1. Premessa
Se le importazioni si pagano solo in parte con le esportazioni si ha un deficit che si deve colmare con un debito; se ci si indebita e, per tal via, ci si discosta dal tallone regolamentare, si trasferisce l’instabilità monetaria da un paese all’altro. Cioè: i paesi maggiormente indebitati, non rispettando le regole, cercano di trasferire i loro oneri ai paesi meno indebitati i quali, ovviamente, cercano di rifiutarsi di pagare: ne nascono annosi contenziosi che tendono a stemperarsi nel tempo con vantaggio dei debitori. Stessa sorte hanno avuto i debiti di guerra dei paesi perdenti (S. Romano, Breve storia del debito da Bismarck a Merkel, Vitale & Co, Milano 2016). L'evidenza storica suggerisce - in modo assolutamente preponderante - che il caso del "grande creditore" che riesce a farsi rimborsare interamente sono molto rari mentre il caso del debitore che rimborsa meno, molto meno, del pattuito è frequentissimo. Detto altrimenti, a meno di prove di forza militare come quelle esercitate dagli USA (tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo nei paesi dell'America Centrale) il tallone, regolamentare o aureo che sia, tende a risolvere le situazioni di crisi "punendo" il creditore e "salvando" il debitore. In altre parole, crea un problema di moral hazard.
Infatti, uno scostamento dal tallone aureo provocava uno spostamento di oro da un paese all’altro, almeno teoricamente. In realtà, dopo Bretton Woods e prima dell’Euro, si avevano spostamenti da una pila di lingotti ad un’altra nel deposito di Fort Knox. In ogni caso, ed almeno in via di principio, un tallone aureo richiede ed implica lo spostamento di beni di valore da un paese all'altro. Ma questo elimina il moral hazard o lo trasferisce semplicemente altrove? Questa è la domanda che ancora mi pongo.
Avendo smarrito il sentiero nel corso degli anni e chiedendomi, nell’articolo precedente, quale dei due talloni fosse più conveniente per la convivenza civile sono riuscito a risalire ad un bivio che mi è sembrato quello giusto per ripartire: gli austriaci. Dapprima Schumpeter, poi Simmel (1907, La filosofia del denaro, trad. it. Utet 1984) ma, soprattutto e più "recentementé Menger (1909; Denaro, Rubbettino 2013) e von Hayek, grazie alle traduzioni dal tedesco (lingua che non conosco) dell’editore Rubbettino.
Per semplificare ulteriormente, ho dovuto così chiedermi se sia preferibile riferirsi alla configurazione di moneta o a quella di denaro (Menger).
Mi rendo conto come apparentemente possa sembrare una questione di lana caprina, anche perché il mainstream usa convintamente il termine moneta;ma, come cercherò di evidenziare, la domanda effettiva in fondo è se l’intermediario degli scambi sia una grandezza economica o giuridica o, meglio, se si tratti di una grandezza prevalentemente economica o prevalentemente giuridica; tema che può avere il suo significato anche oggi e nel futuro prossimo (Bitcoin e monete complementari).
2. L’intermediario negli scambi
Che gli scambi di merci e servizi necessitino di un intermediario mi sembra fuor di dubbio dato che se ne parla fin dalla notte dei tempi.
Accreditate leggende ebraiche narrano che Giacobbe, dopo essersi separato da Esaù, giunse a Sichem ove comprò un terreno, aprì uno spaccio, costruì dei bagni pubblici, dei mercati e una zecca per la popolazione locale (L. Ginzberg, Le leggende degli ebrei, vol. II, pp. 1966 e 338, Adelphi, Milano 2004). Aristotele ci narra un altro mito, quello del Re Mida che chiese agli dei di trasformare in oro tutto ciò che toccava per poi accorgersi che l’oro non era commestibile. Presso il Museo della moneta della Bd’I si possono ammirare antiche monete del periodo dl Creso, ultimo re di Lidia (561 – 546 a. C).
Aristotele stesso ci racconta che la moneta è un debito del "Principe", nel senso che il Principe emette monete usando leghe fra metalli nobili e metalli poveri e vi conia la sua effige per testimoniare il contenuto di metallo nobile nella lega, assicurando così la convertibilità delle monete in metallo nobile. Aristotele non ci narra, invece, quando inizia la pratica del Principe di "tosare" le monete, cioè di ridurne il contenuto nobile trasformandole in mero specchio della propria immagine, oppure denunciando la sopravvenuta impossibilità di conversione, riducendo così la fiducia conquistata pur restando in sella nonostante la perdita di reputazione. Insomma, sembra che il contrasto tra "denaro" (quella cosa ancorata al tallone aureo) e "moneta" (quella cosa ancorata al tallone regolamentare, o del potere statale) fosse lì fin dall'inizio, assieme alla tentazione per il signoraggio. Ma andiamo avanti.
Platone e Aristotele ci dicono anche che "è il bisogno la causa dello scambio dei beni e la misura di ogni cosa. Ma per convenzione il denaro è diventato il sostituto del bisogno e di conseguenza la misura dei beni da scambiaré (Menger, p. 185, n. 37) e "come una comunità non sarebbe possibile senza scambio, così non sarebbe possibile uno scambio senza uguaglianza, e un’uguaglianza senza misura comune" (Ibidem).
Levi Strauss (Antropologia strutturale, 1966, rist. Il Saggiatore, Milano 2015) ci conferma con i suoi studi che presso qualsiasi comunità si hanno scambi di merci e di servizi, scambi di donne (cioè relazioni di parentela) e scambi di parole (cioè scambi di informazioni, di comunicazioni).
Non mi dilungo ulteriormente su questo insieme di punti anche se sarebbe interessantissimo: riassumo dicendo che fin dalla notte dei tempi
- vi è la necessità di un intermediario negli scambi;
- tale intermediario assume sempre la forma di un debito dell’emittente o, meglio, di una promessa che avrà valore di scambio anche in futuro;
- il valore di mercato di tale debito o promessa si fonda sulla fiducia che gli agenti privati hanno verso l’emittente.
3. Denaro e Moneta
"Among the conventions of almost every human society of historical record has been the use of money, that is, particular commodities or tokens as measures of value and media of exchange in economic transactions", così J. Tobin (in The New Palgrave Dictionary of Money and Finance, 1992) inizia ad affrontare la questione della moneta.
La questione della moneta, della moneta-merce e della moneta-segno, ha agitato, nel corso dei secoli, molteplici discussioni evidenziando che il suo valore nel tempo non viene garantito dall’eventuale aggancio ad un metallo più o meno nobile (per un recente lavoro storico, esauriente, non specialistico ma mi sembra ben documentato v. R. Petrini, Controstoria della moneta, Imprimatur, Reggio Emilia 2014).
Quasi un secolo prima di J. Tobin, Carl Menger scrisse il lavoro appena citato ove si sforzava di distinguere il denaro (nel senso economico del termine, cioè di bene scarso) dalla moneta e, in particolare, di distinguere la funzione clou di generale mezzo (meglio, di intermediario, p. 169, n. 1) degli scambi dalle altre funzioni che ne derivano (misuratore del valore e dei prezzi delle merci, mezzo di pagamento con potere liberatorio, mezzo di tesaurizzazione, di capitalizzazione, di trasferimento della ricchezza, ecc.).
Alla luce delle idee di Menger, la definizione di Tobin diverrebbe "… particular commodities or tokens as media of exchange… ".
Menger sosteneva che il concetto di moneta fosse troppo vasto (p. 178, n. 21) per cui bisogna scavare per capire qual è il kernel (il nocciolo duro) della moneta che lui chiama denaro in senso economico, cioè quella qualsiasi cosa che si seleziona autonomamente nel mercato, tempo per tempo, come intermediario generale degli scambi. per gli adetti ai lavori: questo approccio, presente in molti e fra essi Jevons, è oggi molto usato nella letteratura teorica sui fondamenti della moneta che usa modelli di "search" (ricerca, nel senso di andare in cerca di una controparte...) e che ha ripreso vigore circa trenta anni fa a seguito dei lavori di Nobuhiro Kiyotaki e Randall Wright. Nello "slang" degli economisti accademici questa classe di modelli è nota anche come "coconuts models", perché, nei loro esempi iniziali, NK e RW parlavano di persone che cercavano di scambiarsi noci di cocco di diverso colore... Questa letteratura insiste che per capire la moneta occorra capire la sua "autogenerazione" attraverso meccanismi "spontanei" di mercato che, nella detta letteratura, vengono formalizzati con modelli di "search". Altri approcci (quello cosidetto "istituzionalista" in primis) insistono invece che la "moneta" abbia, alla fine, un fondamento "giuridico" e sia sempre il prodotto del potere statale. Ossia, venga determinata dal "tallone regolamentare". Questo approccio è oggi del tutto minoritario fra i teorici della moneta, però è bene notare che esso esiste e che una buona quantità di evidenza storica tende ad appoggiarlo. Tale visione è anche diffusa, per esempio, fuori dall'ambito dell'economia teorica fra antropologi e fra i cultori della sociologia culturale... ma sto divagando, forse.
Rimane il fatto che anche le Banche Centrali (BC), oggi, dichiarano di rifarsi ad una configurazione di M "allargata", cioè a M3 per cui tutti sono d'accordo che per moneta si intende una configurazione vasta (come quella della BCE), e purtuttavia nessuno è ed è stato d'accordo nell'andare al kernel e di trarne le conseguenze.
La selezione del denaro in senso economico di cui parla Menger non ha un prius, ma dipende dalle condizioni storiche di periodo, per cui il denaro può essere qualsiasi cosa purché svolga almeno la funzione di mezzo/intermediario generale degli scambi.
Menger ci intrattiene anche sulle relazioni fra denaro dai punti di vista giuridico ed economico: il suo punto di vista viene egregiamente sintetizzato da Renner:
"Non è la legge che crea il danaro: esso non è una creazione dell’ordinamento giuridico ma dell’economia" (K. Renner, Gli istituti di diritto privato, 1929 trad. it. Il Mulino 1981). Anche gli Assegnati della rivoluzione francese, infatti, circolavano egregiamente come moneta riconosciuta, ma dietro di loro c’era la ghigliottina, osserva Menger. Quando scomparve la ghigliottina scomparvero anche gli Assegnati, cioè riprese il sopravvento la "convenienza commerciale" (p. 152). Per Menger, insomma, la "moneta" aveva, o almeno poteva avere e storicamente aveva avuto, una base "regolamentare" data dal potere politico e dello stato, mentre il "denaro" aveva un puro fondamento economico basato sulla scarsità relativa del mezzo utilizzato per gli scambi.
Tuttavia C.A.E. Goodhart è convinto del contrario (The Evolution of Central Banks 1988, trad. it. Cariplo-Laterza Bari 1989). Vale la pena di sottolineare che Goodhard è, forse, l'ultimo degli istituzionalisti (vedasi sopra).
Ed è forse questo il punto: qual è la merce che assume autonomamente la funzione di denaro (di kernel della moneta) per convenienza commerciale e che viene regolamentata successivamente, avvalorando la sua funzione intermediaria?
Per risolvere questo punto, Menger scava nel passato, recupera le osservazioni degli antropologi e giunge alla conclusione che sono i metalli nobili ad avere connotati altamente idonei ad essere l’oggetto di obbligazioni generiche (cioè a poter regolare lo scambio di un generico cavallo e non di un cavallo particolare). Fra questi metalli, quelli preziosi sembrano i più idonei perché si osserva che, da sempre, essi sono tesaurizzati anche in forma non monetaria, cioè di per se stessi, ma soprattutto perché tali beni hanno un altissimo livello di commerciabilità rispetto a tutti gli altri beni (sono altamente liquidi, per usare una terminologia più recente).
4. Dal tallone aureo al tallone regolamentare.
Con il termine "tallone aureo" ci si riferisce al periodo durante il quale M era agganciata all'oro (gold standard). Per semplificare, però, in questa sede mi riferisco anche al periodo successivo (dollar standard), cioè al periodo che va da Bretton Woods (in vigore dal 1945) al 15 agosto 1971, data alla quale la convertibilità diretta o indiretta in oro venne abolita definitivamente.
Il sistema monetario internazionale (IMF) fondato a Bretton Wods fu sostanzialmente il primo tallone regolamentare: tendeva infatti a regolamentare le relazioni commerciali e finanziarie fra i principali vincitori della II guerra mondiale stabilendo un nuovo ordine monetario fondato sulla negoziazione e sulla cooperazione fra paesi e prendendo atto che in quel momento gli USA, controllando i 2/3 dell’oro monetario, vollero mantenere l’aggancio delle monete sia all’oro sia al dollaro ($36 per 1 oz. Troy). Il 15 agosto 1971, però gli USA dichiararono di non essere più in grado di mantenere quella parità, sganciarono motu proprio il dollaro dall’oro e le monete cominciarono a fluttuare nei mercati divenendo tutte delle fiat money, cioè create dal nulla. Monete regolamentari, insomma, garantite solo dal "potere" degli stati che le emettevano.
Per farla breve, la consapevolezza che M, pur essendo fiat money, dovesse essere agganciata a qualcosa, ancorché diversa dall’oro, rimaneva evidente; il commercio internazionale cresceva e si concretizzava in pagamenti con monete fluttuanti dal valore sempre oscillante rendendo difficile pagare le importazioni con le esportazioni perché il loro valore era permanentemente oscillante ed incerto.
Sulla scorta del successo delle idee di J.M. Keynes a Bretton Woods, in Europa iniziarono le trattative per mettere a punto il Sistema Monetario Europeo (EMS 1979) che sfociò nella EMU e poi nell’Euro, il tallone regolamentare che sta alla base della convivenza europea di questi ultimi decenni.
5. Talloni, stabilità e sovranità monetaria.
Per agganciarmi alla domanda che mi ero posto con il primo articolo, è evidente che il tallone aureo richiedeva il rispetto di alcune regole economiche rappresentate da grandezze "reali" (la compensazione fra importazioni e ed esportazioni); in caso contrario si doveva fare riferimento a grandezze finanziarie (debiti e crediti). Ma i debiti e i crediti richiedono livelli di affidabilità fra contraenti fondati sia su esperienze passate sia su aspettative future che le confermino. In caso contrario il meccanismo si blocca, cioè si blocca, o ne risente pesantemente, il commercio internazionale.
Per non bloccare questo meccanismo, ritenuto essenziale fin dai classici, si riduceva la quantità di oro (la base monetaria, il kernel) a disposizione del debitore per porla a favore del creditore.
Questo ordine, che sembra così elementare, è invece ingenuo perché ha anch’esso i germi dell’instabilità sociale in quanto richiede sacrifici: il commercio internazionale implica confronti fra materie prime (naturalmente disponibili) e prodotti: cioè, date le risorse naturali, fra livelli di produttività, qualora la teoria del valore si fondi sul costo di produzione.
Se, però, la teoria del valore non si fonda, o non si fonda soltanto, sul costo di produzione, ma anche sulla propensione al consumo per determinati beni rispetto ad altri e se tale propensione è indotta da una serie di altri fattori, che denomino "fattori liquidi" (politiche di marketing, mode, vizi, disponibilità di potere d’acquisto, ecc.) la questione si complica notevolmente.
I debiti e i crediti, cioè le promesse di pagamento giunte a scadenza, implicano due e due sole opzioni: la proroga e/o l’estinzione. La prima opzione implica la disponibilità del creditore, favorita dai comportamenti passati e dalle aspettative sull’economia del debitore (oggi si direbbe sull’analisi del merito di credito); la seconda opzione implica la trasformazione almeno di una parte degli stock di debiti e di crediti in pagamenti, cioè in flussi di cassa o monetari.
Si giunge così nuovamente alla questione del valore della moneta, dell’inflazione, ecc. Si giunge cioè nuovamente all’àncora (al tallone) che tende a mantenere la stabilità monetaria di un’area valutaria relativamente alle altre. Ed è appunto tale relatività di un’area valutaria (di una moneta) rispetto alle altre che mette in discussione e relativizza la sovranità monetaria la quale viene messa in discussione dal commercio internazionale, dalla divisione del lavoro, dalla produttività dei fattori e dalla presenza di "fattori liquidi".
Mi fermo qui per non andare oltre in un campo minato oggi dominato dalle neuroscienze e per non giungere ai neuroni specchio del prof. Rizzolatti.
Cerco invece di recuperare le osservazioni di Menger sulla teoria del valore, in quanto egli ne cambia il paradigma dominante: il valore di una merce è dato sia dal costo di produzione sia dai "fattori liquidi" che egli chiama le scelte individuali degli operatori. Intenzionali o meno che siano, tali scelte danno luogo anche ad eventi inintenzionali che dominano l'economia (F. A. von Hayek, L'abuso della ragione, cap. 3, Rubbettino 2008).
6. Conclusione
Mi pare di poter concludere che, fin dalla notte dei tempi, sia preferibile che M, intesa come potere d’acquisto (Schumpeter 1934, trad. it. Teoria dello sviluppo economico, Sansoni 1971) venga agganciata a qualcosa di impersonale, di ostensibile e di controllabile: in caso contrario, i ceti politici che stanno al governo hanno la tendenza "naturale" ad emettere moneta direttamente, o tramite la foglia di fico della BC, per finanziare di tutto, comprese iniziative inefficienti che consumano risorse scarse. L’obiettivo "naturale" dei ceti politici, infatti, è quello di essere rieletti e per questo vi sono in molti paesi regole che non consentono di mantenere cariche elettive per più di qualche mandato.
Anche se Il termine "naturale" mi provoca un notevole fastidio non posso esimermi dall’utilizzarlo, pur nel significato di evento non controllabile. Chiunque si occupi di eventi economici, cioè di eventi che hanno a che fare con beni la cui scarsità implica problemi di utilizzo efficace ed efficiente, ha la pretesa o la propensione di poter governare i processi produttivi e distributivi di quei beni per ridurre gli effetti della loro scarsità, questa sì naturale.
Quando però la pretesa di governare quei processi diventa eccessiva si entra nel campo delle scelte individuali per orientarle verso obiettivi collettivi, condivisi più o meno dalla cittadinanza (che di solito ha altro da fare) qui nascono i problemi politico-economici e/o economico-politici di ardua soluzione.
In conclusione, aureo o regolamentare che sia, il tallone per la stabilità monetaria richiede sempre delle regole, il loro rispetto e l’imposizione di sanzioni per chi non le rispetta. Atteso che la stabilità monetaria in un paese è misurabile solo relativamente agli altri paesi in forza del commercio internazionale, mi sembra arduo ipotizzare che un paese, da solo, possa realizzare l’obiettivo. Anche se si tornasse al tallone aureo i sacrifici che si imporrebbero per attenersi a quel vincolo sarebbero forse superiori rispetto a quelli che oggi appaiono insostenibili. Mi sembra invece insostenibile la posizione della Modern Monetary Theory, MMT (J.M. Keynes, L’assurdità dei sacrifici: elogio della spesa pubblica, Edizioni Sì 2013, introduzione di Warren Mosler).
E, infatti, Menger non auspica il "ritorno all’oro", né von Hayek auspica la stabilità monetaria in un paese solo (F.A. von Hayek, 1937 trad. it. Nazionalismo monetario e stabilità internazionale, Rubbettino 2015). Entrambi ritengono che sia da abolire il monopolio statale sulla moneta.
In assenza di una configurazione di denaro/moneta (con `tallone aureò), fondato cioè su di una base monetaria costituita da una merce altamente desiderabile e commerciabile, le BC sono costrette a definire M con delle parole, con dei concetti, con delle proposizioni che sono, per definizione, aperte all’interpretazione e quindi alla discrezionalità.
Prendendo in considerazione la definizione allargata di M, osserviamo che si tratta di a) base monetaria (il kernel); b) moneta emessa dalle bc; c) alcuni strumenti finanziari altamente commerciabili o liquidi, cioè immediatamente ed economicamente trasformabili in base monetaria.
E come si definisce la base monetaria, se non come i debiti a vista della BC? E come si definisce la moneta delle bc se non come i debiti a vista delle bc?
E, se la maggior parte dei mezzi di pagamento che regolano le transazioni è costituita dalla moneta delle bc, non possiamo non osservare che ognuno di noi si scambia (paga con) debiti a vista della bc di cui è cliente. E non è forse questo scambio di mezzi di pagamento, di debiti a vista della bc di cui siamo clienti, assimilabile ad uno scambio di etichette di noci di cocco di diverso colore?
Allora non sembra poter sfuggire alla domanda se siano i diversi colori a differenziare il valore delle etichette (o delle noci di cocco sottostanti?) cioè dei debiti emessi dalle diverse bc. E se i colori differenziano i valori dei debiti dei diversi emittenti (cioè dei debiti delle diverse bc, cioè delle diverse noci di cocco) è necessario uniformarli, pena la distruzione degli scambi e del mercato.
Questo lavoro di omogeneizzazione fra i debiti a vista delle diverse bc spetta alla BC che ha, fra gli altri l’onere di asseverare che tali debiti a vista, queste noci di cocco, seppure di diverso colore, hanno il medesimo valore. Il che avviene nella gestione della compensazione fra i debiti a vista delle diverse banche che giungono ai diversi servizi di compensazione gestiti dalla BC (come ci ha raccontato, mutats mutandis ma precisamente, S. W. Jevons, Money and the Mechanism of Exchange, London, King, New York, Appleton, 1875, Trad. it. La moneta e il meccanismo dello scambio, Dumolard, Milano 1876).
Ma su quest’ultimo punto vorrei tornare in una prossima vicina occasione per cercare di chiudere il cerchio e cioè affrontando un altro tema cruciale, quello della liquidità (dela commerciabilità) della parte cruciale di M1 (i debiti a vista delle bc) per descrivere l’imprescindibile funzione della BC nel consentire ad altri ben precisi e selezionati emittenti (le bc) di "battere moneta".
mah. "abolire il monopolio statale sulla moneta" è pressocché impossibile.
la prima ragione è che comunque lo stato ha bisogno di una valuta legale. cioè anche se la moneta non fosse monopolio statale, comunque lo stato dovrebbe emettere o scegliere una moneta fra le tante per regolare le obbligazioni che emergono dai vari codici civili e penali.
la seconda ragione è che lo stato tassa le transizioni economiche, siano redditi, acquisizioni, eredità, e non solo quelle che coinvolgono del denaro, anche il baratto è tassato. e per questo motivo allo stato serve una moneta di riferimento.
queste necessità dello stato sono così pervasive nel mondo attuale, che la moneta scelta dallo stato ha un vantaggio enorme rispetto alle altre eventuali monete.
a questo punto si tratta di scegliere tra un monopolio privato o un monopolio straniero o un monopolio pubblico.
poi esiste l'interessante caso dello zimbabwe, con, in teoria, valute legali multiple.
per usare le convenzioni terminologiche attuali, fra: moneta di Stato (le vecchie 500lire e relativi sottomultipli), moneta di BC (banconote), moneta di bc (depositi a vista), e M3 (= M3-M2).
Che lo Stato intervenga ex post a regolamentare non sembra esservi dubbio (Menger); mi pare però che vi siano almeno tre conquiste non trascurabili del capitalismo: a) la scissione fra BC e Stato (in vigore anche in UK, ove la BC è stata nazionalizzata a suo tempo); b) la scissione fra BC e bc; c) l'avere instaurato un ordinamento competitivo fra bc.
Distinguerei tra gestione della moneta (ovvero del mezzo di scambio di beni e servizi) e gestione valutaria. Sono due cose differenti, e non capisco perché siano state accumunate.
lI concetto di monopolio statale della moneta va corretto semplicemente col fatto che la sua gestione va vincolata da regole ferree e precise (ancorando la quantità di moneta al PIL) e che deve essere sorvegliata da enti indipendenti, e da sistemi penali efficienti.
Il concetto di "gestione delle valute" invece è semplicemente assurdo, nonché smentito dalla storia, in quanto il mercato alla fine ha vinto sempre. Non capisco perché parlarne.
In fondo, tra i problemi evidenziati nel post il maggiore consiste nell'arbitrario finanziamento da parte dela BCE dei debiti pubblici nazionali. Alcuni più di altri.
Secondo me, se Draghi avesse auto il benché minimo timore che avrebbe potuto essere buttato in cella e non vedere mai più la luce, non ci avrebbe pensato neanche un momento.