Ho analizzato i documenti rilevanti, scoprendo che l’omissione delle virgolette non è il problema più grave della tesi. Ho riscontrato come minimo una notevole ingenuità da parte della studentessa, che sconfina in gravi violazioni delle norme in base a cui opera la comunità scientifica. Non posso commentare sugli aspetti legali: non sono un esperto e non noto plateali violazioni di copyright come nel caso Boccia (ci sono, seppur minori: quando copi un paio di pagine è obbligatoria la citazione esatta, anzi dovresti chiedere autorizzazione). Ma questo non è un tribunale ed esiste comunque sufficiente documentazione da rendere possibile un giudizio di merito: leggere e giudicare la rilevanza e l'originalità dei contributi di paper, tesi di dottorato, libri, eccetera, è parte del mio lavoro di ogni giorno e questo posso e intendo fare.
Sicuramente c'è stata una grave mancanza di supervisione da parte dei relatori e, come minimo, una notevole ingenuità da parte della Madia che non ho mai riscontrato in nessun dottorando. Il sospetto che si tratti non di ingenuità ma di colpevole tentativo di mascherare il livello di originalità della tesi sorge naturale. Roberto Perotti sulla Repubblica di ieri, riportando valutazioni simili alle mie, sminuisce la gravità dei fatti. Può darsi che abbia ragione, ma Roberto omette dettagli importanti (che passo a descrivere), oltre a sorvolare sul ruolo dei supervisori della tesi e ad omettere di giudicare le loro reazioni.
Il capitolo 1 della tesi è una rassegna della letteratura che, come ampiamente documentato dalle slides del Fatto Quotidiano, contiene numerosi passaggi interamente copiati da altri studi. Si tratta di un classico esercizio in “plagio a mosaico” che, come tutte le forme di plagio, è decisamente condannato dalla comunità scientifica.
Questo non significa che non possa capitare ad uno scienziato, consciamente o inconsciamente, di praticarlo, soprattutto se alle prime armi e, se di madrelingua non inglese, poco avvezzo a parafrasare e riassumere lavori altrui in modo originale. Ma quando capita non è normale, e farlo con la sistematicità rivelata dal FQ rivela una disonestà o ingenuità dell'autore che dovrebbe essere ovvia non solo a chiunque faccia il nostro lavoro, ma anche al pubblico. Sicuramente non è giustificabile che i supervisori minimizzino: il loro compito era (ex-ante) controllare, richiamare all’ordine la studentessa e spiegarle che queste cose non si fanno, e che se scoperte possono minare per sempre reputazione e carriera. Comportamento intellettualmente onesto (ex-post) da parte dei relatori è assumersi le responsabilità di aver controllato la tesi solo approssimativamente. Son peccati veniali questi? Sul non aver controllato dico "sì", ma per solidarietà di casta. Sul non essersi assunte le responsabilità una volta emersi i fatti dico decisamente no!
Il capitolo 2 della tesi riporta I risultati di una ricerca originale. Anch'esso contiene paragrafi copiati da altri articoli soprattutto nella descrizione nella letteratura precedente. Il problema più grave di questo capitolo però è che il lavoro è stato successivamente pubblicato, con poche modifiche, assieme ad una compagna di studi, Caterina Giannetti, senza che quest’ultima venisse menzionata se non genericamente fra i ringraziamenti all'inizio della tesi. Difficile sostenere che il contributo della Giannetti sia successivo: innanzitutto i metadati del pdf indicano la Giannetti come autrice del documento, il che fa sospettare che come minimo qualche forma di collaborazione esistesse fin dalla prima stesura. Secondo, le differenze fra capitolo della tesi e articolo pubblicato sono minime (la struttura è la stessa, il testo differisce di poco, i numeri delle tabelle con le stime differiscono di poco).
Inoltre, il capitolo 2 della Madia ha numerose corrispondenze nel metodo e nella stesura del testo con il capitolo 3 della tesi della Giannetti (come rivela Perotti, che ha interpellato la coautrice). Chiamarle corrispondenze è un po' un vezzo: vi sono intere pagine identiche, persino nei simboli e nel modello econometrico utilizzato. Il lettore forse troverà interessante scoprire che, mentre il capitolo 2 della tesi della Madia si occupa di "Work arrangements and firm innovativeness" il capitolo 3 della tesi della Giannetti si occupa di "Relatiosnhip Lending and firm innovativeness" ma, leggere per credere, the economics and the econometrics sono praticamente identiche!
Perotti riporta che, "nello stesso periodo, la coautrice ha utilizzato la stessa metodologia statistica applicandola al suo campo di specializzazione, le banche. Niente di strano né di inappropriato; ma ha generato l'accusa, a mio avviso totalmente infondata, di un plagio nel plagio". Certo, niente di strano, tuttavia la corrispondenza fra i lavori non si limita alla metodologia statistica, e nessuno dei due capitoli menziona l'altro. E uno dei due capitoli (quello della Madia) è poi stato pubblicato con entrambi i nomi, l'altro (quello della coautrice) con un nome solo.
Sorge anche il dubbio non solo sull'autore (o autori) del secondo capitolo, ma anche su chi abbia avuto l'idea metodologica, poi applicata dalle due studiose con dati diversi. Se l'ha avuta una delle due autrici, manca la citazione, non solo nel testo, come sarebbe doveroso, ma anche nei riferimenti bibliografici, come Madia e supervisori pensano sia sufficiente. Se l'idea è stata sviluppata da entrambe collaborativamente, è possibile che sia stata omessa la citazione reciproca per inflazionare l'apparente contributo relativo di ciascun articolo. Questo effettivamente succede, ogni tanto, nella professione, e lo si fa sempre notare, se scoperto, in fase di referaggio, chiedendo agli autori di chiarire qual è il contributo relativo.
Come se questo non bastasse, Perotti riporta che "La coautrice [della Madia], da me interpellata, conferma che la ministra ebbe un ruolo attivo nella stesura dei capitoli". La frase arriva ad un pelo dall'affermare che non ha scritto tutto la coautrice, e non solo il secondo capitolo.
E' possibile che questo capitolo sia stato sviluppato solamente dalla Madia al momento del diploma? E' possibile, ma in questo caso sorgono numerose altre domande. Anche se non esistono prove legali (non sono un esperto) gli indizi sul coautoraggio di questo capitolo sono numerosi: la coautrice aggiunta sulla pubblicazione di un articolo praticamente uguali, le corrispondenze fra i capitoli delle due tesi, etc... La mancanza di attribuzione del coautore è una grave violazione delle norme di condotta scientifiche, anche se consensuale. Il Fatto Quotidiano scrive che le regole dell'IMT vietavano agli studenti di co-autorare i capitoli di tesi senza autorizzazione il che, se confermato, forse spiega il comportamento dei soggetti coinvolti (queste regole sono diverse da ateneo ad ateneo). Aggiungo che è praticamente impossibile per un supervisore non sapere che un altro studente sta collaborando nella stesura della tesi; altrettanto grave sarebbe se non si fossero accorti del coautoraggio fra le studentesse per disattenzione. Non è chiaro perché un'autorizzazione non sia stata richiesta dalle autrici o sollecitata dai supervisori.
Questi fatti suggeriscono una buona dose di faciloneria nell'aggirare anche regole scritte da parte di tutte le persone coinvolte.
Anche il capitolo 3 è, almeno in parte, un lavoro originale. La parte più originale consiste in un “esperimento”, cioè uno studio in cui il ricercatore cerca di riprodurre, in laboratorio, scelte alternative con premi in denaro per i soggetti intervistati, allo scopo di osservare il loro comportamento e valutare le diverse teorie che si vogliono studiare. I premi in denaro servono a replicare gli incentivi cui ci troviamo di fronte in situazioni concrete. Una parte fondamentale dell’esperimento è il suo “design”, cioè la definizione degli incentivi/premi, la formulazione delle domande, e così via.
Anche in questo capitolo la giornalista del Fatto ha riscontrato numerosi passaggi copiati, in particolare da un articolo di Altman, Falk e Huffman del Febbraio 2008, successivamente pubblicato su una delle migliori riviste del settore. La violazione più grave però è un’altra. Le similarità dell'esperimento sono tali (si vedano le slides 41,44 e 45 dal FQ) da rivelare che la Madia ha sostanzialmente preso l'idea dell'experimental design dagli autori citati (modificandolo leggermente per applicarlo ad un caso diverso, in questo consisterebbe l'originalità). Questi ultimi vengono menzionati lontano dalla descrizione dell'esperimento, osservando solo che si sono occupati dell'argomento, senza spiegare che l'experimental design era preso da loro. Come se l'autore di un film tratto da un romanzo lo citasse solo nei titoli di coda senza rivelare che ad esso si ispira il film. (Se qualcuno volesse ora obiettare che potrebbero essere stati Altman & Al. a copiare l'idea, omettendo colpevolmente di citare la Madia, basti sottolineare che non ci sarebbe stato nulla di male nel farlo notare spiegando che il loro paper stava usando lo stesso metodo).
Se questo non è plagio, è almeno una violazione di norme ampiamente condivise dalla professione. Se anche questa sembrasse una mancanza di poco conto, basti mettersi nei panni degli autori la cui paternità dell'idea non è stata riconosciuta. E no, non è "come se utilizzando il teorema di Pitagora, mi si accusi di plagiare Pitagora", come scritto su facebook dalla ministra. Se qualcuno usa il teorema di Pitagora per risolvere in modo creativo un certo problema, e tu usi quell'idea/metodo per risolvere un altro problema, non devi citare Pitagora, ma devi citare chi ha ideato quel metodo. Difficile da capiire? Forse si', ma questo dovevano spiegarglielo i suoi supervisori (a me non è mai capitato di doverlo spiegare, a dire il vero). In casi del genere, è compito del supervisore far notare allo studente che è importante attribuire, anche solo con una breve nota, la paternità dell'approccio al suo autore originale, allo scopo di far capire il lettore quale sia il contributo originale di ciascun lavoro e, se l'autore da cui si prende a prestito l'idea è autorevole (come in questo caso), per convincere il lettore che la nuova applicazione ha dei fondamenti che sono stati accettati dalla disciplina.
Ma perché è importante attribuire con correttezza la paternità delle idee da cui si è tratto per sviluppare una ricerca? È importante perché la reputazione di un ricercatore e dei suoi studi si basano su due fattori importantissimi per il progresso scientifico. Primo, deve essere chiaro quanto originale è la scoperta effettuata: millantare di avere scritto o ideato un metodo, o anche un solo paragrafo, dopo averli copiati significa viziare la valutazione che la comunità scientifica ed il pubblico generale hanno delle capacità di un ricercatore e la validita' dei suoi risultati. Secondo, il successo e la reputazione di uno scienziato si basa anche sul numero di studi che si fondano, anche indirettamente, sulle sue ricerche, metodi e risultati. L'assenza di attribuzione di idee e metodi agli autori legittimi vizia questo importante processo di valutazione e riconoscimento.
L'assenza di virgolette in qualche paragrafo di una tesi può essere considerata un peccato veniale, come pensano in molti. Anche "dimenticarsi" qualche citazione importante lo può essere. Ma il numero di paragrafi copiati nella tesi della Madia, assieme alle altre e piu gravi probabili violazioni delle norme di attribuzione, dimostrano una crassa ignoranza di numerose regole condivise dalla comunità scientifica, e, probabilmente, anche la violazione di regole imposte dall'istituto che ha conferito il diploma. Il fatto che sarebbero bastati alcuni piccoli accorgimenti a sanarne i difetti (l'autorizzazione al coautoraggio, due semplici note al testo, oltre che numerose virgolettature) non basta a sminuire la responsabilità dell'autrice e dei supervisori nel giustificarla. La prima ha almeno le attenuanti dell'inesperienza. I secondi no.
I tentativi da parte degli interessati di minimizzare, o giustificare il tutto come dimenticanza di virgolette, o, peggio, l'affermazione che l'elenco dei riferimenti bibliografici in fondo alla tesi sia tutto ciò che l'etica e le regole richiedono, suggeriscono che i supervisori hanno avuto la dottoranda che si meritavano, e viceversa.
condivido l'avere posto l'attenzione anche sul ruolo dei relatori: la mela non cade mai troppo lontana dall'albero.