Sia su questo blog che su altri, oltre che sul sito dell'IMF, si è provato a calcolare quanto in valore assoluto sia stato il cosiddetto beneficio dell'euro. Sebbene siamo nell'ambito delle ipotesi non verificabili per mancanza di controprova, si può solo assumere che il beneficio ci sia stato. Le cifre (Zanella e Bisin calcolavano all'incirca un risparmio di 2,9% del PIL= 50 miliardi l'anno ) le lascio agli altri. Quello che è incontrovertibile è che i tassi in emissione siano calati. Nonostante l'evidenza empirica, l'argomento non è sufficiente a stemperare discussioni più o meno serie su un eventuale abbandono della moneta unica.
Ho pensato allora di integrare il lavoro di Davide con alcuni altri dati.
Anzitutto, siccome molti insistono che i tassi sarebbero calati comunque, sono andato a verificare quando e come fossero calati negli altri paesi. Se andate su questa pagina del sito OECD e giocate con le "manovelle" che vi offrono vedrete che nel 1991-94 l'Italia è completamente fuori tendenza rispetto al resto dei paesi OECD ed è solo con l'inizio del processo di convergenza per accesso all'euro che l'anomalia italiana inizia ad attenuarsi e, nel giro di circa un quinquennio, scompare.
Dal sito della World Bank ho estratto i valori del costo del servizio sul debito dal 1991 al 2015 a prezzi correnti.
Li ho confrontati con il tasso di interesse medio sul debito pubblico. Come si vede la spesa per il debito segue abbastanza fedelmente l'andamento dei tassi (indice di correlazione 0,84). Si può dire che la diminuzione dei tassi osservata nel decennio immediatamente seguente il "salto" del 1993 non dipende dall'euro? Certo che si può dire; come si può anche dire che i cerchi sul grano sono opera degli alieni. Tuttavia che tassi e spesa per interessi scendano al miglioramento della fiducia sulla capacità di ripagare il debito (o per miglioramento dell'equilibrio dei conti o ben perché la moneta di emissione è più stabile) mi sembra incontrovertibile.
Ho poi confrontato il costo del debito con l'ammontare totate del debito delle pubbliche amministrazioni, perché:
1) è vero che il servizio sul debito è calato, dagli 88,5 miliardi del 1991 ai 66,7 miliardi del 2015, ma non in misura così rilevante come ci si poteva aspettare;
2) lo stock di debito ha mantenuto tassi di crescita pressoché costanti negli ultimi 15 anni, poco sopra l'1% all'anno (come vedrete non ho preso in considerazione la crescita del PIL perché, in questa analisi, sono i valori totali che contano e non le % rispetto al PIL)
È risaputo, e questo post vale solo come promemoria, che nessun governo ha mai fatto alcuna politica di riduzione dello stock di debito pubblico. Si è sempre preferito puntare su una crescita che non c'è stata, o è stata troppo lenta per produrre risultati apprezzabili (vedi grafico seguente); oppure sull'avanzo primario, vanificato, guarda un po', dalla spesa per interessi.
In un dibattito (non serio) sul debito i sovranisti direbbero sghignazzando che non c'è nessuna ragione per ridurre il debito pubblico giacché il debito pubblico non si ripaga mai, bensì si rinnova. In un altro dibattito (serio) noi risponderemmo invece che ridurre il debito, o il fabbisogno della PA, o ancora non rinnovarne una parte a scadenza, avrebbe il duplice benefico effetto di ridurne il costo - a tassi costanti - e liberare risorse. In un terzo dibattito (ancor più serio perché quando arrivano quei momenti tutto rischia di crollare molto rapidamente) ricorderemo che, anche se non si ripaga, il debito va servito: vanno pagati gli interessi e vanno pagati credibilmente. Quando emergono dubbi sulla capacità di pagarli nel lungo periodo (senza emettere ulteriore debito) i creditori tendono a fuggire, i tassi schizzano e crolla tutto. Questo fenomeno, che si è verificato decine di volte nella storia del mondo moderno, viene continuamente omesso dal dibattito pubblico monipolizzato dai sovranisti.
Possiamo logicamente supporre che questa riduzione prima o poi nel nostro Paese si faccia? Gli accordi del Fiscal Compact e del Six Pack ce lo imporrebbero, ma la strada scelta dal Governo Renzi nei tre anni di governo passati è quella della spesa pubblica in deficit che solo un'Europa matrigna ha impedito essere superiore.
Per il futuro speriamo che Renzi, se toccherà ancora a lui governare, non si limiti ad imitare Macron solo negli slogan. Spendere soldi che non si hanno può essere affascinante, ma prima o poi qualcuno ti chiede il conto.
La crescita è mancante o lenta rispetto a quanto sperato anche soprattutto per via della struttura demografica.
In un bel commento scritto a Gennaio e che si è poi purtroppo perso per i problemi informatici avuti dal sito a inizio anno avevo osservato che a parità di investimenti in conto capitale l'efficienza degli stessi deve necessariamente essere dipendente dalla forma della struttura demografica.
La necessaria conseguenza è che più peggiora la struttura demografica, e meno viene fatto per provare a correggerla, più diventa fragile la speranza non di far ripartire la crescita o che questa diventi meno lenta, ma addirittura di poter osservare della crescita, e più diventa fragile la speranza di poter ripagare non dico il capitale, ma ad un certo punto, prima o poi, anche solo gli interessi.
Ed ad occhio e croce ci arriveranno prima i creditori che gli elettori, purtroppo.
ma è lenta soprattutto per problemi strutturali che qui abbiamo più volte affrontato.
Proprio oggi è uscito lo spring forecast della Commissione; dice sostanzialmente le stesse cose e l'Italia, ancora una volta, è fanalino di coda in UE
pare che la natalita' debba salvare il pil o piuttosto dobbiamo salvare la natalita dal pil?