Le pessime condizioni del sistema bancario in Italia. Prendo i dati da un post di un mese addietro con Michele e Massimo:
Il sistema bancario europeo è in pessime condizioni. I Non-Performing-Loans (NPL), cioé i crediti difficilmente esigibili da parte delle banche, ammontano al 7.3% del PIL a livello europeo (dati EBA). La situazione dell'Italia è sostanzialmente peggiore della media: i NPL nel nostro paese sono circa il 17% del PIL. In termini di NPL Ratio (rapporto rispetto al totale dei crediti) l'Italia è a 16,7% rispetto al 5,6% della media europea.
Difficile distinguere con precisione a cosa sia dovuta questa situazione così peggiore in Italia che nel resto dell'Europa. Non vi è dubbio che le condizioni economche del paese contribuiscano, che l'Italia non cresca da 20 anni, che abbia patito più profondamente la crisi. Ma questa situazione implicherebbe, anzitutto, banche più caute e tassi più elevati sui crediti (in quanto più rischiosi), ma è difficile passare dal 5% USA al massimo della crisi finanziaria ad un valore più di tre volte maggiore in Italia per un periodo così lungo di tempo. Non vi è dubbio che il sistema della giustizia civile in Italia, così lento e farragginoso nel gestire recupero crediti e fallimenti, abbia anch'esso contribuito. Ma anche questo implica banche più caute, tassi più elevati sui crediti (in quanto più costosi e lenti da recuperare in caso di sofferenze) e di nuovo diventa difficile capire perché una tale differenza quantitativa. E allora si ritorna alla solita questione delle banche colluse con gli interessi politici, alle banche che non operano razionalmente per il proprio interesse economico, ma piuttosto per favorire gli interessi clientelari della classe dirigente a cui fanno riferimento. Casi eclatanti di questo comportamento sono sotto gli occhi di tutti, ma questo tipo di comportamenti si manifesta in tutta l'attività del sistema bancario. È l'intera governance ad essere inefficiente e distorta a favore del sistema politico che la controlla, fondazioni bancarie in primis.
Salvare banchieri, banche, o sistema bancario. Nessuno vuol salvare i banchieri, che son visti come personaggi poco piacevoli. Ma i più confondono salvare le banche con salvare il sistema bancario (e assumono che salvare le banche comporti "purtroppo" salvare anche i poco piacevoli banchieri). Facciamo chiarezza, partendo con le appropriate definizioni.
1. Banchieri. Salvare i banchieri significa salvare il management di alto livello delle banche. Ma salvare i banchieri significa anche, in senso allargato, salvare la governance delle banche, mantenere il sistema delle Fondazioni e l'ambaradan che vi sta intorno. L'ambaradan che vi sta intorno include (anche se non si limita a) l'attuale distribuzione del potere azionario e di controllo.
2. Banche. Salvare le banche significa semplicemente non farle fallire. Salvare le banche non significa però garantire gli azionisti delle stesse: una ricapitalizzazione può diluire il valore delle azioni a zero, senza far fallire la banca. In questo caso chi è garantito sono gli obbligazionisti e i depositanti i quali, se la banca non fallisce, recuperano rispettivamente il proprio investimento ed i propri depositi, con gli interessi.
3. Sistema bancario. Salvare il sistema bancario significa garantire il funzionamento degli istituti di credito, le operazioni delle banche, dalla crezione di liquidità attraverso depositi all'investimento attraverso credito all'economia reale.
I banchieri, in Italia, hanno fallito nel proprio mestiere. Certo, non sempre per colpa loro, non sempre per incapacità; qualche volta per la collusione stato-banche che ne ha condizionato l'operato, che li ha (mal) selezionati nella carriera; qualche volta perché corrotti. Ma non importa, questa è una classe dirigente che ha fallito - un sistema di governance efficiente azzererebbe il management. L'efficienza del mercato richiede crudeltà soprattutto con la testa del pesce. Ma il problema è appunto la governance, in Italia. Le banche sono colluse con una classe dirigente, nazionale e locale, anch'essa fallita che protegge se stessa proteggendo le banche. Anche lì bisogna fare piazza pulita - con le fondazioni e tutto l'ambaradan che le circonda!
Non salviamo i banchieri, quindi. Ma si possono salvare le banche senza salvare i banchieri e la governance delle banche stesse? Certo che si: chi gestisce le banche e con quale governance è questione totalmente disgiunta dal loro fallimento. La questione fondamentale, però, è se sia buona cosa salvare le banche. È chiaro a chi abbia letto le definizioni 1-3 sopra che l'interesse generale, del sistema economico, consiste nel salvare il sistema bancario, non le banche. E soprattutto, salvare il sistema bancario non richiede di salvare le banche così come sono oggi. Una ricapitalizzazione dopo un bail-in (che attacca obbligazionisti e depositanti in eccesso ai 100 mila Euro assicurati) o una conversione di obbligazioni in azioni non salvano la banca - nel senso che la banca nella sostanza fallisce (perché gli obbligazionisti ed i depositanti oltre 100 mila Euro non sono garantiti) - ma permettono alla banca stessa di continuare a contribuire al funzionamento del sistema bancario, con nuovo capitale. Salvare il sistema bancario richiede risanare le banche, metterle in condizione di operare efficientemente con nuovo capitale, perdite azzerate, nuovo management e nuova governance.
Ma se anche potessimo, come sto argomentando essere possibile, salvare il sistema bancario senza salvare le banche, perché non salvarle comunque le banche, cioé perché non salvare obbligazionisti e depositanti sopra i 100 mila Euro? Che ci hanno fatto di male? I banchieri sì, abbiamo stabilito che son persone poco piacevoli, ma gli obbligazionisti son gente come noi e lo stesso sono i depositanti, anche se ricchi, oltre 100 mila Euro. E anche gli azionisti, a ben pensarci, son persone come noi. Già che ci siamo non c'è un sistema per salvare il sistema bancario salvando anche gli azionisti?
La risposta a tutte queste domande (con le mie scuse a Umberto Eco, che giustamente lamentava l'uso eccessivo di domande retoriche, ma non ho trovato forma migliore) è semplice, ma ha due componenti diverse.
1. Si può salvare chiunque, basta capire che il salvataggio costa denaro dei contribuenti i quali, nelle banche, non hanno investito - non ricevendo i relativamente alti rendimenti che questi investimenti hanno garantito in tempi buoni. I contribuenti, almeno in Italia, sono tartassati fino ad asfissia.
2. Salvare ex-post ha grossi costi ex-ante (questo si chiama "moral hazard" nel gergo degli economisti). Le banche che anticipano di essere salvate in caso di crisi finanziaria non faranno nulla, di quello che potrebbero, per evitare che una crisi finanziaria avvenga, o per limitare i danni in caso avvenga. Questo, ovviamente, è un costo difficile da calcolare: non si tratta di Euro in uscita oggi dalle casse dello stato ma del costo, privato e pubblico, di future e sempre più ricorrenti crisi. Potenzialmente questo costo è enorme - dipende da quanto più frequenti siano le crisi - ma richiede modelli e analisi complesse per essere stimato. [Nota un po' tecnica: il lettore acuto potrebbe affermare che questo costo pertiene solamente al salvataggio degli azionisti, che hanno il controllo della banca, non di obbligazionisti e depositanti oltre i 100 mila Euro. Questo argomento è appunto acuto ma incorretto: gli obbligazionisti che temessero il fallimento delle banche chiederebbero più alti tassi sui titoli e quindi darebbero indirettamente incentivo alla banca ad operare per limitare il rischio di fallimento.]
Che fare, quindi? Chiara conseguenza dell'argomento svolto fin qui è che l'obiettivo debba essere salvare il sistema bancario, non i banchieri e non le banche. Per salvare il sistema bancario è necessario risanare le banche, cioé ricapitalizzarle a sufficienza. Il nodo fondamentale del che fare consiste quindi nel comprendere cosa significhi a sufficienza. E qui entra la questione delle banche Zombie (questo è un termine "tecnico", nel gergo degli economisti, con una definizione e vari metodi di misurazione). Ne ho parlato più volte nel contesto dei miei urli alla luna su Repubblica, perché penso sia il punto chiave (qui e qui, ad esempio). Riprendo e mescolo alcune spiegazioni sviluppate in quel contesto.
Zombie sono banche che operano continuando a garantire credito ad aziende e settori poco produttivi [...] con l'effetto conseguente di limitare invece il credito da concedere alle aziende più produttive. In questo modo esse infatti possono evitare di veder realizzate perdite in bilancio che richiedano nuovi capitali [...] Esempio paradigmatico è il sistema bancario giapponese (sino a circa un decennio fa, ora finalmente sembrano esserne usciti) considerato una delle cause principali di quindici anni di lenta crescita economica.
Uno dei tentativi più accurati di misurazione del fenomeno e dei suoi effetti, nel contesto dell'Europa, è il paper di Viral V. Acharya, Tim Eisert, Christian Eufinger, e Christian Hirsch, "Whatever it takes: The Real Effects of Unconventional Monetary Policy" (Marzo 2016). Il paper mostra come gli interventi della BCE del 2012 abbiano sì indirettamente ricapitalizzato le banche ma, in molti casi, le abbiano solo salvate senza risanarle, portandole quindi ad operare come banche Zombie. Il paper stima per l'Italia una frazione di credito Zombie (cioé ad imprese improduttive, a bassi tassi) per le banche sotto-capitalizzate (vedere il paper per le definizioni precise) vicina al 25% nel terzo trimestre 2013 (15% per la Spagna). Interessante che, nella presentazione pubblica del paper (gli autori mi hanno gentilmente fatto pervenire le trasparenze), gli autori utilizzino come esempi paradigmatici di questi crediti Zombie una operazione di Unicredit e Banca Popolare di Milano a favore di Feltrinelli nel 2013 e un'altra operazione sempre di Unicredit a favore di Benetton nel 2012.
Ricapitalizzare a sufficienza significa quindi coprire di capitale crediti inesigibili e NPL (Non-Performing-Loans) e tutta la galassia di crediti a rischio. Noto che non sono preciso di proposito a questo snodo - è facile essere fuorviati da dettagli, termini gergali e cose così in questo contesto. Difficile produrre specifici parametri di capitalizzazione validi ad ogni evenienza. Quando lo si fa, spesso questi parametri sono difficilmente giustificabili, come ad esempio nelle discussioni avviate da Anat Admati e Martin Hellwig a partire dal loro libro (appena tradotto in italiano), "I vestiti nuovi dei banchieri" (che però a mio parere ha il grande pregio di aprire una posizione di battaglia forte e dura su un tema che la merita, contro lobby di banchieri privati e centrali e contro quell'economia teorica ed empirica forse un po' catturata quantomeno dal regolatore). Lasciamo la valutazione di quanto capitale sia sufficiente, una volta definito il termine come lo abbiamo fatto, a chi valuterà i casi specifici.
L'altra questione riguarda come ricapitalizzare. Se ricapitalizzare significa essenzialmente ristrutturare le banche (in una procedura che non è formalmente fallimentare ma simile, come ad esempio avverrebbe in un bail-in), questo può avvenire in vari modi, che hanno implicazioni diverse in termini di risultati ed in termini di distribuzioni di vantaggi e perdite. Vale la pena seguire la linea tracciata dall'articolo di Alberto Alesina e Francesco Giavazzi ieri, 5 Luglio, sul Corriere. Seguendo la strada dei due interventi del Tesoro Usa per contrastare la crisi del 2008, Tarp 1 e 2, Alberto e Francesco distinguono due tipi di intervento: i) comprare a prezzi sopra-mercato crediti NPL dalle banche, ii) sottoscrivere direttamente ma temporaneamente la ricapitalizzazione delle banche. Il primo tipo di intervento si qualifica esplicitamente come un regalo alle banche (agli obbligazionisti, che evitano che le banche falliscano, e in secondo luogo agli azionisti che evitano di essere diluiti se il salvataggio delle banche si trasformerà in valutazioni crescenti dei titoli azionari già esistenti) da parte del Tesoro. Il secondo continua a favorire gli obbligazionisti ma diluisce gli azionisti e quindi in principio (se le banche cresceranno di valore) limita il trasferimento dal Tesoro, cioé il costo pubblico dell'operazione (il regalo alle banche). A questo proposito il governo USA ama notare che il Tesoro ha ottenuto un rendimento di quasi l'8% a seguito di queste operazioni (Tarp 2), rivendendo le azioni delle banche a crisi superata (un articolo di Pietro Veronesi e Luigi Zingales fa bene i conti di chi ha vinto e chi ha perso con Tarp; grazie a Fausto Panunzi per il riferimento). Per queste ragioni, Alberto e Francesco sembrano favorire il secondo tipo di intervento (e, mi par di capire, anche Luigi Zingales sul Sole l'altro giorno).
Ma a mio parere alcune considerazioni si rendono necessarie a questo proposito (su cui sospetto Alberto e Francesco sarebbero in accordo, almeno in linea di principio, ma che forse ritengono meno rilevanti di quanto non lo faccia io).
1. Entrambi i due tipi di intervento, i) e ii), si configurano come salvataggi delle banche, oltre che del sistema bancario, nella categorizzazione di questo mio post. In questo senso essi introducono il moral hazard cui accennavo prima: le banche, anticipando di essere salvate, opereranno meno intensamente di quanto efficiente a evitare crisi finanziarie. Ho sempre ritenuto i calcoli del Tesoro USA, che argomenta di aver guadagnato da Tarp 2, gravemente miopi ed erronei proprio per questa ragione.
2. La ricapitalizzazione temporanea ad opera del Tesoro è una operazione il cui successo dipende in misura fondamentale dalle qualità delle istituzioni pubbliche, che a) intervengono per rinnovare il management delle banche e la loro governance qualora necessario; b) agiscono con l'intento esplicito di intervenire temporaneamente sul sistema bancario, rivendendo ai privati a crisi superata. Nel caso del Tesoro USA questo è esattamente quello che è successo, il management è stato rinnovato e il Tesoro è uscito dalle banche appena possibile. Ma davvero possiamo credere, vista la storia e la cultura politica italiana, che il nostro sistema politico potrà liberarsi di banchieri amici e di fondazioni profondamente colluse e non si farà allettare dall'idea di controllare il sistema bancario ancora più direttamente di quanto non faccia già ora? Io interpreto ogni intervento del Tesoro, in questi giorni, come un tentativo di mantenere lo status quo nel sistema bancario. E allora addio salvataggio del sistema bancario ed ecco ancora invece solo il salvataggio di banchieri e banche. Mi scuso per il pessimismo che mi par della ragione, pur rispettando l'ottimismo della volontà.
Concludo quindi suggerendo due strade percorribili.
1. Ricapitalizzazione pubblica ma sotto il controllo esterno - l'ESM (European Stability Mechanism, o Fondo Salva-Stati) ad esempio, come fatto dalla Spagna (vedi la storia di Bankia). Sì, questo significa chiamare gli elicotteri della Troyka!
2. Ricapitalizzazione privata, anche forzata - con riconversione di (almeno alcune) obbligazioni in azioni, ad esempio (vedi direttiva BRRD citata da Phastidio).
I dettagli in un altro post, che mi eviterei volentieri di scrivere ... quindi fatevi avanti colleghi ed economisti, eletta schiera ...
Si istituisce un bell'organo di controllo europeo (serio), si inviano avvertimenti e raccomandazioni PUBBLICHE che, se disattese in un lasso di tempo ragionevole, fanno scattare (PRIMA DELL'INSOLVENZA) la procedura di AMMINISTRAZIONE CONTROLLATA(europea) della banca con quel che ne consegue. I creditori vengno chiamati all'approvazione(e voglio vedere chi dice no...) I managers vengono INDAGATI(e non pagati per le loro scadenti prestazioni visto che seguono gli altri debitori..), l'attività viene monitorata dal commissario prescelto che relaziona a cadenza temporale indefnita nelle sedi preposte.
In caso di insolvenza conclamata la banca viene europizzata e, succesivamente, riprivatizzata a ristrutturazone avvenuta con regolare bando.
Troppo semplice? Sembra persino equo(democratico?).
Bell'articolo, complimenti.
ps: La troyka nelle banche? YES!!!!
tendo a essere d'accordo. abbiamo bisogna di una procedura di amministrazione controllata fatta bene. ma magari esiste - io queste cose non le so