Le fondazioni pilastro del welfare? Lo sostiene il presidente dell'Acri, Giuseppe Guzzetti, in un'intervista (Avvenire, 30 gennaio 2013). Nella stessa occasione, Guzzetti sminuisce i rischi della partecipazione attiva alla gestione delle banche e della conseguente commistione tra banche e politica. In pratica il sistema è sano e il caso Monte Paschi, che ha portato al quasi default della banca e della Fondazione che ne controllava il 51%, è solo un’anomalia, un’eccezione, la solita mela marcia. L’eccezione di Mps è stata prima di tutto di fronte alla legge: come ha sostenuto pochi giorni fa lo stesso Guzzetti la Fondazione senese è l’unica con uno statuto in palese violazione della legge Ciampi. E' apprezzabile che questa anomalia venga segnalata, anche se apparentemente non doveva essere così grave agli occhi del presidente Guzzetti, visto che non gli ha impedito di scegliere nel corso degli anni come suoi vice prima Giuseppe Mussari e poi Gabriello Mancini, gli ultimi due presidenti dell’unica Fondazione con uno statuto illegale. Inoltre, il presidente dell’Acri oggi giustamente accusa la Fondazione senese di non aver diversificato gli investimenti e di essersi allontanata dalle sue finalità di utilità generale, ma all’epoca dell’acquisto di Antonveneta lo stesso Guzzetti si congratulava con il presidente di Mps per l’ottima operazione: “complimenti a Mussari, sono stati bravi: Mps ha il ruolo che si merita nel panorama bancario”.
A parte il caso Mps, gli stessi dati esposti da Guzzetti nell’intervista dimostrano che alcune fondazioni, pur avendo diversificato in parte il loro portafoglio, mantengono partecipazioni importanti in alcune banche. Eppure, dopo la vicenda del Monte dei Paschi, dovrebbe essere evidente il rischio di lasciare la gestione delle scelte finanziarie di una banca, anche indirettamente, nelle mani dei politici, che nominano i consigli di amministrazione delle fondazioni scegliendo, sovente, altri uomini politici. Il politico, che non gestisce soldi propri, tende a preferire scelte più rischiose e in ogni caso non necessariamente collegate agli obiettivi che una banca dovrebbe perseguire: raccogliere depositi per concederli a credito non agli imprenditori "amici", ma a quelli con i migliori progetti imprenditoriali; e contribuire allo sviluppo culturale del territorio attraverso iniziative incisive, piuttosto che finanziando - ancora e sempre - gli amici degli amici.
Invece per Guzzetti l’intreccio politica-fondazioni-banche non è un problema, il pericolo viene da “un certo pensiero iper-liberista” che con “un ragionamento capzioso” vuole diluire il peso delle Fondazioni per far arrivare nuovi azionisti “magari stranieri”. Dopo le ultime vicende, più che un richiamo ad un ipotetico pericoloso “pensiero iper-liberista”, ci saremmo aspettati qualche riflessione in più su come limitare ed evitare l’influenza della politica sul sistema creditizio: basta dare un’occhiata ai vertici delle fondazioni e delle banche per notare la massiccia presenza di politici o ex politici di professione. Ci saremmo aspettati qualche riflessione da parte del presidente dell’Acri sul passaggio diretto di politici dagli enti locali alle fondazioni. Se, come Guzzetti sostiene, le fondazioni non controllano né ambiscono a controllare le banche, ci saremmo aspettati qualche riflessione sullo stesso codice di autodisciplina dell’Acri che non impedisce alle fondazioni di nominare propri membri ai vertici delle banche di cui sono proprietarie (e anche in questo la vicenda Mussari-Mps è emblematica). Ci saremmo anche aspettati un atteggiamento meno sciovinista: gli italianissimi gestori delle fondazioni non hanno, in molti casi, dato buona prova di sé.
Ciò che preoccupa non è solo la mancata consapevolezza o presa di coscienza che l’affaire Mps sia un problema sistemico, ma anche il concetto medievale di welfare che scaturisce dalle parole di Guzzetti. Un'idea arcaica di protezione sociale che vogliamo eliminare: il mondo delle raccomandazioni, dei favori e dei posti di lavoro distribuiti dai politici che possono arbitrariamente controllare chi e quando riceve cosa. Il welfare in un paese moderno serve a garantire un'assicurazione sociale contro eventi inattesi, per ottenere maggiore giustizia sociale e maggiore crescita. Il "pilastro" del welfare dovrebbe essere un'assistenza pubblica accessibile a tutti con regole eque, precise, svincolate dall'arbitrarietà del politico di turno.
Non neghiamo che esista un ruolo per la beneficenza da parte di privati e fondazioni non a scopo di lucro, possibilmente slegate dalla politica, ma per fare beneficenza non serve controllare le banche [basta metterci i soldi propri ndr.].
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