Quando leggo i vari interventi sull’Università italiana mi assale una vivida sensazione di scollamento dalla realtà. . Non sono un docente di prestigiose università americane (anche se mi capita abbastanza spesso di frequentarle) e non sono un docente di università italiane formato boutique (pochi studenti scelti, solo corsi avanzati e ancora molti fondi di ricerca):sono solo un docente di una buona università italiana (Firenze) che combatte ogni giorno con una cronica mancanza di fondi, con una burocrazia ottusa e con una situazione completamente stravolta rispetto a 30 anni fa quando ho scelto questa professione.
Per una questione di semplicità scompongo il tema in quattro punti:
1) US versus Italia. Alla fine degli anni 80 ho insegnato alla Northwestern University. Fra gli studenti americani e quelli italiani saltavano all’occhio alcune differenze. In USA si inizia a frequentare l'Università a 17 anni (contro i 19 degli Italiani), in compenso i programmi dei corsi erano decisamente più semplici. Riassumendo, i due anni in più degli Italiani si misuravano in una maggiore preparazione e maturità che permetteva ai docenti di fornire corsi molto più formativi di quelli proposti agli studenti Americani. Dopo la riforma di Bologna e l'introduzione del 3 +2, quando vado negli USA adesso non vedo una sostanziale differenza fra il 17-enne Americano e il 19-enne Italiano e non vedo molta differenza fra i corsi della triennale e i corsi per conseguire il bachelor. Visto che è impossibile ripristinare la situazione precedente perché non permettere anche da noi l'ingresso all'Università a 17 anni? Magari permettendo (in modo volontario) ai bambini di 5 anni di iscriversi alle Elementari e riducendo di un anno il corso degli studi (magari portando a 4 anni le Elementari o a 4 anni il Liceo). Con le risorse risparmiate si potrebbe re-introdurre il tempo pieno alle Elementari e alle Medie, con grande sollievo per le famiglie dove entrambi i coniugi lavorano. In questo modo le ore di docenza sarebbero meglio remunerate. Quando ero studente, il Professore di scuola faceva sicuramente parte della classe media, godeva di prestigio sociale e il suo salario era sufficiente per una vita dignitosa. La serietà di un Paese e il suo interesse verso i giovani il futuro si misura anche nell'interesse verso la Scuola. La dichiarazione di Berlusconi, che Monti è sostanzialmente fuori dalla realtà perché è un “Professore” abituato allo stipendio fisso, è la dimostrazione che è assolutamente necessario restituire dignità (anche salariale) e considerazione alla classe docente al fine di rendere il nostro Paese migliore e più “normale”
2) L'introduzione della parola “meritocrazia” nell'Università e Ricerca. Sicuramente ha rappresentato un decisivo passo avanti, ma sarebbe opportuna una implementazione migliore. Le mediane meramente quantitative introdotte dall' ANVUR non solo, come tutte le cesoie meramente quantitative, saranno foriere di plateali ingiustizie ma anche sono state “disegnate” in modo così barocco da rendere laboriosa ed incerta la loro applicazione. Inoltre una valutazione della professione del docente basata solo su dati bibliometrici non valuta e non premia molteplici aspetti quali quelli didattici, organizzativi, di trasferimento tecnologico che pure sono essenziali per il buon funzionamento dell'Università. Probabilmente creare una agenzia realmente indipendente che utilizzi anche criteri bibliometrici (ma non solo) sarebbe un passo avanti. Magari la scelta migliore sarebbe quella di usare in prima istanza criteri bibliometrici semplici, ragionevoli e condivisi dalle comunità scientifiche al fine di fare una prima selezione sia per la scelta dei commissari che per la scrematura dei concorrenti e lasciare a una commissione di commissari di riconosciuto prestigio il compito di selezionare gli idonei. Rammento che adesso si rischia che le Commissioni, sommerse da candidati da valutare in appena sei mesi di lavoro, sostanzialmente si limitino a certificare le idoneità stabilite dalle mediane quantitative e non diano un reale contributo qualitativo nella selezione dei concorrenti.
3) Incentivi e disincentivi. Per essere efficace la politica verso i pubblici dipendenti (come per qualsiasi categoria di individui) deve dosare bastone e carota (come dice pure il Ministro Profumo), non bastone e mazza da baseball (come invece sembra essere la politica attuale verso Scuola, Università e Ricerca). A tutti (meritevoli e non meritevoli) è stato congelato lo stipendio, a tutti è stato aumentato il carico didattico (ed in uguale misura), a tutte le Università sono stati tagliati i fondi. Una volta introdotta una logica meritocratica sarebbe opportuno anche introdurre un sistema che premi il merito, altrimenti non è logico aspettarsi risultati eclatanti se non si stimola la competitività. Nonostante quello che si affermi sulla base di tabelle ufficiali che dipingono noi Universitari come dei nababbi, il fatto che moltissimi giovani bravi (siano essi semplici borsisti, o abbiano già un posto fisso come ricercatori e professori) si siano trasferiti e si stanno trasferendo in altri paesi Europei (flusso di uscita a senso unico) e lì intendano fare o proseguire la carriera universitaria, dimostra varie cose:
– in primis che l'Università Italiana è ancora in grado di produrre eccellenze e quindi le classifiche che ci pongono in posizione di assoluta retroguardia, colgono alcuni aspetti e ne trascurano altri, per cui vanno prese, come tutte le classifiche, come fari che illuminano solo parte della scena.
– in secundis che gli stipendi (soprattutto quelli iniziali), la prospettiva di carriera, e i benefits ci rendono scarsamente attraenti non solo per le eccellenze ma anche per giovani semplicemente bravi.
La soluzione sarebbe quella di salari differenziati, basati su valutazioni meritocratiche che ci permettano di attrarre giovani bravi attualmente diretti a rafforzare accademie di paesi Europei ed extra Europei.
4) L'autonomia delle Università. E' stata introdotta una autonomia che ricorda da vicino quella delle Regioni. Centri di spesa senza capacità impositiva. Questo comporta che le Università non si sentano responsabili di dissesti finanziari (che saranno ripianati dal Governo centrale) e di assunzioni di incapaci. Non sono un fanatico dell'autonomia e preferivo il vecchio sistema pre-riforma basato su concorsi nazionali ed organici stabiliti per legge. Sistema alcune volte troppo rigido ma che impediva scempi come quelli a cui abbiamo assistito negli ultimi anni. Ma visto che non si può tornare indietro, balliamo fino in fondo. Diamo capacità impositiva alle Università (permettendo loro di alzare con gradualità le tasse- magari obbligandole a erogare un numero sufficiente di borse di studio basate solo sul merito, altrimenti si finisce per ripetere l'esperienza del presalario), permettiamo loro di selezionare a piacimento gli studenti, aboliamo il valore legale della laurea e lasciamo che sia il mercato (e non l'ANVUR) a dire se una Università valga o meno. In USA le assunzioni all'Università si basano sul sistema del “beauty contest” e non su mediane, h-number e impact factors perché è il mercato che di fatto determina il ranking delle singole Università (confidando sempre nella esistenza di una mano invisibile alla Adam Smith).
Vincenzo Vespri
Professore di Analisi Matematica
Università di Firenze
concordo in toto con il suo contributo, tranne per un aspetto: non sono convinto che uno studente laureato in Italia abbia in media la stessa preparazione di un "collega" dei paesi anglosassoni...mi è capitato varie volte di confrontarmi sull'argomento con studenti erasmus e d'oltre oceano, e tutti concordano su una cosa: l'università nostrana pretende più delle università estere. forse poco più, ma più. tutti concordano nella maggiore difficoltà di preparare esami orali e/o scritti a domande aperte e esercizi rispetto ai test che sono più in voga all'estero, e tutti concordano sulla maggiore difficoltà di arrivare alla sufficienza (il discorso non vale, invece, per i voti alti). ho riscontrato poi varie volte un apprezzamento per lo sforzo di completezza dei piani di studio italiani, rispetto a piani di studi esteri che a volte pongono esami sul percorso prima dei corsi che gettano le basi necessarie ad affrontarli. i corsi nostrani sembrerebbero quindi più "strutturati" e formerebbero un percorso più armonioso, organico e graduale. se pure la preparazione in ingresso potrà essere la stessa, credo che in media uno studente italiano abbia trovato più difficoltà a conseguire il titolo, e sarà in media più preparato. per la laurea magistrale è un altro paio di maniche: credo sia sovrapponibile ai corsi stranieri, e forse siamo in deficit nel post laurea di dottorato (ma in compenso abbiamo "inventato" i master post laurea). ovviamente è un'impressione dettata dalla mia esperienza personale