Per articolare questa tesi partiamo da un riassunto della nostra interpretazione dei fatti.
1) Una parte rilevante del sistema bancario italiano è di fatto in situazione di quasi fallimento: il capitale sociale di varie banche non appare in grado di coprire le perdite da contabilizzarsi qualora l'ammontare di crediti non esigibili (NPL) e di crediti incagliati fosse ascritta in bilancio a valori di mercato. Questo vale con ogni probabilità per MPS, BPVI, Veneto Banca, Banco Popolare, eccetera, e forse anche per Unicredit ed altre minori. Non è possibile fare affermazioni precise a questo proposito, anche perché i valori di mercato di NPL e crediti incagliati non saranno noti fino a che non si ricorra realmente al mercato e questo è quello che il sistema bancario - ed il sistema politico che lo supporta - ha disperatamente cercato di evitare fino a questo momento.
2) Le pessime condizioni del sistema creditizio italiano sono in essere da almeno un decennio; la sua paralisi è la causa principale di una recessione-stagnazione che in Italia sembra esser diventata permanente. La crisi economica degli ultimi sei anni ha aggravato ulteriormente le condizioni di molte banche. Tale situazione è stata colpevolmente occultata da tutte le parti coinvolte, Banca d'Italia e Consob anzitutto. La BCE, avendo assunto recentemente le principali funzioni regolatorie che in precedenza spettavano alla Banca d'Italia, ha scoperchiato la pattumiera fino ad ora ben tappata.
3) Esiste una procedura di risoluzione del problema - ben definita a livello europeo, concordata da vari governi italiani e dall'Italia regolarmente accettata - ma il sistema politico italiano non è in grado di accettare le conseguenze di una rigorosa e ben amministrata applicazione del bail-in. Per una semplicissima ragione: porterebbe all'azzeramento del capitale delle fondazioni bancarie e alla cancellazione dell'intreccio di potere politico-economico che controlla e governa il sistema bancario italiano da almeno 40 anni. Con esso se ne andrebbe una buona parte del controllo che i vari partiti (PD, FI e LN in primis, ma con la conquista della amministrazioni locali presto anche il M5S) esercitano su quella (residua) parte dell'economia italiana che non è già, ufficialmente o di fatto, controllata dal potere politico.
4) Come conseguenza del lungo declino e delle politiche dissennate seguite in questi due ultimi decenni, non si trova in Italia il capitale finanziario privato necessario per ricapitalizzare le banche italiane. Questo è, prima di tutto, l'ovvio e bruciante insegnamento del tentativo del Fondo Atlante (e del suo neonato fratello Giasone) di raccogliere capitale sul mercato: non ce n'è o, che è lo stesso sui mercati finanziari, nessuno si fida di mettere una lira di investimento nelle mani delle fondazioni bancarie e di questa classe politica. Questo vuol dire che, comunque la si giri, ricapitalizzare le banche a mezzo di risparmio italiano è impossibile senza l'intervento dello stato. E se le si ricapitalizza con investimenti non italiani il controllo del sistema politico sulle banche evapora.
5) Per questa ragione l'intera classe politica italiana ed i suoi correlati bancari sono allineati e coperti dietro a Padoan, Guzzetti e l'ABI che, con Penati al controllo delle tastiere, sta provando ogni tipo di escamotage per riuscire ad usare soldi pubblici al fine di mantenere il controllo del sistema bancario: CDP, garanzie del Tesoro su acquisti NPL, Banco Posta, fondi Inarcassa e quant'altro verrà loro in mente. L'indecoroso spettacolo che si sta consumando - nel silenzio se non nella complicità estiva di media e politica - ha un solo fine: trovare soldi dei contribuenti perché la classe politica mantenga il controllo del sistema bancario.
La soluzione che si prospetta
Prima di illustrare la nostra proposta, usando l'esperienza spagnola come prototipo, vorremmo rendere chiaro al lettore cosa pensiamo la "soluzione all'italiana" si prospetti essere, almeno al momento. Ci soffermeremo solo sul caso MPS, perché è il più grave ed è quello paradigmatico. Ma l'analisi del caso MPS si può estendere, con le variazioni quantitative e di dettaglio appropriate, ad altre banche. Farlo qui, caso per caso, richiederebbe troppo tempo e sforzo di raccolta dati. Altri potranno contribuire nella discussione. Ecco i termini della "soluzione" per MPS:
- Le sofferenze verranno deconsolidate a valori "non troppo lontani da quelli di mercato" (annacquamento dei prezzi). Questo vuol dire che verranno cedute a valori superiori a quelli di mercato perché, se venissero cedute a essi, da un lato non occorrerebbe l'intervento di Atlante (altri sarebbero disposti ad acquisirle) e, dall'altro, le perdite che MPS dovrebbe postare a bilancio sarebbero molto maggiori. Si parla di un valore di cessione di 7,7 miliardi a fronte di un netto (valore con cui quei crediti sono oggi iscritti nell'attivo) di 9,7 con conseguente perdita di 2 miliardi, da colmare con apposito aumento di capitale.
- Il patrimonio dell'istituto verrà reintegrato con un aumento non inferiore a 2 miliardi (per coprire la dismissione delle sofferenze), ma che può arrivare a 6 (2 ulteriori per dismettere una parte dei crediti problematici non ancora a sofferenza e altri 2 per il maggiore assorbimento di capitale dovuto alla revisione dei modelli di rating interno in seguito alla cessione al di sotto dei valori netti di bilancio) sul quale è quasi certo che occorra una garanzia dello stato, che potrebbe anche esserre costretto a intervenire direttamente.
- I piccoli risparmiatori potrebbero essere salvaguardati con un riacquisto da parte del monte delle obbligazioni con ammissione del misselling.
Trattasi di un classico "compromesso politico" a carico dei contribuenti, perchè nel più tradizionale degli schemi le perdite verranno socializzate (quando scopriremo quanto "non di mercato" è il prezzo di cessione, oltre ad eventuali necessità di intervento nell'azionariato), mentre i potenziali utili verranno raccolti dai privati a cui verrà permesso di entrare come nuovi azionisti, una volta ripulita la situazione.
Una soluzione duratura e non a carico dei contribuenti NON passa da escamotage "creativi", tipo utilizzare la CDP facendo finta che non sia un'emanazione del Ministero del Tesoro, o armando con garanzie del Tesoro la lunga mano delle fondazioni bancarie o, peggio ancora, espropriando i fondi pensione dei professionisti per trovare capitale "privato".
Alberto, in questo post, ha indicato che esisterebbero due strade praticabili, senza ricorrere ai contribuenti:
1. Ricapitalizzazione con fondi pubblici ma sotto il controllo esterno: l'ESM (European Stability Mechanism, o Fondo Salva-Stati) come fatto dalla Spagna nel 2012. Per chi fosse interessato ai dettagli, parliamo di Bankia e di come venne ripulita via EMS - qui, qui e qui trovate ulteriori analisi prodotte al tempo da colleghi spagnoli. Sì, questo significa chiamare gli elicotteri da fuori, anche se si può fare il tutto senza mettere in mezzo il FMI.
2. Ricapitalizzazione privata, anche forzata, con riconversione di (almeno alcune) obbligazioni in azioni. Un esempio di come questo possa avvenire lo trovate nell'analisi della direttiva BRRD sviluppata da Phastidio.
La seconda opzione prevede che ci siano delle perdite per gli obbligazionisti e, nel caso di MPS, il 65% di loro è costituito da piccoli risparmiatori. Ignorando in questa sede il "costo politico" in termini di consenso, paventato dal governo, può comunque avere un senso immaginare una forma di tutela basata sull'assunto che molti degli attuali detentori dei titoli li abbiano acquistati senza la necessaria consapevolezza o che, in ogni caso, abbiano competenze tecniche e propensione al rischio incoerenti con questa tipologia di asset. È un argomento debole, lo sappiamo, perché ogni qual volta si ricorre all'argomento "poveretti non sapevano quel che facevano" per coprire le perdite economiche di alcune persone non solo si crea un precedente ma ci si garantisce che anche la prossima volta non sapranno quel che fanno perché non avranno imparato la dura lezione della vita. In ogni caso, va in questa direzione la proposta di Adam Lerrick riportata da Alphaville e Phastidio, in sintesi si tratterebbe di individuare una "soglia di protezione", ad es 200 mila euro e stabilire che
- i detentori di titoli di credito (di qualsiasi natura) per un ammontare inferiore alla soglia non subiranno perdite;
- i detentori di titoli per un ammontare superiore alla soglia subiranno una conversione in azioni per l'importo necessario a far fronte alle esigenze di ricapitalizzazione della banca.
In questo modo si otterrebbero certamente tre risultati utili:
- Il sostanziale rispetto delle regole europee sul bailin.
- La piena protezione dei piccoli investitori.
- La conferma ed individuazione di un set chiaro di regole semplici per il futuro.
Questo approccio, però, ha anche tre sostanziali limiti, che sono i seguenti
1. Il problema del moral hazard dei "piccoli risparmiatori" (se 200mila vi sembran pochi, in un paese come l'Italia, allora forse gli italiani son più ricchi di quanto sembra) non viene né affrontato né risolto. Siccome l'Italia è il paese "delle Cirio" è tempo di chiedersi che metodi adottare per educare il "piccolo" risparmiatore italiano a capire che il rischio esiste e che i rendimenti non crescono sull'albero della cuccagna.
2. Gli obbligazionisti verrebbero trattati in modo differenziato perché, fondamentalmente, si modificherebbero retroattivamente le regole del bailin per avvantaggiare solo alcuni di loro. Il vantaggio di alcuni creditori, in un fallimento, è uno svantaggio per gli altri visto che, in questo caso, la torta da dividere è fissa.
3. Ammesso, ma non concesso, che la conversione delle obbligazioni in azioni soddisfi le necessità di capitale (assunto che con "obbligazioni" non si intenda anche "conti correnti", nel qual caso basterebbero ma allora saremmo di fronte ad un altro problema molto serio: sarebbe necessario un "corrallito" per condurre in porto l'operazione) rimane il fatto che, con questa procedura, si rischia di lasciare le banche italiane in mano alla stessa genia di personaggi che l'hanno mal-gestito durante gli ultimi 40 anni. E questo è un difetto grave.
In questa sede vorremmo, quindi, perorare la causa dell'ipotesi 1 (proposta, da quanto intendiamo, condivisa anche da Francesco Daveri in una intervista a FT) perchè - al di là delle preoccupazioni contingenti sui "piccoli risparmiatori", che sembrano sempre di più la foglia di fico usata per proteggere ben altri interessi - si tratta dell'unica soluzione che consente di riformare radicalmente gli istituti eliminando radicalmente i meccanismi (e buona parte degli attori) che hanno portato al dissesto attuale ed esorcizzando definitivamente il fantasma del moral hazard che, decenni di storia ce lo insegnano, impesta il sistema bancario italiano. Sul perché siano necessarie soluzioni radicali - che passano per una ricapitalizzazione sostanziale, cambiamento del management e tempi sostanziali di riaggiustamento - si veda questo ottimo articolo, che usa proprio i recenti eventi italiani per argomentare il punto.
Infine, la soluzione da noi proposta avrebbe anche un altro vantaggio, anzi ne avrebbe altri due fra loro interconnessi: permetterebbe di risparmiare sull'emissione di debito pubblico italiano necessaria a ricapitalizzare le banche ed imporrebbe un controllo esterno al nostro sistema politico sulle procedure di nazionalizzazione, ricapitalizzazione e vendita sul mercato. Due vantaggi non da poco.
Riassumendo: una nazionalizzazione dell'istituto, soggetta al vincolo esterno ESM, con percorso di risanamento chiaro e successiva cessione consentirebbe di
- Limitare l'impiego di capitali pubblici: azzerando azionisti e obbligazionisti l'unico esborso immediato sarebbe stato quello inerente l'eventuale indennizzo per i piccoli obbligazionisti. Il resto del capitale lo mette l'EMS e glielo si restituisce mano a mano che si privatizza, come stan facendo gli spagnoli.
- Valorizzare senza fretta eccessiva il portafoglio delle sofferenze scegliendo in modo razionale quale parte è più conveniente dismettere quale mantenere in gestione.
- Portare a termine una ristrutturazione credibile gestendone riduzioni del personale e dimissione di asset non core.
- Procedere alla rivendita dell'istituto con tempi e modalità tali da consentirne una valorizzazione adeguata.
La lezione spagnola
Bankia nasce nel 2010 dalla fusione di sette istituti assegnandone la proprietà ad una holding company, Banco Financiero y de Ahorros, nella quale confluiscono gli asset illiquidi delle banche precedenti assieme ad un contributo di 4,5 miliardi da parte del FROB, il fondo di sostegno interbancario creato dal governo spagnolo per cercare di gestire la crisi delle casse di risparmio spagnole. Il FROB era, mutatis mutandis, la versione spagnola di Atlante-Giasone ed aveva la stessa finalità: lavare i panni sporchi in casa e mantenere il controllo della classe politica spagnola (tutta, da IU a PP, passando per il PSOE) sul sistema delle cajas de ahorro, ossia il 50% del sistema bancario. Il contributo FROB viene erogato a fronte dell'emissione di azioni privilegiate con rendimento predeterminato al 7,75% e scadenza nel 2015. Successivamente la nuova società viene quotata in borsa riuscendo a raccogliere circa 3 miliardi principalmente sul mercato domestico. Se il tutto vi suona familiare, avete le orecchie giuste.
La situazione rimane tuttavia critica e, tra il 2011 ed il 2012, precipita. A fine 2011 cambia il governo, che passa da PSOE a PP (Bankia, nell'ambito spagnolo, era "del PP" che controlla Ayuntamiento e Comunidad de Madrid oltre alle comunidades circostanti) ed il PP tenta l'impossibile per "salvare Bankia" così com'è. Anche perché un pezzo grosso del partito (Rodrigo Rato) ne è a capo ... In ogni caso, nel 2012 il governo è costretto a convertire i propri prestiti obbligazionari in azioni con diritto di voto, arrivando a controllare Bankia con una quota del 45%. Nonostante questo ed altri tentativi simili si arriva a sospendere la quotazione in borsa. Il rating di Bankia viene tagliato da Standard & Poors a livello di junk bond (BB+).
A questo punto il governo spagnolo cede (se cercate in rete, a partire dagli articoli dei colleghi spagnoli linkati sopra, troverete dettagli sia interessanti che istruttivi, specialmente sul trattamento riservato poi all'alta dirigenza ed a Rato in particolare ...) ed è costretto, letteralmente, ad accettare l'intervento europeo. Viene quindi reso noto che l'istituto riceverà un ulteriore intervento di salvataggio per 19 miliardi (che si vanno ad aggiungere ai 4,5 versati in precedenza) questa volta facendo ricorso al ESM, detto anche fondo salva stati. A fronte di questo nuovo contributo viene cambiato radicalmente sia il CdA che il gruppo manageriale centrale - con l'arrivo di un team di banchieri professionisti guidato da Jose Ignacio Goirigolzarri, estranei al sistema partitico (infatti "nemici" del PP e di Rato, ma la storia, seppur interessante, sarebbe sia lunga da raccontare che solo marginalmente rilevante ...) - e delineato un percorso di ristrutturazione che implica una riduzione del 39% della rete commerciale e del 28% della forza lavoro oltre a una riduzione del capitale sociale con sacrificio degli azionisti e di svariati obbligazionisti. I depositanti vengono integralmente preservati.
Grazie al vincolo esterno, il risanamento si rivela efficace:
- nel 2014 il governo spagnolo ha potuto cominciare a rivendere sul mercato le proprie partecipazioni realizzando un utile, la quota dismessa è pari a 7,5% del capitale ceduto per 1,3 miliardi con un utile di 130 milioni
- nel 2015 Bankia paga il suo primo dividendo e perfeziona la cessione di City National Bank of Florida per 883 milioni con una plusvalenza di 117 milioni
- alla fine dello stesso tutti gli obbiettivi del programma di risanamento sono stati raggiunti con 2 anni d'anticipo
Applicazione al caso italiano
Per quanto possa apparire banale a dirsi, l'esperienza spagnola insegna che aggiungere liquido in una recipiente bucato e mal gestito può solamente rinviare il momento in cui la perdita porterà allo svuotamento totale; per fare in modo che un intervento sia risolutivo occorre condizionare l'apporto di nuovi liquidi alla riparazione della falla ed all'arrivo di un nuovo gestore, migliore del precedente. Banale, no?
In Italia in MPS di acqua ne è stata aggiunta parecchia da vari fonti (2 aumenti di capitale per 5 e 3 miliardi, vari Tremonti e poi Monti bonds in parte convertiti in azioni) e i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Il piano di risanamento in corso non risulta ancora credibile per i mercati, ossia per chi dovrebbe comprare le azioni MPS, come i corsi del titolo provano quotidianamente. Solo con l'introduzione di un vincolo esterno, quale appunto potrebbe essere l'intervento/contributo del Meccanismo Europeo di Stabilità è possibile immaginare che una radicale ristrutturazione dell'istituto possa avvenire in tempi certi e con obbiettivi ben definiti e credibili. Quello che vale, in modo drammatico e macroscopico, per MPS, vale anche per Veneto Banca, BPVI e molte altre che forse merita non menzionare per evitare l'impressione si voglia fare del vuoto allarmismo.
Alle solite non servono tecnicismi complicatissimi (come taluni cercano di far credere con argomenti speciosi, tipo il "rischio sistemico" che oggi c'è e domani non c'è più a seconda di come tira il vento della politica ...) quanto la semplice ammissione che la gestione di aziende in base ad indirizzi politici produce dissesti. Nel momento in cui il governo decide di intervenire per alleviare i costi sociali di questi dissesti (e nel caso degli istituti di credito questo intervento ha in genere più argomenti in favore rispetto al caso di istituti non finanziari) dovrebbe scegliere la strada che minimizza l'esborso per i contribuenti, intervenendo in modo strutturale sulle cause del dissesto per eliminarle definitivamente e rendendo più ampia possibile la partecipazione agli eventuali utili, realizzabili al termine del processo, da parte di chi nella rinnovata banca si prende il rischio di investire.
La nostra proposta è semplice: fare come in Spagna.
Mi alzo e trovo questo splendido articolo. Ho solo un paio di domande: 1) Quanto costa? Che interesse ci applicano in soldoni 2) Poiche' la decisione va approvata dai membri(noi contiamo per il 17%), l'approvazione non costituirebbe un pericoloso precedente (vista la scarsa rilevanza sistemica di MpS...in teoria mi pare che da statuto l'ESM non possa proprio intervenire..) 3) Vedi punto 2)....la Germania(&followers) approva? Saluti
Il costo per i contribuenti verrà determinato nel momento in cui le garanzie eventualmetne prestate verranno fatte scattare quindi per ora non possiamo saperlo. E' tuttavia abbastanza certo che le sofferenze vengano trasferite a prezzi maggiori di mercato per cui ci si può attendere una perdita su questa operazione (o un rendimento vicino allo zero assumendo che la differenza rispetto al prezzo di mercato sia limitato all'utile netto dei compratori privati).
Il costo per i contribuenti dipenderà da quanto della perdita finirà sulle entità pubbliche come cassa depositi e prestiti o sulle casse previdenziali (da cofermare il contributo di SGA anch'essa pubblica). Detto costo andrà poi sommato algebricamente ad eventuli gain su altre operazioni (p es se si riesce a vendere Veneto o vicenza a più di 10 cent per azione allora ci sarà un utile su quell'operazione).
CI sono poi oneri indiretti collegati al costo opportunità (i soldi che CDP e gli altri contributori mettono in queste operazioni non li prestano all'economia) degli impieghi alternativi.
Non conosco il dettaglio tecnico del livello sistemico e iMVHO credo che gli altri approvino non fosse altro che per motivi "politici".