Dopo avere deciso di riformare il meccanismo della formazione delle commissioni per i concorsi, introducendo, di fatto, un sorteggio dei commissari, il Ministro Gelmini ha chiesto al CUN di formulare degli standard minimi di qualità per gli idonei nelle diverse fasce concorsuali. Insomma, il Ministro ha chiesto al CUN: quante pubblicazioni deve avere come minimo un Professore Associato nel settore delle Scienze Matematiche? E un Ordinario di Scienze Economiche? E cosi via.
In principio sembra una buona idea. Però solo in principio. Dopo aver visto la risposta del CUN (della saggezza del "dopo" son piene le fosse, è vero, però giuriamo d’averlo pensato anche “prima”) argomenteremo che NON si e' trattato affatto di una buona idea. Il nostro consiglio al Ministro Gelmini è il seguente: per favore, ignori il documento del CUN e cerchi altrove gli strumenti per imporre quel minimo di competenza accademica che Lei, giustamente, vorrebbe che l’università italiana soddisfacesse.
Perché mai prendersela con l’imposizione di requisiti minimi in una situazione di grave crisi, come quella dell’università italiana? Perché mai, nello sfascio generalizzato, criticare un sincero tentativo d’imporre almeno un livello minimo di decenza alla docenza, così da eliminare i casi più scandalosi? In altre parole, non siamo forse affetti, ancora una volta, dalla tipica cecità dei massimalisti che rinunciano al buono nella vacua attesa del meglio? Forse, ma crediamo di no e la ragione, duplice, è presto detta.
Da un lato, come la nostra breve disamina a seguire cerca di provare, la formulazione di criteri minimi in realtà non implica l’imposizione d’alcun criterio minimo, vuoi per l’eterogeneità dei criteri suggeriti nelle diverse aree disciplinari, vuoi per l’imbarazzante vaghezza ed elasticità con cui i medesimi sono formulati. Vi sarebbe, sempre dallo stesso lato, anche un problema di "incentive compatibility", ma lasciamo perdere le cose complicate che quanto detto basta ed avanza!
Dall’altro lato - e qui viene la ragione per cui non è vero che “tentar non nuoce”: in questo caso “nuoce” – richiedere al CUN d’esprimere criteri minimi potrebbe forzare ora il ministro ad accettarli. Accettare criteri minimi “sbagliati” sarebbe dannoso perché offrirebbe la foglia di fico definitiva a qualsiasi futura sconcezza. In altre parole, il soddisfacimento dei requisiti minimi potrebbe diventare una “patente”, un certificato di qualità, anche nei casi in cui i criteri minimi siano palesemente incongrui. Ministro Gelmini, per favore, dimostri un coraggio politico unico nella storia del MIUR: ringrazi e cestini. In fin dei conti, quelli del CUN sono solo suggerimenti e Lei, signora Ministro, ha il diritto di dire “Ho cambiato idea, ho dato uno sguardo in giro, ho riflettuto ulteriormente e non mi sembra il caso di stabilire dei criteri minimi nazionali. Che ogni Rettore, Consiglio di Facoltà e Dipartimento si assuma la propria responsabilità accademica e scientifica di giudicare e selezionare. Noi giudicheremo e valuteremo le loro scelte, come è nostro compito.”
Per le medesime ragioni, e perché in nessun paese civile – che noi si sappia – esiste una tale lista, il CUN avrebbe dovuto dire semplicemente al Ministro: non è un esercizio sensato, lasci perdere. Invece, con grande spirito di servizio, le diverse commissioni del CUN si sono attivate e hanno prodotto il documento richiesto. La cosa migliore è senza dubbio il preambolo. Ecco alcuni passi [neretto nostro]:
Premesso
- che la promozione della qualità ed eccellenza del sistema universitario dipende da molteplici fattori e non può prescindere da un'autonomia responsabile degli Atenei nella valorizzazione del merito ad ogni livello; […]
Ritenuto
- che gli indicatori proposti sono intesi esclusivamente al fine di determinare livelli minimi normalmente accettabili per l’ammissione alle diverse fasce della docenza;
- che tali livelli minimi non possono essere utilizzati per determinare in modo automatico l’esclusione o l’ammissione di un candidato ad una valutazione comparativa;
- che gli indicatori forniscono una rappresentazione inevitabilmente sommaria dell’attività scientifica dei candidati e che le commissioni giudicatrici, cui esclusivamente compete la responsabilità di stabilire la graduatoria finale, devono comunque formulare un giudizio qualitativo su tale attività scientifica;
- che gli indicatori proposti nulla debbono togliere all’autonomia degli Atenei nella libertà di strutturare i bandi di concorso secondo le necessità espresse dagli Organi collegiali degli Atenei stessi;
- che comunque i valori minimi proposti per gli indicatori ai fini dell’accesso alle fasce di docenza sono punti di riferimento qualificanti per le commissioni e per l’autovalutazione dei candidati;
- che in caso di non osservanza di tali valori minimi le commissioni debbono motivare le ragioni della loro scelta.
Insomma, sembra premettere il CUN: per rendere migliore la ricerca nel sistema universitario italiano ci vogliono riforme più serie, che diano agli Atenei gli incentivi appropriati a perseguire l’eccellenza nella ricerca. Giusto. Anzi, ineccepibile. Se gli incentivi di Dipartimenti ed Atenei vanno nella direzione di promuovere la ricerca, ognuno si regoli come vuole sui criteri di chiamata e promozione, dato che se sbaglia paga. Potrebbero, dovrebbero (vorrebbero?) fermarsi qui, i saggi del CUN. Ma non possono (o non vogliono?). Affrontano allora la mission impossible e, non essendo disponibile Tom Cruise, sanno che stanno per fallire. Quindi mettono le mani avanti in tutte le possibili direzioni, che non si sa mai come andrà a finire.
Iniziano dicendo: quelli che proponiamo sono solo requisiti minimi. Ma subito dopo aggiungono: anche se un candidato non li soddisfa non può essere escluso dai concorsi. Bisogna vedere caso per caso. Insomma, sono requisiti minimi, ma a volte anche chi ha meno del minimo può andare bene. Lo decideranno le commissioni di concorso. Continuano dicendo: sia chiaro, gli Atenei sono liberi di strutturare i bandi come vogliono. Dunque, cosa sono questi standard minimi? Dei semplici punti di riferimento, dice il CUN. L’unico vincolo è per le commissioni che, nel caso in cui scelgano di promuovere qualcuno che non rispetta i requisiti minimi, devono motivare le ragioni della scelta. Vincolo non troppo stringente, visti i costumi nazionali. Forse, al posto del preambolo, il Cun avrebbe potuto citare il verso di Montale: "Codesto solo oggi possiamo dirti: ciò che non siamo, ciò che non vogliamo".
Ma il bello viene quando si leggono le proposte per i singoli settori disciplinari. Qui c’è tutto ed il contrario di tutto, come ha già brevemente osservato Giovanni Federico in un commento ad un altro articolo. Che senso ha promulgare criteri minimi cosi spaventosamente difformi tra un’area disciplinare e l’altra? E, che senso ha promulgare criteri minimi, in alcuni casi, estremamente vaghi? Essendo noi economisti, ci limitiamo all’Area 13, quella di Scienze Economiche e Statistiche. Il testo si trova alle pagine 28 e 29 del documento.
Gli estensori mettono ancor di più le mani avanti di quanto non venisse già fatto nel preambolo generale, e dicono: Scienze Economiche è un baillame. Ci sono aree in cui si pubblica sulle riviste internazionali con il sistema di referaggio, altre in cui si pubblica prevalentemente su riviste nazionali e altre in cui si scrivono principalmente libri, come Storia Economica e Storia del Pensiero Economico (una verità solo parziale, nel primo caso, se si allarga lo sguardo all'esperienza internazionale, ed irrilevante nel secondo, visto che il raggruppamento concorsuale di Storia del Pensiero è uno strano oggetto tutto italiano). Come facciamo a dare criteri validi per tutte queste aree? Questa sarebbe stata una buona occasione per segnalare alla signora Ministro il proliferare di aree disciplinari inventate a tavolino, che non corrispondono a veri filoni di ricerca indipendenti ed autonomi. Che differenza c’è tra un professore di Economia Politica e uno di Politica Economica? Perchè Economia Applicata è distinta da Economia Politica? Misteri italici, anche se, per fortuna, meno seri di Ustica e di Piazza della Loggia.
Ma questa non è stata la scelta dei colleghi che siedono nel CUN. I quali finiscono invece per definire criteri piuttosto vaghi. Prendiamo i criteri per gli Ordinari. Ci vogliono 10 pubblicazioni negli ultimi 8 anni. Ma solo 4 delle 10 devono essere pubblicate in riviste di “grande rilievo scientifico”. Prima perplessità: a che servono le 6 pubblicazioni in riviste di non grande rilievo scientifico? A far numero? Non ne potremmo fare a meno, allora, nei criteri minimi? Ma i saggi del CUN ci confondono ulteriormente le idee dicendo che di queste 4 pubblicazioni su riviste di grande rilievo solo 2 devono essere a carattere internazionale. Quindi esistono, evidentemente, delle riviste di “grande rilievo scientifico” nel campo dell’economia edite in Italia. A nostra conoscenza, NO. Forse una volta. Oggi senz'altro no. Almeno secondo quelli che noi riteniamo siano gli standard che definiscono il grande rilievo scientifico. A far scendere una nebbia fitta su di noi provvede l’ultimo punto in cui si dice che gli editori devono applicare il referaggio anonimo e indipendente. Gli editori? Ma allora qua si parla anche di libri (invece che di riviste) o stanno forse decidendo che e' l'editore che definisce della qualita' di una rivista? Starete mica scherzando, colleghi del CUN: Blackwell pubblica di tutto, oltre che Econometrica! O non e', forse, che editori è la traduzione (sbagliata) di “editors”, che in italiano dovrebbe essere "direttori”? Insomma, cosa vuol dire quel paragrafo?
Supponiamo pure - non è per nulla improbabile - di essere noi che non capiamo quello che c’è scritto nel documento del CUN. C’è però di certo qualcosa che nel documento dell'area 13 NON viene scritto. La parola "citazioni." Le citazioni ottenute non contano niente? Può diventare ordinario di economia anche chi non ha citazioni? Pare di sì.
Non vorremmo però dare l’impressione di essere impietosi o irrispettosi verso il documento del CUN. Noi non avremmo certo fatto meglio di loro, sia chiaro. Il problema è che l'intero esercizio ha una base per niente solida: chi può sostenere che esistano dei requisiti minimi validi sempre? Forse quello che era lecito chiedere al CUN era di non assecondare la richiesta del Ministro.
Avendo loro perso questa occasione rispondendo, non ci rimane che chiedere al Ministro, che fece la domanda, di non accettare i criteri suggeriti dal CUN e di ammettere d’aver fatto un errore di percorso sul quale si è ricreduta. Ci creda, signora Ministro, non c’è nulla di male nel cambiare idea di fronte all’evidenza contraria, specialmente quando si è, fra le altre cose, Ministro della Ricerca. Come diceva quel tale “Se sapessimo cosa stiamo facendo, non la chiameremmo ricerca, no?”
In realtà l'idea dei requisiti minimi non mi sembra sbagliata "di per sè". Il requisito minimo dovrebbe impedire che venga fatto professore associato chi ha solo un paio di pubblicazioni, non a decidere chi, fra le centinaia di persone che hanno almeno 5 o 6 pubblicazioni, sia la persona migliore per quel posto. La decisione su chi deve avere il posto andrebe fatta (e qui sospetto siamo tutti concordi) in maniera indipendente dal singolo dipartimento sulla base di una serie di incentivi che spingano ad assumere i più meritori e/o "adatti" al tipo di ricerca che il dipartimento vuol portare avanti.
Anche il frazionare questi requisiti minimi mi pare inevitabile. Che economia, informatica, matematica e italianistica non possano avere gli stessi requisiti mi pare lapalissiano. Nel mio campo (fisica) i criteri individuati sono ridicolmenrte bassi ma strutturati in modo ragionevole. Ad esempio si fa notare che gli articoli di fisica teorica hanno (nella stragrande maggioranza dei casi) meno autori degli articoli di fisica sperimentale e che, quando ci sono molti autori, spesso questi vengono messi in ordine alfabetico (e quindi è stupido dare più importanza al primo nome). Si fa anche notare che in quasi tutti i settori della fisica si pubblica unicamente su riviste ISI il cui impact factor è ben correlato con la loro importanza. L'eccezione è la storia e la didattica della fisica che sono più vicine a pedagogia e letteratura che alla fisica e quindi non ne possono seguire i criteri.
Insomma, mi pare una disamina attenta e non troppo barocca di quello che è lo stato di fatto. L'unico vero problema è che i paletti "minimi" vengono posti così in basso da permettere a quasi tutti di entrarci (io inizio ora il mio secondo anno di post-doc ed ho già i requisiti come professore associato e mi manca un soffio per i requisiti da ordinario).
I paletti non sono in basso proprio per nulla: le pubblicazioni vanno pesate, non contate. A minnesota, votammo offerte con tenure a colleghi con 3 (tre) pubblicazioni. Secondo questi criteri, questi (stimati) economisti che in Italia sarebbero nel top 2% di tutti i docenti di economia, non varrebbero il titolo di professore associato.