Riflettiamo con un minimo di calma e, speriamo, prospettiva sugli eventi in corso oramai da più di due mesi, nell’Africa del Nord ed in altri paesi arabi del Medio Oriente. Eventi che, al momento, stanno passando attraverso una fase estremamente violenta in Libia, influenzando direttamente anche la situazione interna italiana. Ma sulle implicazioni di tutto questo per l’Italia verremo più tardi, in altre puntate. La prima domanda che vorremmo porci è, forse provocatoriamente e forse no, la seguente: aveva ragione George W. Bush? Sappiamo, facendo questo, di non essere particolarmente originali. Se la sono posta in molti questa domanda durante le ultime settimane, ed alcuni hanno anche dato risposte interessanti.
Quasi otto anni fa gli USA, con un appoggio europeo molto debole, invasero l’Irak. Ufficialmente per cercare armi di distruzione di massa ma, di fatto e nella testa di molti, per “esportarvi la democrazia”. Un anno e mezzo prima i paesi della NATO avevano fatto qualcosa di simile, ma meno ambizioso e meno a freddo, in Afghanistan. Ad oggi l’impresa afghana sembra essere risultata complessivamente fallimentare, almeno se la si misura con la metrica di “esportare la democrazia come forma di governo”, mentre su quella irachena il giudizio è ancora molto difficile da trarre. Infatti, persino noi due abbiamo dato valutazioni dissimili [Aldo 1, Aldo 2, Aldo 3, Michele 1, Michele 2, Michele 3] sui risultati raggiunti in Irak e sulla validità del progetto “esportare democrazia, con le armi se necessario".
Ora, dopo che l’esercito USA ha cominciato ad abbandonare quasi completamente l’Irak ed a fronte di un’amministrazione che, al contrario della precedente, non sembra avere alcuna intenzione di intervenire militarmente in altri paesi, men che meno arabi, all’improvviso (o apparentemente all’improvviso) vediamo le popolazioni di molti fra questi paesi scendere in piazza e chiedere, se non democrazia, libertà dal tiranno del momento, la sua deposizione, la fine del regime oppressivo che egli rappresenta e... e cosa, in alternativa, non sembra per nulla chiaro, al momento. Ci chiediamo:
Sono queste insurrezioni - che chiedono libertà e cacciano i tiranni - gli effetti a scoppio ritardato della politica di GW Bush? La semente piantata otto anni fa ha fatto germogliare solo ora l’alberello, o non c’è relazione alcuna fra questi eventi e quella politica?
Non sappiamo se si possa parlare di effetti diretti della politica Bush. Se si cerca un legame diretto, le rivolte del Nord Africa sono conseguenza di quanto è successo in Iran nel 2009; quest’ultimo sì, invece, che può essere stato un effetto della guerra in Irak. Può esserlo stato per due ragioni: ha provato che anche i peggiori tiranni possono essere abbattuti e lo ha provato in un paese contiguo, permettendo agli iraniani più giovani e delle città di vedere, per la prima volta in vita loro, che essere oppressi non è un fatto di natura. Più in generale, sembra ragionevole argomentare che la guerra in Irak abbia creato da un lato qualche timore fra le figure dittatoriali più estreme ed oppressive del mondo arabo e, dall'altro, abbia animato e spinto a muoversi le opposizioni a tali regimi. Per esempio, è un fatto abbastanza evidente che la svolta "pro occidentale" di Gheddafi, nel 2004, venne direttamente provocata dalla cattura di Saddam e dalla sua esecuzione. Prima di allora l’unico momento in cui Gheddafi aveva “abassato le ali” ed assunto un atteggiamento conciliante con l’Occidente era stato dopo che Reagan aveva fatto bombardare la Libia nel 1986, a seguito dell’attentato terroristico in una discoteca di Berlino. Va aggiunto però che, in entrambi i casi, non abbiamo evidenza alcuna che il cambio di atteggiamento verso l’esterno sia stato accompagnato da un cambio di politica interna. Infatti sembra vero l’opposto, ossia che il controllo repressivo sulla popolazione si accentui quando il regime si comporta amichevolmente con il mondo occidentale. In ogni caso, se c’è una catena causale essa va da guerra in Irak a dimostrazioni in Iran e da queste alle dimostrazioni in Algeria, Tunisia, eccetera.
Certo che, invece, la premessa di quella politica sembra ora piu ragionevole. La democrazia non si esporta sulla canna del fucile - verissimo, questo l’abbiamo appreso - né si raggiunge linearmente - perché fosse necessario re-imparare questo, dopo gli andirivieni della democrazia liberale in Europa, stentiamo ad intenderlo. Ma l'esempio di processi democratici in atto, o di lotta per la libertà in corso, in paesi contigui e culturalmente simili, sembra essere contagioso. Le popolazioni arabe non passano tutto il loro tempo a pregare, fumare, chiacchierare ed andare in moschea, evidentemente. Guardano anche quanto succede nei paraggi e si chiedono se qualcosa di diverso sia mai in serbo anche per loro. Questa intuizione che, sia otto anni fa che l'altro giorno, tende ad essere negata dai "realisti" che gestiscono la politica estera dei maggiori paesi europei (Francia ed Italia in testa) e che invece, piaccia o meno, sta alla radice dell'idea secondo cui, se non la democrazia, almeno la non-oppressione è importabile nel mondo arabo, viene riabilitata dagli eventi di questi mesi. Molti hanno sostenuto, in questi giorni, che l'internet, Facebook, Twitter e tutto il resto sono risultati fattori chiave nel rendere possibile l'insurrezione. Forse, ma questo non sembra certamente il caso in Libia, dove l'insurrezione sembra seguire linee tribali, o in Tunisia ed Algeria. Forse ha contato molto al Cairo ma, d'altra parte, sembra difficile immaginarsi il Cairo senza, prima, Algeri e Tunisi e Teheran. Insomma, propendiamo per l'ipotesi che, per mal seminato che fosse, il seme buono dell'avventura in Irak sia stato condizione non sufficiente ma probabilmente necessaria per i tumulti di libertà che, nella nostra analisi, stanno attraversando il mondo islamico da un paio d'anni a questa parte.
Vi è chiaramente un effetto domino o imitativo: se possono farlo nel paese X, se il dittatore di quel paese puo essere cacciato, allora possiamo fare lo stesso anche a noi. ll parallelo con il 1989 e la caduta dei regimi filosovietici è ovvio, ed è stato fatto. Ci sono però delle differenze che forse contano almeno tanto quanto le similarità. Anzitutto, visto come sono stati presi di sorpresa i governi europei e quello USA, risulta difficile pensare che le opposizioni in Algeria, Egitto, eccetera, avessero contatti sistematici ed organizzati con l'occidente. In secondo luogo, almeno al momento, queste insurrezioni sono in gran parte negative: sono rivolte contro gli oppressori, perché vengano scacciati e ci si senta un po' più liberi. Ma la domanda di "democrazia", intesa nel nostro senso, è dubbia assai ed il ruolo che gli apparati militari stanno svolgendo in ogni singolo paese è molto diverso da quello che svolsero nell'Europa dell'Est dove, ritiratesi le truppe russe, gli eserciti nazionali smisero di invischiarsi nella politica interna e giocarono ruoli del tutto secondari nella transizione del 1989-90. In Nord Africa tutto dipende dai militari, che sembrano un corpo separato dalla popolazione, chiaramente elitario e, al momento, scevro dal controllo dei religiosi. Anche in Libia, lo scontro non è fra popolazione ed esercito ma fra il grosso della popolazione ed una parte dell'esercito, da un lato, e la parte dell'esercito ed i miliziani fedeli a Gheddafi, dall'altro. Questo implica che ciò che queste insurrezioni domandano, per il momento, è meno oppressione e la cacciata dei tiranni e delle loro cricche. Non è ovvio per nulla che domandino democrazia; questo è tutto da vedersi ed è, come dire, endogeno al processo in corso ed anche al nostro comportamento.
Questa è un'altra utile lezione appresa in Irak ma chiaramente non applicata (per ottusità USA e viltà politica europea) in Afghanistan: liberarsi dal tiranno non implica adottare la democrazia occidentale. Può facilmente implicare adottare sistemi di governi meno oppressivi ma sempre non "democratici", dal nostro punto di vista. La morale essendo che "piuttosto di niente, meglio piuttosto". Meglio ricordarselo nei mesi che verranno: mentre l'odio per l'oppressore e la domanda di libertà sono universali, cosa vuol dire essere "liberi" e cosa si intenda per essere "rappresentati" dal potere statale sono nozioni molto meno elementari e piu' complesse, che variano sostanzialmente da cultura a cultura, da religione a religione, da sistema sociale a sistema sociale. Che sia questa la versione buona del multiculturalismo?
Il parallelo piu calzante è forse quello (fatto di recente) con il 1848 in Europa. Diversi paesi, uno dopo l’altro, entrano in crisi rivoluzionarie mossi da due idee, quella di una unità e indipendenza nazionale (ma forse questo non è il caso della Libia, dove le tribu' giocano apparentemente un ruolo chiave) e quella di un governo non-autocratico anche se, magari, non necessariamente e compiutamente democratico. Certo che questo movimento è diverso dall’ondata di fervore islamico che attraversò i paesi arabi e l’Iran nel 1979. Anche Yusuf al-Karadawi, teologo islamico tornato in Egitto dopo la rivolta contro Mubarak, ha parlato apertamente del bisogno di più democrazia ed ha invitato i militari libici a liberarsi di Gheddafi. Non è il caso di credere sempre a quello che dice un teologo islamico (che a suo tempo difese i terroristi suicidi), ma almento quello che dice è ben diverso da quello che a suo tempo disse Khomeini, e che dice Osama bin Laden. Entrambi questi ultimi sono sempre stati apertamente a favore di teocrazie. Gli obiettivi di al-Karadawi sono chiari (i fondamentalisti islamici, dice, devono partecipare alle elezioni perché finiranno poi per vincerle), ma almeno il metodo è diverso. Se davvero dobbiamo cercare un modello che si applichi a Egitto e Tunisia, per il momento, e che potrebbe applicarsi alla Libia se l'insurrezone in corso avesse successo ed all'Algeria se le cose progredissero anche lì, preferiamo puntare alla Turchia, anche se una Turchia molto più povera e tribale, oltre che priva di una borghesia urbana solidamente occidentalizzata. Schematicamente: un esercito non troppo oppressivo che garantisce ordine e laicità dello stato, un partito musulmano (quindi di ispirazione religiosa, ma non scordiamoci che la DC del 1946-1996 pure lo era!) al governo via elezioni più o meno libere, un'opposizione non religiosa con una minoranza di estremisti religiosi. Poi si vedrà cosa riserva il tempo.
Finalmente, un altro aspetto importante è che queste rivoluzioni sono anche rivoluzioni demografiche, espressione della lotta di giovani contro regimi di vecchi. Molti di questi giovani sono poveri, ma anche con una educazione avanzata. La rivolta in Tunisia ha avuto inizio dopo il suicidio di Mohammed Bouazizi, laureato di 26 anni, che si è dato fuoco perché non voleva continuare a vivere vendendo frutta abusivamente. La sfida, in Egitto come in Libia e in tutti i paesi arabi che stanno attraversando le convulsioni di questi giorni, può essere simboleggiata da due personaggi. Il primo, il Khomeini del Cairo, al-Karadawi, l’abbiamo già visto: 84 anni, lucido e fanatico. Il secondo è Wael Ghonim, il funzionario di Google, 30 anni, che è diventato uno dei rappresentanti del nuovo Egitto: usa Facebook e guarda con simpatia all’Occidente. Al-Karadawi ha dalla sua parte secoli di religione, un programma chiaro, una tattica consumata. Ghonim ha appena iniziato, e non ha nessuna esperienza politica. Ha ancora le idee confuse: ai centomila egiziani che su Facebook gli hanno chiesto di essere il loro portavoce ha risposto in lacrime di non sapere cosa fare. Noi stiamo con Ghonim, e ci aspettiamo di essere stupiti da quello che potranno fare quelli come lui.
Io ho l'impressione che uno dei fattori che ha permesso il dilagare della rivolta e' proprio l'assenza USA: chi chiede la democrazia non puo' essere piu' raffigurato come un agente del Grande Satana (anche se Gheddafi ha come al solito accusato gli USA e -sfidando il ridicolo- pure il nostro povero SB).
Tra l'altro proprio gli USA di GWB, nel tentativo di 'esportare la democrazia' in Irak ed Afghanistan (ed arginare il fondamentalismo), avevano stretto alleanze con molti degli autocrati (p.es. con Mubarak per leextraordinaryrenditions ) o, perlomeno, avevano stabilito con essi un piu' o meno tacito accordo di non belligeranza (e questo e' il caso della carogna Gheddafi).
Con la linea di politica estera inaugurata da Obama, questi tiranni non avevano piu' alcun motivo di esistere: non servivano piu' agli USA, e men che meno al loro popolo. Questo, a mio avviso, e' stato un fattore di debolezza.
Diverso e' mi sembra il caso dell'Iran: in questo caso la contrapposizione con gli USA e' ancora forte (nonostante alcune aperture di Obama). Qunidi, nonostante la societa' civile iraniana sia molto piu' evoluta di quella Libica (basta anche solo confrontare il grado di connettivita' internet), il regime riesce ancora a reggere (il che potrebbe non essere un male, se questo vuol dire che la transizione democratica sara' piu' lenta e meno cruenta).
No credo a un'assenza degli USA ma alla presenza degli USA in modo sicuramente diverso da quello di Bush. Sicuramente certi dittatori erano "funzionali" sia agli USA di Bush sia in misura minore alla Francia (Tunisia) e all'Inghilterra (Egitto). La Libia é un caso a parte perché appunto legata solo all'Italia...
Non credo comunque que questo effetto domino sia casuale: un po' di Obama, un po' di Wikileaks, un po' povertà diffusa e un bel po' di gente che istintivamente e improvvisamente ha detto "cosi' non va"... ed era anche disposta a farsi ammazzare, vero sacrificio islamico.