Se il ministro Carrozza e il governo Letta hanno deciso di cambiare completamente strada riguardo all’Invalsi (Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione) e ai test standardizzati per la valutazione degli apprendimenti, è ovviamente un loro diritto ma lo dicano apertamente e senza ipocrisie. Hanno invece preferito agire in sordina, come chi ha qualcosa da nascondere e non vuole farsi notare troppo.
Per cambiare rotta rispetto all’Invalsi, il governo Letta e il ministro Carrozza hanno sfruttato l’opportunità di nominare i cinque esperti del comitato che dovrà selezionare la rosa dei candidati alla presidenza dell’Istituto, vacante dal 4 dicembre. La maggioranza di loro si è espressa contro il recente operato dell’Invalsi. Per capirci meglio, i prescelti ritengono che i test Invalsi non debbano continuare ad essere uno degli strumenti per misurare gli apprendimenti scolastici dei nostri figli in modo standardizzato e confrontabile tra classi e scuole diverse. Ritengono che questi test, sebbene normalmente utilizzati in molti altri Paesi, non siano di alcun aiuto nell’individuare eventuali situazioni patologiche nel sistema scolastico italiano, anzi siano dannosi perché figli di una deriva economicistica, quantitativa e irrispettosa delle non misurabili ricchezze spirituali degli individui e della complessità del lavoro di un docente. È lecito immaginare che un comitato con queste posizioni sceglierà un presidente che cambierà radicalmente la faccia dell’Invalsi e porrà fine alle misurazioni standardizzate introdotte negli anni recenti, per passare ad altre forme di valutazione delle scuole sulle quali fino ad ora si sono sentite solo idee molto vaghe e confuse.
Questa decisione lascia perplessi soprattutto per il metodo con cui è stata presa. Qui è in gioco una questione strategica per la crescita del Paese: ossia come risollevare la scuola italiana. La scelta di questo comitato è indice di un chiaro cambiamento di direzione rispetto a quanto fatto dai governi precedenti di qualsiasi colore, tecnici o politici, di destra o di sinistra. Un cambiamento di questa entità in un settore cruciale come quello della scuola dovrebbe essere reso esplicito dal governo e, data la sua valenza, anche approvato dal Parlamento. Di certo non dovrebbe essere fatto passare di nascosto, all’insaputa dell’opinione pubblica di cui fanno parte anche molte persone (ahimè troppo silenziose) che vedono nei test Invalsi uno strumento almeno altrettanto utile quanto il termometro che usiamo per misurare la febbre ai nostri figli. Ossia, un indicatore imperfetto (ma relativamente poco costoso rispetto agli altri disponibili) di una possibile patologia che deve poi essere eventualmente studiata e confermata con ulteriori analisi più approfondite. Uno strumento che consente misurazioni confrontabili, cosa impossibile da farsi con i voti dati da docenti diversi, ciascuno con i suoi criteri soggettivi. Una misura di cui ci interessano le variazioni più che i livelli e che nessuno pensa di utilizzare senza tenere nella dovuta considerazione il contesto che ne determina il valore indipendentemente da colpe o meriti di docenti e studenti. Un elemento importante da abbinare ad altri, per costruire l’insieme di informazioni di cui le famiglie hanno bisogno per scegliere quali scuole far frequentare ai loro figli.
Sarà un caso, ma le posizioni dei membri di questo comitato sono molto vicine a quelle di quei sindacati che da un lato vogliono una scuola pubblica gestita direttamente dallo Stato e dall’altro rifiutano il diritto dello stesso Stato di misurare e valutare i risultati della sua gestione. Sono le posizioni di chi non concepisce la possibilità di scuole pubbliche gestite da soggetti diversi dal ministero della Pubblica istruzione e al tempo stesso vuole per sé la possibilità di «autovalutarsi». In effetti è una soluzione molto comoda per tutti i problemi della scuola italiana: con l’autovalutazione saremo tutti bravissimi.
Lo INVALSI è un organo tecnico e non politico. Il suo presidente dovrebbe essere scelto per la sua competenza e sulla base degli stessi criteri dovrebbe essere scelto il gruppo di esperti incaricato di designarlo. Questi esperti, di cui Ichino non fa i nomi, sono competenti o no? Se hanno criticato l'operato dello INVALSI lo hanno fatto per ragioni tecniche o per assecondare i sindacati?
I nomi sono qui. Mi par che l'opinione di Ichino sia abbastanza chiara: queste persone non credono nell'uso di test standardizzati.
Tullio De Mauro non credo abbia bisogno di presentazioni: nato nel 1932 è stato professore di linguistica generale (filosofia) alla Sapienza di Roma, ministro della pubblica istruzione nel 2000, governo Amato. Benedetto Vertecchi, pedagogista, è professore di pedagogia sperimentale presso Roma Tre, è sicuramente un esperto di valutazione, ma in senso strettamente pedagogico e inerente esclusivamente la didattica, lontana mille miglia dalla valutazione di sistema praticata al momento dall'INVALSI. Clotilde Pontecorvo è docente di Psicologia dell'educazione alla Sapienza, il suo lavoro ha fortemente influenzato la nuova pedagogia, la didattica e le indicazioni nazionali (ex programmi) della scuola dell'infanzia e della scuola primaria.
Sono tutti e tre di area più o meno stretta ex pci, ds ecc. qui non è questione di competenze ma di sostanziale estraneità, di età, culturale, accademica, alla cultura della valutazione di origine economicista che ha portato avanti negli ultimi dieci anni l'INVALSI, proseguendo e perfezionando il modello proposto dall'OCSE con le rilevazioni PISA.
Il prof. Giorgio Israel, matematico e storico della scienza, è docente di questa disciplina alla Sapienza di Roma, è intervenuto molte volte sia con editoriali sulla stampa e sul suo blog sulla questione delle valutazioni PISA e INVALSI, esprimendo il suo totale dissenso riguardo alle stesse, giudicate non solo inutili ma anche dannose, in quanto indurrebbero i docenti a una didattica sbagliata per preparare gli studenti ai test stessi.
Che dire...mi pare che Andrea Ichino abbia ragione da vendere....