Il mondo sarebbe più grigio se non ci fosse Massimo Gramellini il quale, in questo splendido editoriale, riesce in poche righe a provare in modo definitivo quanto ridicoli siano gli argomenti di moda in Italia a supporto dello studio della lingua e della letteratura latina così come viene praticato in alcune delle nostre scuole medie superiori, segnatamente nel liceo detto "classico". Come oramai tutti sanno la teoria che le oche capitoline del latinorum ripetono ogni due per due è sempre la stessa ed è facilmente sintetizzabile:
il latino è un insostituibile apriscatole della mente, insomma il latino è l'aprimente.
A dire: nel mondo intero, ad oggi, l'unico oggetto di studio (assieme, forse, al greco antico) che "apra la mente" dell'addolescente, la renda critica, capace di pensare logicamente e di vedere dove sbaglia, la renda elastica e capace di creare ed inventare, apprendendo dal mondo e dagli altri, è il latino, nella specifica modalità d'insegnamento introdotta da Giovanni Gentile nel lontano 1922-1923 e, da allora, di fatto rimasta immutata.
Questo argomento, condito di argutissimi frizzi e lazzi, è stato riproposto dal Gramellini sulla base delle recenti esternazioni del fondatore di Facebook. Di seguito la parte cruciale dell'articolo intitolato "Facies Liber":
Uno dei mantra del luogocomunismo italico recita che la cultura classica non serve più a nulla. Poiché la romanità è ciarpame nostalgico e il latino una fabbrica di disoccupati, per procurare uno straccetto di futuro ai nostri ragazzi occorre togliere in fretta dai loro zaini il Castiglioni Mariotti e l’Eneide e sostituirli con un trattato sugli algoritmi e un dizionario di cinese. Siamo nell’era di Facebook, cosa volete che conti la conoscenza della storia antica?
Poi un giorno sbarca in Italia colui che Facebook lo ha inventato e scopriamo che conosce il latino, ha una passione politica per la Pax Augustea e una artistica per i monumenti della Roma dei Cesari, cita la perseveranza di Enea come modello esistenziale e apprezza il «De Amicitia» di Cicerone.
A questo punto non ci si capisce più niente. Se per diventare come Zuckerberg bisogna fare l’opposto di Zuckerberg, qualcuno deve avere sbagliato i suoi conti. Zuckerberg, probabilmente, che ha perso tempo a studiare Virgilio, allargando a tal punto la mente da metterla nelle condizioni di accogliere un’idea che ha cambiato la vita a un paio di miliardi di persone. Se invece del latino avesse studiato una materia più utile, oggi saprebbe tutto soltanto di informatica, farebbe il dipendente sottopagato di Facebook e la teoria modernista dei nostri geniali educatori avrebbe trionfato in saecula saeculorum.
Per quanto possa essere imbarazzante discutere di quel che è ovvio, il testo riportato non viene dal giornalino di classe di qualche prof pensionando, ma da un "editorialista di punta" (un influencer, insomma) ed è pubblicato su uno dei principali quotidiani del paese. Se poi guardiamo a quel che pubblica da qualche settimana (alla domenica) il Sole24Ore si capisce che è uno sporco lavoro ma che qualcuno deve pur farlo: la più fascista delle riforme va preservata perché su di essa si fonda la nazionale identità. Questa sarebbe, infatti, la domanda interessante che dovremmo porci: perché mai, in questo paese ed in particolare nei suoi ambienti "di elite", è in corso da qualche tempo una specie di guerra santa in difesa di quel pilastro della scuola gentiliana costituito dal programma "umanistico" del liceo classico e, di conseguenza, d'ogni altro liceo italiano?
Oggi però lasciamo questa domanda (ch'è veramente seria) ad una futura e maggiormente meditata occasione, per dedicarci invece ai comici argomenti emersi a seguito della visita di quel simpaticone di Mark.
Lasciamo per un attimo cadere l'argomento fantoccio* in base al quale ci sarebbero in giro barbari armati di clava che vanno in giro a dire che
la cultura classica non serve più a nulla
e proviamo a concentrarci invece sul cuore della sua tesi:
Zuckerberg, probabilmente, che ha perso tempo a studiare Virgilio, allargando a tal punto la mente da metterla nelle condizioni di accogliere un’idea che ha cambiato la vita a un paio di miliardi di persone.
Poiché il vero Mark Zuckerberg non c'entra nulla in tutto questo sarà meglio togliere di mezzo immediatamente il suo caso specifico assieme a quello del successo di FB. Infatti il Gramellini e chi gli corre appresso, da veri cultori di una pseudo cultura classica che è solo la foglia di fico per la loro ignoranza, della vita e degli studi del nostro MZ non sanno una beata fava. L'empirismo, si sa, è scarsamente considerato nel mondo dell'idealismo attuale ove si procede, al meglio, per assiomi ed ardite deduzioni o, più frequentemente, sulla base del pensiero che pensa (si fa per dire). Nel caso di specie il pensiero attuale pensa così: siccome MZ ha detto durante la sua visita italiana che gli piace il latino e che egli si identifica con Enea (appena va in Svezia il suo ufficio public relations gli suggerirà di dire che adora le saghe vikinghe e si identifica con Thor ... ma a questo il pensiero che pensa non ci arriva) allora è da attribuirsi ai suoi profondi studi del latino l'invenzione di FB.
Fa niente che il buon MZ, in istituti d'elite così lontani dai licei italiani quanto lo è il sole dalla terra, abbia studiato un po' di tutto, incluso francese ed ebraico oltre a una dozzina d'altre cose per niente "classiche". Per il pensiero che pensa conta solo il latino. E fa niente che MZ appartenesse, ben prima di creare FB e diventare ricchissimo, ad una sofisticata elite intellettuale e si fosse dedicato a scrivere software di qualità sin da molto giovane e ben prima d'incrociare il latino. Fa niente, insomma, che il nostro giovane di successo sia il prodotto perfetto d'una cultura e di un sistema educativo che sono agli antipodi di quella roba che la più fascista delle riforme creò e le nostre elite vogliono preservare con le unghie ed i denti. Per le nostre elite che pensano pensando conta solo il fatto che il buon Mark, uomo tanto di marketing quanto di coding, in visita a Roma abbia ben pensato di leggere (malamente) un pezzo di Virgilio. Già questi fatti basterebbero per mettere una pietra sopra alle elucubrazioni reazionarie del pensiero che pensa fregandosene di loro (i fatti, intendiamo), ma andiamo avanti.
Se cercate qualche dettaglio sulla storia di Facebook troverete un'iniziativa innovativa per l'epoca, che è prevalsa su altre analoghe - chissà se i fondatori di Myspace conoscevano il latino: che abbiano perso perché avevano invece studiato il tedesco o il cinese? - per motivi che non rilevano in questa sede. In nessun caso si parla di una qualche intuizione geniale e men che meno del fatto che detta intuizione sia stata in qualche modo agevolata o resa possibile dall'apertura mentale fornita dalle traduzioni dal latino all'inglese (e già qui, se ci pensate, c'è una pecca ...). Quello che è avvenuto, come in altri casi simili, è che uno strumento, ideato per determinati fini si è rivelato di straordinario successo anche per finalità che vanno al di là delle intenzioni dei suoi iniziali creatori. E siccome il giovane MZ ci sapeva fare, aveva un epsilon in più, stava ad Harvard e l'iniziativa di dare FB come privilegio ai college students delle scuole fighe degli USA ha tirato più di altri, ha vinto lui. Ben per lui, sia chiaro.
Che c'entra in tutto questo il latino? Nulla, con buona pace della controfattuale e grottesca conclusione di Grammellini.
Ma tutto quanto abbiamo argomentato sino ad ora è, alla fine, episodico e basato su fatti e common sense, tutte cose che il pensiero che pensa disdegna mentre pensa il mondo a partire dalla sua tazza del bagno. Proviamo quindi ad argomentare con la logica, uno strumento ben precedente a Facebook e di cui qualcuno di quei classici tanto menzionati a spropoposito pure qualcosina sapeva.
Tesi 1:Il latino (e il greco e gli studi classici etc) aprono la mente più di altre materie.
Tesi 2: Se il latino apre la mente più di altre materie, conviene studiarlo anche se non ha un'utilità immediata pratica immediata in virtù di una sua intangibile e non ben definita proprietà.
Tesi 3: La prova provata di 1 e 2 risiede nel fatto che in tanti che han fatto gli studi classici spesso hanno avuto successo anche in campi molto lontani dallo studio dell'antichità.
È abbastanza evidente che se cade il fondamento - ossia che il latino (o il greco o altri studi umanistici) costituiscono delle palestre mentali non sostituibili da alcunché d'altro per aiutare a ragionare e risolvere i problemi - cade anche il resto. Per comodità dividiamo la tesi 1 in due parti
Tesi 1.1 il latino apre la mente.
Tesi 1.2 la apre più di altre materie (che peraltro potrebbero avere un'utilità immediata).
Concentriamoci su 1.1 e osserviamo che nessuno mai argomenta sul "perchè gli studi classici migliorino le capacità di ragionamento."
Un altro di questi benedetti autori classici insegnava che bisogna porsi delle domande. Proviamo quindi a farcela qualche domandina: Perchè il latino dovrebbe essere più valido come palestra mentale del calcolo delle probabilità, della chimica o, poniamo del Cinese? Cosa possiede il latino che le altre lingue (magari vive e utili) non hanno? La struttura grammaticale? Oppure il latino (e gli studi classici) forniscono un metodo di studio? Un approccio critico alla risoluzione dei problemi? Dunque è questione di metodo di studio o di contenuto degli studi? Non si sa e, ovviamente, il lettore attento noterà che queste sono domande retoriche che hanno risposte ovvie per chi, oltre a pensare la totalità del mondo mentre fa la doccia prova umilmente anche solo a comprenderne una minuscola parte utilizzando fatti osservati.
Non è più probabile che sia il metodo la palestra che migliora la capacità di risolvere i problemi? Ma in ogni caso è il metodo di studio del latino, o l'oggetto dello studio stesso, così radicalmente differente dalle altre materie? Quale caratteristica distintiva lo rende speciale? Sarebbe elegante proseguire il discorso per domande, ma come si è detto qualcuno deve sporcarsi le mani con le risposte: No, il latino viene insegnato come tutte le altre materie - qui non importa se male o bene, qui importa che lo si insegna più o meno come l'inglese o la fisica o la filosofia - e se non c'è un carattere distintivo, non si può argomentare che ci sia un vantaggio nello studiarlo. Ma concentriamoci sulla tesi 1.1, perchè caduta quella il resto è retorica di bassa lega.
Ma davvero gli studi classici aprono la mente? Nei licei che avete fatto voi avete passato anche un solo minuto ad affrontare un problema e cercare una soluzione o anche solo a discutere criticamente? C'era una qualche ora di Maieutica in cui si investiva tempo a farsi domande e cercare risposte,? Un momento in cui venisse offerta agli studenti l'opportunità di mettere in discussione l'ipse dixit e magari provare ad argomentare che alcune cose scritte da Platone sono indigeribili? O vi hanno rappresentato un compendio di nozioni immutabile e indiscutibile che potevate mandare a memoria, senza capirle, e prendere ugualmente ottimi voti?
La forma mentis data del liceo, come l'araba fenice, che vi sia ognun lo dice cosa sia, alcun lo sa. Se non possiamo argomentare cosa negli studi classici insegni a ragionare, ci si può rifugiare in una versione "debole" della difesa: in fondo potrebbe bastare argomentare che gli "studi difficili" servono perchè allenano ad affrontare le difficoltà (ancora immancabile il sole 24 ore su questo tema). Ma la retorica de "gli studi ostici servono a prescindere da quel che si studia" si perde un passaggio non da poco: anche la chimica è difficile, e la fisica, la matematica e il calcolo delle probabilità. Per non parlare dell'arabo e del cinese! Con la non banale differenza che queste discipline consentono di comprendere meglio come funziona il mondo che ci circonda e di interpretare correttamente le informazioni che riceviamo.
Dunque, potendo scegliere, tra due materie "toste" di quelle che affilano il cervello, trovate più conveniente quella che aiuta a capire come funziona il mondo oggi o quella che ci racconta di com'era (una parte del) mondo 2000 anni fa? Dunque non è affatto detto che il latino e gli studi classici aprano la mente e, se cade questo presupposto cade anche l'argomento che sussista una qualche convenienza nell'incentrare su di essi un corso di studi.
Rimane l'argomento (Tesi 3) che quelli del classico riescano poi bene nei campi più svariati e, in fondo è questo che Gramellini argomenta nel suo editoriale. A ben guardare la distinzione tra correlazione e causalità è questione ben risolvibile anche con la logica elementare: che alcuni con studi classici abbiano avuto successo, non implica affatto che tutti quelli che hanno detti studi in cv abbiano maggiori probabilità di successo. Un giorno o l'altro qualcuno dovrà prendersi la briga di studiare i dati seriamente (con la statistica applicata, non con il pensiero che pensa la totalità del mondo percependolo) e temiamo dovrà essere uno di noi. Ma oggi questo tempo non c'è e vale quindi ricordare che (a) alcuni aneddoti o esempi non provano alcunché dell'intera popolazione e, (b) l'onere della prova sta su chi afferma una relazione causale, non su chi la dubita.
Ma vi è di meglio: in un contesto corporativo e familistico, appartenere a un gruppo socialmente privilegiato (per es quelli che han fatto il classico) può accrescere le possibilità di successo senza che questo abbia nulla a che fare con l'apertura mentale acquisita durante il corso di studi. In tal modo - ferma restante la correlazione tra studi classici e successo (accettata sulla fiducia, come ricordato non si vedono numeri in giro su questo tema) - potrebbe ben aversi un nesso causale inverso: chi è più capace, intraprendente, mentalmente aperto sceglie gli studi classici per beneficiare del vantaggio competitivo in termini di relazione e corporativismo che questo offre. E chiunque abbia mai frequentato i licei, classici in particolare, di questo paese ha una idea (certamente anedottica, per questo non sosteniamo sia una prova) del tipo di persone che li frequentano e della loro estrazione sociale media ...
Non si possono ottenere risultati diversi applicando gli stessi metodi e non sussitono nei contenuti delle materie classiche elementi differenziali tali da poter sostenere che il loro studio faciliti lo sviluppo di capacità di pensiero critico o di problem solving. È piuttosto possibile argomentare il contrario laddove la rappresentazione di un compendio immutabile e non criticabile di nozioni, l'eredità dei classici, viene proposto come il passaporto per far parte dell'elite della società. È così che arriviamo ad un editorialista di punta su uno dei principali quotidiani nazionali che propone argomenti controfattuali ammantati di pessima retorica.
Il latino non rende più furbi e, se qualcuno furbo ha studiato il latino ed e' rimasto furbo, ne segue, al massimo, che studiarlo non nuoce alle facoltà intellettive! Ma perchè mai avrebbe dovuto? Ah, quello è l'argomento fantoccio.
Post Scriptum - L'argomento fantoccio
Chi è che dice che il latino non serve a niente? Sostenere che la sedicente apertura mentale fornita dagli studi classici, (elemento sul quale poggia la concentrazione di questi nelle scuole superiori che con maggior probabilità forniranno capitale umano alle future classi dirigenti) è tesi dubbia e priva di argomentazioni solide è cosa ben diversa dal dire che detti studi non servono a nulla. Chi sostiene questo argomento fantoccio cerca di accomunare i fautori della critica alla superiorità degli studi umanistici rispetto a quelli scientifici o tecnici ai beceri detrattori della cultura in tutte le sue forme. Perche' sostenere che due non e' maggiore di 2 non implica sostenere che 2 e' maggiore di due e che due e' uguale a uno!
Togliamo di mezzo i fantocci e, a costo di essere banali, rammentiamo la differenza tra le competenze di base e le competenze avanzate. Senza le prime non è possibile accedere alle seconde. Compito della scuola dovrebbe essere fornire a tutti gli strumenti per costruirsi la propria cultura, sia essa incentrata sui lirici greci, sulla storia della cina antica o semplicemente sulle reazioni chimiche che rendono possibile la vita.
L'equivoco cattivo che fa cadere tutte le tesi precedenti è la confusione in cui si vuol attribuire a certi studi (quali appunto il latino) la prerogativa, propria delle competenze di base, di valere come passepartout universale per accedere alla conoscenza. Eppure dovrebbe essere evidente a chi non ha i paraocchi che si può comprendere perfettamente il mondo senza conoscere la perifrastica attiva o le coniugazioni dell'aoristo, mentre non è possibile capire e conoscere alcunche' ignorando i rudimenti della matematica, della logica o delle lingue moderne in cui è oggi scritta la documentazione a nostra disposizione.
Sono sempre più convinto che scagliarsi contro il latino non otterrà mai risultati, perché ci sarà sempre il difensore di turno della classicità con le truppe cammellate che faranno muro di fronte a qualsiasi riforma in questo senso.
Io farei invece una campagna per imporre un esame di analisi matematica anche nelle facoltà di Lettere: si stabilisce che non puoi prendere NESSUN tipo di laurea se prima non hai dimostrato di saper far di conto seriamente, di gestire un'equazione e di avere capacità di ragionamento astratto. Stesso discorso per le lingue straniere: non ti laurei se non ottieni almeno una certificazione in una lingua straniera. Certo, sarà dura farla passare in una società non alfabetizzata su queste questioni, ma almeno non si va a colpire la classe dirigente in quello che percepisce come un tratto identitario forte.
A breve giro i programmi del Classico si adegueranno (più matematica, più lingue e di conseguenza meno altro), e avremo nuove leve non più analfabete.
Ma qui nessuno si scaglia contro il latino.
Si cerca semplicemente di evidenziare la mancanza di fondamento di talune credenze e l'inconsistenza di certe argomentazioni
Ad ingegneria a Bologna si deve passare un esame di lingua straniera per laurearsi.
Penso che imporre il superamento di un esame di analisi matematica in tutte le facoltà, potrebbe paradossalmente costituire un problema solo per gli studenti che *non* hanno fatto il classico! Molti, provenendo da studi scientifici, prenderebbero sotto gamba l'esame.
Ma poi perché proprio l'analisi? Personalmente trovo più complessa concettualmente e profonda la teoria dei numeri e di certo è più difficile tradurre bene Tacito o Platone che fare uno studio di funzione a livello di Analisi I: provare per credere.
In effetti la mia idea è che la traduzione dei testi greci e latini, pur richiedendo una certa sensibilità letterario-linguistica, se così si può dire, necessiti più che altro di logica e di capacità analitica, al pari degli studi scientifici. E visto che nel corso dei cinque anni di liceo, tra versioni dal greco e dal latino vengono spese un'enormità di ore a scuola e a casa, chi si è sobbarcato tali studi può fare un altro piccolo sforzo e imparare facilmente limiti, derivate, integrali, ecc., se motivato a sufficienza.
Insomma, ciò che troppo spesso viene presentato come distante o addirittura contrapposto, studio classico e studio scientifico, è più vicino di quanto non si creda.
Ciao,
Alessandro.
PS
Ovviamente lo studio del latino e del greco non è l'unico modo per sviluppare capacità critica, doti di ragionamento logico, ecc.
PPS
Immaginate poi le risate se si facesse il contrario, e cioè una bella versione dal latino o peggio dal greco per chi studia economia o statistica. Non si laureerebbe più nessuno!!!
ma perche' l'analisi matematica ha piu' utilta' del latino?l'analisi e' una materia morta quanto il latino e utile altrettanto , certo non serve a nulla sapere dove e' l'infinito o se i punti hanno dimensione o meno , nella realta' si usa sempre il centimetro