Sul Corriere di oggi appaiono due articoli sulla recente decisione del Ministero di allocare una piccola parte dei fondi per l’università per il 2010 secondo il “merito”. Non li trovo on line, quindi niente links.
Nonostante le promesse, il Ministero non ha ancora reso pubblici tutti i dati su cui si è basato, ma i criteri sono abbastanza chiari. Il “merito” è una media ponderata di due indicatori relativi alla didattica e di tre relativi alla qualità della ricerca. La qualità della ricerca è misurata con la capacità di attrarre fondi nazionali ed internazionali e con i risultati di una indagine di un comitato ministeriale (il CIVR) sulla qualità della ricerca degli anni 2001-2003. In sostanza i risultati del CIVR pesano per circa un terzo sulla valutazione finale.
L’articolo di Pagano-Jappelli critica i criteri adottati, sostenendo che la valutazione della didattica potrebbe stimolare un ulteriore abbassamento del livello degli studi e che la valutazione della ricerca penalizza ingiustamente i gruppi di ricerca di alto livello nelle università mediocri. Propone, alquanto confusamente a mio avviso, di allocare i fondi ai Dipartimenti e non alle università. Giavazzi, spesso ritenuto l’ispiratore della recente strategia ministeriale, difende la ripartizione, ricordando che si tratta solo di un passo iniziale verso il cambiamento. Ammette che il problema segnalato da Pagano/Jappelli esiste, e propone di risolverlo i) facendo conoscere al rettore la lista dei Dipartimenti meritevoli o, ii) distribuendo direttamente ai gruppi di ricerca meritevoli i fondi aggiuntivi sotto forma di cattedre ad personam
Credo che la stragrande maggioranza dei lettori di nFA sia favorevole all’idea di collegare l’allocazione dei fondi universitari alla qualità della ricerca e, possibilmente, della didattica. Personalmente ritengo, come Giavazzi, che un’allocazione basata su criteri “di merito” imperfetti sia meglio di nessuna allocazione sulla base della qualità. Però il problema si sposta inevitabilmente dal livello nazionale a quello locale. La distribuzione dei fondi nazionali secondo la qualità può avere effetti benefici solo se stimola una distribuzione dei fondi sulla base della qualità anche all’interno di ciascuna università.
La soluzione Pagano-Jappelli risolve il problema alla radice affidando al Ministero anche la distribuzione locale dei fondi. Elimina del tutto il poco di autonomia ancora rimasta e soprattutto crea un incubo burocratico. Invece di valutare un centinaio di università si tratterebbe di valutare almeno 2000-3000 Dipartimenti. Inoltre, la loro natura giuridica di aggregazioni quasi spontanee di docenti aprirebbe ampi spazi per giochetti burocratici. Solo un esempio, fra i tanti possibili: e’ logico che un Dipartimento nuovo parta dal livello zero, senza premi o penalizzazioni di qualità. Chi potrebbe impedire all’università X di sciogliere il Dipartimento di Y, che ha avuto una valutazione pessima, farlo rinascere come Dipartimento di Z, magari con qualche accorpamento, e pretendere la valutazione base?
La soluzione Giavazzi i), l’indicazione pubblica dei Dipartimenti virtuosi, è in teoria corretta ma potrebbe avere effetti modesti o nulli. Consideriamo il caso di un’università complessivamente pessima con due-tre gruppi eccellenti, che raccolgano nel complesso il 10% dei professori. E’ ovvio che questi ultimi si sentano frustrati, ma quali incentivi avrebbe il restante 90% a cambiare atteggiamento e darsi da fare? E quali incentivi avrebbe il rettore a stimolarli, dato che in ultima analisi la sua rielezione dipende dai voti della maggioranza? La quota distribuita sul “merito” potrebbe influenzare i comportamenti solo se la penalizzazione fosse tale da impedire il funzionamento minimo dell’istituzione. Purtroppo, molti professori non considerano la ricerca fra le funzioni indispensabili, e molti rettori si sono subito adeguati, minacciando tagli alla ricerca. L’unica vera funzione indispensabile dell’Università è il pagamento degli stipendi dei professori stessi, e quindi la distribuzione sul “merito” sarebbe veramente efficace solo se una performance pessima lo mettesse in pericolo.
In altre parole, il nuovo metodo di distribuzione dei fondi è un segnale importante, ma per innescare un circolo virtuoso sarebbe necessario il verificarsi di (almeno una di) queste tre condizioni
i) un aumento della quota distribuita sulla base del “merito” almeno al 15%;
ii) la possibilità di diversificare gli stipendi (la soluzione Giavazzi i));
iii) un cambiamento dei meccanismi di governance.
Tutte e tre le condizioni implicano ulteriori riforme, che richiedono una forte volontà politica per superare le prevedibili opposizione da parte della maggioranza dei docenti, ed un accurato disegno delle nuove istituzioni. Non è chiaro se la volontà politica sia abbastanza forte (il continuo rinvio della presentazione del progetto di riforma è un brutto segnale) e le precedenti esperienze mi fanno dubitare molto della capacità di questo governo, e dei governi italiani in genere, di produrre e far approvare riforme tecnicamente ben congegnate.
Una rondine non fa primavera, anche se è meglio di zero rondini (Mourinho). Speriamo almeno che non sia impallinata…
Nel tanto citato sistema britannico (il RAE) i vari atenei non vengono valutati nè in blocco nè per dipartimenti ma per "argomenti" (se sto dicendo una castroneria fermatemi). Se ho un dipartimento di matematica che fa ribrezzo chiuderlo e ricostituirlo come "dipartimento di scienze matematiche" non mi aiuta e quindi la critica viene a cadere.