Ancora sull'Euro e la Germania, parte 1

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Il precedente post sul tema ha suscitato una discussione piuttosto accesa. Il surriscaldamento dei toni è stato causato in parte dal fatto che abbiamo commesso alcuni errori nel riportare i dati mentre accusavamo di errore gli altri, cosa di cui ci siamo pubblicamente scusati. Con questo post vorremmo iniziare a rimediare a questi errori e riprendere la discussione in modo ordinato. Abbiamo fatto anche noi la fatica di raccogliere dati adeguati, innanzitutto per rispetto a quegli interlocutori che l'avevano fatto prima e meglio di noi. Ora che ci siamo messi in pari possiamo continuare a discutere. Facciamolo, per favore, tutti in modo pacato. Proviamo a cambiare il modo di discutere temi caldi: stiamo discutendo per capire meglio il mondo, non per fare la guerra ideologica tra bande. Iniziamo noi, ZonIN :-). Grazie a tutti per contribuire in questo spirito.

Sono rimaste sul tavolo tre questioni empiriche e varie questioni logico-analitiche. In questo post iniziamo con le prime, considerando i quattro maggiori paesi dell'area Euro: Germania, Francia, Italia e Spagna. Le seconde verranno riprese in un successivo post.

Questione empirica 1. Il beneficio dell'Euro per l'Italia. C'è stato o non c'è stato? E se si, quanto è grande?

Una valuta unica europea ha molti benefici per un paese come l'Italia e non stiamo qui a elencarli tutti. E' ovviamente importante considerare i benefici quando si stanno sostenendo i costi. Ci riferiamo qui specificatamente al beneficio derivante dalla riduzione di (i) gli interessi sul debito pubblico causato da una riduzione dello spread; (ii) l'inflazione.

Cominciamo dagli interessi sul debito. La logica è chiara: con l'Euro il debito pubblico italiano sarebbe diventato meno rischioso per gli investitori internazionali, a causa di vari fattori quali, per esempio, l'azzeramento del rischio di svalutazione (ripagare il debito con moneta svalutata) e la sottoscrizione di criteri di controllo di deficit e debito pubblico (Maastricht); in anticipazione di questo i mercati avrebbero richiesto minori rendimenti. 

Nel precedente post erano stati riportati i rendimenti nominali medi dei titoli del debito pubblico in Germania e in Italia. E' stato giustamente obiettato che il confronto va fatto sui rendimenti reali: se c'è uno spread del 2% tra Italia e Germania ma il differenziale di inflazione è anch'esso 2% allora i governi italiano e tedesco si stanno finanziando allo stesso tasso reale. Abbiamo quindi allungato la serie e calcolato direttamente il rendimento al netto del tasso di inflazione. Per semplicità di calcolo (e per cogliere meglio le aspettative di lungo periodo) ci concentriamo sul rendimento dei titoli a lungo termine.

La figura sotto mostra i rendimenti dei titoli del debito pubblico a lungo termine (titolo decennale) in Germania, Francia, Italia e Spagna dal 1993 al 2013 (media mobile a 5 mesi). Confrontiamo Italia e Germania. In questo confronto partiamo conservativamente dal 1993 per non includere il periodo pre-svalutazione della lira di fine 1992. La ragione è che prima della svalutazione della lira il governo italiano pagava interessi reali più alti, ma ha poi ripagato debito con moneta svalutata. Ebbene, anche partendo dal 1993 il differenziale (spread) medio reale tra Italia e Germania è stato di circa il 2,7% tra l'inizio del 1993 e la fine del 1995, e di circa il -0,2% tra l'inizio del 1996 e la fine del 2009. Se facciamo l'ipotesi (ragionevole, ci pare) che la riduzione sia causata dall'Euro (e che la differenza sui titoli a lungo approssimi quella sull'intera struttura del debito), allora il beneficio in termini di minore interessi è pari a circa il 2,9% all'anno. Su un debito pubblico del 110% del Pil significa minori interessi per circa 3,2 punti di Pil all'anno. In termini di Pil oggi siamo parlando di circa 50 miliardi all'anno, per quasi 15 anni. È una stima rozza ma che ci dà l'idea dell'ordine di grandezza del minore costo di servizio del debito pubblico di cui stiamo parlando: considerate che il gettito di IRAP e IMU messe insieme consiste di circa 55 miliardi all'anno.

rates

Notate nella figura sopra che i rendimenti reali sono stati più bassi in Italia che in Germania dal 1998 al 2006, e che sono stai addirittura negativi in Spagna nel 2006 e 2008. Il motivo, naturalmente, è la più alta inflazione in Italia e Spagna rispetto alla Germania.

E veniamo, appunto, all'inflazione. Nonostante il tasso di inflazione in Italia sia maggiore che in Germania, il differenziale tra i due si è ridotto considerevolmente dopo la creazione dell'Euro. La figura sotto mostra questo differenziale dal 1961 al 2011. Sebbene questo fosse in evidente diminuzione dalla fine degli anni 70, presumibilmente la creazione dell'Euro (che ha implicato il passaggio da una politica monetaria discrezionale come quella della Banca d'Italia a una basata sulle regole come quella della BCE) ha contribuito a ridurlo ulteriormente, specialmente dopo che (come si vede dalla figura) si sono esauriti gli effetti inflattivi della svalutazione della lira nel periodo 1994-1996. Dal 1997 il differenziale di inflazione Italia-Germania è minimo. Un beneficio dell'Euro è quindi anche la minore inflazione di cui il nostro paese ha beneficiato. Ne hanno beneficiato, e' bene ricordarlo, soprattutto i percettori di redditi fissi, lavoratori dipendenti e pensionati in primis. I ricchi troveranno sempre il modo di difendersi dall'inflazione. I meno ricchi no, sono quelli che in ultima istanza pagano la "tassa da inflazione". L'Euro ha permesso di ridurre considerevolmente questa tassa.


inflation


Questione empirica 2. La maggiore competitività tedesca è dovuta a produttività o salari?

Nel discutere questa questione è necessario misurare le grandezze appropriate. Primo, ci pare corretto concentrarsi sul settore industriale non edilizio, cioè sul settore dei beni commerciabili internazionalmente (i cosiddetti tradables). I servizi degli avvocati e dei barbieri, o i beni prodotto dai costruttori, non ci interessano (né ci interessano i loro salari) in questa discussione visto che si tratta di beni e servizi che vengono prodotti e scambiati entro i confini nazionali (qui c'e' un'interessante storia su come questo possa non essere vero, la lasciamo come divertissement). Secondo, è importante distinguere tra livelli e tassi di crescita.

Cominciamo col confrontare i livelli di produttività e salari tra paesi. Per confrontare la produttività di Germania, Francia, Italia e Spagna nel settore dei tradables dobbiamo considerare il valore aggiunto per ora lavorata. Nel caso estremo di tradables omogenei nessun aggiustamento di prezzo è necessario perché questi, per definizione, hanno lo stesso prezzo in tutti i paesi. Non tutti i tradables sono omogenei, naturalmente, ma nel mercato unico europeo questa ci pare una buona approssimazione. Dopo tutto un'Audi A1, una Citroen C4, una Fiat Bravo, e una Seat Leon hanno lo stesso prezzo in Germania, Francia, Italia e Spagna, circa 17mila euro. Un esempio ancora piu' calzante (sebbene, forse meno intuitivo) sono quei beni a bassissa differenziazione orizzontale (nelle loro varianti, cioe') e verticale (nella qualita', cioe'), come una macchina da cucire Singer a 23 programmi, 6 punti utili, 11 decorativi e occhiello a 4 temi, una macchina da gelato Nemox con pala a giri variabili ed inverter elettronico, eccetera. Questa misura di produttività è riportata nella seguente tabella, a intevalli di 5 anni. Attenzione: quello che dobbiamo confrontare in queste tabelle, naturalmente, è la differenza tra paesi in un punto nel tempo, non la variazione nel tempo per un paese. Per non indurre il lettore in errore, la riportiamo in tabella e a intervalli di 5 anni. Qui e in quello che segue la fonte è sempre la stessa: nostra elaborazione da base dati Eurostat.

Valore aggiunto per ora lavorata nell'industria, euro correnti   
 1996200120062011
Germania33.4138.2148.1753.88
Spagna 23.5831.7241.61
Francia32.0838.5044.5346.75
Italia23.5227.5530.6133.61

Questa tabella mostra che mentre 10 anni fa la produttivita' dell'industria tedesca era comparabile a quella dell'industria francese, oggi la prima e' la più alta tra le industrie dei maggiori paesi dell'area Euro. Nel 2011 superava quella francese del 15% e quella italiana di ben il 60%. Quella italiana è infatti la più bassa, più bassa anche di quella spagnola.

E i salari? Per confrontarli tra paesi (in termini di potere d'acquisto) occorre, in questo caso, aggiustare per la parità dei poteri d'acquisto (PPA): se l'operaio italiano produce nel settore industriale dei tradables che vengono venduti allo stesso prezzo sui mercati internazionali, lui acquista poi beni e servizi di ogni tipo, che possono avere prezzi diversi tra paesi. In altre parole, per fare un confronto è necessario che un euro guadagnato da un operaio tedesco in Germania acquisti la stessa quantità di beni e servizi di un euro guadagnato dal suo omologo francese, italiano e spagnolo nel proprio paese. Le tabelle qui sotto riportano la compensazione del lavoro per ora lavorata e compensazione annuale per occupato, rispettivamente, nel settore industriale a PPA. Attenzione, come prima: poiché stiamo usando PPA il confronto si può fare anche in questo caso solo tra paesi a un certo punto del tempo, non nel tempo all'interno di un paese (le misure sono quindi anche qui nominali, come è appropriato anche in questo caso). Con questa avvertanza in mente, questi dati mostrano che i lavoratori nell'industria tedesca oltre a essere i più produttivi tra le industrie dei grandi paesi dell'area Euro sono anche quelli meglio pagati. La compensazione oraria (lorda) del lavoro in Germania a PPA era nel 2011 di circa il 10% superiore a quella francese e di circa il 60% superiore all'italiana, mentre la corrispondente compensazione annuale era superiore dell'8% rispetto alla Francia e del 40% rispetto all'Italia (perché in media i lavoratori nell'industria francese e italiana lavorano più ore degli omologhi tedeschi in un anno). Un operaio in Germania ha quindi  in un anno un potere d'acquisto mediamente superiore del 40% a quello dell'operaio italiano. Una bella differenza.

Compensazione oraria del lavoro nell'industria, euro correnti a PPA    
 1996200120062011
Germania19.8824.0528.5730.86
Spagna 15.7819.1921.56
Francia16.7121.3324.5527.95
Italia13.5015.4316.6719.31


Compensazione annua del lavoro nell'industria, euro correnti a PPA    
 1996200120062011
Germania29921.835439.242052.844961.9
Spagna 27349.531848.336071.2
Francia26927.332508.136658.041698.9
Italia23926.327206.628721.031920.3


Veniamo ora alla dinamica. Nel settore tradables omogenei, avendo i quattro paesi che stiamo considerando la stessa valuta, la competitività relativa dipende da due cose: produttività e costo del lavoro. Se esprimiamo il valore aggiunto orario e la compensazione oraria del lavoro nell'industria (stavolta non a PPA, ma a valore nominale perche' ci interessa comparare i costi del lavoro per le imprese e non il potere d'acquisto per i lavoratori) come frazione del livello tedesco, otteniamo le seguenti figure, che vanno lette come indici rispetto a un valore costante pari 1 (non riportato nelle figure) che rappresenta la Germania:

prod

wage

Queste figure mostrano che la produttività dell'industria tedesca rispetto a quelle francesi e italiane è in aumento dal 2003. Il settore industriale in Spagna, invece, ha guadagnato produttività rispetto a quello in Germania da almeno il 2000 e fino al 2009. La compensazione oraria del lavoro nell'industria tedesca, invece, è in diminuzione da almeno il 2000. Con questi dati possiamo fare una stima approssimativa della fonte dei guadagni di produttività tedesca, un semplice esercizio di accounting. Con tradables omogenei la variazione della produttività è infatti uguale alla differenza tra variazione della produttività (nominale) oraria e variazione della compensazione (nominale) oraria del lavoro. Questi valori (in variazione percentuale) sono riportati nella seguente tabella per il periodo da 2000 a 2011. La tabella riporta anche la variazione (in punti di Pil) della bilancia commerciale per l'intera economia dei paesi che stiamo considerando.

Variazione dal 2000 al 2011
 Produttivita' nominale, industriaCompensazione lavoro nominale, industriaCompetitivita', industriaBilancia commerciale, intera economia (punti Pil)
Germania+41%+21%+20%+4.80
Spagna+76%+48%+28%+2.30
Francia+21%+38%-16%-3.80
Italia+22%+38%-16%-2.50

Nella tabella è evidente anche la correlazione tra aumento di competitività e miglioramento della bilancia commerciale. La tabella mostra però che il guadagno di competitività dell'industria tedesca rispetto a Francia e Italia è dovuto ad aumenti di produttività: anche se in Germania la compensazione oraria del lavoro fosse cresciuta come in questi due paesi la Germania avrebbe avuto un guadagno relativo di competitività.

Sulla base di questi dati ci pare sbagliato concludere che la Germania ha aumentato la propria competitività "affamando" i lavoratori tedeschi. Primo, perché il livello dei salari tedeschi nell'industria è superiore, a PPA, a quello di Francia, Italia, e Spagna. Secondo, perché buona parte di questo aumento viene da aumenti di produttività.

Se misuriamo la variazione dei salari nell'industria nel tempo deflazionando con l'indice nazionale dei prezzi al consumo otteniamo questo, in linea con l'ultima figura sopra e con quanto gia' discusso in margine al precedente post.

wage-dynam-manufact

Il fatto che i salari reali nel settore industriale in Germania siano pressoché costanti dal 2001 è certamente una cattiva notizia per i lavoratori tedeschi gia' occupati (ma si noti anche che la variazione reale in Germania dal 1996 a oggi e' solo di poco inferiore a quella in Italia nello stesso periodo). Questi lavoratori non hanno beneficiato dei guadagni di produttivita' dell'ultimo decennio (va anche notato che la lenta crescita dei salari reali in Germania potrebbe non essere una cattiva notizia, invece, per quei lavoratori che hanno trovato un lavoro grazie alla corrispondente maggiore competitivita' del settore industriale tedesco). Tuttavia, questi lavoratori sono ancora di gran lunga i meglio pagati tra le industrie dei maggiori paesi dell'area Euro e quindi si tratta in un certo senso di un sacrificio sopportabile. In altre parole, grazie a salari gia' elevati (a loro volta dovuti a produttivita' gia' elevata) i tedeschi possono oggi permettersi moderazione salariale in aggiunta ad aumenti di produttività per guadagnare competitività nell'area Euro. Questo puo' non far piacere a chi subisce la concorrenza tedesca sui mercati internazionali, ma i paesi dell'area Euro, in fondo, si sono impegnati ad aumentare la produttività mediante riforme dei mercati dei beni, dei servizi e del lavoro e mediante controllo delle finanze pubbliche. Non si sono impegnati (a quanto ne sappiamo, ma potremmo sbagliarci) a non utilizzare moderazione salariale nella libera contrattazione tra imprese e sindacati dei lavoratori.

Si potrebbe obiettare che i tedeschi possono fare questo solo grazie a una valuta, l'euro, che non riflette la forza della loro economia, nel senso che il marco tedesco, se ancora esistesse, sarebbe oggi probabilmente piu' apprezzato rispetto all'euro sui mercati valutari. Per quanto questo argomento sia attraente sul piano teorico, non siamo a conoscenza di evidenza empirica conclusiva sul nesso causale tra surplus commerciale e apprezzamento della valuta nazionale (se i lettori ne sono a conoscenza, gli saremmo grati se la condividessero). E in fondo, se anche cosi' fosse, si tratterebbe di una di quelle cose che si dovevano considerare prima di decidere di entrare a far parte dell'euro. Ci sono stati 25 anni di tempi buoni, dal 1991 al 2006, per riformare la nostra economia e renderla competitiva come quella tedesca. Ahinoi, quasi questi questi anni hanno visto al governo un tal Berlusconi Silvio (messo li' dagli italiani, non dai tedeschi) in tutt'altre faccende affaccendato.

Ma torniamo al punto. Se i lavoratori tedeschi non hanno beneficiato degli aumenti di produttivita' dal 2001 in poi, chi ne ha beneficiato? Le imprese, naturalmente. La figura sotto mostra le quote di reddito da lavoro dipendente e da impresa/misto nel Pil dei quattro paesi. La figura mostra proprio questo fatto, cioe' che in Germania la quota del lavoro è diminuita dal 2001 al 2011 mentre è aumentata l'altra. Di nuovo, questo fatto puo' non piacere ma resta vero che anche a livello di intera economia la quota del lavoro in Germania e' superiore alla corrispondente in Italia e Spagna e solo di poco inferiore a quella francese.

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Commenti

Ci sono 164 commenti

Come direbbe l'antesignano: "E tanto è più esquisita una bilancia da saggiatori, ch'una stadera filosofica!"

In Germania le imprese hanno aumentato la loro quota,ma anche i lavoratori stanno meglio considerando: A) i dati sull'occupazione (http://epp.eurostat.ec.europa.eu/tgm/table.do?tab=table&language=en&pcode=tsdec420&tableSelection=3&footnotes=yes&labeling=labels&plugin=1)

B) la riduzione delle imposte ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1999/12/22/schroeder-riduco-le-tasse.html

Riguardo A: ne accenna anche il post

Riguardo B: non sono certo, ma penso che schroeder non ci sia più. Ho sentito parlare di una certa Merkel che, dicono, appena eletta abbia aumentato l'IVA (dal 16 al 19%), le tasse sui guadagni, tagliato la spesa pubblica, congelato le pensioni

Ad eleggere tante volte Berlusconi, e tanto altro, è vero. Avrebbero sbagliato in ogni caso (il meglio che il PD nelle sue varie incarnazioni avrebbe potuto fare sarebbe stato mitigare il declino).

Una volta che siamo d'accordo su questo punto, a chi facciamo pagare lo sbaglio? Ai correntisti? Seguiamo il "consiglio" del capo economista di Commerzbank, Jörg Kramer, che pare abbia chiesto un'imposta del 15% su tutti i conti finanziari, quindi non solo risparmio, ma anche investimenti privati e quant'altro, per portare il rapporto debito/PIL sotto il 100%:

 

Ein Steuersatz von 15 Prozent auf Finanzvermögen würde wohl ausreichen, die italienische Staatsschuld unter die kritische Marke von 100 Prozent des Bruttoinlandsprodukts zu drücken

 

Oppure se siamo veramente arrivati a quel punto, non sarebbe meglio colpire prima e comunque in maniera maggiore chi aveva investito in titoli pubblici? Non riesco a capire come distruggere la Santità del Risparmio, soprattutto di quello inferiore a quanto garantito dai vari schemi assicurativi sui conti bancari, possa in alcun modo apparire come una migliore alternativa.

P.S.: che poi se dobbiamo migliorare il rapporto debito pubblico/PIL forzosamente, a quel punto portiamolo sotto al 40%, non al 100% che non si risolve nulla, magari indorando la pillola scaricando sui creditori colpiti gli innumerevoli asset inutili o quasi, che alla fine magari pigliamo pure due piccioni con una fava.

 

Seguiamo il "consiglio" del capo economista di Commerzbank, Jörg Kramer, che pare abbia chiesto un'imposta del 15% su tutti i conti finanziari

 

Che poi, riflettendoci su, vengono seri dubbi su come vengono educati e selezionati gli economisti, perlomeno in Germania. Io conosco gente che vota per Berlusconi da un quinto di secolo per una unica ragione: Amato, che gli ha rubato lo 0.6% dal conto corrente una notte d'estate di 4 lustri fa, sta dall'altra parte. Ad occhio e croce, se Bersani mandasse Amato a fare il doppiogiochista nelle file del PdL, sposterebbe un paio di milioni di voti a suo favore. Come si fa ad immaginare che il furto del 15% dai conti correnti dopo 20 anni di austerità non scatenerebbe rivolte e non farebbe scorrere fiumi di sangue? Il piano sarebbe quello di esentare esercito e carabinieri? E poi, quale Parlamento potrebbe mai votare una cosa simile in una qualsiasi democrazia?

Quel che faranno a Cipro sarà difficilmente replicabile nei PIGS, perché Cipro è un paradiso fiscale. A Cipro sono arrivati capitali di britannici e russi che volevano pagare meno tasse. L'abbondanza di depositi ha spinto gli attivi bancari ad otto volte il Pil dell'isola. Quando le perdite sui titoli greci hanno mandato in dissesto le banche locali, Nicosia non potendo garantire l'assicurazione sui depositi ha richiesto l'aiuto della Troika. A sua volta la troika ha preteso che 5.8 dei 17 miliardi ce li dovessero mettere, con un prelievo straordinario, i depositanti che sarebbero i salvati in ultima analisi. L'imposta, se progressiva, graverebbe soprattutto sui depositanti esteri che erano stati attirati dalla bassa tassazione. L'Islanda, in condizioni simili rifiutò di pagare una parte dell'assicurazione sui depositi di residenti all'estero. Ripeto l'Italia Cipro nè l'Islanda, non è un paradiso fiscale. ( Anzi l'espressione inferno fiscale sarebbe più appropriata)

P.S. qualsiasi misura che porti il debito pubblico dal 125% al 40% del PIL in breve tempo sarebbe disastrosa e traumatica.

è cipro che ha scelto di tosare i correntisti al di sotto dei 100K euro. La troika dovrebbbe fare un corso accelerato di comunicazione.

commerzbank è una banca salvata dallo Stato. prediche da quel pulpito non ne possono venire, ma occhio che prende lo spunto da un rapporto BCE sui patrimoni nei vari paesi ue, dove risulta che l'Italia è più ricca della Germania grazie all'alta percentuale di proprietari di immobili. il rapporto dovrebbe esser pubblicato in questi giorni ed immagino che possa diventare "caldo" nella campagna elettorale tedesca.

Mi chiedono perché non si noti il confronto con spread irlanda e spagna?

Questo povero Berlusconi è tirato sempre in ballo come colui a cui far risalire tutte le colpe. In realtà, dal 1991 al 2006 (periodo citato dagli autori, un po' confusi) Berlusconi ha governato cinque anni e mezzo su quindici.

Nel 91-92 c'era ancora il vecchio pentapartito, nel 92-94, la coppia Amato-Ciampi.

Nel '94 metà anno Berlusconi (con l'abortita riforma delle pensioni e le piazze piene), poi un anno e quattro mesi Dini, sostenuto da centro-sinistra e Lega nord.

Il periodo 1996-2001 fu governato dal centro-sinistra: Prodi, D'Alema e Giuliano Amato.

Poi finalmente cinque anni di Berlusconi, prima del ritorno di Prodi, nel 2006.

 

Berlusconi ha governato cinque anni e mezzo su quindici.

 

Il che ne fa il governo piu' longevo tra tutti quelli di quel periodo. Pesando per stabilita, cioe', e' quello che poteva fare di piu'.

Ma non e' di Berlusconi che volevamo parlare.

 

Sono tutti corresponsabili in solido, perchè nessuno si è distinto per aver cercato di far fruttare il dividendo offerto dall'ingresso nell'euro per rafforzare l'economia italiana. Poi è chiaro che Berlusconi e Tremonti, che hanno ricevuto in dono un consistente avanzo primario e lo hanno dilapidato mentre Schroeder poneva le basi per la ripartenza tedesca, meritano un particolare attestato di 'malgoverno'. A cui si appaia quello del 'tesoretto' dell'ultimo governo Prodi (che però ha prodotto danni solo per un biennio).

Purtroppo c'è assai poco da salvare. Il problema è che anche l'ultimo governo dei tecnici, a parte la gestione dell'emergenza dei primi due mesi, è andato inesorabilmente peggiorando fino alle recenti débàcle della ministra Severino sul DL 'anticorruzione' e, soprattutto, del ministro Terzi con l'India (per tacer di MM dal momento della sua salita in poi, verso dove non si sa ...). Abbiamo speranze ?

A me colpisce molto l'ultimo grafico in cui si mostra che l'unico paese tra i 4 ad avere un reddito da lavoro dipendente inferiore a quello da impresa/autonomo è l'italia.

Come interpretate questo dato?

 

Come interpretate questo dato?

 

Con l'abnorme incidenza del lavoro autonomo in Italia, che spesso maschera lavoro di fatto dipendente. Ne avevo parlato, tra gli altri, in questo post.

ottimo post. Personalmente ritengo acclarato cosa è accaduto prima del 2010 e di chi siano le colpe. chi si ostina a negare la realtà, evidentemente lo fa per motivi ideologici e quindi è inutile discutere.Anche cosa successo dal 2010 ad oggi ha oramai scarsa importanza. Importante è fare il trade off tra uscita dell'euro e permanenza per chiarire i notevoli rischi che ci sono.Aspetto il post successivo che sicuramente affronterà il tema. Segnalo che nel frattempo Draghi ha sottolineato come la trasmissione della politica monetaria è compromessa, prendendo come esempio il differente tasso a cui si finanziano le imprese nei diversi paesi (ho postat un link sul tema in un thread del post precedente). Considerando anche l'infazione all'1% in Francia, mi sa che tra poco la BCE tira fuori un altro coniglio dal cilindro.

 Nel settore tradables omogenei, avendo i quattro paesi che stiamo considerando la stessa valuta, la competitività relativa dipende da due cose: produttività e costo del lavoro.

Sulla base di questi dati ci pare sbagliato concludere che la Germania ha aumentato la propria competitività "affamando" i lavoratori tedeschi. Primo, perché il livello dei salari tedeschi nell'industria è superiore, a PPA, a quello di Francia, Italia, e Spagna. Secondo, perché buona parte di questo aumento viene da aumenti di produttività.

Sia nel grafico che mostra l'evoluzione delle produttività relative di Francia, Italia e Spagna (rispetto alla Germania) sia nella tabella che riporta le variazioni percentuali della competitività e della bilancia commerciale, la produttività presa in considerazione è quella nominale.  L'indice di competività generalmente usato (e mostrato anche nel post precedente di Alberto Bisin), cioè il costo unitario del lavoro, prende invece in considerazione la produttività reale. Mi chiedo se e come cambierebbero alcune conclusioni di questo post se si prendesse in considerazione anche qui la produttività reale. 

Da un lato, è probabile che il caso sarebbe ancora più favorevole alla Germania, che ha avuto tassi di inflazione mediamente più bassi dei suoi competitors (sicuramente dell'Italia, come si evince dalla seconda figura).  In sostanza, non credo che cambierebbe il quadro per quanto riguarda la posizione relativa nella competitività tra paesi (già evidente, peraltro, dal grafico sui costi unitari del lavoro del post precedente).

Dall'altro lato, sarebbe forse indebolita la connessione tra variazioni di competitività e variazioni di bilancia commerciale. Nella tabella attuale, a variazioni positive di competitività sono associate variazioni positive di bilancia commerciale, mentre a variazioni negative sono associate peggioramente della posizione sull'estero.  Non sono del tutto sicuro che questa correlazione nei segni permanga qualora si prendano in considerazione i tassi di inflazione. Se si tiene in mente il peggioramento nei costi unitari del lavoro registrato dalla Spagna (evidente sempre dalla figura del post precedente),  se ne deduce che qui il tasso cumulato di inflazione 2000-2011 ha più che compensato il miglioramente di competitività nominale riportato nella tabella (+28%). Nondimeno, la Spagna ha registrato una variazione positiva della bilancia commerciale (+2.30).  

E' probabile che stia comparando dati diversi. In questo post si prende in considerazione solo il manifatturiero, senza il settore delle costruzioni (cruciale per la Spagna), mentre non sono sicuro a quale aggregato facesse riferimento il grafico sui costi unitari del lavoro del post precedente. Avrei piacere, in ogni caso, di ricevere, se possibile, dei chiarimenti su questo punto. 

 

 Mi chiedo se e come cambierebbero alcune conclusioni di questo post se si prendesse in considerazione anche qui la produttività reale. 

 

Il problema e' che non e' ovvio quale indice di prezzo utilizzare in questo caso. Se vogliamo valutare la competitivita' relativa sui mercati internazionali gli indici di prezzo al consumo nazionali non sono appropriati.

Ritengo che queta vostra ipotesi sia sbagliata:

 

Se facciamo l'ipotesi (ragionevole, ci pare) che la riduzione sia causata dall'Euro (e che la differenza sui titoli a lungo approssimi quella sull'intera struttura del debito), allora il beneficio in termini di minore interessi è pari a circa il 2,9% all'anno.

 

I tassi di interesse vanno confrontati con quelli di altri paesi non-euro, simili in quanto a sviluppo, come  gli UK, per citarne uno.

Nei primi anni dell'euro infatti, i tassi scendevano ovunque nel mondo, proprio per la maggiore liquidita' immessa negli USA. Per cui ritengo che la vostra ipotesi sia sbagliata e tutto l'impianto del risparmio sui tassi di interesse sia poco valido.

Secondo punto che contesto e' il calo dell'inflazione dovuto all'euro e soprattutto l'idea (obsoleta, spero che conveniate con me), che l'inflazione dipenda dalle politiche monetarie della banca centrale quando invece dipendono molto piu' dai prezzi delle commodities e dalle politiche del lavoro. 

Il risparmio sui tassi di interesse viene calcolato prendendo in cosiderazione la riduzione del differenziale sui tassi di interesse Italia-Germania, non la riduzione dei tassi di interesse in assoluto. Sulla seconda, è vero quanto tu dici. Ma è difficile NON attribuire all'Euro la riduzione del primo (il differenziale).

I tassi (a lunga) dipendono dalle aspettative d'inflazione, dalla domanda-offerta di risparmio (chiamiamole preferenze intertemporali) e dal rischio di credito dell'emittente. I tassi scendevano ovunque nel mondo ma l'analisi di B&Z ha considerato lo spread con un emittente di riferimento (Germania), quindi questo effetto "macro" dovuto alla "grande moderazione" viene catturato dalla discesa dei tassi tedeschi: il 2.9% di differenza e' uno spread che verrebbe pagato sia con tassi tedeschi all'1% che con tassi tedeschi al 5%.

Il paragone con UK terrebbe se il rischio di credito del Regno Unito fosse analogo a quello dell'Italia, il che non e'.  Quindi l'analisi di B&Z, per quanto grossolana (senza offesa, io stesso sto cercando di scrivere un articolo a riguardo gia' da qualche settimana, ma farlo in maniera esaustiva non e' per niente semplice), e' corretta.

Sul primo punto ha gia' risposto Daniele Moschella. Offro alcune considerazioni sul secondo punto.

- Una delle poche conclusioni su cui gli economisti concordano, e' che, soprattutto a bassa frequenza (nel lungo periodo), l'inflazione e' un fenomeno pressoche' unicamente monetario. 

- L'andamento dei prezzi delle commodities e' rilevante perche', soprattutto per piccole economie aperte al libero scambio di beni e capitali (come l'Italia), il loro comportamento e' totalmente esogeno. Detto questo: 1) i prezzi delle commodities evolvono alla stessa maniera per praticamente tutti i paesi - Negli anni 90 l'inflazione in Italia e' scesa molto di piu' rispetto alla maggiorparte dei paesi industrializzati, dunque e' difficile attribuire il comportamento virtuoso dell'Italia al calo dei commodity prices 2) anche l'Italia, come gli altri Paesi avanzati, calcola un tasso di inflazione depurato dell'effetto dei commodity prices (CORE inflation). Ebbene, anche questo indice e' sceso molto rapidamente negli anni 90

- Politiche che impattano la dinamica salariale, come era il caso per la scala mobile, hanno sicuramente un impatto sulla dinamica inflazionistica. Penso ci sia ampio consenso circa l'importanza dell'abolizione della scala mobile per il rientro dell'inflazione in Italia. In particolare, perche' l'indicizzazione dei salari all'inflazione corrente ostacolava l'intento della Banca d'Italia di comprimere le aspettative di inflazione futura. E' ovvio pero' che l'abolizione di meccanismi di indicizzazione dei salari come la scala mobile non costituiscono condizione sufficiente all'abbattimento dell'inflazione. 

 

I tassi di interesse vanno confrontati con quelli di altri paesi non-euro, simili in quanto a sviluppo, come  gli UK, per citarne uno.

Nei primi anni dell'euro infatti, i tassi scendevano ovunque nel mondo, proprio per la maggiore liquidita' immessa negli USA.

 

Come qualche commentatore ha già scritto, per i tassi di interesse il riferimento è la Germania. Ma anche se si prendesse UK, il risultato sarebbe lo stesso e cioè che il differenziale dei tassi nominali (o reali) si è ridotto.  Sotto un grafichetto sull'andamento del differenziale dei tassi di interesse nominali (linea blu) e reali (linea rossa) tra Italia e UK. Il differenziale scende. Però è anche vero che quando i tassi globali scendono anche i differenziali (tra paesi) tendono generalmente a ridursi. Quindi la spiegazione/ipotesi "i differenziali sono scesi perché la liquidità mondiale è aumentata" non può essere esclusa guardando "ad occhio" solo i differenziali bilaterali. Però nel caso italiano, make no mistake, i differenziali dei tassi di interesse sono scesi proprio per l'euro e per gli assetti istituzionali connessi, anzi sono scesi troppo ottimisticamente, e su questo c'è ormai molta evidenza empirica per chi la vuole trovare. Un credito che non abbiamo saputo utilizzare.

 

Sarebbe forse meglio fare i due grafici su produttivita' e compensazione oraria del lavoro (relativimente alla Germania) nella stessa scala e in tal modo facilitare il paragone tra le due.

Concordo con il commento cui sto rispondendo, e consiglierei di modificare i grafici "produttività oraria del lavoro" e "compensazione oraria del lavoro" aggiungendo la serie "Germania". Per gli addetti ai lavori è rindondante e banale, ma i non addetti potrebbero chiedersi dov'è finita la Germania.

«Si potrebbe obiettare che i tedeschi possono fare questo solo grazie a una valuta, l'euro, che non riflette la forza della loro economia, nel senso che il marco tedesco, se ancora esistesse, sarebbe oggi probabilmente piu' apprezzato rispetto all'euro sui mercati valutari. Per quanto questo argomento sia attraente sul piano teorico, non siamo a conoscenza di evidenza empirica conclusiva sul nesso causale tra surplus commerciale e apprezzamento della valuta nazionale (se i lettori ne sono a conoscenza, gli saremmo grati se la condividessero)»

 

Che io sappia la relazione è molto forte, al punto che un’affermazione cosí perentoria in senso contrario mi fa dubitare di avere un’idea sbagliata. A questo punto espongo quello che ritenevo vero al fine di una verifica, lo espongo a punti in modo che sia anche piú facile criticarne singole parti.

 

1. In presenza di una valuta a corso forzoso, l’unica cosa che determina il tasso di cambio sono la domanda e l’offerta di valuta.

Ad esempio se uno statunitense vuole comprare una merce giapponese deve vendere dei dollari per comprare degli yen: l’offerta di dollari (e quindi il valore del dollaro) diminuisce, la domanda dello yen (e quindi il valore dello yen) aumenta. Ovviamente avviene il contrario se un giapponese vuole comprare un prodotto degli USA.

2. Se domanda e offerta si equivalgono il valore delle valute rimane costante, come per qualsiasi altra merce.

3. Quindi se un Paese ha una bilancia commerciale in surplus, la domanda della sua moneta supera l’offerta, e pertanto la sua valuta si apprezza. Viceversa se un Paese ha una bilancia commerciale in deficit la sua valuta si deprezza.

4. In assenza di interventismo della banca centrale il mercato valutario fa sí che il surplus venga controbilanciato da un apprezzamento della valuta, il deficit controbilanciato da un deprezzamento della valuta.

5. In conclusione in assenza di interventismo della banca centrale un Paese con una valuta a corso forzoso ha sempre una bilancia commerciale sia in pareggio.

 

Dov’è l’errore?

forse dico una cazzata abominevole (anzi è praticamente certo), ma ci provo lo stesso, visto che devo chiarirmi varie cosette.

se vendo dollari e i giapponesi sono ben contenti di darmi yen in cambio, perchè dovrebbero cambiare i prezzi relativi? cambierebbero soltanto se la domanda di beni giapponesi fosse superiore all'offerta di beni giapponesi, in quel caso molti vorrebbero cambiare dollari in yen ma non ci sarebbero yen a sufficienza, e allora avremmo apprezzamento dello yen. altrimenti abbiamo semplicemente il giappone che si riempie di dollari, dollari poi da investire all'estero. quindi il giappone si ritrova in surplus e senza apprezzamento della moneta. è la bilancia dei pagamenti che resta sempre in pareggio...

Non e' difficile scrivere modelli piu' o meno sofisticati in cui deficits del conto corrente vengono ripianati attraverso il deprezzamento della moneta (surplus, attraverso l'apprezzamento). 

La questione cui l'articolo di Giulio e Alberto accenna e' che non c'e' solida evidenza empirica a supporto di tale predizione teorica. Il problema e' piu' generale di questo. Una marea di modelli che mirano a spiegare il comportamento dei tassi di cambio ( m0delli che purtroppo sono insegnati nelle universita' come se le loro implicazioni fosssero verita' rivelate) hanno implicazioni contro-fattuali.

Per un accenno non-tecnico

www.voxeu.org/article/against-false-truisms-exchange-rate-flexibility-does-not-speed-current-account-adjustment

Per un paper classico sui problemi della moderna teoria dei tassi di cambio 

www.nber.org/chapters/c11059.pdf

Di certo l'analisi è alquanto accurata anche se tralascia un nodo importante: la gestione delle aspettative. Mentre con la "liretta" avevamo aspettative quantomeno variabili a causa dei colpi di genio di qualche "pseudo" ministro dell'economia come ad esempio il prelievo forzoso del 1993 o i tranelli contabili. Con l'euro la politica economica è tornata alla quasi normalità: abbiamo un bilancio sotto gli occhi della UE, conti che dobbiamo tenere in ordine (ricordiamo che dal 1992 l'Italia è il Paese che ha avuti il maggior avanzo primario tra i paesi del G7), minori azzardi morali e stramberie finanziarie.
Il percorso dell'euro è ancora lungo da fare: integrazione finanziaria, regole unificate dei bilanci,  coordinamento delle politiche fiscali, scollamento tra politica e politiche monetarie (seppure BCE e EcoFin sono nei fatti divisi, la moral suasion da parte della compagine politica è ancora troppo elevata - la politica purtroppo pensa solo alle prossime elezioni e non al medio periodo), un ente super partes che valuti le politiche economiche dei singoli paesi in ottica di convergenza ecc..
 Ringrazio gli autori per la chiarezza del post.

Forse qualcosa nel calcolo va rivisto....

No, Guido, i dati che riporti nel commento confermano esattamente quello che abbiamo riportato nel post (d'altronde i dati di contabilita' nazionali quelli sono...).

Come si puo' verificare dalla banca dati Eurostat la bilancia commerciale della Spagna in rapporto al Pil era pari a -3,1% nel 2000 e a -0,8% nel 2011. La variazione e' quindi +2,3%, che e' il dato riportato nel post (variazione, come abbiamo indicato nell'intestazione della tabella).

Questo e' quello che si puo' vedere (con un po' di lavoro in piu' ma si puo' vedere) dai dati che hai riportato:

(1) Il tuo primo grafico mostra la bilancia commerciale in migliaia di euro nominali (ironia della sorte, Guido, permettimi solo questa benevola battuta :-)). Se prendiamo questi dati dalla stessa banca dati Eurostat di cui sopra vediamo questa figura, che riproduce la tua anche se i livelli sono un po' diversi e non so perche' (qual e' la fonte della figura che hai riportato?):

spain

Secondo Eurostat la bilancia commerciale spagnola era -19,71 miliardi di euro nel 2000 e -8,43 miliardi di euro nel 2011 (sebbene -19,5 miliardi di euro nel 2009 e -23,0 miliardi di euro nel 2010, anno in cui si ferma il tuo grafico). Rapportati al Pil (che nel frattempo e' cresciuto notevolmente in Spagna) fanno esattamente i numeri che abbiamo riportato nel post.

(2) Il tuo secondo grafico mostra questo ancora piu' chiaramente. Stiamo parlando di bilancia commerciale, naturalmente, non dell'intero current account. Cioe' delle barre gialle nella tua figura. Anche a occhio si vede che era circa -3% del Pil nel 2001 e poco meno di -1% del Pil nel 2011, per cui la variazione e' circa +2%, esattamente come riportato nel post.

Quindi niente va rivisto nel nostro calcolo sulla bilancia commerciale della Spagna.

Mi pare corrisponda alla tabella sul post. 

Se non vado errato, la parte gialla nella tua figura va nel periodo 2000-2011 da circa -3% a piu' di -1%, quindi un aumento di circa 2% di PIL. Nella tabella e' indicato per la spagna un incremento del 2.3%. 

Queste parole non sono mie, ma di Daniel Gross, presidente del Centre for European Policy Studies in un paper pubblicato oggi. Cade completamente il mito delle riforme tedesche ("non hanno avuto alcun impatto sulla produttività") e sulla produttività stessa (la produttività in Italia è cresciuta di più che in Germania nel settore dei servizi).

 

Leggere per credere: blogocrazia.wordpress.com/2013/03/20/la-fine-di-un-mito-la-produttivita-tedesca/

Grazie per la segnalazione, articolo interessante. Due punti:

(1) Nel post noi parliamo di produttivita' e salari nel settore tradables (industria, prendiamo noi) quindi, ai fini del punto che facciamo noi, della figura 2 di Gross rileva solo la parte sinistra (manifattura) ed e' irrilevante la destra (servizi) [si, si, altro riflesso condizionato: la destra e' irrilevante :-)]. Resta da chiarire perche' nei dati riportati da Gross la produttivita' nella manifattura cresca di piu' in Francia rispetto ai dati che abbiamo riportato noi. Delle due l'una: o Ameco riporta dati sulle ore lavorate diversi da quelli di Eurostat oppure la produttivita' nel settore industriale non manifatturiero e' cresciuta pochissimo in Francia rispetto al manifatturiero. Appena ho 30 minuti verifico e ci torno sopra.

(2) La conclusione nel tuo commento mi pare un po' forte rispetto a quello che leggo nell'articolo. Per esempio, la sua conclusione e' questa:

 

The overall conclusion is that there are certainly some elements of the German ‘model’ that are useful for the embattled peripheral countries of the euro area today. In the first instance, long-term fiscal consolidation requires expenditure restraint, and labour market reforms can, over time, bring marginal groups into employment. But the biggest challenge for countries such as Italy or Spain remains competitiveness

 

E dalla parte sinistra della figura 2 di Gross si vede che qualcosa Spagna e Italia possono imparare dalla Germania.

 

Un commento estemporaneo tra un volo e l'altro (grazie a Giulio per monitorare il tutto mentre io svolazzo). 

E' abbastanza sconvolgente quanti neuroni in Italia siano occupati a provare che i tedeschi non sono affatto piu'  produttivi rispetto a noi. Odio fare il Berlusconi dei "ristoranti pieni" e odio opporre aneddoti e emozioni ai dati veri (che Giulio ha raccolto e studiato con cautela), ma vi siete mai fatti un giro per la Germania e avete mai guardato all'Italia? Per quale forma di magia treni che non funzionano, giustizia lentissima, scuole mal funzionanti, istituzioni di ogni tipo in ginocchio  non dovrebbero avere un effetto sulla produttivita' del lavoro?  

Mah. E questa ossessione del debito con l'estero? Siamo seri, i salari reali tedeschi in livelli sono piu' elevati, il cambio e' fisso, cosa puo' essere. Mah, ragazzi, avete il modello sbagliato in mente e i dati (ma non solo i dati, il buon senso) si ribella. 

 

Ho iniziato a seguire questo argomento (già nel precedente thread) sperando di avere dei dati sicuri contro la sciagurata (a mio avviso) ipotesi di Bagnai. Preciso che non considero l'uscita dall'euro una cosa in se assurda e impossibile, ma considero sciagurata e facilona la valutazione delle conseguenze che tale scelta avrebbe.

 

 

Non so bene se sia uscita da questa discussione una rappresentazione chiara e indiscutibile della realtà. Mi sembra di no. Ma credo che si possano trarre alcune considerazioni di metodo utili per tutti. La prima è questa. Sarebbe certo utile che si potesse anche seguire nelle singole azioni politiche e economiche e con i dati statistici, l'evoluzione dei fatti, come cerca di fare Bisin. Ma non è detto che sia sempre possibile. Citando con un po di ironia una delle classiche osservazioni dei liberisti intransigenti, (vera in se, anche se spesso è usata strumentalmente ) e cioè che il mondo è troppo complesso perché lo si possa pianificare, credo si possa anche dire che il mondo è troppo complesso perché si possano ricostruire le conseguenze delle decisioni economiche con la precisione di una catena di cause ed effetti indiscutibili, da cui si possano ricavare delle ricette economiche assolutamente certe. Credo che ci sia un metodo più concreto, anch'esso non indiscutibile, ma però tale che è possibile individuare le motivazioni politiche e sociali delle diverse posizioni.

 

 

La vera risposta a Bagnai non sta tanto nella teoria economica quanto nell'economia reale, bella spessa e tangibile. Quando le idee di Bagnai hanno cominciato a circolare, la vulgata della sua ipotesi, come lui stesso la proponeva, si concludeva con l'osservazione , che una volta usciti dall'euro, si sarebbe potuto svalutare e a questo punto ci aspettava una nuova era di benessere e di boom economico. La prima cosa che viene in mente a chi ha esperienze appena un po diversificate di lavoro produttivo e di produzione, è che questa è una sciocchezza facilona e pericolosa. Il modello di riferimento è quello nefasto della produzione di bassa qualità e di basso costo che ha portato l'economia italiana alla crisi, magari salvando in qualche modo i bilanci annuali, ma affossando il futuro del paese, futuro che è il nostro presente. Ma se allora era percorribile, oggi non lo è più: merci a basso costo e spesso neanche di bassissima qualità ci invadono da tutte le parti e non esiste alcuna possibilità di concorrere con la produzione dei paesi in via di sviluppo.

 

 

Non c'è bisogno di essere economisti per vedere certe cose. Io lavoro dalla fine degli anni 60 ed ho visto intere industrie, dall'informatica alla chimica, alla siderurgia sparire o quasi dal paese. In particolare nel mio settore, l'informatica, agli inizi del 60 l'Italia era uno dei soli 4 paesi in grado di sviluppare un sistema informatico completo: hardware e software. Oggi l'informatica italiana ha un livello medio bassissimo. Non esiste più la progettazione dell'hardware e non esiste quasi software italiano venduto nel mondo. Forse può essere oggettivo che certe opzioni, come quelle dell'hardware siano poco praticabili in un mondo globalizzato. Ma sicuramente in Francia. Germania e Inghilterra sono rimaste quote sostanziose di capacità produttive che permettono a questi paesi di aver nel settore una bilancio commerciale meno squilibrato del nostro.

 

 

La storia dell'uscita dell'Olivetti di Adriano Olivetti dal settore a metà degli anni 60, è emblematica. Abbandonare l'informatica fu il diktat posta dalla FIAT, tramite il Direttore Generale Valletta, come condizione per l'intervento di Mediobanca. Il sindacato neppure sapeva cosa produceva l'Olivetti. Un po di documenti fatti da qualche sindacalista di base sono usati oggi dal sindacato per dimostrare una sua presunta sensibilità, ma di fatto il sindacato non si è mai accorto che esisteva un lavoro mentale produttivo, quello dei progettisti e dei programmatori. A me capitò di cercare di spiegare ad uno del sindacato che noi impiegati tecnici, producevano esattamente come gli operai che facevano l'hardware e che quei cassoni che venivano venduti così a caro prezzo non c'era solo il lavoro degli operai specializzati ma anche incorporato, il nostro lavoro mentale, i programmi. . Secondo loro non era vero. Il software era un servizio e noi impiegati sindacalizzati, eravamo delle avanguardie! E' un fatto che il sindacato ha trascurato gli interessi degli impiegati tecnici sacrificati al mito dell'uguaglianza. Con il risultato paradossale che cacciati via i tecnici per aver trascurato di difenderne la professionalità, i sindacati, senza problemi difendono i privilegi degli impiegati della PPAA. Ma quanto è costato, e costa al paese l'indifferenza sindacale, alla professionalità ed alla qualità del lavoro?

 

 

Credo che questi siano i temi di una critica da fare a Bagnai ed a suoi coriferi. Da cui deriva anche che c'è la malafede nella contrapposizione tra Italia e Germania, e più in generale tra i paesi del mediterraneo e quelli del Nord,. La contrapposizione, che esiste di fatto su molti aspetti, è però secondaria rispetto all'elemento principale che la sinistra italiana cerca di nascondere e cioè che le socialdemocrazie del nord hanno agito concretamente sul lavoro e l'economia, mentre le sinistre del sud Europa hanno sprecato fatiche e lavoro di tre generazioni di lavoratori senza riuscire a dare un reale contributo al loro sviluppo ed alla loro emancipazione. Oggi la Germania ha una economia produttiva che ha retto allo stress della globalizzazione, ha un welfare che permette ai lavoratori tedeschi di reggere la crisi. Ha dei problemi certo, ma l'attenzione e la cura con cui la nostra sinistra guarda alla Germania, con cattiveria e con la speranza che anch'essa vada in crisi, è una esperienza spiacevole. La sinistra italiana oggi detesta Germania, Svezia e le socialdemocrazie del nord Europa perché la loro stessa esistenza denuncia il suo fallimento.

 

 

Però questa critica riguarda in parte anche voi. Io credo che la discussione vada riportata ai suoi elementi concreti. Anche se dietro c'è una spiegazione in termini di teoria, la cosa importante è l'attenzione all'economia reale. Se si parla di economia reale tante distinzioni "teoriche" saltano. In questo sito si è più volte detto giustamente che non è vero che i mercati liberi siano mercati senza regole, per cui se si scende a discutere non del principio ma delle pratiche con cui è possibile liberalizzare i mercati, si esce dalla contrapposizione ideologica per entrare nell'economia reale. L'unico economista, almeno tra quelli che conosco, che ha coniugato la teoria con la verifica della pratica è stato Sylos Labini. Credo che il suo libro del 1995 la crisi italiana, seppur datato in molte parti, visto che lui credeva di rivolgersi ad un centro sinistra riformista mentre si rivolgeva di fatto a dei "conservatori", nell'analisi dei motivi della crisi è attualissimo: una grande industria monopolistica e i cui interessi si intrecciano con la classe politica, una piccola industria frenata dai monopoli e dalla politica, una scuola che non è in grado di formare le professionalità necessarie.

 

 

Oggi, nella crisi totale di un sistema politico non si tratta di cercare gli spazi per il trionfo di una ideologia, ma gli interessi comuni con cui portare il paese fuori dal guado. E allora si aprono possibilità politiche reali di alleanze inattese e di obiettivi comuni anche tra classi e settori diversi. Alleanze ovviamente temporanee. Usciti dalla crisi la contrapposizione si riaprirà, ma a questo punto sarà su obiettivi concreti. Finalmente potremo come paese uscire dall'opposizione ideologica tra integralismi opposti che ci portiamo dietro dal 1948.

 

Grazie per l'articolo, decisamente interessante e ricco di dati.

Volevo porre una domanda. Avete fatto delle riflessioni sulle cause del gap di produttività nel settore manifatturiero italiano rispetto agli altri paesi presi in considerazione?

A priori, questa può dipendere da molteplici fattori, quali:

a) una mancanza di investimenti

b) l'insufficiente riduzione della forza lavoro nelle imprese,

c)  una carenza di managerialità e capacità organizzativa

d) un diverso modello di delocalizzazione che lascia alle sussidiarie estere una maggior quota del valore aggiunto della filiera di gruppo, specie in presenza di meccanismi perversi (l'IRAP per intenderci) che rendono tale scelta vantaggiosa coeteris paribus per un'impresa italiana. 

e) la distorsione del mercato del lavoro che "toglie" dal valore aggiunto dell'impresa il contributo lavorativo delle partite IVA. 

Per non parlare delle esternalità negative derivanti da un settore pubblico inefficiente che, come notato, non possono non avere un impatto negativo sulla produttività.

Condivido pienamente l'analisi che vi porta a dire che il primcipale problema dell'economia italiana non è certo nell'euro ma nella produttività. Per passare alla cura necessaria, credo sia opportuno separare i contributi dei diversi fattori per poter proporre una politica volta a porvi rimedio. 

 

Come causa importante (direi N°Zero) c'è il divario di istruzione tecnica e professionale nella forza lavoro tra i due paesi. Come sappiamo dai dati OCSE (educatione at a glance) l'attuale forza lavoro italiana (25-65) è costituita per buona metà da persone che hanno alle spalle la sola terza media. I diplomati sono il 51%.  In germania invece i diplomati sono l'83%.  Questo in un paese manifatturiero come il nostro (ma in generale in ogni paese avanzato) è un grosso handicap, che limita la produttività. Manchiamo di peronale formato e tra l'altro quel poco che abbiamo tende ad emigrare.

Alberto, Giulio, grazie per il post: chiaro e diretto sui punti importanti. Mi piace l'accenno agli effetti sul livello di disoccupazione in Germania: tocca al cuore le classiche scempiaggini del modello "superfisso" e le analisi biased in favore di chi un posto di lavoro già lo ha.

 

 

va anche notato che la lenta crescita dei salari reali in Germania potrebbe non essere una cattiva notizia, invece, per quei lavoratori che hanno trovato un lavoro grazie alla corrispondente maggiore competitivita' del settore industriale tedesco

 

1. la produttività in Canada è più bassa ma il pil del Canada è molto più stabile di quello degli USA

2. la produttività in Usa è più alta ma il pil americano è meno stabile del Canada

 

articolo da guardare: business.financialpost.com/2012/10/01/canadas-productivity-lags-u-s-in-virtually-every-instance-deloitte/

 

Ma:

 

Canada’s economy hasn’t been this weak since the recession

business.financialpost.com/2013/03/01/canadas-economy-hasnt-been-this-weak-since-the-recession/

 

Le cose sono più semplici:

 

1. l'azienda è amministrata bene e fa buoni prodotti che dopo sono richiesti dal mercato

2. l'azienda non è amministrata bene e non fa buoni prodotti che dopo non hanno tanto successo nel mercato

3. l'azienda ha pochi vincoli esterni e riesce a crescere

4. l'azienda ha tanti vincoli esterni e non riesce a crescere

 

L'azienda è inserito in uno stato

Se l'azienda funziona bene e se lo stato funziona, allora crescita

Se l'azienda non funziona bene e se lo stato funziona, allora si avrà una scarsa crescita

Se l'azienda funziona ma lo stato no, si avrà una scarsa crescita

Se l'azienda non funziona e neanche lo stato, non c'è crescita

 

Le azioni virtuose devono partire da entrambi: sia dallo stato sia dall'azienda

 

-----------------------------------------

articolo da guardare: www.huffingtonpost.com/henry-mintzberg/the-problem-is-enterprise_b_636852.html

 

Sottolineo certe parti dell'articolo di Mintzberg:

 

Americans revere leadership, probably because they get so little of it. A leader is not the hero who rides in on the great white horse to save the day

 

A recent Gallup poll suggested that 55% of the American workforce is not engaged and another 16% is actively disengaged. Perhaps this is best explained by the relentless downsizing of the large American companies, which has undermined the enterprising spirit of the country and its workforce.

 

A robust enterprise is a community of human beings, not a collection of "human resources

 

The slow fix can begin with the rotting heads of the large corporations. The narcissists will have to be driven out of the executive suites, along with their shameful bonuses. In their place will have to come some real leadership: people truly engaged in their enterprise, personally and deeply, in order to rebuild its sense of community. Not birds of passage, not MBAs who macro-lead instead of micro-manage, who believe they can run anything by deeming performance, but people with a profound appreciation for their industry, their enterprise, its products and services, and especially its people.

 

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Che cosa deve fare un'azienda?

 

Specifically, foresight has been defined as: "Degree of analyzing present contingencies and degree of moving the analysis of present contingencies across time, and degree of analyzing a desired future state or states a degree ahead in time with regard to contingencies under control, as well as degree of analyzing courses of action a degree ahead in time to arrive at the desired future state."

 

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Come si raggiunge un miglioramento economico?

 

- con una migliore università

- un mercato del lavoro dinamico e meno asfittico

 

ma anche con un cambiamento di mentalità da parte degli industriali italiani che spesso non assumono laureati per gestire le loro imprese

 

O la mia è una semplificazione?

 

il discorso di questo articolo mi pare che potrebbero essere sintetizzato così

 

- penso al tagliando della macchina (salario, produttività) mentre la macchina non funziona (azienda non funziona)

 

Domandiamoci piuttosto:

 

- la macchina "azienda italiana media" funziona veramente?

 

ricordo banalmente che:

 

- lo scopo di un'azienda è trasformare l'input in output...E tale trasformazione deve avvenire con l'ottimizzazione delle risorse umane o fisiche a disposizione....Ovvero: non ci devono essere sprechi da tutte le parti

Sulla questione di Cipro a mio avviso vanno quanto meno osservate tre cose:

1) Il fatto che le banche cipriote siano andate in crisi per un'esposizione eccessiva al debito greco pone un problema di metodo dell'Europa. Quando è stato di fatto decretato il via libera al default greco si sono valutati bene gli impatti sulle banche di tutti i grandi paesi e, come conseguenza indiretta, sulle finanze dei Paesi in questione e dell'UE nel suo complesso. A quanto pare di Cipro se ne sono bellamente fregati tutti perché Paese sufficientemente piccolo. Coerenza però vuole che se tu fai defaultare uno Stato devi quanto meno porti il problema che, di fatto, esiste uno Stato satellite che fallirà con lui e che pertanto il piano di azione dovrebbe coinvolgere quello stesso Stato

2) occorre distinguere le soglie sotto il livello di garanzia pubblica e al di sopra dello stesso. Infatti imporre una tassa straordinaria sui conti correnti "garantiti" equivale di fatto al venir meno della garanzia. E poiché la garanzia rimanda ad un impegno dello Stato stesso equivale ad un default selettivo, penso e spero, illegittimo. Relativamente ai depositi sopra soglia (quelli dei Russi riciclati o dei Britannici in vacanza) si pone invece un altro problema di principio, di natura diversa. Se si lasciano le banche fallire, cosa per cui a tutti i livelli si stanno studiando regolamentazioni, è corretto che i suddetti depositanti perdano al limite anche tutto, per la quota eccedente la garanzia. Ma se il governo (Stato Cipriota) interviene per salvare le Banche stesse dovrebbe, a mio avviso, farlo a spese dei suoi cittadini e non a spese di cittadini esteri

3) in termini di sostanza, creare il precedente in virtù del quale l'Europa può intervenire e imporre una tassazione straordinaria sui conti correnti è pericolosissimo. La garanzia sui depositi fu istituita per evitare la "corsa agli sportelli" delle banche in difficoltà. Ovvero un fenomeno per cui i correntisti si precipitano a prelevare dai conti correnti di una banca in supposta difficoltà accelerandone la morte attraverso una crisi di liquidità. Introdurre una tassa di questo tipo avrebbe lo stesso identico effetto: portare i cittadini di un Paese in difficoltà (es. un Paese con spread improvvisamente in crescita) a svuotare i conti correnti delle banche domestiche creando un'improvviso corto circuito della liquidità che a sua volta acuirebbe la crisi del Paese stesso

la troika ha necessità urgente di fare un corso di comunicazione. La tassa <100K  è una decisione cipriota per cercare salvaguardare il suo status di paradiso fiscale.

Si poteva evitare di tassare anche i >100k? no per evidenti ragioni politiche, no per ragioni finanziarie (qui e qui).

 

Discussione molto interessante e ringrazio, davvero, gli autori per questo articolo.

Molto spesso in altre sedi sono coinvolto in dibattiti sull'effetto che l'euro ha avuto sull'Italia (specifico: non sono un economista).

Vorrei qui provare a fare "l'avvocato del diavolo" e portare i punti che più spesso sento a sostegno della tesi "è tutta colpa dell'euro".

1)Se l'Italia avesse ancora la lira essa avrebbe un cambio con le altre monete più basso rispetto a quello odierno dell'euro e questo ci permetterebbe di esportare di più.  Avere l'euro per noi è come quando l'Argentina aveva legato il peso al dollaro;

2)Molti altri paesi, nonostante non siano entrati nell'euro (o siano entrati successivamente) hanno registrato una diminuzione dei tassi d'interesse sul debito pubblico, quindi è sbagliato ritenere che l'intera riduzione del costo degli interessi sia dovuta all'euro;

3)Non essendoci un meccanismo come quello fornito dalla libera fluttuazione di valute la Germania può godere di un surplus di bilancia commerciale più forte di quello che avrebbe senza l'euro, e questo a danno dei paesi "deboli" (su questo punto avete scritto qualcosa)

Grazie per eventuali risposte!

 

Emilio Manzoni

Emilio, 3 risposte forzatamente sintetiche e incomplete.

1) Il tasso di cambio e' un prezzo. Quando si muove, qualcuno ci guadagna e qualcun'altro ci perde. Un deprezzamento della moneta, all else equal, va beneficio degli esportatori e a danno degli importatori. Visto che l'Italia importa la maggiorparte dell'energia... 

2) Infatti il post fa chiaramente riferimento al differenziale d'interesse con la Germania

3) L'adesione ad una common currency area ha vantaggi e svantaggi. Come da te accennato, si perde flessibilita' ( anche se dal punto di vista empirico l'evidenza non e' proprio solida -- si veda http://www.voxeu.org/article/against-false-truisms-exchange-rate-flexibility-does-not-speed-current-account-adjustment ) , ma ci sono un a serie di vantaggi, in parte specificati nel post. Tra i piu' inportanti, la consegna della politica monetaria and un'istituzione (la ECB) che non si pieghi ai voleri della politica nostrana e la sparizione del rischio di cambio.

Credo che questa immagine valga più di mille parole

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E a chi dice che i tassi a metà anni novanta sono scesi per l'inflazione....? Che poi, è curioso, non capisco come si possa contemporaneamente auspicare l'uscita dall'euro e al tempo stesso sostenere la necessità delle riforme (seppur, ovviamente, senza toccare la spesa pubblica....). Amici, ma se secondo voi le riforme sono "necessarie", il termine "necessario", nella vostra testa, che cosa significa? Non è che con quella mezza dozzina di kg di riforme il paese non avrebbe bisogno di alcuna uscita dall'euro? Ed insieme al nostro, anche tutti gli altri Pigs? Qual'è la vostra concezione di "riforme necessarie"? E' tutto fumo, vero? Non a caso, i cultori dell'uscita dall'Euro non sono minimamente capaci di proporre un briciolo di riforme strutturali. Dai, su, citatemi queste "grandi riforme" dei grandi pensatori euro-scettici! La realtà è che a loro le cose stanno bene così come sono. Questa è un'occasione per riformare il paese, e il vostro atteggiamento euro scettico dimostra la vostra volontà di NON farlo. Di NON riformare. Perché non vi concentrate sul riformismo, invece di farneticare? Perché non vi interessa! E' questa la realtà! Non siete capaci di proporre un bel niente. Le riforme più razionali, più espansive, sono destinate a concludersi in una convergenza con la Germania, la quale non può che guadagnarci dal nostro benessere. E' questo il punto. Le riforme sono la soluzione alla crisi dell'Euro e alla crisi del paese. Riformare significa ottenere crescita e stima. Il comportamento degli euro-scettici e fuori dalla logica. Ed è ancora più illogico se a prender posizioni del genere sono economisti liberali! Quale miglior occasione per un liberale?! Capisco i socialisti, che vorrebbero aumentare la spesa pubblica e in queste condizioni non possono farlo....ma i liberali...ma dai! L'illogicità risiede ancora prima nel credere che lo Stato abbia bisogno di spendere ancora di più. Vorrei potervi dare dei criminali, e se avessi più sicurezza in ciò che sto dicendo lo farei molto volentieri. Per il momento, da umile autodidatta, mi limito a dubitare.

   A rischio di farmi deridere dall'intera redazione, sempre pronta a sbeffeggiare gli ignorantelli in economia, - quale è appunto il sottoscritto - vorrei dire che gli articoli sull'euro apparsi su questo blog non centrano il cuore del problema. Negli articoli vengono indicati, in modo documentato e senza dubbio interessante, quali sono stati i vantaggi dell'ingresso nella moneta unica: e viene altresì spiegato in modo esauriente come i paesi più accorti (vedi Germania) abbiano tratto vantaggio dall'euro, mentre i paesi cicala (vedi Italia) abbiano sprecato ogni opportunità, dilapidando i benefici che sono derivati dalla moneta europea.

  Ora, senza mancare di rispetto ad i bravi autori dei post, devo dire, in tutta sincerità che persino un ignorante come il sottoscritto ha capito (da tempo) quello che viene detto negli articoli, e che - nel suo piccolo - condivide in pieno. Ad esempio, il crollo dei tassi di interesse del debito pubblico, hanno effettivamente di colpo alleggerito il bilancio statale, ma questo improvvisa disponibilità non si è tradotta in investimenti , ma in spesa improduttiva.  Anche se andrebbe aggiunto che il cambio lira-euro ha impoverito di colpo le famiglie ed è assomigliata molto ad una inflazione: i prezzi e le parcelle sono lievitati fino a raddoppiarsi  in qualche caso, mentre gli stipendi sono stati convertiti al cambio "ufficiale".  E' quindi verissimo che i governi non hanno fatto nulla, neppure per governare il passaggio. E aggiungerei  non solo l'odiato Berlusconi, ma anche i più amati governi di sinistra hanno fatto del loro meglio per devastare il bilancio statale: cito l'abolizione dello "scalone" pensionistico di Maroni, la modifica del titolo V della Costituzione, e l'opposizione in piazza alle modifiche dell'art 18, in tempi nei quali tale modifica era sostenibile.   Nello stesso periodo non si è fatta alcuna riforma che potesse incidere sullo sviluppo economico e sulla produttività del lavoro: questa è rimasta stagnante da quasi un ventennio, mentre negli altri Paesi Europei  è significativamente cresciuta.  

   Come si può vedere, chi scrive ha imparato a riconoscere i vantaggi che abbiamo avuto con l'ingresso nell'euro: vantaggi che non si sono (purtroppo) tradotti in un miglioramento della nostra economia. Il problema che si pone è un altro, diverso da quello discusso nei vari post: una valutazione del passato serve a considerare categorie che non hanno alcun ruolo nell'immaginare o disegnare futuro. Quindi il passato ci suggerisce argomenti come il pentimento, il rimpianto, o l'espiazione eventuale per i peccati che abbiamo commesso.   Ora non mi sembra che si tratti di argomenti utili, se non per quella parte che dovrebbe spingerci a modificare drasticamente il nostro modo di vivere riformando dall'oggi al domani la legislazione sul lavoro, quella sulla giustizia, sui rapporti societari, sulle fondazioni etc.  Io credo che di una cosa possiamo essere certi: non riusciremo a cambiare in pochi mesi l'Italia, a dispetto di quanto va ripetendo  il nostro statista  piacentino.  E se l'Italia non cambia in pochi mesi, o magari in qualche anno (ma cominciando immediatamente), la moneta unica rappresenta una camicia di forza che accelera il nostro declino.  Qui vorrei che qualche valoroso economista mi spiegasse quali sarebbero i vantaggi della moneta unica , con la quale è necessario  rispettare il pareggio di bilancio, non si ha la possibilità di svalutare,  e si rimane in una costante recessione, non avendo modo di governare l'economia.  Si può aggiungere agli handicap citati l'esistenza di una Germania moralista che detta legge in Europa, irrogando "punizioni" a quei paesi  che deviano dalla retta via (vedi la geniale trovata sui conti nelle banche cipriote).

   Allora io vorrei una discussione centrata su questo argomento: che fare per il futuro? siamo in grado di riformare il Paese, o dobbiamo accettarne il declino,  reso più veloce dal rimanere in un sistema nel quale le regole sono dettate da altri, che non hanno alcun motive per tutelare i nostri interessi, ma solamente i loro?

Le riforme da fare, da queste parti, sono ben chiare. Vedi il mio commento sopra il tuo: sicuramente l'uscita dall'Euro, partendo dai tuoi presupposti, NON faciliterebbe le operazioni rispetto a ciò che è necessario fare. Anzi. L'Euro - quello si - ci costringe ad agire!

Prendo spunto da una notizia girata i giorni scorsi e di cui riporto la parte finale:

Gli italiani lavorano tanto. Confcommercio sfata infine il "falso" mito degli italiani come popolo di fannulloni. Le analisi parlano chiaro: sia nel caso dei lavoratori dipendenti sia in quello di professionisti e autonomi, nel 2011 hanno lavorato in media 1.774 ore ciascuno. Vale a dire il 20% in più dei francesi e il 26% in più dei tedeschi. I lavoratori indipendenti, autonomi o professionisti, in Italia lavorano quasi il 50% in più del lavoratore dipendente: in cifre, 2.338 ore contro 1.604. E' come dire tre mesi in più, compresi sabati e domeniche. Ma è bene precisare che lo stesso fenomeno si verifica anche negli altri Paesi presi in considerazione dalla ricerca di Confcommercio.

Ma producono poco. Il problema tutto italiano è quello della produttività. In media, ogni lavoratore italiano produce una ricchezza mediamente pari a 36 euro per ogni ora lavorata. Rispetto a noi, i tedeschi producono il 25% in più e i francesi quasi il 40% in più. E mentre negli altri Paesi la produttività oraria è cresciuta nel tempo (tra il 2007 e il 2011, del 20% in Germania, in Francia anche di più, in Spagna dell'11% circa) in Italia questo fenomeno si pè verificato in modo molto marginale (solo il 4% rispetto al 2007). D'altra parte, solo pochi giorni fa era stato Mario Draghi a puntare il problema chiedendo una riforma dei contratti di lavoro.

E da qui parto per una domanda: quanto incide la presenza di un forte sommerso in tutti questi calcoli? Il sommerso è già in parte inserito nel PIL (quel 18% circa che ISTAT rivaluta) e quindi nel valore aggiunto, ma le ore lavorate? Ed il numero degli addetti? Siamo sicuri che i calcoli di produttività Valore aggiunto per addetto e valore aggiunto per ora lavorata) siano sempre corretti e comparabili con quelli di un paese che ha la metà del nostro sommerso?

in italia tendo ad abolire la frase "Valore A(ggiunto)", nell'ambito della PA i non statalisti stessi alla fine della fiera tagliano linearmente perchè nella maggior parte dei casi NON RIESCONO A CREARE Valore A.

Nell'ambito delle aziende, senza infrastrutture di controllo di processo e gestione, senza adeguate infrastrutture ict e una pletora di manager incapaci e lottizzati, CHE QUANDO FANNO GLI STRAORDINARI CREANO ANCORA PIU' VALORE SOTTRATTO E FANNO DIMINUIRE ANCORA PIU' LA PRODUTTIVITA'.

Ma hai idea in ogni cosa che uno fa al lavoro quanto cacchio di ore e soldi spreca (anche in logistica perchè se non vai fisicamente sul posto molti non fanno una beata mazza) per rimediare i casini degli altri o ad ottenere un risultato, in molte mie attività non hai idea di quanto overhead faccio quotidianamente?  è come se trasmettessi pacchetti con più header che payload, faccio una quantità overhead mostruoso trasmettendo più traffico di quanto ne serve.

E certo che il sommerso sopravvive e compete, non è solo problema di controllo fiscale del sommerso e del nero, il problema è che non c'è controllo e ottimizzazione di quello che funziona alla luce del sole, se vuoi competere in una società e organizzazione civile, in un modello europeo, devi focalizzarti su questo.

Ho un paio di domande sulle aree valutarie ottimali.

 

La crisi economica in Italia è dovuta principalmente a carenze strutturali note da tempo e non rappresenta uno shock asimmetrico.

 

Ma negli altri PIIGS?

 

1 - Per la Grecia vale lo stesso discorso dell'Italia?

 

2 -Lo scoppio di una bolla immobiliare in Spagna e nell'ex tigre celtica era imprevedibile? Se così fosse si tratterebbe di uno shock asimmetrico. Oppure il guaio vero è la debolezza delle banche, così che sarebbe sufficiente perfezionare l'unione bancaria?

 

3 - Il Portogallo, poi, a cosa deve i suoi guai? Bassa produttività e crescita drogata da eccessivo indebitamento privato? Quindi saremmo nel campo delle carenze strutturali?

 

4 - Infine: se effettivamente lo shock in Spagna e Irlanda era imprevedibile e asimmetrico, ritenete necessarie misure compensative quale un sussidio di disoccupazione finanziato a livello comunitario?

 

Grazie

 

La mia impressione da profano è che in tutti i casi ci fossero problemi strutturali che sono venuti a galla bruscamente quando si è sgonfiata una bolla speculativa e i soldi sono scappati da dove il rischio di essere fregati era maggiore.

Eventuali misure compensative, come giustamente pretendono gli stati del nordeuropa sono accettabili solo se si fa TUTTO il possibile per risolvere i problemi alla base, altrimenti rischiano di essere solo una droga assistenzialista, come sarebbe anche un eventuale svalutazione.

Circa la discussione sulla bassa produttività italiana, faccio alcune considerazioni ingenue partendo dall'esperienza personale. Lavoro in una grande azienda  del centro italia e mi occupo di aspetti legati alla gestione delle tecnologie. per il mio lavoro occorre, spesso,  spostarsi per raggiungere i vari sedi. la città nella quale mi sposto non ha un servizio di trasporto pubblico decente, quindi occorre spostarsi con mezzo proprio in mezzo ad un traffico infernale, una volta raggiunta la meta agognata, occorre cominciare battaglia per parcheggiare la macchina. in pratica, un'ora di lavoro effettiva, mi costa a volte, per i trasporti, anche 2 o 3 ore. spesso si potrebbe risolvere il tutto intervenendo da remoto tramite rete. vi dico solo che da qualche mese, anche solo la posta elettronica funziona a singhiozzo, pare che non sia stato rinnovato il contratto di manutenzione per questo servizio. in questi mesi, comunicare per posta elettronica richiedeva un discreto culo, ed una certa velocità nello sfruttare il momento in cui il server non era impallato. altra ingenua considerazione: il percorso tortuoso che parte da una idee e arriva alla sua realizzazione. qualsiasi cambiamento comporta il coinvolgimento di un numero piuttosto grande di "responsabili" ovviamente gelosissimi della proprio potere di veto, e maestri nell'arte della melina al solo scopo di far convocare riunioni con cui riempire le proprie giornate altrimenti vuote.

da quello che vedo, insomma abbiamo una forte carenza infrastrutturale e delle carenze in termini di struttura decisionale che fa sembrare ogni volta un miracolo il riuscire  a compiere qualche cosa che nell'europa core richiederebbe molta meno fatica.

insomma secondo la mia piccola esperienza personale, non possiamo competere con la germania, partiamo da uno svantaggio competitivo troppo  elevato, a meno di non adeguare la nostra dotazione infrastrutturale e di cambiare le nostre teste italiche con teste teutoniche. stando così le cose, e con la stessa moneta, contro i tedeschi soccomberemo per forza.

saluti

marco

molto interessante.

il punto è che, stando così le cose, qualsiasi sia la moneta soccomberemo comunque. o si punta sul valore aggiutno della produzione (in qualsiasi modo, non è questo il punto) o si fa competizione di prezzo con chi compete sul prezzo, cioè cinesi e simili. nel primo caso, la svalutazione è totalmente inutile; nel secondo caso, parliamo di svalutazioni del 60,80,100% ecc. e svanisce tutta la retorica del "che male fa la svalutazione".

Mi sembra che la descrizione fatta da Maresp trascuri un particolare, che nessuna moneta può in se migliorare la produttività di un sistema, alla fine la moneta è sostanzialmente una merce di scambio tra diverse merci, tu produci merci con le quali attraverso la moneta pensi di ottenere altre merci in cambio, qualsiasi moneta tu usi non potrai mai ottenere più merci di quelle che sei in grado di produrre. Insomma la nessuna sovranità monetaria può rendere più ricco chi è meno produttivo, e se sei più debole puoi resistere nei confronti di chi è più forte solo con un costo del lavoro più basso, e questo è l'effetto reale, che Keynes ammetteva platealmente, dell'inflazione e della svalutazione monetaria.

P.S. io lavoro in un industria chimica, la mia esperienza è che impianti tecnologicamente identici, hanno costi di produzione maggiori in Italia che in Germania nonstante stipendi nominali e reali più alti in Germania, quindi le eventuale arretratezze tecnologiche sono solo un aspetto secondario dei problemi italiani. 

quest'articolo su FT spiega la crisi italiana benissimo.

c'è chi sostiene che i nostri tassi hanno seguito un'andamento più generale - più vicino agli USA che alla Germania - e che pertanto il risparmio sugli interessi non è dovuto all'Euro ma agli USA. Inoltre, citano l'inflazione nel calcolo dei (non)risparmi. Cosa rispondete a costoro? Grazie.

Ottimo articolo!

Dove posso trovare un confronto tra i salari reali (e magari anche sulla produttività) in Italia e Germania nei vent'anni prima del 1996 (quando non c'era l'euro e l'inflazione galoppava)?

Perché una classica obiezione dei lira-fan è che quando c'era l'inflazione alta i salari crescevano, ma secondo me in termini reali calavano.

Sul punto epistemologico della causalità, non dico sui punti sostanziali della discussione, Tuttologo ha ragione.

Anche nelle scienze umane, la causa è sempre antecedente all'effetto. La differenza, rispetto alle scienze della natura, è che alcune cause sono aspettative di eventi futuri, a loro volta causate da altri eventi (promesse, contratti, impegni, previsioni) pure antecedenti all'effetto (e antecedenti alle aspettative): questi altri eventi giustificano le aspettative, con un grado di probabilità maggiore o minore (si tratta di causalità probabilistica).

E' una causalità, questa basata sulle aspettative, possibile solo per agenti intelligenti, umani e non.

Come osservato da Aldo Moro, è un punto non rilevante per la discussione qui in corso, anche se filosoficamente importante. Non capisco perché non dare ragione a Tuttologo su questo punto particolare.

 

Perche' ha torto nella sostanza. Era chiaro che si parlava di aspettative fin dall'inizio, e ha cambiato la discussione su questo argomento (fuorviante) su cosa sia una causa. 

"edited"

 

Complimenti per il pezzo.