Il plagio accademico ha una lunga tradizione in Italia e altrove, tanto lunga che si è sviluppata una ricca tassonomia e casistica in proposito. Ecco qui, per esempio, un dettagliato documento di Harvard University che definisce e descrive i diversi tipi di plagio accademico. Alcuni (quelli derivanti da pura sciatteria scientifica) sono meno gravi di altri (quelli affetti da dolo) ma le conseguenze per la comunità accademica sono simili.
Nel nostro campo di competenza, le scienze economiche e statistiche, sono emersi nell'ultimo anno tre distinti casi di presunto plagio che vogliamo qui riassumere e sui quali vogliamo riflettere. Lo facciamo perché crediamo sia fondamentale che la comunità accademica reagisca a questi eventi, altrimenti si scivola verso una forma di omertà che fa male a tutti. Una reazione nel rispetto della dignità personale dei soggetti coinvolti, naturalmente; non si tratta di attaccare le persone in quanto tali (non ci interessa la polemica personale né tantomeno quella politica) ma di tutelare le regole che rendono socialmente utile la ricerca scientifica. Noi lo facciamo per la nostra area scientifica, che conosciamo bene. Invitiamo i colleghi di altre aree a farlo per le proprie, visto che notizie di casi analoghi arrivano in buon numero anche da queste.
Procediamo in ordine cronologico inverso, dal caso più recente, quello della tesi di dottorato di Marianna Madia (MM). Gli dedichiamo in questo articolo più spazio non perché sia più grave degli altri (anzi, per certi versi è meno grave perché il presunto misfatto riguarda, direttamente, un'allora inesperta studentessa di dottorato, non un professore universitario) ma perché è quello dove i fatti restano in cerca di una spiegazione e le richieste di chiarimento hanno più sbattuto su un muro di gomma. Sul caso MM sono già apparsi su nFA un articolo di Andrea Moro ed un altro di Roberto Perotti. Uno di noi, Michele Boldrin, è a sua volta intervenuto su Il Fatto Quotidiano (FQ) che, in assoluta solitudine, ha pubblicato diversi articoli sul caso MM oltre ad un paio su quello di Francesco Boccia di cui diremo più oltre. Riassumendo:
(i) Il primo capitolo della tesi di MM appare come un plagio: le rassegne della letteratura si fanno spiegando succintamente i concetti principali della ricerca preesistente, non copiando di sana pianta pezzi interi degli articoli riportati in bibliografia senza mai dichiarare esplicitamente cosa sia farina del proprio sacco e cosa non lo sia. Servono sia le virgolette che le note con i riferimenti. Ed inoltre serve che le citazioni, virgolettate, siano una percentuale bassa (diciamo non più de 10-20%) del testo. Questo non è avvenuto, questo Laura Margottini del FQ ha perfettamente documentato nel suo primo articolo e questo, in tutto il mondo, si chiama plagio non distrazione. Questo nel mondo accademico basta e avanza per rigettare una tesi perché affetta da plagio. Volerlo far passare per distrazione o, come ha scritto il supervisor Giorgio Rodano via Facebook come fatto non grave perché "il pensiero degli studiosi che la dottoranda stava esponendo non è stato assolutamente travisato" suona beffardo.
(ii) Il secondo capitolo della tesi di MM contiene anch'esso intere porzioni copiate di sana pianta da altri articoli, di nuovo senza attribuzioni precise. Non solo. Come abbiamo documentato (vedasi articolo di Andrea Moro) contiene svariate pagine identiche, persino nelle virgole e nei simboli utilizzati, a quelle del terzo capitolo della tesi di dottorato di Caterina Giannetti (CG). Quest'ultimo è stato pubblicato su rivista con CG come unica autrice, mentre il capitolo due della tesi di MM è stato pubblicato sul CJE a firma di entrambe. Pagine e pagine identiche in due tesi di autrici diverse è un fatto che richiede una spiegazione. Inoltre, mentre il capitolo due della tesi di MM si occupa di mercato del lavoro, il capitolo tre della tesi di CG intende studiare il mercato dei prestiti bancari. Come è possibile descrivere il modello centrale di entrambi i capitoli e gli argomenti che lo sottendono con identiche frasi? Perché il tutor comune alle due studentesse (Fabio Pammolli) non se ne è accorto?
(iii) La tesi di MM depositata a IMT Lucca non riporta CG come coautrice del secondo e del terzo capitolo. Questo significa: nel testo della sua tesi MM ha omesso che 2/3 di essa era stata, almeno, coprodotta. Non si riesce a comprendere quali fossero, al tempo, le regole di IMT a questo riguardo per la semplice ragione che il regolamento del dottorato (che abbiamo visionato) non ne parla. Nondimeno, quelle nel resto del mondo sono le stesse da sempre e ben note: si riportano i coautori. Siccome questo è lo standard noto a tutti non si comprende sulla base di quali criteri esso sia stato violato nel caso della tesi di MM. Quando si cumula questo fatto con quello in (ii) sorge spontanea la domanda legittima, anzi obbligatoria, tra chi fa ricerca: who did what? Chi poteva rispondere non lo ha fatto (vedi sotto).
(iv) La tesi di MM depositata a IMT Lucca non riporta CG come couatrice del terzo capitolo che è stato poi pubblicato a firma di CG ed MM. Questo capitolo è anche quello che contiene il famoso "esperimento" su cui si è concentrata l'attenzione di molti a discapito di tutto il resto. Cosa sappiamo di questo esperimento? Sappiamo quanto dichiarato ufficialmente dall'università di Tilburg e riportato dal FQ (qui un riassunto), ossia che non vi è alcuna evidenza ufficiale della presenza di MM a Tilburg quando l'esperimento viene condotto né tantomeno di sua partecipazione al medesimo, mentre vi è evidenza ufficiale della presenza di CG e del suo aver usato il laboratorio per l'esperimento. Come scrive Roberto Perotti, MM potrebbe aver contribuito all'esperimento altrimenti, magari con collegamento on-line (nel tempo di internet la presenza fisica è irrilevante) oppure potrebbe essere stata presente senza registrarsi né all'università né al laboratorio. Possibile, come l'esatto contrario.
(v) All'IMT Lucca una commissione esterna ha valutato la tesi di MM e almeno uno dei tre componenti (Cambini, Fiaschi e Nicita) della medesima non era stato informato del fatto che 2/3 della tesi avevano una coautrice. Non sappiamo, ufficialmente, cosa abbia scritto il relatore della tesi (Giorgio Rodano) - quando un relatore approva la sottomissione di una tesi sta dicendo che a suo giudizio va bene - né come la direzione dell'IMT Lucca si sia comportata in questa circostanza.
Rimangono quindi una serie di fatti non chiariti nel caso MM. Son tutti chiaribili ed ecco chi potrebbe farlo.
(a) L'attuale direzione dell'IMT, che invece di minimizzare su "virgolette mancanti", potrebbe darci una versione ufficiale e documentata di quali fossero le regole e le procedure nel 2007-08 e se siano state rispettate. E potrebbe, ovviamente, dare una versione ufficiale che faccia chiarezza sulle parti oscure di cui sopra. È notizia recente che la direzione IMT ha avviato un'inchiesta interna su questo episodio. A noi pare del tutto legittimo, anzi doveroso, che tale inchiesta venga svolta da una commissione esterna e super partes al di là di ogni ragionevole dubbio.
(b) La direzione di allora, che potrebbe dirci le stesse cose ma non ce le dice scegliendo invece di dire che la responsabilità stava a carico del relatore, Giorgio Rodano, e basta. E basta? All'IMT si dava un dottorato senza che nessun'altra persona diversa dal relatore esaminasse la tesi? In particolare non ci dice, il direttore di allora, se oltre al relatore esistesse o meno una commissione (interna?) nominata dall'IMT che esaminasse le tesi e se queste venissero sottoposte ad una valutazione di referaggio indipendente dal relatore. Se questa commissione esisteva e il referaggio avvenne, che se ne fece?
(c) Il relatore della tesi di MM, Giorgio Rodano, il quale ovviamente deve sapere come e quando MM scrisse la tesi, fece le regressioni che essa contiene ed i relativi esperimenti ed inviò a lui i risultati mano a mano che venivano prodotti. Perché si fa così ovunque e questo è il lavoro del supervisor. Gli va dato atto di aver francamente (e con piacevole prosa) detto quello che pensava del caso via Facebook (quantomeno non è rimasto in silenzio). Diciamo che la sua posizione ci sembra eccessivamente (in certe parti goffamente), e senza motivo a noi comprensibile per un accademico da molti stimato, difensiva.
(d) La stessa MM, la quale invece di querelare potrebbe risolvere tutti questi misteri spiegando quando scrisse la tesi, su che supporto e come, perché si scordò tutte quelle virgolette, perché le capitò di mettere nella tesi intere pagine uguali a quelle della tesi di CG, quando, come ed in che forma e per quanti giorni andò a Tilburg e cosa esattamente fece lì o, comunque, come contribuì al famoso esperimento, ecc. Anche perché, alla fine, è comunque un ministro della Repubblica.
(e) CG, la quale per la parte che le compete, potrebbe spiegare chi scrisse gli articoli coautorati che costituiscono il secondo e terzo capitolo della tesi di MM. Potrebbe anche spiegarci come capitò che il capitolo due diventasse così simile al capitolo tre della sua, di tesi, con intere pagine uguali parola per parola. E di come andarono esattamente le cose con l'esperimento a Tilburg di cui tutti parlano.
Veniamo ora al secondo caso, quello di Francesco Boccia (FB). I fatti sono descritti, per esempio, qui da una giornalista de Il Fatto Quotidiano. Il professor Boccia, allora associato all'Università LIUCC, si è presentato ad una procedura comparativa (concorso) per un posto di associato presso l'Università del Molise, presentando fra i 12 titoli obbligatori, un working paper della LIUCC a suo nome che riproduceva il testo di un articolo pubblicato da due autori americani. A noi sembra abbastanza palese che le giustificazioni addotte da FB non reggano a fronte del senso comune: occorre essere veramente superficiali per presentare come documento proprio, ad un concorso pubblico, un paper che è copiato da due altri e nessuno, che noi si sappia, s'è mai inventato di mettere nel proprio curriculum vitae i "consigli di lettura". Se così si facesse ogni CV sarebbe un volume di centinaia di pagine, pieno di articoli nelle migliori riviste! La dignità accademica e la serietà del lavoro scientifico richiedono di evitare l'uso del metodo "a mia insaputa" introdotto nella morale italiana da Scajola (vale la pena notare che, purtroppo, il giudice ha concesso che Scajola poteva non sapere ...).
Mentre dal punto di vista dell'etica accademica i casi MM e FB sono ugualmente gravi, sotto un profilo prettamente giuridico il caso FB lo è di più. La differenza fra i due sta nel fatto che FB ha rapidamente "ammesso" i fatti, ricorrendo appunto all'argomento dell'errore inconsapevole. Nel far questo FB è stato aiutato dal silenzio di tutti i media, da quello delle due istituzioni coinvolte (Università di Castellanza ed Università del Molise) e purtroppo di gran parte dell'accademia italiana (una parte minoritaria ha sottoscritto una pubblica lettera che ha avuto zero effetto). Il caso Boccia è quindi scomparso dai media, come altri casi simili prima di esso, ed il plateale plagio è già dimenticato con nessuna conseguenza per l'autore del misfatto. Eppure la Legge 19 aprile 1925, n. 475, "Repressione della falsa attribuzione di lavori altrui da parte di aspiranti al conferimento di lauree, diplomi, uffici, titoli e dignità pubbliche" ci risulta ancora in vigore.
Infine il terzo caso, quello di Pier Giorgio Ardeni (PGA). I fatti pubblicamente noti sono i seguenti. A fine 2015, il comitato plagi di RePEc (Research Papers in Economics) - una piattaforma che include un data base di libri, articoli e working papers nelle scienze economiche - pubblica un documento di accusa (qui disponibile) nei confronti di PGA perché quest'ultimo ha pubblicato sulla serie dei Quaderni - Working Papers del Dipartimento di Scienze Economiche dell'Università di Bologna (una serie dotata di ISSN e che attribuisce un DOI a ciascun lavoro pubblicato nella serie) - un paper che "cita pesantemente senza attribuzione o citazione" tre diversi papers di due autori diversi. La commissione chiede a PGA una spiegazione, che viene fornita ed è riportata in calce al "ticket" di accusa: PGA parla di "serious misquotations, editing mistakes and loose footnote additions on an unrevised version of the paper that was submitted to the SSRN" e sottomette una nuova versione del paper "in order to properly contextualize quotations and excerpts". Successivamente, La Repubblica pubblica il 28 settembre 2016 un'intervista a PGA, nella quale l'interessato riporta di essere stato "censurato" dalla Commissione etica di Ateneo. Due cose rilevano in questa intervista.
Primo, l'ammissione fa certamente onore all'interessato, perché questa sanzione non risulta da alcun documento pubblico dell'Università di Bologna e quindi se PGA non l'avesse detto a La Repubblica nessuno l'avrebbe mai saputo. Ci saranno sicuramente giustificati motivi regolamentari dietro a questa segretezza, forse persino la legge sulla privacy, ma qui si annida parte del problema. Confrontate la trasparenza della procedura di RePEC (documenti sopra linkati) con la nebbia densa, scelta o imposta che sia, che caratterizza la procedura dell'Università di Bologna. Quale delle due serve meglio la comunità accademica italiana e internazionale? Per esempio è degno di nota il fatto che nel frattempo PGA (nel 2016, prima dell'autunno, cioé prima che si avesse notizia da La Repubblica di una sanzione) è stato nominato presidente dell'Istituto Carlo Cattaneo, una "fondazione di ricerca". Se quella sanzione fosse stata pubblicizzata, l'Istituto avrebbe avuto maggiori elementi per valutare le credenziali dei candidati alla presidenza. E l'opinione pubblica avrebbe avuto maggiori elementi per valutare la scelta dell'Istituto.
Secondo, il tentativo di minimizzare. Secondo La Repubblica PGA dice che "si trattava solo di un working paper, un lavoro in progress, purtroppo reso pubblico in rete, con mio dispiacere, senza le verifiche del caso sulla piena correttezza e completezza delle citazioni." Anche in questo caso, come nei due precedenti, risuona il "a mia insaputa" di scajoliana memoria. Un paper viene pubblicato nella serie dei working papers di un dipartimento, e quindi anche nella serie Quaderni - Working Papers del Dipartimento di Scienze Economiche dell'Università di Bologna, su richiesta dell'autore, se e solo quando questi lo voglia, il quale autore sa bene che il paper viene così reso pubblico in rete (e anzi proprio per quello chiede la pubblicazione nella serie).
La conclusione qui è che trasparenza e ammissione di responsabilità, per quanto inevitabilmente imbarazzanti per il singolo, giovano alla comunità accademica. La segretezza e il minimizzare, invece, ne danneggiano la reputazione e quindi la piena credibilità.
E veniamo ad alcune riflessioni conclusive
Il caso FB ci pare il più grave: a) costui è presidente della commissione bilancio del parlamento anche in quanto professore di economia. b) è vero che FB ha ammesso, ma l'affermazione "ho partecipato alla selezione per il mio trasferimento" è grave. Non esistono più i concorsi per trasferimento (la legge Gelmini li ha eliminati) e alla procedura selettiva hanno partecipato candidati (non ancora professori associati) nettamente migliori di lui. Non era la sua procedura. c) Anche lui ha minacciato querele, quando se il plagio fosse accertati giudizialmente saremmo in presenza di un reato, visto lo scopo a cui è servito. A noi sembra palese che, in questo caso come ed ancor più che nel caso MM, sia assolutamente opportuno che una commissione esterna e super partes verifichi i fatti e che le due università coinvolte, (Castellanza e Molise) facciano ciò che è usuale in questi casi ed è stato loro richiesto in una lettera pubblica purtroppo ignorata dalla stampa oltre che dalle università coinvolte.
Sul caso MM abbiamo detto abbastanza e ci pare ovvio chi dovrebbe fare cosa. Idem per il caso PGA, a cominciare dall'Università di Bologna che dovrebbe rendere pubblici i risultati della propria indagine interna e le motivazioni della sanzione menzionata sopra.
E riteniamo anche che tutti e tre i soggetti coinvolti in queste vicende dovrebbero dimettendosi dai rispettivi incarichi pubblici. Il perché ci sembra così ovvio che si può riassumere in poche parole: perché questo è il comportamento che in tutto il mondo civile viene ritenuto obbligatorio in circostanze del genere e di fronte ad evidenza così palese.
Ma la questione di fondo, in realtà, è altra e coinvolge il sistema universitario italiano, il Ministero della Pubblica Istruzione, il sistema dei media ed il complesso dell'opinione pubblica italiana. Tale questione affonda le radici nello stesso terreno dell'omertà. Questi non sono i primi ed isolati casi di professori universitari (a volte legati alla politica ma spesso no) platealmente scoperti a plagiare lavori altrui. E non è mai successo nulla: nessuno si scandalizza, la stampa tratta il tutto al più come folkloristico esempio di nazionale furbizia, le università coinvolte non adottano sanzioni commisurate alla gravità dei fatti - per essere chiari: a fronte di plagi così seri altrove si perde il posto - e gli autori di tali azioni rimangono al loro posto e continuano tranquillamente la loro carriera accademica e, a volte, politica.
Tutto questo è semplicemente assurdo ed estremamente dannoso. Non serve nemmeno argomentare perché, è ovvio perché sia dannoso: l'istruzione e la ricerca si fondano sulla trasparenza e la reputazione di (cercare di) "dire la verità". Nel momento in cui si accettano o si minimizzano fatti come quelli che abbiamo riassunto, l'intero sistema dell'istruzione e della ricerca perde credibilità e legittimità.
Ora, siamo certi che molti diranno "non bisogna fare d'ogni erba un fascio", e concordiamo: non bisogna generalizzare. Ma allora, se davvero pensiamo che non bisogna generalizzare e che il cancro della truffa accademica e dell'omertà che la copre sia limitato a pochi e relativamente isolati individui non dobbiamo fare altro che denunciarli pubblicamente chiedendone la rimozione dagli incarichi pubblici che coprono, quando li coprono, e comunque dai loro incarichi universitari. Noi l'abbiamo fatto con questo articolo.
Alberto Bisin, Michele Boldrin, Sandro Brusco, Giovanni Federico, Andrea Moro, Giulio Zanella
mi interessa sapere se eco di questi fatti circoli anche nel mondo accademico USA; ieri sera il Presidente Trump ha lodato con Gentiloni il fatto che gli studenti universitari americani scelgano gli atenei italiani per venire a fare un semestre abroad.
nel vostro pezzo molto interessante citate un manuale di Harvard, ma a me interessa capire se questi fatti ( che sono gravi a prescindere) vengano evidenziati anche oltreoceano. Visto che molti di voi sono impiegati in univerista' USA , questi plagi hanno leso il valore delle universita' Italiane e esistono studi che evidenziano non solo lo sbaglio singolo ma se in realta' questo sia la punta di un problema piu' diffuso? Siete a conoscenza di fatti analoghi accaduti ad atenei prestigiosi USA? Mi piacerebbe capire se esista una statistica