirne una, i privati, per trovare i soldi, non possono tassare i loro vicini :-)

2) ha senso rapportare uno stock: il debito ad un flusso:

il Pil;

Beh, serve a dare un senso delle proporzioni. Ti dice in prima approssimazione quanti anni ci vorrebbero a ripagare il debito destinando a maggiori tasse una data frazione della spesa privata (se la maggiore tassazione non incidesse sulla crescita etc.)

3) ha senso calcolare il debito pubblico procapite di una

nazione includendo nel calcolo lo stock di titoli detenuto dai

residenti visto che Melon diceva che il debito interno di una nazione è

il debito che la mano destra deve alla sinistra.

Dal mio punto di vista personale, lo stato e' un fornitore di servizi ai cittadini, non una sua mano (destra o sinistra che sia). E' vero che ha il potere di tassare i residenti, ma i residenti hanno il potere di spostare i loro investimenti all'estero, e anche di andarsene del tutto, quindi ci deve stare attento.

Oh, a proposito: qui in Hong Kong il governo ha annunciato ieri che l'anno scorso il surplus fiscale ha superato i 7 miliardi di dollari (circa 1,000 dollari per residente) e quindi nel 2008-2009 le imposte sui profitti d'azienda e quelle sui redditi saranno ridotte di un punto percentuale, passando, rispettivamente, al 16.5% e a un valore non superiore al 15% (e le rendite finanziarie sono sempre state esentasse). Ha inoltre annunciato svariati nuovi investimenti in infrastruttura, e l'estensione della pubblica istruzione gratuita dai primi 9 ai primi 12 anni. Il debito pubblico e' di 16.5 miliardi di dollari (8.7% del PIL) ma e' ampiamento coperto da riserve valutarie di circa 138 miliardi di dollari (19,700 dollari per residente, o circa il 73% del PIL).

Salutatemi TPS.

Dal corriere di oggi:

«È un protocollo che abbiamo voluto, su cui le previsioni erano

prevalentemente pessimistiche». Invece, ha aggiunto Prodi, non solo si

è raggiunto un accordo, ma a quanto sembra è anche stato approvato da

un larghissimo numero di interessati».

 

Veramente ridicolo, no?

Spero il fine settimana lo permetta. Stiamo facendo piu' confusione del previsto, davvero. Stiamo mischiando le patate con i cavoli, ed il passato con il futuro. Suggerimento: riflettere sulle implicazioni logiche del detto americano secondo cui "let bygones be bygones".

Michele, solo come spunto per l'atteso ex cathedra e dare un contributo per così dire storico alla questione "perché il 60%?".

Sono andato a ripescare vecchi handouts ricevuti da studente riguardo al problema della stabilizzazione del debito pubblico. Ho trovato un testo che risale, credo, al 1993. Avrei voluto copiare ed incollare la parte che mi pareva più significativa, senza modifiche (anche per mostrare cosa si insegnava allora nelle Università italiane), ma il formato del dischetto MAC in cui avevo archiviato all'epoca è illeggibile. La formula chiave era comunque: b' = f + (r - g)b, dove b' è il tasso di crescita del rapporto b = debito/PIL, r e g sono interesse reale e tasso di crescita ed f è il rapporto deficit primario/PIL. Se b' = 0 il debito è stabilizzato. In particolare, se r > g, occorre avere f = - (r - g) b.

Aggiungo solo che mi pare di ricordare che il prof (che ha avuto, e forse ha tuttora, incarichi importanti presso il Tesoro italiano) ci spiegasse che il limite del 60% di Maastricht al rapporto debito/PIL era venuto fuori nelle trattative proprio usando la formula precedente e mettendoci dentro dati più o meno realistici per l'epoca (tipo g = 2%, r = 5%, f = 1.5%, ma non sono certo e mi fa fatica verificare con le serie storiche del 1990: lascio volentieri l'incombenza al buon Enzo!). Come vedi trattasi comunquedi derivazione puramente spannometrica e quindi concordo in pieno sulla "stupidità" (citazione d'annata...) del tetto al 60%, o qualsiasi altro... senza dire poi che fare un rapporto tra uno stock ed un flusso mi pare operazione alquanto discutibile; capirei casomai il contrario.

 

Una nota di colore: il solito Caruso pensa bene di organizzare il suo referendum, lo battezza "Precarity Day" e si ripropone di occupare l' ufficio regionale del lavoro, ma sbaglia piano e alla sede provinciale non trovano nessuno:l'occupazione è rimasta segreta per un quarto d'ora. 

Per il gioco dei fusi orari e dello skakanovismo, un italiano come me che inizia la sua giornata aprendo nFA trova da due giorni a questa parte un vibrante dibattito tra Michele (Boldrin) ed Enzo (Michelangeli) sul debito e le scintille con due giganti come loro non mancano. Io nella mia notte insonne ho potuto solo seguirli sul mio blackberry. Debbo dire subito che io sono arrivato a partecipare al dibattito, col primo pezzo che ho scritto, con una forma mentis più vicina alle idee che difende Enzo. E questo Michele lo sa perché in privato lo avevo invitato ad andare sul sito www.appellodeglieconomisti.org per fare un contromanifesto per sbugiardare la tesi della stabilizzazione ad un certo livello del debito e per questo scriveva l'altra notte che sarei rimasto sorpreso dalla sua posizione. Ma la lettura dei suoi interventi ed il proverbio amerikano, che io traduco così: "il passato è passato" mi hanno portato a propendere più per la sua tesi risvegliando anche in me alcune perplessità che nutrivo sul valore dei parametri di Maastricht. Infatti quando vennero introdotti, ad alcuni amici che chiedevano un mio parere sapendo che ero un arrotino dell'economia (uno che affila teorie altrui ma che non ne produce), risposi che avevano preso i primi due numeri estratti sulla ruota di Bari nel primo sabato utile, andando a ritroso, corrispondente al giorno di nascita dell'ultimo Governatore della Bundesbank. Cerco di riassumere quello che lui dice: il debito c'è: lo abbiamo ereditato dal passato; non crea problemi di finanziamento visto che il premio per il rischio sui bond italiani è zero o giù di lì. Inutile ridurlo con le tasse oggi se poi in futuro si creerà lo spazio per riaumentarlo. Mettiamolo sotto protezione come si fà per le scorie radioattive e teniamolo sotto controllo. Al limite valutiamo se vendere l'argenteria dello Stato per ridurlo ma consideriamo in aggregato gli assets dello stato; ovvero se non ho capito male, valutare se è meglio avere il debito che si ha e l'argenteria o meno debito vendendo l'argenteria. In attesa dell'Ex Kathedra  un caro saluto a tutti

 

Caro Giocoli

a mio avviso il riferimento più adatto su questo argomento è

Buiter W. - Corsetti G. - Roubini N. - Excessive Deficits: sense and nonsense in the Treaty of Maastricht CEPR discussion papers n°750;

ed in versione aggiornata:

Buiter W. - The "Sense and Nonsense of Maastricht" revisited: What have we learnt about stabilization in EMU? Journal of Common Market Studies, Volume 44, Number 4, pp.687-710.[Disponibile online sul sito dell'autore] 

 

Nel WP di B-C-R da me ricordato in precedenza gli autori utilizzando l'equazione della dinamica del debito, che lega tra loro il tasso di crescita nominale del Pil ed il disavanzo, danno la seguente giustificazione dei parametri di Maastricht: un disavanzo del 3% del Pil ed un tasso di crescita del Pil nominale del 5% richiedono un rapporto debito/prodotto di lungo periodo di circa il 60%.

 Formula che assicura la costanza del rapporto debito/Pil

d(al tempo t)=[(1+g(al tempo t)/g(al tempo t)]def(al tempo t) formula utilizzata da B-C-R

dove d=rapporto debito/Pil; g=tasso di crescita del Pil nominale, ovvero la somma del tasso di crescita del Pil reale e del tasso d'inflazione e def=rapporto disavanzo/Pil; g viene fissato = 5,  dato un tasso di crescita reale del 3% ed un tasso d'inflazione del 2%