Il discorso che sto per fare é di una certa complessità, tuttavia, il senso di esso è, in fondo, intuibile per chiunque abbia un po’ di buon senso. Proverò a rendere digeribile il polpettone seguendo gli eventi nella loro sequenza cronologica.
La responsabilità civile dei giudici è un vecchio cavallo di battaglia del partito radicale. Nel 1987, sulla scia della, indubbiamente scandalosa, vicenda Tortora, su iniziativa dei radicali, si svolse un referendum abrogativo di due articoli del codice di procedura civile, che prevedevano una sostanziale immunità per gli atti compiuti dal giudice nell’esercizio della sua funzione. Fra l’altro l’art. 56 CPC stabiliva che, per poter agire nei confronti del giudice era necessaria l’espressa autorizzazione del Ministero di grazia e giustizia. Faccio notare, altresì, che il codice di procedura civile fu emanato nel 1940, in piena era fascista, era in cui, evidentemente, l’indipendenza del giudice non costituiva un particolare valore e, ciononostante, si stabilì egli fosse immune dalle conseguenze delle sue decisioni.
Abolendo l’immunità, si apriva la stura all’azione diretta per qualsiasi provvedimento che un qualsiasi cittadino riteneva essere errato e, di conseguenza, ad una potenziale situazione di caos totale. Poteva così capitare che, facendo un banalissimo esempio, in una causa civile, un giudice prendesse un provvedimento anche solo provvisorio, per dire un’ordinanza di ammissione delle prove o altro, sgradito ad una delle parti. In assenza di una qualsiasi regolamentazione, la parte poteva tranquillamente partire con una, parallela, causa civile contro il giudice in questione, obbligandolo ad astenersi, con ciò eliminando il giudice, la cui decisione era ritenuta sbagliata. Portando alle estreme conseguenze l’esempio, un convenuto che, nel merito, magari era in torto, poteva paralizzare il processo in eterno, eliminando, ogni volta il giudice, non appena avesse preso qualsiasi decisione.
Credo che basti questo semplice esempio per comprendere come fosse necessario fissare dei paletti alla possibilità di agire contro il Giudice. Di conseguenza, il legislatore dell’epoca intese regolamentare i casi e le modalità con le quali il cittadino poteva far valere il proprio diritto al risarcimento nel caso in cui riteneva di aver subito un danno ingiusto da un provvedimento giurisdizionale. Fu così approvata la Legge 13 aprile 1988, n. 117, legge che i promotori del referendum ritennero essere un aggiramento della volontà popolare.
In realtà, la legge in questione non esclude la responsabilità del magistrato, ma la limita alle sole ipotesi di dolo e colpa grave espressamente descritte nell’art. 2, comma 3, il quale così recita
3. Costituiscono colpa grave:
a) la grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile;
b) l'affermazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento;
c) la negazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza risulta incontrastabilmente dagli atti del procedimento;
d) l'emissione di provvedimento concernente la libertà della persona fuori dei casi consentiti dalla legge oppure senza motivazione.
Nel contempo, al precedente comma 2, dell’art. 2 L. 117/88, si prevede una c.d. “clausola di salvaguardia” per cui:
2. Nell'esercizio delle funzioni giudiziarie non può dar luogo a responsabilità l'attività di interpretazione di norme di diritto né quella di valutazione del fatto e delle prove.
In base all’art. 4 della L. 117/88 l’azione per responsabilità civile può essere esercitata solamente dopo aver esperito tutti i rimedi processuali previsti nel procedimento avverso il provvedimento errato, e quindi, dopo che esso sia intangibile. L’azione non può essere esercitata nei confronti del magistrato, ma deve essere esercitata nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri.
Ai sensi dell’art. 6 L. 117/88, il magistrato può intervenire come parte nel processo.
In base ai successivi artt. 7 e 9 L. 117/88 lo Stato condannato per l’errore del giudice deve esercitare l’azione di rivalsa nonché avviare un procedimento disciplinare nei confronti del magistrato.
In sintesi, secondo la vigente legislazione italiana, la responsabilità dello Stato per eventuale errore giudiziario è inscindibilmente connessa a quella del giudice che potrà, a sua volta, sussistere solamente nelle ipotesi di dolo o colpa grave tassativamente indicata dall’art. 2, comma 2, L. 117/88.
Questo lo stato dell’arte in materia di responsabilità civile del magistrato e, di riflesso, dello Stato.
Senonché nel mondo parallelo e superiore del diritto europeo, vincolante anche per l’Italia, in quanto aderente al trattato UE, si addensavano nubi sempre più minacciose nei confronti del sistema sopradescritto, fino ad arrivare alla tempesta attuale.
Le prime avvisaglie si ebbero allorchè la Corte di giustizia, ancora negli anni ’90, statuì che gli stati dovessero risarcire il privato, qualora essi avessero violato i trattati dell’Unione europea (sentenza Francovich).
L’ulteriore, probabilmente inevitabile, passaggio logico, fu la successiva pronuncia nella causa C-224/01 Köbler, secondo cui tale principio (obbligo di risarcimento del privato in caso di violazione del trattato) doveva applicarsi anche nell’ipotesi in cui la violazione dovesse derivare da una pronuncia di un organo giurisdizionale di ultimo grado (ad esempio, in Italia, la Corte di Cassazione o il Consiglio di stato).
La sentenza Köbler contiene alcune importanti statuizioni di principio tra cui
Per quanto riguarda l'indipendenza del giudice, occorre precisare che il principio di responsabilità di cui trattasi riguarda non la responsabilità personale del giudice, ma quella dello Stato. Ora, non sembra che la possibilità che sussista, a talune condizioni, la responsabilità dello Stato per decisioni giurisdizionali incompatibili con il diritto comunitario comporti rischi particolari di rimettere in discussione l'indipendenza di un organo giurisdizionale di ultimo grado (punto 42 della motivazione).
Inoltre, la sentenza stabilisce che non ogni violazione del diritto comunitario da parte di un giudice di ultimo grado costituisce anche un illecito da parte dello Stato, affermando che tale violazione deve essere “manifesta” (punto 53 della motivazione), premunendosi altresì di fornire i criteri per ritenere la sussistenza del presupposto, e quindi
Fra tali elementi compaiono in particolare il grado di chiarezza e di precisione della norma violata, il carattere intenzionale della violazione, la scusabilità o l'inescusabilità dell'errore di diritto, la posizione adottata eventualmente da un'istituzione comunitaria nonché la mancata osservanza, da parte dell'organo giurisdizionale di cui trattasi, del suo obbligo di rinvio pregiudiziale ai sensi dell'art. 234, terzo comma, CE. (punto 55 della motivazione)
In ogni caso, una violazione del diritto comunitario è sufficientemente caratterizzata allorché la decisione di cui trattasi è intervenuta ignorando manifestamente la giurisprudenza della Corte in questa materia (v., in tal senso, sentenza Brasserie du pêcheur e Factortame, cit., punto 57) (punto 56 della motivazione).
Il cielo si faceva sempre più scuro per il sistema italiano. La miccia che innesca la tempesta è una causa che risale al 1981, causa che porta alla pronuncia C-173/03,denominata Traghetti del Mediterraneo. La vicenda sottostante, tenuto conto del sito sul quale sto scrivendo, è veramente interessante e merita di essere menzionata riportando le parole della Corte di giustizia
La società Traghetti del Mediterraneo e la Tirrenia di Navigazione (in prosieguo: la «Tirrenia») sono due imprese di trasporti marittimi che, negli anni ’70, effettuavano regolari collegamenti marittimi tra l’Italia continentale e le isole della Sardegna e della Sicilia. Nel 1981, mentre era stata sottoposta alla procedura di concordato, la TDM citava la Tirrenia in giudizio dinanzi al Tribunale di Napoli al fine di ottenere il risarcimento del pregiudizio che essa avrebbe subito, negli anni precedenti, a causa della politica di prezzi bassi praticata da quest’ultima (Punto 7 della motivazione).
La Corte di cassazione rigettava la domanda fra l’altro con il seguente argomento
Per giungere a tale conclusione, la Corte suprema di cassazione rilevava, da un lato, riguardo alla presunta violazione degli artt. 90 e 92 del Trattato, che tali articoli permettono di derogare, a certe condizioni, al divieto generale degli aiuti di Stato al fine di favorire lo sviluppo economico di regioni svantaggiate o di soddisfare domande di beni e servizi che il gioco della libera concorrenza non permette di soddisfare pienamente. Orbene, secondo tale giudice, tali condizioni ricorrerebbero appunto nella fattispecie in quanto, nel corso del periodo contestato (cioè tra il 1976 e il 1980), i trasporti di massa tra l’Italia continentale e le sue isole maggiori potevano essere assicurati, attesi i loro costi, solo per via marittima, cosicché sarebbe stato necessario soddisfare la domanda, sempre più pressante, per tale tipo di servizi affidando la gestione di tali trasporti ad un concessionario pubblico che praticava una tariffa imposta (punto 12 della motivazione).
Superfluo ogni commento…
Dunque, la causa intentata dalla Traghetti Mediterraneo Spa, in applicazione del vigente diritto italiano, fu rigettata sia dai giudici di merito sia dalla Cassazione, la quale rigettò altresì l’istanza della società di rivolgersi alla Corte di giustizia europea per violazione dei trattati UE. Esaurita la via processuale contro la società Tirrenia Spa, la Traghetti del Mediterraneo non si arrende ed in applicazione della sentenza Francovich, cita in Tribunale lo Stato italiano per i danni derivanti dalla violazione del trattato UE. Lo Stato si trincera dietro la legge 117/88 ed eccepisce che, in assenza di una colpa grave ex art. 2, L. 117/88 del giudice, non è tenuto a pagare nessun risarcimento. Così la vicenda finisce davanti alla Corte di giustizia, la quale sancisce il principio per cui, una norma, quale quella dell’art. 2 L. 117/88 che impedisce al cittadino di ottenere n risarcimento di fronte ad una pronuncia di un giudice di ultimo grado che ha interpretato in maniera manifestamente erronea il diritto UE, costituisce violazione del trattato.
La palla passava quindi al Legislatore italiano, il quale, di fronte al solo principio dichiarato nella sentenza Traghetti del Mediterraneo, fece spallucce ed adottò una tattica attendista. A questo punto, il pallino venne preso in mano dalla Commissione, la quale, dopo aver diffidato lo Stato italiano ad adeguare la propria normativa interna al trattato UE, presentò ricorso alla Corte di giustizia europea.
Nel procedimento davanti alla Corte, la Repubblica Italiana si difese con l’argomento per cui la nozione di negligenza del giudice, come emerge dall’art. 2, comma 2, della legge 117/88, sarebbe uguale a quella della violazione grave e manifesta del diritto dell’Unione, quale definita dalla giurisprudenza della Corte di giustizia.
In estrema sintesi, l’oggetto della causa C-379/10, è questo e, cioè, quello di stabilire se le due nozioni (negligenza ai sensi della legge 117/88, ovvero violazione negligente del diritto UE in sede giurisdizionale) coincidano o meno.
La Corte, con sentenza datata 24 novembre 2011 risponde di no, le due nozioni non coincidono e che quella di cui alla legge 117/88 è più restrittiva di quella europea, sicchè condanna lo Stato italiano per violazione dei trattai UE.
E così veniamo ai giorni nostri ed alla vicenda parlamentare, dove è in corso di esame ed approvazione il famoso disegno di legge comunitaria, mediante il quale lo Stato italiano si conforma agli obblighi ad esso derivanti dall’appartenenza all’Unione. Il deputato leghista Pini, inserisce un emendamento che modifica la legge 117/88, emendamento che, come è noto, viene approvato alla Camera, contro il parere negativo del Governo, in data 2 febbraio 2012. L’emendamento in questione modifica l’art. 2 della legge 117/88 nel seguente modo (parti aggiunte e/o modificate evidenziate in grassetto):
al comma 1 dell’art. 2, si prevede che
«1. Chi ha subìto un danno ingiusto per effetto di un comportamento, di un atto o di un provvedimento giudiziario posto in essere dal magistrato in violazione manifesta del diritto o con dolo o colpa grave nell'esercizio delle sue funzioni ovvero per diniego di giustizia può agire contro lo Stato e contro il soggetto riconosciuto colpevole per ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e anche di quelli non patrimoniali che derivino da privazione della libertà personale. Costituisce dolo il carattere intenzionale della violazione del diritto»;
b) il comma 2, è sostituito dal seguente:
«2. Salvo i casi previsti dai commi 3 e 3-bisnell'esercizio delle funzioni giudiziarie non può dar luogo a responsabilità l'attività di (interpretazione di norme di diritto. Parte tolta) valutazione del fatto e delle prove»;
c) dopo il comma 3, è inserito il seguente:
«3-bis. Ai fini della determinazione dei casi in cui sussiste una violazione manifesta del diritto ai sensi del comma 1, deve essere valutato se il giudice abbia tenuto conto di tutti gli elementi che caratterizzano la controversia sottoposta al suo sindacato con particolare riferimento al grado di chiarezza e di precisione della norma violata, al carattere intenzionale della violazione, alla scusabilità o inescusabilità dell'errore di diritto. In caso di violazione del diritto dell'Unione europea, si deve tener conto se il giudice abbia ignorato la posizione adottata eventualmente da un'istituzione dell'Unione europea, non abbia osservato l'obbligo di rinvio pregiudiziale ai sensi dell'articolo 267, terzo paragrafo, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, nonché se abbia ignorato manifestamente la giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione europea».
Prima di passare all’analisi del significato e della portata dell’emendamento in questione appare necessario fare due piccole premesse, molto importanti per comprendere ciò che è successo e la malafede o profonda ignoranza dei parlamentari che sostengono l’emendamento in questione:
1) La legge 117/88, già adesso, non esclude una responsabilità del giudice, solamente che la sua condanna deve passare, prima, attraverso una condanna dello Stato. Si tratta, quindi, di per sé, di una mera questione procedurale e non sostanziale (specifico subito, per i lettori più attenti tra voi, che, ai sensi dell’art. 8, comma 3, della L. 117/88, salve le ipotesi di reato e, quindi, di dolo, l’entità del risarcimento che il giudice dovrà pagare è limitato “al terzo di una annualità dello stipendio, al netto delle trattenute fiscali, percepito dal magistrato al tempo in cui l'azione di risarcimento è proposta, anche se dal fatto è derivato danno a più persone e queste hanno agito con distinte azioni di responsabilità”. Tale parte della legge rimane invariata anche a seguito dell’emendamento).
2) Se voi leggete le sentenze della Corte di giustizia, non si parla mai e, dico, mai, di azione per il risarcimento del danno derivante da violazione del diritto europeo contro il giudice, bensì di possibilità di ottenere un risarcimento dello Stato e, fra l’altro, solamente nel caso in cui la pronuncia che ha violato il diritto UE, sia stata emanata da una Corte di ultimo grado. Anzi, come abbiamo visto, la sentenza Köbler lo eslcude espressamente,
Questo il dato di partenza che il Legislatore aveva ed ha, non essendo la legge ancora passata in Senato, di fronte a sé. Certo è che non può lasciare la situazione com’è e che deve conformarsi alla pronuncia della Corte di giustizia. Il punto è come. Le opzioni possono essere molteplici le due più semplici sono:
1) la scelta di scindere la responsabilità per danno al cittadino derivante da violazione del diritto UE da parte dello Stato, da quella della responsabilità civile del giudice. Ricordo che la responsabilità in questione dello Stato può derivare non solo da una pronuncia giurisdizionale, ma anche da una legge o un atto di natura amministrativa. Inoltre, come abbiamo visto, secondo la giurisprudenza europea, la responsabilità dello Stato sussiste solamente se la decisione provenga da un organo giurisdizionale di ultimo grado e non da qualsiasi giudice. Sarebbe logico regolamentare in maniera organica la questione, i casi e le modalità di risarcimento;
2) la scelta di introdurre come forma ulteriore di negligenza inescusabile del Giudice ai sensi dell’art. 2 L. 117/88 i criteri indicati nella sentenza Köbler. Questa ipotesi, indubbiamente più facile da percorre, presenta degli obiettivi pericoli, laddove rischia di estendere pericolosamente le forme di colpa che possono determinare una responsabilità del giudice, con ciò minandone la serenità di giudizio.
Il Legislatore della Camera, con il comma 3bis dell’emendamento, apparentemente, sceglie la seconda opzione. Difatti, leggendo il testo della norma, ci accorgiamo che, al comma 3bis, riporta, nella sostanza, gli stessi criteri di cui ai punti 55 e 56 della sentenza Köbler. Dico, apparentemente, perché, in realtà, non è così. Difatti, il Legislatore non si accontenta di ciò ed introduce - o meglio vorrebbe introdurre - la possibilità di agire, in via diretta e non più mediata nei confronti del giudice nella parte in cui si dice che il danneggiato può agire contro lo stato ed il “soggetto riconosciuto colpevole”.
Riconosciuto colpevole?
E da chi?
E come?
Il bello è che il nostro Legislatore è perfino incapace di sbagliarle, le leggi. Come si fa ad agire contro un “soggetto colpevole” se prima non sia stata accertata la sua colpevolezza? E poi, se non si interviene anche sull’articolo 4 della legge 117/88, che vieta espressamente l’azione contro il magistrato, come si fa ad agire direttamente? E se prima di poter agire contro il colpevole, bisogna agire contro lo Stato, cosa cambia con l’inciso, visto che, una volta che si è stati risarciti non si potrà più agire contro il giudice, avendo perso il titolo? Misteri della fede padana… Insomma l’inciso in questione, lungi dal riuscire nell’intento dichiarato del promotore, rischia di perdersi sostanzialmente nelle brume della bassa lombarda.
Ma, non solo, è un’altra, in fondo, la parte più pericolosa, se leggiamo l’inciso “in violazione manifesta del diritto o”, ci accorgiamo che vi è una disgiuntiva che finisce con l’introdurre una terza ipotesi di responsabilità, una per dolo, una per colpa grave ed, appunto, una per violazione manifesta del diritto. Si arriva al paradosso, evidenziato dall’onorevole Buongiorno durante il dibattito in aula per cui il Giudice potrebbe addirittura rispondere in un caso in cui non vi sia colpa alcuna da parte sua. Insomma, il solito pasticcio, che non è utile analizzare ulteriormente in questa sede.
Come si vede, toccare questi delicati equilibri, può essere oltremodo pericoloso, come evidenziano gli stessi professori universitari, la maggioranza dei quali si è schierata apertamente contro l’emendamento ed, in generale, contro un’estensione della responsabilità del giudice. È, del resto, intuibile come il giudice esposto a responsabilità economica e disciplinare per ogni decisione che prenderà, non sarà sereno e, soprattutto, sceglierà, sempre, la via meno rischiosa, privilegiando, ad esempio, la parte economicamente forte e per lui più pericolosa, contro quella più debole.
Per capire la pericolosità di un simile intervento basta alzare lo sguardo e considerare che nessun paese europeo prevede la possibilità di agire direttamente contro il giudice e tutti paiono prevedere delle limitazioni nella sua responsabilità, nella maggior parte dei casi, addirittura più rigorose di quella italiana come si evince da questa analisi. E’ chiaro che non si tratta di fonte diretta, per cui è da prendere con beneficio d’inventario. Tuttavia, è sufficiente leggere quali sono le raccomandazioni del Consiglio d´Euuropa, che é la sintesi delle opinioni sul punto degli stati europei e che sancisce
22. It is not appropriate for a judge to be exposed, in respect of the purported exercise of judicial functions, to any personal liability, even by way of reimbursement of the state, except in a case of wilful default.
In Italia, purtroppo, anni di propaganda politica deleteria hanno lanciato il messaggio subliminale per cui l’indipendenza dal potere politico, l’inamovibilità e l’immunità per le decisioni prese, sono dei privilegi corporativi. Chiunque sia dotato di un minimo di buon senso e non sia in malafede, comprende, come viceversa, lo status del giudice come sopra delineato, ha la funzione di garantire l’eguaglianza di fronte alla legge e quindi, in ultima analisi, il cittadino, tanto che tutti gli stati liberali prevedono tutele di questo tipo, più o meno forti.
Non è lì che si annidano i privilegi corporativi della magistratura italiana. Il vero privilegio è un altro, questo sì unico in Europa, ed è quello della carriera economica scissa dalla funzione e responsabilità e, conseguentemente, dalla carriera automatica per anzianità. Il dramma è che la nostra classa dirigente, nemmeno quella -politicamente ostile alla magistratura - proprio non ci arriva. Basti pensare che, nel 2006, con un ministro della giustizia padano, si riformò l’ordinamento giudiziario, senza nemmeno provare ad intaccare il sistema della carriera automatica. La cosa non venne presa, nemmeno lontanamente, ipotizzata. Fra l’altro si tratta di un sistema di carriera ormai finanziariamente non più sostenibile.
Ed allora, é sulla carriera che si deve itervenire, e fare in modo che chi non merita non avanzi per anzianitá o, ancor peggio, faccia carriera grazie alla propria appartenenza correntizia.
E cosí torniamo al punto dal quale siamo partiti. Al caso Tortora. I due giudici protagonisti di quella gloriosa pagina dell’italica magistratura, hanno fatto delle brillantissime carriere, chi arrivando a guidare la Procura generale di Salerno, chi passando dal CSM , alla guida della Direzione direzione distrettuale Antimafia di Napoli…
ottimo post. soprattutto spiega con chiarezza anche per i non adetti ai lavori. complimenti.
...Axel è un grandissimo!