È passato oltre un mese dal primo articolo, anche se, bisogna ammettere, il mio ritardo obbiettivo nel pubblicare questo pezzo quasi non potrebbe essere colto se ad essere preso come sistema di riferimento fosse il succedersi dei fatti politici. Infatti, siamo ancora nel mezzo del pantano, e il Movimento Cinque Stelle si sta rivelando come la manifestazione ulteriore dell’abituale irresponsabilità e faziosità delle forze politiche italiane. Non intendo però qui fare il notista politico (che non so neppure cosa sia) perché, come già detto, il mio interesse era parlare dell’atteggiamento e delle idee del movimento di Grillo in una prospettiva più ampia, e collocarle nel riemergere periodico di quell’idee nella società italiana. Non posso però esimermi dal dedicare una speciale menzione alle minacce più volte ripetute di trasformare le aule del Parlamento in un bivacco di manipoli grillini, qualora le commissioni parlamentari non siano insediate: anche qui sembra sempre di sentire echi di vicende lontane ma ancora sgradevoli.
Come accennavo, nell’affermazione del grillismo si può scorgere non solo un risultato elettorale notevole ma anche la consacrazione istituzionale quasi maggioritaria a idee, atteggiamenti, fobie e idiosincrasie che sono comunque abbondantemente presenti nella società italiana, a tutti i livelli, non solo nazional-popolare come nel caso dei grillini, e che, evidentemente discendono da tare tipiche del costume nazionale.
Ovviamente ci sono tante forme di populismo e i suoi caratteri sono condizionati dal gruppo di riferimento al quale ci si rivolge, appunto populisticamente, per ricavarne consenso o ottenerne approvazione. C’è il populismo di Susanna Camusso ad una manifestazione della CGIL, ma c’è anche il populismo di una Sarah Palin a un incontro dei Tea Party: quello che si fa in quei casi e sempre partire da “verità” riconosciute come tali da un gruppo e dai suoi membri e ribadirle senza bisogno di ulteriore discussione. Ecco, quello che intendo dire è che il populismo italiano si caratterizza sempre per alcuni tratti ricorrenti: l’ostilità al mercato e al suo funzionamento, la diffidenza nei confronti del sapere scientifico e positivo, il timore per l’eccessivo potere di organizzazioni private come le multinazionali; o ancora l’esplicita paura nei confronti della medicina, dei vaccini o dell’uso degli OGM in agricoltura. Per non parlare poi della propensione a descrivere i fatti della vita politica nazionale, o le vicende relative ai rapporti tra stati, sempre con la lente del complottismo.
Questo genere di atteggiamenti sono così radicati, diffusi e accettati che essi travalicano classi e professioni, e si trovano in eguale misura sia in ministri che hanno ricoperto cariche importanti nella vita politica italiana, sia di centro-destra sia di centro-sinistra, sia in intellettuali che scrivono sui giornali e che sono pronti a denunciare i mali della società industriale, l’alienazione derivante dall’uso delle nuove tecnologie o la spersonalizzazione dei rapporti sociali indotti dalla mercificazione spinta di quelli ecc. ecc. Come ebbi a leggere, ormai ogni quotidiano o sito di informazione, online o cartaceo, deve avere un fine saggista che si lamenta dei mali dei nostri tempi, rimpiange quelli andati e denuncia oscuri complotti ai danni del popolo ignaro. Come non sorprendersi di un Tremonti, ai tempi dell’aneddotto ministro, super per giunta, che ai microfoni del sempre servizievole TG1 dichiarava inconcepibile che un telefonino costasse meno del latte o del cibo in generale (giuro, disse così!), lasciando intendere che i beni e i servizi dovessero essere assoggettati ad una metrica di valore non riducibile al volgare cartellino dei prezzi degli scaffali? Come non potersi sorprendere poi se valutazioni di contenuto analogo sono riprodotte, con lo stesso atteggiamento di fondo, in ministri di orientamento politico opposto o da intellettuali di vari orientamenti che infestano le pagine culturali dei giornali?
E ancora: abbiamo tutti sorriso per il luccicare minaccioso delle coppe-della-luna come mezzo di ecologismo radicale o per le stupidaggini criminali circa l’inesistenza della asserita relazione clinica fra HIV e AIDS, perché proferite da una giovane parlamentare pentastellata; quando però pensiamo ai trascorsi dell’onorevole Scilipoti, noto per il famoso passaggio armi, bagagli e mutui dagli scranni del centro-sinistra a quelli del centrodestra, sostenitore delle medicine alternative; quando ci ricordiamo della vicenda Di Bella, relativa alla possibilità di imporre a carico del SSN una nuova, e manco a dirlo rivoluzionaria, cura per il cancro (ma ancora oggi la stessa dinamica mediatica si impone con riguardo a patologie altrettanto devastanti), senza che vi fossero a favore della sua adozione sufficienti evidenze scientifiche; ecco, quando leggiamo della corale e bipartisan attenzione per le scie chimiche, con relative interrogazioni parlamentari, di destra, centro e sinistra…beh, allora il sorriso lascia posto a smorfie meno divertenti.
Gli esempi sono casuali, ma la manifestazione evidente della diffusione a tutti i livelli di credenze e pregiudizi antiscientifici e antimoderni è secondo me simboleggiata dalla vicenda dei vaccini. Come chiunque bazzichi quei vittoriani della Ragione Italica che sono i bar al mattino (o legga le terze pagine dei quotidiani, o peggio ancora legga certi siti di controinformazione) sa molto bene come nulla evochi fantasmi tanto minacciosi come i farmaci e i medicinali. Certo, poi in farmacia, quelle protette dalla concorrenza, si spende entusiasticamente un patrimonio in cure omeopatiche, coadiuvanti, zoccoli griffati, e integratori per raggiungere stadi di benessere sempre più sfuggenti, ma l’idea dei vaccini concepiti in laboratori ombrosi da ricercatori compiacenti al soldo di laidi potentati farmaceutici è sempre in voga e a nulla vale chiedersi come sia possibile tutto questo continuo vociare insinuante sui vaccini, data la più volte denunciata (e continuamente disprovata) relazione fra vaccini obbligatori e autismo. E infatti è così: la proposta di legge stellare di abolire l’obbligatorietà dei vaccini in Lombardia è stata già accolta in altre regioni italiane, seppure governate da schieramenti di diverso colore politico di quello grillino, a dimostrazione, come vado dicendo, che Grillo semplicemente raccoglie, ed esaspera, moti di indignazione (in taluni casi legittimi) e atteggiamenti già presenti nella società.
Ora, apparentemente potrebbe sembrare che le convergenze ampie fra settori ideologici e politici differenti su uno stesso insieme di credenze, pregiudizi e paure ricorrenti sia un fenomeno nuovo e comunque dettato dalla fine delle ideologie politiche tradizionali. In realtà, ed è questo il punto che sto sostenendo, la società italiana ha costantemente prodotto posizioni culturali che potremmo definire brevemente come anti-moderne, condivise a destra e a sinistra, anche in periodi storici nei quali l’adesioni a ideologie politiche tradizionali e collaudate era assai più forte che oggi. Per averne una dimostrazione basterebbe passare in rassegna due libri (questo e questo), scritti da uno studioso di filosofia che è venuto a mancare l’anno scorso, Paolo Rossi. I due libri ripercorrono le polemiche nelle quali lo studioso si è speso, specie negli ultimi anni della sua vita, e soprattutto nel tentativo di smontare quell'amalgama di luoghi comuni, frasi fatte e posizioni pregiudiziali che sono presentati dai loro sostenitori come pensieri nuovi e audaci e ingiustamente marginalizzati. E invece, a scorrere le pagine di quei libri si scopre che alcuni dei più acclamati intellettuali italiani non fanno che ripetere ormai da decenni sempre le stesse cose. Perché davvero, a rileggere alcuni capitoli, si rimane basiti da quanto alcune posizioni poltiiche odierne siano incredibilmente logore.
E così in un capitolo intitolato “Antimoderni: a destra, a sinistra” sono esaminate alcune tesi in voga fin dagli anni ’60 del secolo scorso e si comprende come davvero i grillini, e le loro idee, vengano da molto lontano. E poi, come non riconoscere in un capitolo efficacemente intitolato “Pacifisti leninisti”, i tic e i luoghi comuni di taluni che pensano basti fondere gli F35 per farne vomeri e aratri per sfamare gli innocenti e tornare alla pace? Sono tutte pagine scritte con l’occhio di uno storico delle idee, abituato a ragionare sui tempi lunghi e a non confondere gli assestamenti marginali d’opinione con mutazioni epocali della società. E se poi siete preoccupati del neoprimitivismo delle moon-cup o inquietati dai mercatini a kilometri zero, potrete sempre rileggere capitoli come “Fra Arcadia e Apocalisse”. Si scoprirà appunto della costante fascinazione di alcuni per i bei tempi andati della sobrietà, della propensione al risparmio e della frugalità, quei tempi insomma quando nei paesi si viveva in semplicità in un mondo felice, non si sottoscrivevano odiose "finanziarie" per immolarsi, inconsapevoli, alla schiavitù del mercato e anche i punti di riferimento erano chiari e saldi, fossero pure il medico di paese, il farmacista e il maresciallo. Certo, alle volte la nostalgia per il tempo perduto si esprimeva in forme più liriche, come nel Pasolini malinconico per la scomparse delle lucciole e che scriveva un pezzo dalle pretese sociologiche sulla crisi provocata in Italia dall’incedere dell’industrializzazione che aveva, fra le altre cose, appunto provocato la morte degli insetti luminosi. Ma anche in quelle argomentazioni più poetiche, la natura fortemente reazionaria di quelle posizioni non era certo occultabile.
Perché alla fine, quello che colpisce di questo “nuovo” pensiero grillino e dei suoi parlamentari, è proprio questo: la sua natura pienamente reazionaria. E il fatto che quelle idee abbiano da tempo fatto breccia nella società italiana, in quanto condivise sia dalla cosiddetta destra, sia dalla cosiddetta sinistra, siano presenti nelle istituzioni culturali del paese e radicate nella società civile, non può comunque nascoderne la natura.
Marco, chapeau!
chapeau!
Ps:
questa te la rubo e la riciclo :)