Il fascino della “soluzione di sistema” non tramonta mai, sopratutto nei lidi italici dove, evidentemente, ancora resiste la nostalgia per i vecchi tempi in cui le azioni si pesavano e non si contavano. Non poteva pertanto che venire da un italiano, ancorché presidente dell’European Banking Authority, la proposta di un'ennesima rivisitazione di quella bad bank, che in tanti speravano avrebbe soccorso le banche italiane, ma che poi si è rivelata uno strano topolino partorito dalla montagna dei crediti problematici che avevano ormai raggiunto un'altezza senza precedenti e che avrebbe forse richiesto interventi di ben altra misura.
Obbiettivo di questo sintetico post è argomentare come il massimo risultato che ci si può attendere da questo tipo di alchimie interventiste sia il rinvio dei problemi e non già la loro soluzione, cogliendo l'occasione per evidenziare come in questo settore di attività il mercato sia tutt'altro che fallito come vorrebbero sostenere coloro ai quali non piacciono i prezzi che su di esso si formano.
La Proposta di Enria
In estrema sintesi, quella proposta da Enria sarebbe una Asset Management Company (quindi, a voler essere pignoli, una cosa diversa da una bad bank) che dovrebbe:
- Acquistare dalle banche i crediti in sofferenza pagandoli al loro “reale valore economico”;
- Provare a rivenderli sul mercato (o a recuperarli, presunzione mia non esplicitata) per un periodo definito, per esempio 3 anni;
- Restituirli alle banche cedenti per la quota che non è riuscita a rivendere (o recuperare).
Da sottolineare (secondo i fautori della proposta) che:
- Costituirebbe “aiuto di stato” solo la eventuale differenza tra il valore “economico” e il valore di mercato;
- Non ci sarebbe socializzazione a livello europeo delle perdite del sistema bancario perchè restituendo al mittente i crediti non venduti la eventuale ricapitalizzazione successiva sarebbe a carico dei governi nazionali.
Ci sono una serie di domande abbastanza immediate che un impianto del genere suscita. Nell’ordine:
- Che cos’è il valore economico delle sofferenze, se è diverso da quello di mercato?
- Perché, se l’AMC ha comprato al valore economico in un certo istante, dovrebbe essere possibile rivendere a un valore diverso entro 3 anni? Le sofferenze migliorano col tempo come il vino di qualità?
- La banca mette in pratica una “cessione a elastico” con crediti che entro un certo periodo potrebbero tornare al mittente, e verosimilmente non può liberarsi dal rischio connesso a quelle esposizioni. Dunque che vantaggi dovrebbe trarre dall’esistenza di questa AMC?
Una interpretazione di buona volontà
Posto che l’idea non è nata dal delirio etilico dei soliti policy maker da bar sport, ma dalla presidenza di un’istituzione autorevole, proviamo a prenderla sul serio.
Cerchiamo una risposta plausibile al quesito 1: il valore economico reale potrebbe essere qualcosa che si colloca sopra il valore di mercato (ossia di immediato realizzo da rivendita a un terzo investitore) e verosimilmente sotto il valore netto di bilancio.
Il limite inferiore deriva dalla considerazione che a valori pari o inferiori ai prezzi di mercato la banca non avrebbe convenienza a vendere e l’AMC sarebbe inutile. Il limite superiore deriva invece dall'idea che l’istituzione è pensata per soccorrere degli istituti in difficoltà e dunque implicitamente assume che i valori di bilancio siano troppo ottimistici. Se così non fosse le banche non avrebbero necessità di supporto, dunque è inverosimile che il supporto fornito dall’AMC giunga al punto di far guadagnare le cedenti. Si tratta di considerazioni mie volte a cercare di dare un senso alla proposta sulla quale al momento non sono stati forniti maggiori dettagli.
Proviamo a chiarire il punto con un esempio. Prendiamo un credito in sofferenza dal valore nominale di 100 garantito da un immobile che venduto in asta potrebbe portare a un recupero di 60 entro 3 anni. Il valore di mercato del credito potrebbe essere intorno a 25-30 poiché chi lo compra deve dedurre dai 60 previsti i costi di recupero e scontare i flussi futuri al proprio tasso di rendimento. Supponiamo che la banca abbia il credito in bilancio a qualcosa tipo 70-75, valore ottenuto grazie a una perizia aggiornata redatta da un fornitore indipendente, battezzato dai revisori dei conti, cresimato dagli ispettori BCE in comprehensive assessmente e last but not least avvalorato dal fatto che il perito del tribunale (CTU) propone un valore di 80.
Il valore economico potrebbe essere qualcosa di vicino ai 60 che assumiamo essere il recupero effettivo che si otterrà dal credito. Questo tipo di interpretazione consente di dare una risposta anche alla domanda numero 2: l’AMC riesce a realizzare il valore del credito o perchè il bene viene venduto e ottiene il riparto dal tribunale o perchè avvicinandosi il momento in cui avverrà il riparto un compratore di mercato è disponibile a pagare un prezzo più elevato perchè i flussi di cassa attesi sono scontati per un periodo di tempo minore e, se ad esempio c’è già stata l’aggiudicazione del bene, diminuisce anche il rischio implicito nell’operazione.
In quest’ottica la banca otterrebbe il beneficio di spalmare la perdita in 2 tempi registrando la differenza tra valore di bilancio e valore economico al tempo zero e quella tra recupero effettivo e valore economico entro i 3 anni.
Putroppo la risposta al punto 3 fa cadere questo castello di carte costruito con tanta buona volontà: cedere un credito con la prospettiva di riprenderselo, se l’acquirente non riesce a recuperarlo o rivenderlo, non può consentire alla banca di avere alcun beneficio di bilancio. I motivi sono di carattere tecnico, ma perfettamente comprensibili con un po' di buon senso: se l’istituto rimane esposto al rischio di perdite aggiuntive non è prudente che registri l’operazione come uscita definitiva di quegli attivi dal bilancio. I principi contabili recepiscono questo buon senso e non consentono di deconsolidare il credito se la cessione del credito non avviene pro soluto.
Dunque, anche volendo applicare questa interpretazione di buona volontà la proposta non sta in piedi:
- La costruzione “a elastico” che ottiene il plauso anche del SSM non consente di deconsolidare i crediti dunque l’AMC ipotizzata non aiuterebbe neanche a “spalmare” la perdita nel tempo a causa di vincoli di natura contabile;
- Al di là del tecnicismo sul deconsolidamento, non c’è alchimia contabile che consenta di evitare o addolcire la realtà della perdita derivante dal valore di effettivo realizzo del credito e il valore netto di bilancio;
- Qualsiasi strada volta ad anticipare i tempi rispetto al momento in cui il credito verrà effettivamente recuperato necessita di uno sconto commisurato al tempo, ai costi e al rendimento desiderato da chi anticipa i fondi.
Quel fallimento di mercato che non c’è
Provando ad essere costruttivi dopo aver criticato l’ennesima idea di bad bank, proviamo a concludere con qualche parola sul mercato. Sottesa a tutte le soluzioni di sistema proposte c’è l’idea che il mercato da solo non consenta agli istituti di credito di smobilizzare asset illiquidi come i crediti non performing: si parla di fallimento di mercato e quindi della necessità di un intervento di tipo pubblico per sbloccare la situazione.
Che il mercato sia fallito o non esista è palesemente falso. Un articolo recente del Sole 24 Ore parlava di possibili vendite di NPL per circa 70 miliardi che è il 35% dell’intero stock di sofferenze del paese. Una stima meno ottimistica è fornita dal report periodico redatto da PriceWaterhouseCoopers e si attesta sui 50 miliardi. Procedendo aneddoticamente sulle principali operazioni pubbliche: la sola Unicredit ha concordato la dismissione di 17,7 miliardi e ne ha in programma forse altri 5; Intesa San Paolo concluderà in questi giorni una cessione da 2,5 miliardi e tramite la divisione Capital Light Bank ha dismesso 20 miliardi di asset non core di cui 10 di sofferenze; prima di fondersi con BPM nel 2016 Banco Popolare ha perfezionato due cessioni da 750 milioni ciascuna lo scorso anno. Ma non sono solo i grandi istituti a cedere: pescando dalla stampa ricordiamo l’operazione di Banco Desio per 150 milioni trasferiti a Creditech - testimonianza indiretta dell’esistenza di un mercato primario - e l’operazione di mercato secondario con cui Banca IFIS ha rivenduto all’operatore polacco Krukk circa 750 milioni di NPL acquisiti in precedenza.
Insomma il mercato c’è, e se a qualche venditore i prezzi non stanno bene è un problema individuale e non di sistema. In questo contesto esiste una chiara politica per favorire l’abbattimento dello stock abnorme di crediti non performing: astenersi dal far politica, indicare degli obbiettivi chiari (per esempio in termini di sofferenze nette sul totale crediti netti o di texas ratio) e fornire agli operatori tempi ragionevoli per raggiungerli. Le soluzioni di sistema - che poi si rilevano inefficaci, quando non impraticabili - alimentando le aspettative di salvataggi, sussidi et similia finiscono solo per rinviare la soluzione dei problemi.
Un papaer che fornisce qualche dettaglio in più
www.centralbanking.com/central-banking-journal/opinion/2481794/why-the-eu-needs-an-asset-management-company
voxeu.org/article/search-european-solution-non-performing-loans