L'amico Nanni B. ha studiato a Milano e a Londra. Oggi è ordinario in Italia. Fa parte a tutti gli effetti di quella "Scuola di Milano" cui ha, qualche tempo fa, fatto riferimento Mario Monti in una intervista a Dario Di Vico sul Corriere. L'amico Nanni è uomo di sinistra ma con idee più liberali della stragrande maggioranza della classe politica e intellettuale di sinistra in Italia. Ed infatti non ha snobbato ideologicamente il pamphlet di Oscar Giannino, direttore di Libero Mercato, testata giornalistica di stampo liberista in vendita assieme al quotidiano Libero di Vittorio Feltri.
Nanni però non è stato per niente impressionato dal libro di Giannino; tantomeno è rimasto convinto dalla tesi principale del libro, e cioè che abbassare le tasse sia cosa di sinistra, nel senso che sarebbero soprattutto i "non-ricchi" ad avere vantaggi economici da una drastica riduzione delle imposte (come i nostri lettori sanno, una tesi simile è stata formulata con un certo successo anche da Alberto Alesina e Francesco Giavazzi nella loro ultima fatica editoriale). Vediamo perché.
Sostiene Nanni B.
Il libro di Giannino argomenta in favore di una drammatica riduzione dell'imposizione in Italia - diciamo dell'ordine di 1/3 almeno. L'argomento è in parte etico - di tipico stampo liberista classico: imposizione ridotta implica libertà di intrapresa e libertà di intrapresa fa il paio con altre libertà individuali fondamentali. L'argomento etico è solido, lo conosciamo, ma piuttosto astratto. Il cuore del problema è economico: L'economia del paese sarebbe avvantaggiata da una drammatica riduzione delle tasse? Quali sarebbero i vantaggi, più precisamente? Quali i costi? Chi paga i costi e chi ottiene i vantaggi? La risposta di Giannino è essenzialmente che: i) i vantaggi verranno da maggiore crescita, maggiore produttività del lavoro, maggiori salari, ii) che i costi in termini di ridotto gettito fiscale non sussisterebbero, perché riducendo le tasse sia il capitale che il lavoro sarebbero più intensamente impiegati (la riduzione dell'aliquota sarebbe più che compensata dal maggiore imponibile e quindi il gettito fiscale aumenterebbe), iii) che i maggiori vantaggi andrebbero al lavoro, e in particolare che i contribuenti più ricchi finirebbero che contribuire una quota maggiore del gettito.
E ancora:
Le argomentazioni in favore di una drammatica riduzione dell'imposizione in Italia addotte da Giannino sono quelle classiche da teoria dell'offerta. Ancora di più: sono quelle estreme da teoria dell'offerta, supportate da una interpretazione letterale dell'idea della curva di Laffer. Ancora di più: da dove il supporto teorico alla tesi che i maggiori vantaggi della riduzione delle imposte andrebbero ai lavoratori?
Se l'evidenza empirica a favore della teoria dell'offerta è solida,
certo non lo è l'evidenza a favore della curva di Laffer (ai livelli
di tassazione in Italia oggi) o degli effetti re-distributivi (a favore
dei lavoratori) delle riduzioni delle tasse. Insomma, i fondamenti
empirici dell'analisi sono estremamente sdrucciolevoli, discutibili e
infatti ampiamente discussi dalla letteratura economica.
Nanni sostiene anche che il libro parla poco di spesa pubblica:
Ma in quel poco sono contenute tesi incoerenti con l'analisi del libro stesso. Si sostiene ad esempio che la riduzione delle tasse auspicata nel libro avrebbe anche il positivo effetto di "starve the beast", cioè di affamare la bestia, cioè lo stato, costrindolo a spendere meno e possibilmente a ridurre le spese inefficienti. Ma se davvero accettiamo la curva di Laffer, come ci chiede Giannino, allora una riduzione delle tasse produce più gettito, e quindi andrebbe ad ingrassare la bestia, invece che non ad affamarla.
Non si può cambiare schema teorico ed empirico di riferimento ad ogni capitolo del libro, conclude impietosamente Nanni B.
Il libro contiene una certa quantità di imprecisioni di per se forse non molto rilevanti ma che denotano una certa "leggerezza" nella lettura delle fonti e una certa "agilità" nel massaggiarle e presentarle come supporto all'argomento base del libro. Due per tutte: i) il libro Barriers to Riches è citato come scritto da Ed Prescott mentre è invece coautorato da Stephen Parente; ii) E. Prescott non ha vinto il Nobel per l'articolo sugli effetti dell'imposizione fiscale in Europa sull'offerta di lavoro, come detto ripetutamente nel libro, ma invece per i suoi vari contributi con Finn Kydland su teoria dei cicli economici reali e sulla teoria dell'inconsistenza temporale della politica economica.
Infine, secondo Nanni B.
I capitoli sull'evasione sono davvero irritanti. Prima di tutto si riduce il problema a problema etico, cercando di presentare le richieste di lotta all'evasione come forme di quasi di vendetta e la posizione dei lavoratori autonomi evasori come giustificata (ancora, eticamente) dall'eccessiva imposizione. Il problema economico è invece ridotto all'argomentazione che un eventuale successo nella lotta all'evasione indurrebbe molti lavoratori autonomi evasori al fallimento e quindi porterebbe immensi danni alla struttura industriale del paese.
Non sostiene esplicitamente Nanni B., ma lo pensa, oh se lo pensa
La parte propositiva del libro di Oscar Giannino è essenzialmente schiacciata sul Patto con gli Italiani di Berlusconi - cioe' flat tax con due aliquote 22% e 33% - rispettivamente sotto e sopra i 100.000 Euro. Ma il Patto è stata operazione mediatica-populista da voltastomaco, almeno nella forma e in larga parte nei contenuti; non mi va proprio giù che se ne continui a parlare.
Sono completamente d'accordo con l'amico Nanni B. Ogni punto della sua recensione è corretto, a mio parere - ma si, anche quello che l'operazione mediatica del Patto con gli Italiani è stata così poco digeribile che è difficile affrontare in modo razionale ogni riferimento al Patto.
Ma Oscar Giannino ha ragione nel suo argomento di fondo: le tasse in Italia vanno abbattute. Ed ha anche ragione a sostenere che 1/3 è probabilmente la dimensione giusta dell'abbattimento - non argomenterò questa affermazione che richiede un bel po' di conti; conti della serva magari, ma conti che farò in altra occasione.
Ed è per questo che leggere il libro di Giannino mi ha riempito di scoramento: gli errori e le "leggerezze" argomentative saranno usate dai migliori commentatori (come l'amico Nanni B.) per non prendere la tesi del libro sul serio. Ma non saranno usate solo dai migliori: anche i peggiori trarranno vantaggio delle mille "leggerezze" per distruggere l'argomento di fondo del libro, che invece merita ben altro trattamento.
Spiace, perché non siamo in molti a pensare che le tasse vadano abbassate in questo paese. Varrebbe la pena provare ad esporre argomentazioni solide (teoricamente ed empiricamente) per provare a convincere gli osservatori intellettualmente più aperti, come Nanni B., che tagliare le tasse conviene, tralasciando invece le posizioni ideologiche che fanno appello agli intestini già predisposti.
Proverò a impostare allora una serie di argomentazioni a favore di una drastica riduzione delle tasse in Italia (adesso, ora, senza se e senza ma). Imposto solamente, perché non ho tempo di scrivere un libro; ma chissà, se i lettori aiutassero .... io la butto lì.
Prima di tutto, la teoria dell'offerta che Giannino menziona ripetutamente, è teoria teoricamente solidissima. Da una riduzione delle tasse, al margine, per lavoratori ed imprese, ci si aspetta maggiore attività economica: maggior offerta di lavoro, maggior produzione. Ad esempio, io insegno in Italia quasi ogni anno un breve corso perché, nonostante non sia cosi' ben pagato, è tassato (per me, non residente in Italia) molto favorevolmente. Non ci penserei nemmeno a farlo se fossi tassato come un italiano. La stessa logica riguarda l'attività di impresa: è ragionevole pensare che una parte consistente delle partite IVA aperte in Italia non lo sarebbe stata senza aspettative di tasse inferiori a quelle previste dalla legge finanziaria del 2007. Quest'ultima, ricordo, ha aumentato di ben 4 punti percentuali la tassazione dei redditi superiori ai 70mila euro. Insomma l'effetto esiste. Gli economisti teorici dicono che esiste anche un effetto reddito, ossia che quanti più soldi fai meno lavori, ma l'evidenza sia macro che micro sembra suggerire che l'effetto reddito è dominato da quello che noi chiamiamo l'effetto sostituzione: più guadagni per ora lavorata, più ore lavori.
Quanto grande è questo effetto sostituzione? Quanto più prodotto interno lordo ci aspettiamo a causa di una diminuzione delle tasse? Ci aspettiamo effetti di crescita o solo di livello? Non lo so, nessuno lo sa davvero. Le stime dell'elasticità hanno una varianza enorme ed io non sono sufficientemente esperto per poter scegliere a ragion veduta una stima sull'altra, ma spero proprio che i lettori mi aiuteranno a farlo. Ma so che l'effetto della riduzione delle tasse sul prodotto interno lordo dipende da molti fattori addizionali: è maggiore qualora, 1), alla riduzione delle tasse siano associate contemporanee misure di seria liberalizzazione e qualora, 2), la riduzione delle tasse sia credibilmente persistente nel medio-lungo periodo. Quest'ultimo meccanismo richiede spiegazione: in genere si tende a pensare che un effetto sostituzione temporaneo sia molto forte: tasse basse solo oggi, lavoriamo molto oggi. Ma nella realtà vale il contrario: tasse basse solo oggi, non vale la pena far riemergere il sommerso; solo se la riduzione impositiva è credibilmente stabile vale la pena riemergere, perché quando si riemerge è per sempre. Emergere un anno ed andare sott'acqua l'anno dopo è cosa complicata e costosa, Spagna docet. Credo anche che l'effetto della riduzione delle tasse sul prodotto interno lordo sarebbe minore in Italia di quanto non sia stato osservato altrove perché in Italia al margine le attività produttive pagano tasse bassissime (a causa dell'evasione, ma anche a causa del meccanismo degli studi di settore: una volta raggiunti e dichiarati x Euro di fatturato come da studio di settore, il resto del fatturato è tutto esentasse, cioé con aliquota marginale uguale a 0). È anche importante notare che nel lungo periodo il vincolo di dimensione e governance indotto dalla fiscalità sulle imprese italiane (che restano piccole e familiari per sottrarsi a contabilità e fisco) tenderà a ridursi e a generare possibilmente un sostanziale effetto sul prodotto interno lordo, ma per questo effetto ci vorrà tempo.
Qual è, poi, l'effetto di una riduzione delle tasse sul gettito? Può essere positiva? Cos'è 'sta Curva di Laffer che la destra (Giannino in testa) cita per argomentare che il gettito fiscale cresce ad una riduzione dell'aliquota e la sinistra deride come una idea così ovviamente assurda? Cominciamo dalla curva di Laffer. Una rappresentazione onesta dell'argomento della curva di Laffer è che, ad aliquota sufficientemente alta, il gettito fiscale cresce a fronte di una riduzione dell'aliquota. Espresso così (onestamente) l'argomento è ovviamento corretto: se l'aliquota IRPEF fosse il 100% nessuno lavorerebbe, il reddito prodotto sarebbe zero, e così il gettito fiscale. Quindi un abbassamento dell'aliquota sotto il 100% indurrebbe qualcuno a lavorare, producendo reddito e gettito. La destra e la sinistra, per motivi opposti ma disonesti da entrambe le parti, dimenticano l'ipotesi, ad aliquota sufficientemente alta, e quindi l'argomento diventa, a seconda di chi lo dice o di chi lo ascolta, un truismo quasi-religioso o una baggianata colossale.
La risposta alla domanda seria - Qual è l'effetto di una riduzione delle tasse sul gettito? - è questione empirica, che dipende dalla risposta alle domande precedenti (effetto sul PIL). Ma non c'è alcuna evidenza che faccia nemmeno sperare che la curva di Laffer operi nel breve e nel medio periodo, e che operi al livello di tassazione oggi esistente in Italia. A fortiori, l'argomento vale se consideriamo la peculiarità italiana del reddito evaso ad aliquota marginale 0. Certo, nel lungo periodo, se la riduzione delle tasse avesse effetti sui tassi di crescita - non solo di livello: ossia, un salto in alto e basta - allora sarebbe tutto un altro discorso. Guardiamo al gettito del Regno Unito dopo Thatcher. Non fatico a immaginare che l'effetto di crescita indotto dalle politiche liberiste della Thatcher - ricordate che col trucco dell'economia nera Craxi poteva argomentare che il reddito italiano fosse superiore a quello inglese? Provate a controllare i dati odierni: l'Italia fa pena! - abbia aumentato il gettito fiscale, anche notevolmente. Ma non si possono dimenticare due cose: Maggie non ha solo tagliato le tasse, ha anche brutalmente liberalizzato e ci son voluti tempo e fatica per vedere l'effetto. La riduzione d'imposta non produsse nessun effetto immediato sul gettito o sul PIL, e le liberalizzazioni crearono file di disoccupati per la strada, ossia pietre che piovono, per dirla in italiota. Non ho dubbi che ne valga la pena, ma i costi restano e sono sostanziali. Raccontare che l'anno dopo il taglio fiscale, e solo il taglio fiscale, il gettito migliora è raccontare balle: non è mai successo da nessuna parte. Se esiste un'eccezione, son felice di scoprirla.
E quindi bisognerà ridurre la spesa pubblica per finanziare la riduzione delle tasse, non basta la fatina della destra, che autofinanzia la riduzione delle tasse, se anche viene non viene subito, la fatina. E qui viene il bello! La spesa pubblica in Italia è alta (50% del reddito); ma è alta anche in Francia e in Svezia (dove peraltro è in notevole riduzione). Il punto è che in Italia la spesa è buttata. Qualcuno è mai stato in Francia o in Svezia? L'inefficienza relativa della spesa italiana è pazzesca al confronto: si pensi alle poste, alla sanità, alla scuola, alle pensioni di invalidità, ai trasferimenti al Sud, ad Alitalia, ai costi della politica ... devo continuare? Bisogna, dunque, chiedersi in quali circostanze la riduzione delle tasse induca una drammatica riduzione della spesa pubblica, in tutte le sue forme; ora, senza se e senza ma. Ci guadagneremo immensamente in termini di efficienza. Qui sta, secondo me, una delle ragioni fondamentali per cui in Italia le tasse vanno ridotte, per indurre una riduzione della spesa. Se con la riduzione delle tasse si guadagnano 100 Euro per capita, e si riduce la spesa per il sistema scolastico ed il sistema sanitario di 100 Euro, quel pezzo di scuola e di ospedale perso lo potremo comprare a 60 Euro. Sono numeri rozzi, tirati fuori dal cappello. Vale la pena provare a trovarli i numeri veri e precisi. Ma questo è il mio punto: invece di andare a cercare interpretazioni disoneste della curva di Laffer, sarebbe più utile che qualcuno onestamente ci desse una idea quantitativa di quanto inefficiente è il sistema scolastico e sanitario italiano (sul sistema sanitario ci sono in giro aneddoti poco seri, á la Sicko; che la destra produca numeri per ribattere, non ideologia dell'offerta).
Avevo lasciato "in preparazione" questo post, scritto mesi fa, perche' mi pareva avessimo parlato fin troppo di fiscalita' su nFA. Ma oggi ho visto le dichiarazioni di Padoa Schioppa, come riportate in prima pagina dai giornali di governo:
Le tasse sono una cosa bellissima, un modo civilissimo di contribuire
tutti insieme a beni indispensabili quali istruzione, sicurezza,
ambiente e salute
e non ho resistito alla provocazione. Cosa può portare quest'uomo a dire una tale follia? Calvinismo pauperista e socialismo degli altri, tanto lui viaggia in auto blu? Mi sembra di sentirli i signori de "le tasse sono bellissime"! Ma siamo certi che meno tasse a finanziare la spesa pubblica sia buona politica economica e cosa giusta? E se gli italiani spendessero i risparmi delle tasse in giochini elettronici prodotti in Cina con copyright americano? E se la teoria dell'offerta fosse una bidonata e a fronte di una riduzione delle tasse non ci fosse un aumento del reddito prodotto significativo ma solo maggiori consumi e per giunta in importazioni? Beh, dico io. E se anche fosse? Meglio così, ci divertiremmo coi giochini invece di buttare soldi a mare. Ci avremmo pur sempre guadagnato.
L'aspetto redistributivo di un sistema fiscale che vessa i redditi da lavoro dipendente, come fa l'IRPEF italiana, e' disgustoso. Ha effetto economici ed etici enormi, oltre che scandalosi; ora che ci penso, mesi dopo, tutti discussi da Giannino nel suo pamphlet primaverile! L'IRPEF frega i lavoratori produttivi, e solo loro. L'aumento dell'imposta marginale sui redditi "alti", decisa l'anno scorso, è solo persecutoria di chi svolge lavori altamente qualificati. Non solo, l'IRPEF rapace genera plateali e vaste distorsioni nella scelta delle professioni: com'è che l'Italia è piena di avvocati e non ha ingegneri o biologi? Certo, forse sarà che da Gentile in poi i professori a scuola insegnano che chi è intelligente sa di latino (e non di matematica). Ma il fatto che gli ingegneri, i biologi ed i chimici lavorino per grosse imprese e siano quindi tassati sino alla fame, mentre gli avvocati sono lavoratori indipendenti, come lo sono i droghieri, e possano allegramente fatturare quanto vogliono ... beh, io penso che anche questo fatto avrà il suo bell'effetto. E poi, poiché l'industria è al Nord, gli effetti redistributivi del sistema fiscale, che trasferisce brutalmente dal Nord al Sud, sono enormi anche sul piano territoriale, come ha documentato Alberto Lusiani su NFA. Eticamente, a me par ovvio, se non si può tassare il droghiere al 60% come l'impiegato, che si tassino l'impiegato e il droghiere al 30%. Se non si può tassare la Sicilia al 60% come la Lombardia, che si tassino la Sicilia e la Lombardia al 30%. E se, così facendo, si dovesse intaccare la parte viva della spesa pubblica (ad esempio, se si dovesse far pagare le tasse universitarie agli studenti universitari), ebbene intacchiamola! Almeno faremo pagare a tutti le tasse universitarie, e le imposte sul reddito, in modo equo. L'equità del sistema fiscale è fondamentale. In Italia il sistema fiscale è immensamente iniquo: ci sono i tassati/vessati, e ci sono gli esenti per definizione. E ci sono quelli per cui le tasse sono una partita di giro: si chiamano dipendenti pubblici e sono 3 milioni e mezzo.
Voglio finire suggerendo altri costi, difficilmente quantificabili ma secondo me non meno reali e sostanziali di quelli economici discussi sino ad ora. Lo farò in modo un po' retorico come si addice alla questione, di per sé speculativa: Quanti danni ha fatto, in termini di tratti culturali distorti come il familismo amorale e la mancanza di senso dello stato, un sistema fiscale rapace che perpetua immense ingiustizie del tipo di quelle oggi in vigore in Italia? "Tasse bellissime"? Signor TPS, ma lei si rende conto di quel che dice?
Cari amici del "nFA team" innanzitutto grazie di esistere perché con i vostri interventi di natura economica contribuite ad innalzare la cultura economica degli italiani e ad offrire degli spunti di riflessione a chi in parte ne ha già una abbastanza solida. Caro Alberto Bisin ho sentito parlare del libro di Giannino ma non l'ho mai letto. Comunque ho sempre letto i suoi articoli sulla stampa. E nel leggerli mi è capitato a volte di fare elle considerazioni simili a quelle che tu hai fatto nel pezzo e che condivido. Vorrei solo aggiungere alcune considerazioni. La prima cosa che andrebbe cambiata in italia è la legge finanziaria, figlia del compromesso storico, che lascia la politica di bilancio nelle mani del parlamento. Entra in parlamento con una certa coerenza e ne esce stravolta. Assomiglia ad un albero di natale dove tutti appendono dei desideri di spesa che puntualmente vengono esauditi. Tasse certe vanno a finanziare anche le spese più diverse. Come dici giustamente anche tu prima bisognerebbe partire dalla riduzione e riqualificazione della spesa e poi passare alla riduzione delle tasse. E non fare il contrario. Negli Usa con Reagan a partire dal 1980, se non ricordo male, vennero ridotte le tasse ma non si riuscì a ridurre le spese dello stesso ammontare e si creò di conseguenza un disavanzo di bilancio che venne finanziato dal resto del mondo. Ma questo è potuto avvenire solo negli USA. Ora vorrei un chiarimento sulla curva di Laffer. Tu dici che non ha radici solide rispetto all'economia dell'offerta che ne ha e sono d'accordo con te. In proposito ricordo uno scritto del Matematico Martin Gardner pubblicato su "Science" nel 1981 o 1982 in cui si diceva che la curva era stata disegnata su un tovagliolo di carta in un ristorante di Washington da un certo Jude Wanniski. E poi nel medesimo articolo si metteva in discussione la forma della curva, parlando di tecnogroviglio (ovvero di nuvole di punti). Insomma non era detto che avesse la forma di una campana e che ci fosse una relazione inversa tra aliquote ed introiti fiscali. Che ne pensi di questo articolo di Gardner? In ultimo vorrei sapere se sei d'accordo sull'introduzione di tasse di scopo che potrebbero forse rendere più belle le tasse ai cittadini sapendo questi ultimi a cosa sono destinate. Un caro saluto
Marco Boleo