E' 26esima su 50 Paesi secondo il Bloomberg innovation Index e 43esima su 158 Stati nella classifica sulla competitività del World Economic Forum (2015-2016) a causa, tra l’altro della scarsa innovazione; inoltre, la Commissione Europea la colloca fra gli innovatori “moderati”, cioè quelli con performance inferiori alla media dell’Unione Europea. A determinare i risultati citati concorre di certo il fatto che in Italia il livello di investimenti in ricerca e sviluppo (R&S) è minore rispetto ad altri Paesi (nel 2014 la spesa totale è stata pari all'1,29% del PIL, rispetto a una media UE del 2,03%). Ma questa non è l’unica causa: come osserva il WEF, per incentivare l’innovazione mediante investimenti sufficienti serve stimolare la collaborazione fra istituti di ricerca e imprese. Il Governo sembra, invece, sottovalutare la necessità di stimolare le interazioni fra questi attori, considerandoli separatamente, quasi operassero in compartimenti stagni: nella bozza della legge di bilancio 2017 stanzia un ammontare più elevato di fondi per la ricerca in ambito pubblico, aumenta il credito d’imposta per i soggetti industriali che investono in ricerca e sviluppo, rende permanente il beneficio fiscale già disposto per i c.d. cervelli in fuga che decidono di rientrare. La destinazione di maggiori risorse alla R&S, di per sé apprezzabile, può rivelarsi tuttavia inefficace a spingere l’innovazione in assenza di una strategia unitaria: in Italia, la ricerca svolta da istituti pubblici, pur qualitativamente eccellente, è scarsamente sviluppata in risposta a una specifica domanda proveniente dalle aziende, soprattutto piccole e medie; queste ultime, a propria volta, per limitata propensione culturale, oltre che per mancanza di mezzi sufficienti, sono poco orientate alla ricerca interna, nonché ad avvalersi di quella effettuata dai soggetti specializzati, della quale talora non sono neanche informate. Ciò si traduce, tra le altre cose, nello scarso apporto di contributi privati alla R&S (nel 2014 0,72% del PIL in Italia rispetto a una media UE dell'1,3%) e nella conseguente mancanza di una fonte di fondi essenziali al fine di supplire alla cronica carenza di quelli statali. Un effetto ulteriore è la migrazione di giovani “talenti” verso Paesi più attrattivi, data l’assenza in Italia di opportunità di lavoro adeguate, di prospettive di carriera e di retribuzioni concorrenziali. Peraltro, anche la fuga di cervelli danneggia la competitività, le prospettive di crescita economica e le finanze pubbliche.
Provvedimenti frammentari, oltre a polverizzare risorse statali, paiono quindi inidonei a innescare nel sistema italiano un circolo virtuoso che incentivi la ricerca e ne agevoli la trasmissione dagli enti pubblici che la elaborano alle imprese private che potrebbero necessitarne, richiamando così gli investimenti di queste ultime nel settore R&S. In Germania detto circolo virtuoso gira invece a pieno ritmo, con l’Istituto Max-Planck per la ricerca di base e l’Istituto Fraunhofer per quella applicata. In particolare, quest’ultimo – specializzato in vari macro settori scientifici (ingegneria dei processi, delle costruzioni, dell’ambiente, dell’energia ecc.) - dispone di 67 centri, di 24mila dipendenti e di un bilancio di 2,1 miliardi di euro: il 30% proviene da sovvenzioni “base” del Governo federale o delle amministrazioni regionali, il 70% da fondi pubblici assegnati con bandi competitivi e da collaborazioni sinergiche con le industrie. Dunque, a parte i sussidi di base, gli altri fondi di pertinenza pubblica vengono assegnati secondo modalità concorrenziali, atte a stimolare la qualità dell’attività svolta. Ma ciò che rende interessante il sistema Fraunhofer è il fatto che i centri di ricerca, non potendo sopravvivere avvalendosi esclusivamente delle erogazioni pubbliche, fornite in una percentuale a ciò insufficiente, sono indotti a operare in maniera quanto più efficace al fine di ottenere dai privati le risorse necessarie al proprio funzionamento. Essi sono cioè stimolati, da un lato, a sviluppare le migliori tecnologie, utili a realizzare beni, servizi o processi di interesse per le imprese; dall’altro, a cercare collegamenti con queste ultime al fine di attrarne gli investimenti, trasferendo loro la conoscenza elaborata mediante un ampio ventaglio di strumenti contrattuali (consulenza, ricerca anche in collaborazione, licenze, spin-off e venture capital, servizi di supporto scientifico ecc.). Il meccanismo di finanziamento dei Fraunhofer, fondato sul mix di risorse indicato, garantisce quindi non solo che i centri - in costante competizione gli uni con gli altri - operino al meglio, ma altresì che i fondi pubblici non vadano a sussidiare ad libitum alcun “carrozzone”: ogni soggetto inefficiente, cioè inidoneo ad attirare le risorse di provenienza privata che gli consentano di restare sul mercato, è destinato a scomparire rapidamente.
In conclusione, gli enti Fraunhofer, traducendo in pratica la ricerca condotta al loro interno e veicolandola alle imprese, ottengono tramite queste ultime un flusso d’investimenti che alimentano un processo di innovazione incrementale e sistemico, con conseguenti benefici per l’economia in generale, oltre che per gli attori direttamente coinvolti. A propria volta, le imprese che necessitano di risolvere specifici problemi tecnico-operativi sanno di potersi rivolgere a una “poderosa macchina di problem solving” atta a soddisfare esigenze diverse mediante una serie di strumenti collaborazione.
Dunque, nella definizione di politiche nazionali volte a promuovere R&S, in luogo di misure scollegate, servirebbe ispirarsi a soluzioni organiche come quella descritta: in un sistema qual è quello italiano, fondato sul convincimento che basta spendere più fondi statali perché qualunque settore vada meglio, una maggiore interazione tra soggetti pubblici e privati in vista di vantaggi comuni sarebbe la prima “innovazione” da attuare.
P.S. Quanto alla "innovazione" avente ad oggetto la creazione di un ambiente favorevole all’attività di impresa, a una consistente riduzione della pressione fiscale, allo sfoltimento della burocrazia esistente - al di là di qualunque riforma costituzionale - il Paese resta comunque ancora in fiduciosa attesa.
* Le opinioni espresse in questo articolo sono esclusivamente dell’autore e non coinvolgono l’istituzione per cui lavora.
Molto interessante. Non conoscevo questo Istituto Fraunhofer. (Conosco invece come e' organizata la ricerca in Francia, ed e' un sistema pessimo, da non seguire).
Lavorando nel settore tecnologico, il nome Fraunhofer mi riporta in mente MP3, AAC e MPEG-4 AVC. Soprattutto MP3.