Di recente il piano nazionale Qualità (PQM) è stato presentato dal ministro Gelmini e da Roger Abravanel. L'obiettivo del progetto è migliorare la qualità del sistema educativo e per farlo si vuole estendere l’esperienza dei test oggettivi standard predisposti dall’INVALSI. I test permetteranno di
rilevare le carenze di ogni singolo studente e di pianificare azioni mirate per colmare le lacune dimostrate.
Lodevole intento a cui non si possono che augurare le migliori fortune. Tuttavia visto che dei benefici si parla tanto, forse è il caso di dedicare un pò di attenzione anche ai costi della fantomatica Meritocrazia.
L'idea di fondo è di quelle buone per tutte le stagioni, sufficientemente generica e qualunquista (tipo "l'importante è partecipare"), che, se dissenti, fai la figura del bastian contrario per partito preso. In fondo, a pensarci bene, quale persona dotata di buon senso, potrebbe sostenere le ragioni di chi non merita? Finché si rimane alle dichiarazioni d'intenti, che non devono trovare riscontro nella pratica, siamo tutti d'accordo. Scommettiamo che, se approfondiamo le implicazioni pratiche, non c'è più tutta questa concordia?
Prima di proseguire mettiamo un punto fermo:
Non può esserci meritocrazia senza concorrenza
Un’organizzazione o un sistema sono meritocratici se l'attribuzione a ciascun individuo di ruoli, responsabilità e premi avviene sulla base delle capacità dimostrate di poter svolgere al meglio le mansioni e le attività connesse con detti ruoli e responsabilità. Un meccanismo (ero tentato di dire l'unico, ma poi mi son trattenuto che io di teoria dei meccanismi so poco) che, almeno teoricamente, può garantirci un risultato del genere e' la concorrenza perfetta.
A ben pensarci, l'approccio meritocratico non è altro che il tentativo di riprodurre al di fuori dei mercati quei meccanismi che portano all'allocazione efficiente delle risorse. Le implicazioni di questo tipo di approccio sono che:
- Il merito deve essere misurato con criteri oggettivi e non arbitrari.
- I risultati della misurazione devono determinare l’assegnazione dei ruoli.
Se manca il punto 1, siamo di fronte a una meritocrazia puramente formale: se definisco come meritevole quello che io voglio che tale sia, allora i ruoli nel sistema vengono allocati in base alle mie preferenze, non secondo le reali capacità.
Il punto 2 è dove casca l’asino di questo post: gli individui che non sono meritevoli di ricoprire un ruolo (o che non lo sono più), devono cederlo a chi invece lo è. Questo si dice a bassa voce e molto di rado, perché è impopolare. Certi amici amerikani mi hanno insegnato a fregarmene di quello che è impopolare o sgradevole da dire e a dubitare dei benefici presentati senza considerare adeguatamente il costo connesso. Proviamo ad approfondire chiedendoci chi sono quelli per i quali un sistema meritocratico ha un costo.
'<h' . (('2') + 1) . '>'Quelli che “nessuno mi può giudicare”'</h' . (('2') + 1) . '>'
Come si fa a mettere un voto all'attività dei magistrati? A quella dei medici? Degli insegnanti? Troppo complesso, troppi dettagli, troppi casi particolari, impossibile sintetizzare un giudizio ... Comodo. Se oggettivamente non hai meriti sufficienti per legittimare la tua posizione, la strada migliore per conservare la sedia è fare in modo che le tue preferenze soggettive divengano la misura del merito. Anche cambiare la legge a proprio uso e consumo rientra in questo tipo di logica, ma ci porterebbe lontano.
Rimanendo ad un livello molto più basso ci si potrebbe chiedere se chi ha vinto un concorso 30-40 anni addietro è oggi ancora in possesso dei requisiti minimi per svolgere il lavoro che fa. Non mi pare una domanda dell'altro mondo e posso congetturare che i risultarti di un'analisi di questo genere sarebbero sorprendenti. Senza lanciare insinuazioni o accuse pesanti (che pertanto, per essere mosse, necessitano di evidenze altrettanto pesanti a sostegno) mi limito a osservare che, in media, chi vince un concorso pubblico potrebbe semplicemente "vivere di rendita" per il resto della vita, senza, non dico aggiornarsi, ma neanche mantenere le proprie competenze.
Se non c'è la minima valutazione sulla quantità e qualità dell'attività svolta, il passo è breve per arrivare a non svolgere affatto l'attività. D'altronde chi si sognerebbe di denunciarlo? Se non è previsto un controllo formale e non vi alcun controllo sociale, che succede? Niente di buono. Di che stavamo parlando? Mi pare che finisse in -crazia... era forse burocrazia?
D'altronde, per farsi un'idea di quanto siamo allergici, come nazione, alle valutazioni di merito, basta guardare all'atteggiamento nei confronti delle facoltà universitarie a numero chiuso. Forse più dell'idea di essere giudicati ci spiace che le risorse disponibili siano scarse e che non tutti possano avere tutto. Naturalmente l'ipocrisia più grande sta nel fatto che sappiamo benissimo di vivere in una realtà fatta di beni economici, ma ci piace fare finta che non sia così o far credere questo a chi ci ascolta badando bene che i nostri interessi particolari siano salvaguardati.
'<h' . (('2') + 1) . '>'Quelli che si nascondono dietro un dito'</h' . (('2') + 1) . '>'
C'è poi un accusa frequente nei confronti dei monetaristi (visto come di diffonde rapido il linguaggio erroneo?) affetti da meritocrazia: siete senza cuore e sparereste su Bambi. E i più deboli? E quelli che non ce la fanno? Li lasciamo indietro? Che ingiustizia è?
È una seria ingiustizia farsi scudo di istanze sociali per portare avanti i propri interessi. Facciamo un esempio semplice semplice: un certo paese decide di aiutare gli invalidi attribuendo loro un sussidio. Questa scelta non è affatto incompatibile con un'impostazione meritocratica, anzi.
Se la condizione di svantaggio è misurata in modo oggettivo e il sussidio è proporzionato alla condizione e sostenibile dal bilancio pubblico, aiutare chi sta peggio porta due benefici alla collettività: l'utilità per chi non riceve il sussidio di sapere che nel momento del bisogno non sarà abbandonato (ovvero, i benefici della condivisione dei rischi), e il contributo marginale che chi percepisce il sussidio viene messo in grado di fornire alla preparazione della "torta" che tutti mangiano nella collettività.
Che differenza c'è tra l'avere o meno una cultura del merito nello stato X? Se tale cultura è presente, è probabile che:
- il sussidio sia quantificato in modo proporzionale ai mezzi disponibili ed allo svantaggio effettivo
- gli abusi vengano individuati perché la gente fa la spia e perché esiste un efficace sistema di controllo
- i percettori del sussidio siano motivati a tenere un approccio proattivo nei limiti delle proprie possibilità
Non credo ci sia bisogno di dire cosa succede se un paese la cultura del merito non ce l'ha.
Carissimi non-monetaristi, che avete a cuore le sorti dei più deboli, dove credete possano stare meglio i vostri protetti? Nel paese dell'altruismo ipocrita dove la regola è "armiamoci e partite", oppure in quello dell'egoismo meritocratico dove si dice "aiutati che poi lo stato il mercato ti aiutano"?
'<h' . (('2') + 1) . '>'Quelli che dovrebbero fallire'</h' . (('2') + 1) . '>'
Non può esistere cultura del merito finchè il governo salva (direttamente o indirettamente), sussidia o protegge alcune imprese (e tra queste le banche). A che serve gestire bene, se in soccorso di chi amministra male viene lo stato? Tollerare l'evasione fiscale o più in generale il mancato rispetto della legge è un sussidio in favore di quelli che ne beneficiano e uno schiaffo nei confronti di chi è capace di far quadrare i conti onestamente. È anche l'esatto contrario della meritocrazia. In estrema sintesi non puoi pensare di estendere la logica della concorrenza e del merito fuori dal mercato, se non sei capace di mantenerla e farla rispettare dentro al mercato stesso.
Dei sussidi alla stampa su nFA si è parlato recentemente qui e prima ancora qui e qui. Si è scritto di quelli all’agricoltura e ai prodotti tipici; ricevono contributi anche il cinema e naturalmente gli enti lirici. Questo per limitarsi ai sussidi espliciti. Poi ovviamente a falsare la concorrenza e tarpare le ali al merito ci sono le rendite: come può esserci cultura del merito quando anche per guidare un taxi (senza scomodare i soliti notai e farmacisti) devi rendere conto ad una corporazione?
Insomma, c'è poco da aggiungere, parlare di meritocrazia accettando che vi siano distorsioni della concorrenza vuol dire prendere per i fondelli chi ascolta.
'<h' . (('2') + 1) . '>'Un calcio a chi non merita'</h' . (('2') + 1) . '>'
La meritocrazia senza costi, per quanto attraente come concetto e comodo come argomento di propaganda, in concreto non esiste. Se vi piace la cultura del merito, dovrete farvi piacere anche la misurazione oggettiva e continua delle capacità individuali e le inevitabili conseguenze dei risultati di questa misurazione.
In alternativa, se proprio amate i pasti gratis, potete fondare un partito e unirvi ai mestieranti della politica, che per chi ha fumo da vendere c'è sempre posto.
Resta il fatto che:
Senza un bel calcio a chi non merita, parlare di meritocrazia è una cagata pazzesca.
Vorrei questo post fosse appeso al posto della foto del Presidente negli uffici pubblici (con in grassetto la parte "quelli che nessuno mi può giudicare") ed al posto di quello che preferite, in tutti gli altri uffici.
In realtà hai detto delle cose ovvie che incredibilmente tali non sono in questo paese, dove si usa la parola meritocrazia a sproposito è non si capisce come funzioni realmente non saprei se per buonismo, ipocrisia o vera ignoranza.
PS
Ma quant'è brutto l'acronimo "INVALSI" ?
Non è l'acronimo di INVAlidi faLSI?