Questo non vuole essere un post giuridico o troppo tecnico, ma fatalmente un po’ di gergo legale potrebbe scapparci. Se a un certo punto vi sentite smarriti (per nostra colpa) o siete scoraggiati dal gergo legale, vi invitiamo a tornare all'inizio del post per rileggere le seguenti parole.
Nessun individuo potrà essere sottoposto a tortura o a trattamento o a punizione crudeli, inumani o degradanti.
E’ l’articolo 5 della la convenzione universale sui diritti dell’uomo, alla quale la maggior parte delle nazioni ha deciso di vincolarsi. Il senso di quello che andremo raccontando è tutto lì. E visto che parleremo di Stati Uniti, ricordate che la frase sulle punizioni crudeli, inumane e degradanti è praticamente presa di peso dall'ottavo emendamento della costituzione americana (''Excessive bail shall not be required, nor excessive fines imposed, nor cruel and unusual punishments inflicted'').
Il 10 agosto, il noto autore di romanzi gialli e avvocato John Grisham, ha pubblicato sul New York Times un articolo in cui narra la vicenda di un detenuto a Guantanamo, imprigionato fin dal 2001, senza accusa e senza processo e mai liberato, nonostante vi siano stati due inviti in tal senso da parte delle stessa autorità statunitensi. L’articolo è stato tradotto in italiano e pubblicato su Repubblica, il 15 di agosto. Purtroppo abbiamo solo il link alla versione in inglese, comunque, non troppo difficile (dopo aver letto la versione italiana, l’abbiamo capita perfino noi…).
Questa storia, pubblicata su uno dei principali quotidiani italiani, non sul giornalino della bocciofila di Vattelapesca, è passata nella generale indifferenza. Ok, d’accordo era ferragosto, ma, in generale, non si può dire che Guantanamo appassioni particolarmente l’opinione pubblica e anche i politici italiani ed europei. Basti pensare alla, ben più vigorosa, reazione avuta quando scoppiò lo scandalo dello spionaggio sistematico svelato da Snowden. La verità è che la questione non ci interessa. Non ci interessa forse perché tocca, in prevalenza, cittadini mediorientali di religione musulmana che, per definizione, sono brutti, sporchi e cattivi.
Se questa è l’amara conclusione a noi torna in mente un famoso aforisma che pare sia di Brecht secondo cui
“Prima di tutto vennero a prendere gli zingari. E fui contento perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei. E stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti, ed io non dissi niente, perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me, e non c'era rimasto nessuno a protestare.”
Ci potremmo fermare qui, ma la vicenda raccontata da Grisham, ci ha fatto tornare in mente un’intervista al giudice della Corte Suprema degli Stati Uniti, Antonin Scalia, pubblicata poche settimane prima dove si prova a giustificare i metodi amerikani di lotta al terrorismo. Scalia, invitato dall’Istituto Bruno Leoni per tenere una relazione, parlò con un giornalista del Corriere della Sera, tentando di giustificare, sotto il profilo giuridico, il comportamento del suo paese. Questa intervista ci ha spinto a qualche riflessione – da filosofi di quart’ordine – sulla natura della legge e dei diritti da essa tutelati.
La storia di Guantanamo ha infatti strettamente a che fare con la procedura penale, ossia l’insieme di regole attraverso il quale una persona può essere giudicata colpevole di un reato. I maestri della procedura sono gli anglosassoni. Sono loro ad avere inventato l’habeas corpus, sono loro ad aver previsto la necessità di un giudice non prevenuto che deve vedere e sentire personalmente i testimoni dell’accusa e della difesa, i quali devono poter essere controinterrogati dalla rispettiva controparte. Anche il nostro codice di procedura penale, pur con i suoi aspetti ideologici e deleteri di cui abbiamo discusso alcuni anni fa, si ispira a questi principi ed è un bene che sia così. In fondo, questi diritti non sono che una manifestazione di un principio evangelico, comune anche a molte altre religioni: non fare ad altri ciò che non vorresti fosse fatto a te.
Ciascuno di noi, se sottoposto a processo vorrebbe:
- non essere sottoposto a carcerazione preventiva o esserlo per il tempo minimo possibile;
- conoscere tempestivamente l’accusa per la quale subisce il processo;
- avere in tempi rapidi un giudizio, di fronte ad un giudice neutrale rispetto all’accusa;
Sono principi elementari, patrimonio comune di solo una parte dell’umanità, di cui però gli Stati Uniti sono i maestri ispiratori.
A maggior ragione stupisce quanto sta avvenendo laggiù dal 2001 a questa parte. Nel nome della santa lotta al terrorismo, dei civili, considerati appartenenti o vicini ad organizzazioni estremistiche di matrice islamica, vengono sequestrati, sottoposti a tortura, deportati e detenuti a Guantanamo, e lì trattenuti per anni, senza una formale contestazione, un processo, una data entro la quale la custodia debba, in assenza di una condanna definitiva, avere termine. Si tratta di uno stravolgimento di principi di diritto elementari, principi di cui proprio gli anglosassoni, come detto, sono stati dei maestri. Proprio per l’abnormità dell’intera vicenda, è interessante capire come un giudice costituzione quale Scalia giustifichi il tutto.
L’intervista inizia facendo riferimento ad un discorso di Obama, in occasione del quale lo stesso Presidente americano ammetteva che gli Stati Uniti avevano violato i principi del proprio ordinamento giuridico e, quindi, l’intervistatore chiede se i metodi di lotta utilizzati siano compatibili con la costituzione degli USA. Scalia risponde:
“La nostra Costituzione protegge i non-americani quando sono in America, ma non limita le attività del governo all'estero, eccezion fatta quando si tratta di cittadini americani. Questa è la legge.”
Da questa risposta traiamo due conclusioni. Sul territorio degli Stati Uniti, il Governo deve rispettare l’habeas corpus, non sequestrare le persone, non torturare. Tale obbligo vale per tutti, siano essi cittadini americani o stranieri. Diverso è il caso in cui il Governo operi all’estero. Nel qual caso è necessario distinguere tra cittadini americani (tutelati dalle norme) e tutti gli altri (privi di qualsiasi tutela giuridica).
Il principio, di per sé, è assolutamente ovvio. Una Costituzione regola i rapporti tra lo Stato ed i suoi cittadini, nonché le regola applicabili sul suo territorio. Non avrebbe alcun senso prevedere delle regole per fatti che avvengono in altri stati. Per i rapporti con gli altri stati vi sono i trattati internazionali. Qualora gli USA dovessero aver previsto per legge la possibilità che propri funzionari possano sequestrare persone e torturarle, purché siano al di fuori degli Stati Uniti e ciò avvenga solo nei confronti di cittadini stranieri, commetterebbe una plateale violazione della sovranità degli Stati ove tali fatti dovessero avvenire.
In ogni caso, al di là delle “sottigliezze” giuridiche cui si aggrappa Scalia, egli dimentica un piccolo particolare: anche a Guantanamo pare sia stata applicata, sistematicamente, la tortura, e Guantanamo dovrebbe essere territorio sottoposto alla giurisdizione degli Stati Uniti, ma su questo ci torniamo dopo.
Il giornalista cerca di fare notare l’obbligo di rispettare principi universalmente accettati da tutti gli ordinamenti democratici, ma Scalia non accetta l’obiezione. Egli risponde che gli Stati Uniti sono tenuti solamente a rispettare i trattati che hanno sottoscritto e che gli USA non avrebbero sottoscritto convenzioni che vietano la tortura. Così ribatte Scalia:
«Certo. E nella misura in cui le abbiamo sottoscritte, sono diventate leggi americane che vincolano l'esecutivo. Ma non ne conosco una, in tema di guerra al terrorismo, che limiti le azioni degli Stati Uniti contro i nemici che ci attaccano…».
Scalia però dimentica un trattato che gli Stati Uniti dovrebbero aver sottoscritto e che, anzi, fu scritto proprio su loro impulso, vale a dire proprio la convenzione universale sui diritti dell’uomo, dalla quale siamo partiti
“Nessun individuo potrà essere sottoposto a tortura o a trattamento o a punizione crudeli, inumani o degradanti.”
Non c’è, riteniamo, molto da aggiungere sul punto.
Nei due passaggi successivi dell’intervista Scalia supera veramente sé stesso. Dapprima egli fa presente che i “terroristi” non possono invocare la convenzione di Ginevra in quanto essi non sono
“… un esercito, soggetto al comando di qualcuno, che indossa un'uniforme. I terroristi non indossano uniformi, giusto? Ginevra si applica nel caso di una guerra e non si applica a chiunque decida di far esplodere una scuola o un grattacielo.”
La motivazione ricorda molto da vicino quella in forza della quale la Wehrmacht impiccava i partigiani a pali del telefono con al collo il cartello “achtung banditen”: non erano soldati in uniforme, ma solo terroristi e quindi per loro niente convenzione di Ginevra.Ma senza farci prendere dalla emotività della lotta partigiana, la tesi di Scalia è anche logicamente fallace.Se i “terroristi” non sono soldati perché non c’è una guerra, ne deriva che sono dei civili ai quali si applicano o, meglio, si dovrebbero applicare, le regole dello stato di diritto in tempo di pace. Poiché essi sono detenuti a Guantanamo, un territorio sotto l'amministrazione e il controllo degli Stati Uniti, si applica, o, meglio, si dovrebbe applicare, l’habeas corpus e non possono essere torturati.
Se siete giunti a questa conclusione non avete però fatto i conti con l’ineffabile giudice. Messo davanti alla questione Guantanamo, egli risponde così
“Il tema non è se uno possa essere detenuto laggiù, ma se vi possa rimanere senza un processo civile. I detenuti a Guantánamo sono stati giudicati da commissioni militari, cosa normale in guerra. Nessuno delle centinaia di migliaia di tedeschi catturati nella Seconda guerra mondiale ebbe un processo civile negli Usa, furono giudicati da tribunali militari.”
Adesso non capiamo più niente...
In pratica, secondo Scalia, il sistema è questo. Finchè quelli che dei funzionari governativi amerikani ritengono essere dei “terroristi islamici” si trovano all’estero, sono solo degli stranieri civili nei confronti dei quali gli USA possono fare qualsiasi cosa, sequestrarli, torturarli e poi deportarli in territori sotto giurisdizione americana, perché, non essendo in guerra, non si applica la convenzione di Ginevra. Dopodiché, una volta atterrati sul territorio di loro giurisdizione, i “terroristi”, per mutazione genetica, si trasformano in soldati di uno stato fantomatico, che solo Scalia pare conoscere ed ai quali non si possono applicare le regole previste per i civili.Questo è ciò che dice uno dei custodi della Costituzione americana.
Lo strumento grazie al quale si riesce a produrre questa mutazione genetica, è proprio Guantanamo stessa. Pare che la base americana a Cuba abbia l’invidiabile caratteristica di avere uno status giuridico del tutto peculiare ed unico, tale da consentire l’interpretazione per la quale essa – detto con elegante terminologia giuridica - non sarebbe né carne e né pesce.
Guantanamo è formalmente territorio cubano, ma in base ad un contratto di affitto (senza scadenza) sottoscritto nel lontano 1903, “la Repubblica di Cuba consente che durante il periodo dell’occupazione da parte degli Stati Uniti di tali aree, gli stati Uniti eserciteranno completa giurisdizione controllo”. Per il leguleio che è in noi, “giurisdizione” significa competenza dei giudici USA secondo le regole procedurali e sostanziali USA, dato che l'alternativa sarebbe, per assurdo, giurisdizione cubana, secondo le regole procedurali e sostanziali di quel paese o, alternativa ancora più assurda, Guantanamo sarebbe un luogo senza diritto e senza giudici, cosa che, sulla terra, non esiste, o, meglio, non dovrebbe esistere.
In realtà, sembra che le cose stiano molto vicine alla nostra terza ipotesi. L’interpretazione prevalente che viene data da numerose sentenze della corti federali e della Corte Suprema USA è che l’area è soggetta alla formale sovranità cubana, ma il governo USA può gestire il territorio come gli pare, senza essere vincolato dalle norme che si applicano automaticamente sul territorio nazionale. Diretta conseguenza di questa interpretazione e che Guantanamo diventa la prigione ideale e chi viene detenuto colà, si trova in un limbo giuridico, nel quale, sostanzialmente, tutto è permesso. Come furbata da legulei dovete ammettere che è di classe.
Il dibattito sul punto è molto acceso e, come detto, questo non vuole essere un post giuridico, tuttavia se avete voglia di approfondire, andate su google, inserite come ricerca “guantanamo legal status” e ne leggerete delle belle (qui e soprattutto qui per un assaggio).
Ma torniamo a Scalia. Egli, con le sue contorsioni logiche prima che giuridiche, arriva stracciare secoli di civiltà per una mera questione ideologica. Durante la sua permanenza in Italia, tra il tripudio dei garantisti a senso unico di italico suolo, pare abbia fatto un discorso contro “l'attivismo giudiziario” che sarebbe
“un abuso di potere e distrugge la pretesa dei magistrati di essere il legittimo arbitro finale del significato della legge”.
Chiara l’allusione alle c.d. “toghe rosse” italiane. Senonchè, nessuna toga rossa italiana si sognerebbe mai di anteporre le proprie opinioni ideologiche ai principi sunnominati... La parola chiave di questa storia (che ci spinge alle considerazioni di quart’ordine) è proprio “interpretare”.
Il concetto di interpretazione, ci dice che non si può fare esclusivo affidamento sulla astratta “Legge” (con la L maiuscola) per la tutale dei propri diritti. Una famosa battuta in voga tra i legulei, recita che la legge “si interpreta per gli amici e si applica per i nemici”: Ci sarà sempre un’interpretazione, un parere pro-veritate, un precedente, un’eccezione, un’esigenza superiore a disposizione di chi vuole calpestare un diritto.
Bisogna prendere atto che anche la migliore delle costituzioni, da sola, non è sufficiente a garantire tutela piena ai diritti. Essa necessita di un ambiente di contorno, dato dalle giuste condizioni economiche, politiche e sociali perché i principi in essa espressi possano trovare piena applicazione. Ci sono voluti quasi cento anni (e una guerra civile incredibilmente violenta e sanguinosa) perché la schiavitù venisse abrogata in negli Stati Uniti d’America, nonostante la sua costituzione liberale, e altri cento anni e un movimento di massa tra i più estesi nella storia del paese perché i diritti dei neri trovassero piena attuazione e garanzia.
Un altro paese, di tradizione e costituzione democratica come la Francia, si servì della tortura e si sporcò abbondantemente le mani di sangue durante la guerra d’Algeria. La Gran Bretagna, patria dell’habeas corpus, in piena decolonizzazione, non esitò a pratiche di tortura e coercizione collettiva per stroncare la rivolta dei Mau Mau in Kenia. E così via…
E allora ? Le costituzioni sono carta straccia ? Vuote enunciazioni di principio e contano solo i contesti economici e sociali di contorno a indirizzarne la reale portata ? Si e no. Il fatto semplice è che la costituzione da sola non basta. Per esempio, la costituzione sovietica del 1936 era, sulla carta, una delle più democratiche della storia, ma tutto ciò non impedì il terrore staliniano.
Perché una costituzione liberale o democratica funzioni, occorrono anche altre cose: una magistratura indipendente, la libertà dei commerci, l’assenza di monopoli e così via. Ma anche così, di fronte ad eventi traumatici, come una guerra o atti di terrorismo eclatanti, ci saranno leggi la cui costituzionalità verrà “interpretata” in maniera utile a chi ha emanato quelle leggi, esattamente come fa Scalia.
Ma allora a che serve una “Carta dei Diritti”, se tutto si interpreta? Serve, perché è proprio l’esistenza di una costituzione a consentire alle minoranze alle quali i diritti non vengono riconosciuti, di ottenere, in futuro, il riconoscimento di quegli stessi diritti. E questo riconoscimento non potrà avvenire che attraverso strumenti giuridici.
Citando Nanni Moretti in “Caro Diario”, ci potremmo giocare una palla - non due, ma una si - che tra dieci anni i diritti oggi calpestati a Guantanamo, verranno riconosciuti e le corti statunitensi inizieranno a condannare il governo USA per l’ingiusta detenzione fatta subire ai prigionieri. E’ solo questione di tempo, ma certo tutto ciò non allevia la condizione di chi, oggi, si ritrova detenuto senza che le procedure normali di difesa dei diritti degli imputati vengano rese operative.
Senza dubbio è irrilevante in merito all'argomento del post, ma la frase in questione risulta non sia di Brecht:
http://www.webnews.it/2008/05/29/parole-virali-come-un-video-di-youtube/
per la segnalazione, era parso strano anche a noi.