Secondo la classifica “Doing Business 2013” della Banca Mondiale, con il primato negativo di 1.210 giorni l’Italia si colloca al 160° posto, sui 185 paesi analizzati, per la durata di una normale controversia di natura commerciale. La Germania è al 5° posto, gli Stati Uniti al 6°, la Francia all’8° e il Regno Unito al 21°. In questa classifica diventata punto di riferimento per gli investitori internazionali, l’Italia è persino battuta dall’Iraq al 141° posto. Riusciamo a stento a superare l’Afghanistan che si colloca dopo di noi al 164° posto. Per secoli l’Italia è stata considerata la culla del diritto moderno, oggi ne rappresenta la tomba. Operatori del diritto e classe politica e dirigente non hanno mai compreso appieno l’importanza che riveste il funzionamento della giustizia civile per la crescita economica e le misure urgenti e indifferibili che occorrono attuare immediatamente.
La situazione disastrosa in cui versa la giustizia civile italiana è anche frutto dell’assenza di una chiara strategia di politica economica della giustizia. Tutti gli studi di analisi economica del diritto, raffrontando i dati internazionali, convergono sulla conclusione che in Italia i tempi dei processi civili sono straordinariamente lunghi a causa di un eccesso di domanda di giustizia, a fronte di una offerta e di investimenti in linea con le medie europee. Tra costante aumento delle iscrizioni a ruolo e durata dei processi esiste infatti una relazione positiva.
Per accelerare i tempi dei processi civili occorre pertanto, prioritariamente, adottare politiche volte a: (1) disincentivare il ricorso pretestuoso al tribunale; (2) ridurre drasticamente l'arretrato; (3) migliorare l'efficienza dei tribunali; (4) aumentare i luoghi e le occasioni di risoluzione delle controversie in affiancamento ai tribunali. Diversamente, ogni proposta per snellire lo svolgimento del processo e di spending review della spesa pubblica della giustizia sarà vanificata dal profluvio di cause pretestuose, e dal peso di quelle arretrate. Inoltre, la riduzione della domanda patologica di giustizia nel campo civile libererebbe giudici, personale e strutture a favore della giustizia penale, rafforzando l’attività di contrasto dello Stato alle mafie e alla criminalità, accelerando i processi degli imputati in attesa di giudizio e impendendo la prescrizione delle pene.
Disincentivare il ricorso pretestuoso alla giustizia civile – lato domanda
Fino a quando ricorrere o resistere in giudizio sapendo di avere torto conviene, i tribunali continueranno ad essere polo d’attrazione per cause pretestuose, o facilmente risolubili diversamente, a danno di quelle serie e che invece richiedono l’intervento del magistrato. Il Rapporto 2012 del Cepej - European Commission for the Efficiency of Justice del Consiglio d’Europa - evidenzia che in Italia vengono iscritte a ruolo 3.958 cause per 100.000 abitanti, il doppio della Germania e il 43% in più della Francia. L’obiettivo di avvicinarsi alla media dei Paesi aderenti al Consiglio d’Europa di 2.738 cause per 100.000 abitanti richiede una riduzione della domanda del 30%.
- Adeguamento del tasso di interesse legale al tasso di mercato. L’applicazione di un tasso legale (attualmente al 2,5%) inferiore al tasso di mercato favorisce il debitore, cui conviene resistere in giudizio pur sapendo d‘avere torto. A fine causa, in sede di liquidazione delle relative spese, gli interessi sul capitale devono essere calcolati in base ai tassi di mercato – aumentati di uno o due punti – vigenti durante la durata della pendenza. L’eliminazione del differenziale tra tasso legale e di mercato, e della sua predeterminazione ex-ante, rimuoverebbe uno dei maggiori incentivi ad agire e resistere in giudizio per calcolo economico.
- Pagamento di un ticket integrativo di fine processo pari alle spese sostenute dallo Stato. Lo Stato italiano spende per il funzionamento dei tribunali 50,3 euro per abitante, il 36% in più della media europea, ossia 37 euro per abitante. Di contro, l’erario incassa, tramite il contributo unificato, solo il 10,7% della spesa pubblica per la giustizia civile, contro una media europea del 28,3%. Di conseguenza, circa il 90% del costo del servizio giustizia ricade su tutti i contribuenti, alimentando l’effetto noto come moral hazard: le parti sono incentivate a ricorrere o resistere in giudizio in quanto i costi associati a un eventuale esito negativo ricadranno sulla collettività. Per evitare un ulteriore aumento del contributo unificato all’inizio del processo, si può raggiungere l’obiettivo della media europea applicando automaticamente la regola della soccombenza e condannando al pagamento, a favore dell’erario, di un “ticket integrativo di fine processo”, pari alla eventuale differenza tra il contributo unificato e le spese effettivamente sostenute dallo Stato per celebrare il processo (calcolate sulla base delle ore effettive impiegate dal magistrato). In caso di mancato pagamento, il recupero dovrà essere affidato a Equitalia Giustizia che iscriverà a ruolo il credito.
- Sanzioni automatiche per l’abuso del processo. Occorre applicare criteri automatici e oggettivi per infliggere sanzioni pecuniarie, a favore di chi vinca, in caso di lite o resistenza temeraria (ex art. 96 cpc), sganciate dall’entità del danno e collegate alla condotta del soccombente. Inoltre, si dovrebbe punire anche l’eventuale condotta dell’avvocato, in caso di dolo accertato nell’accesso ingiustificato al tribunale, e introdurre la segnalazione obbligatoria all’Autorità Giudiziaria da parte del Ministero della Giustizia, in caso di statistiche anomale in particolari aree geografiche o settori di contenzioso (ad es. la distribuzione anomala per cui nel 2010 il 52% di tutte le cause di RC auto davanti al Giudice di Pace iniziate in Italia si sono concentrate nel distretto di Napoli con un distacco enorme dal secondo posto del distretto di Roma di appena il 6%).
- Eliminazione della liquidazione giudiziale delle parcelle. E’ opportuno introdurre la “regola americana” in cui ciascuna parte paga il proprio avvocato, indipendentemente dall’esito del giudizio. Conseguentemente, occorre eliminare la liquidazione giudiziale delle parcelle degli avvocati – anche con i riferimenti ai parametri - perché altera la libera concorrenza dei prezzi nel settore dell’assistenza legale e la libera contrattazione dei diversi possibili criteri di remunerazione. In tal modo si favorisce la libera contrattazione tra avvocato e cliente e il ricorso al patto di quota lite o ai criteri intermedi tra una remunerazione a forfeit, a tempo e a successo. Gli economisti del diritto hanno dimostrato che la regola della soccombenza applicata alle spese legali disincentiva le transazioni e le conciliazioni, favorendo l’escalation del ricorso ai gradi superiori anche nella speranza della riallocazione delle spese legali.
- Obbligo e incentivi alla sottoscrizione di polizze di tutela legale. Nei settori ad alta litigiosità (es. condominio, rc auto, locazioni, etc.) si dovrebbe introdurre l’obbligo della stipula e dell’effettivo utilizzo di polizze assicurative di tutela legale, oltre a incentivarne l’uso più generale da parte di tutti. In questo modo, il rischio economico legato a tutte le spese giudiziali e stragiudiziali e alle eventuali sanzioni, saranno coperte dalla compagnia di assicurazione a fronte del pagamento di un premio assicurativo. Cosi facendo, gli avvocati delle compagnie assicurative disincentiverebbero contenziosi inutili. Esiste infatti una relazione positiva tra la diffusione delle polizze di tutela legale (come in Germania e Olanda) e la riduzione del contenzioso, perché gli accordi stragiudiziali vengono favoriti.
Ridurre sensibilmente il contenzioso pendente - lato domanda (arretrata)
A causa del perdurante squilibrio tra domanda e offerta, alla fine del 2011 i tribunali italiani hanno accumulato ben 5.339.342 procedimenti pendenti. Un piano straordinario per la riduzione dell’arretrato è indispensabile per ridurre la durata dei processi. In mancanza delle risorse per assumere nuovi giudici, l’entrata in vigore delle sanzioni, dell’applicazione degli interessi di mercato e del ticket integrativo di fine processo (di cui al punto precedente), anche per le cause pendenti, stimolerebbe le parti e gli avvocati a un’accurata analisi decisionale se proseguire nella causa o trovare un accordo.
- Sessione informativa delegata dal giudice. Per ordine del giudice, in tutte le cause in corso le parti dovrebbero partecipare a un incontro informativo con un mediatore per valutare seriamente le possibilità di risolvere bonariamente la lite o proseguire la causa.
- Vantaggi fiscali per la risoluzione extragiudiziale delle cause in corso. Per un periodo di un anno, le parti e gli avvocati che avranno deciso di transigere una lite pendente in tribunale, ovvero di avviare una procedura di arbitrato o di mediazione, avranno diritto a incentivi fiscali sull’accordo, sul lodo e sui compensi maturati dall’assistenza legale. Sulla base di una valutazione dei rischi e dei costi del proseguimento della causa, i funzionari pubblici rappresentanti della pubblica amministrazione dovrebbero essere esentati dalla responsabilità personale in caso di transazione o mediazione.
- Assunzione di nuovi giudici. Con i ricavi provenienti dal “ticket integrativo di fine processo” e dalla ottimizzazione delle spese si potranno assumere giudici e cancellieri destinati esclusivamente allo smaltimento del contenzioso pendente.
Urgenza di spending review e della presenza di manager nei tribunali - lato offerta
Con 4.676 sentenze prodotte ogni anno per 100.000 abitanti, i giudici italiani sono tra i più produttivi in Europa: una performance superiore del 76% rispetto alla media europea di 2.663 sentenze. La produttività dei giudici italiani è del 150% più alta dei colleghi tedeschi e del 60% di quelli francesi. La spesa pubblica per la giustizia civile è di € 3.051.375.987 (se si escludono i pubblici ministeri, il gratuito patrocinio e le carceri), pari allo 0,20% rispetto alla spesa pubblica complessiva e di poco inferiore alla media europea dello 0,24%. Di contro, abbiamo la metà dei giudici e del personale amministrativo e, prima dei recenti accorpamenti, il 21% in più di tribunali. Le statistiche smentiscono quindi il luogo comune che dal lato dell’offerta i tribunali italiani non siano produttivi. E’ vero esattamente il contrario. In un periodo di contrazione generale della spesa pubblica, è sostanzialmente impossibile, nonché inutile, aumentare il budget destinato ai tribunali perché esso andrebbe solo ad accrescere il deficit a spese della collettività.
- Spending Review della spesa pubblica della giustizia. Occorre spendere meglio e incassare di più erogando il servizio giustizia per avere risorse finanziarie da reinvestire nel sistema. Come sta accadendo per il servizio sanitario, occorre una profonda spending review che identifichi ed elimini inefficienze, anche rinegoziando i contratti con certi fornitori. Ad esempio, a fronte delle concessioni governative per gli operatori telefonici lo Stato deve pretendere il servizio gratuito delle intercettazioni. Il solo raggiungimento della media europea di circa il 30% nella copertura del budget di spesa tramite il “ticket integrativo di fine processo” farebbe incassare circa un miliardo di euro. Ogni singolo tribunale dovrebbe redigere e rendere pubblico il proprio bilancio di spese e di entrate, nonché fornire statistiche in tempo reale sul numero, la tipologia delle cause e sui tempi medi di decisione.
- Rivedere i criteri di remunerazione dei giudici. I giudici togati italiani sono remunerati più della media dei colleghi europei; inoltre, gli avanzamenti sono quasi sempre decisi sulla base dell’anzianità. Occorre rivedere i criteri di remunerazione, valorizzando al tempo stesso il merito, la specializzazione e la responsabilità. Con il 48% di giudici in meno rispetto alla media europea, è indispensabile ridurre drasticamente le posizioni “fuori ruolo”. È poi urgente una revisione della remunerazione dei giudici di pace e un loro ricambio, innalzando la qualità e abolendo il pagamento per udienza, che tende ad allungare i processi e ad aumentare i costi della procedura.
- Introdurre la figura del “Direttore del Tribunale”. Occorre separare nettamente le competenze manageriali da quelle giudiziarie nella gestione dei tribunali, con l’inserimento della figura del manager. Come negli ospedali, il Direttore del Tribunale deve avere il potere di organizzare e informatizzare i processi lavorativi e i carichi di lavoro dei giudici e del personale. I giudici devono invece concentrarsi sulla celebrazione dei processi, supportati da un ufficio costituito anche da giovani laureati. Per poter avere effetti duraturi, ogni riorganizzazione o applicazione di best practices deve essere gestita da manager con i necessari poteri in collaborazione paritaria con i giudici.
Ampliare l'offerta affiancando i tribunali - lato offerta
La gestione del contenzioso civile e commerciale in Italia è affetta da una visione “tribunale-centrica” che, come osservato, vede lo Stato operare in regime di sostanziale monopolio. Eppure, non c’è ragione perché una controversia tra privati debba essere necessariamente gestita dallo Stato, addossando a tutti i contribuenti la maggior parte del suo costo. Come in altri settori fondamentali, anche nella giustizia civile è possibile, ed anzi occorre, meno Stato e più concorrenza. Attraverso il ricorso alle procedure di ADR (negoziazione diretta, tavoli paritetici, mediazione e arbitrato) si amplia l’offerta degli strumenti di risoluzione delle controversie a disposizione dei cittadini e delle imprese, senza gravare sulla spesa pubblica. Contemporaneamente, distribuendo la domanda di giustizia tra più soggetti che offrono il servizio si rendono molto più efficienti i tribunali, il cui carico di lavoro si riduce a livelli più gestibili.
- Negoziazione diretta. Come ad esempio in Germania, occorre introdurre la possibilità di far divenire titolo esecutivo il contratto di transazione che chiude una lite se le parti sono assistite da avvocati. La negoziazione tributaria (impropriamente denominata “mediazione”) sta producendo ottimi risultati per tutte le parti.
- Progressività degli strumenti di risoluzione delle liti. Prima di iniziare una nuova causa, le parti dovrebbero partecipare a un incontro informativo per valutare le possibilità dell’inizio di una procedura di mediazione o di arbitrato.
- Mediazione. Occorre rivedere profondamente i criteri di accreditamento degli organismi di mediazione perché ne venga assicurata la reale indipendenza, trasparenza e professionalità, e riscrivere insieme all’avvocatura il decreto sulla mediazione, in base dell’esperienza dei due anni di vita del decreto legislativo 28/2010. Le Camere di Commercio, gli organismi forensi e gli organismi di natura privata, se adeguatamente vigilati dal Ministero della Giustizia, possono affiancare molto efficacemente i tribunali nella soluzione delle controversie.
- Un nuovo arbitrato. Occorre rilanciare l’arbitrato, facendone uno strumento veloce, trasparente e poco costoso, ossia qualcosa di molto diverso da quello che si conosce oggi. Confermando il divieto per i giudici e i funzionari dello Stato a ricoprire la funzione di arbitri, come dimostrano diverse esperienze estere l’arbitrato può portare un importante contributo alla risoluzione di piccole e grandi controversie, se amministrato in regime di libera concorrenza senza tariffe minime.
In conclusione, il diritto di accesso alla giustizia non deve essere demagogicamente presentato come libera e indiscriminata facoltà di adire la cancelleria del tribunale per depositare un ricorso, bensì come diritto a chiedere e ottenere una soluzione definitiva della lite in tempi ragionevoli. Connotato come diritto della collettività, e non esclusivamente individuale, questo stesso principio fondamentale della Costituzione presuppone e rende persino necessaria, da parte dello Stato, la previsione di una molteplicità di tutele, di fori dove esercitarle, e dell’illiceità del contenzioso giudiziario pretestuoso.
"Con il 48% di giudici in meno rispetto alla media europea"; il 48% si riferisce ai fuori ruolo oppure alla numerosità in genere dei magistrati? Lo chiedo perchè il rapporto del CEPEJ sembra indicare un numero di magistrati per abitante in linea con gli altri paesi europei.
Tabella 7.1 a pag. 145 del rapporto Cepej 2012. L'Italia ha 11 giudici togati per 100.000 abitanti contro una media di 21,3 per 100.000 abitanti. L'anomalia è rappresentata dalla circostanza che la spesa pubblica sulla giustizia civile (di cui il 74% destinata agli stipendi) è allineata alla media europea. I dati Cepej non indicano se i fuori ruolo sono conteggiati (si presume di sì): qundi la percentuale dei magistrati effettivamente nei tribunali si riduce ulteriormente.