Iniziamo osservando che, a seguito del D.L.183/15 e dei contestuali provvedimenti adottati dalla Banca d'Italia, il patrimonio "buono" delle quattro banche interessate viene trasferito a quattro "nuove” banche (i così detti "enti-ponte" ai sensi dei D. Lgs. 180/15 e 181/15), che nascono già come S.p.A. (con questo sistema si evita la procedura di trasformazione delle stesse, che avrebbe fatto scattare, sia pure con alcune limitazioni imposte dal d.l. 3/2015, convertito con l. 33/2015, che impone alle popolari la trasformazione in s.p.a., il diritto di recesso dei soci) mentre alle "vecchie" banche (la cui personalità giuridica rimane intatta, come conseguenza del "salvataggio") rimangono i crediti in sofferenza oltre ai debiti verso correntisti ed obbligazionisti. Le vecchie banche, in seguito a questa operazione di scorporo, vengono ora definite "bad-banks" perché tali divengono: banche con tanti debiti (ossia, con tanti creditori da soddisfare) a fronte dei quali stanno solo crediti inesigibili (ossia, con tanti debitori incapaci di ripagare).
I creditori delle vecchie banche, pertanto, nulla troveranno nel patrimonio di queste, in dispregio dei principi generali del codice civile, tra cui quelli espressi dagli articoli 2740, secondo cui: "Il debitore risponde dell'adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri. Le limitazioni della responsabilità non sono ammesse se non nei casi stabiliti dalla legge" e 2741, secondo cui "I creditori hanno eguale diritto di essere soddisfatti sui beni del debitore, salvo le cause legittime di prelazione. Sono cause legittime di prelazione i privilegi, il pegno e le ipoteche". Il D.L. 183/15 ha ovviamente la funzione di creare "un caso stabilito dalla legge", in modo da non creare conflitto palese con il 2740 c.c., ma il fatto che il caso "previsto dalla legge" sia diventato tale dopo il fatto (ossia dopo l'accensione del deposito o dell'obbligazione) e non prima crea, a mio avviso, una palese violazione del codice civile.
Tali creditori quindi vengono direttamente danneggiati dalla separazione patrimoniale realizzata con il D.L. 183/15. Questa era, d'altro canto, forse la finalità principale dell'intervento d'urgenza effettuato attraverso il decreto stesso. Non solo. Il ricavato dalla vendita delle nuove banche che, come già detto, sono solo gli enti-ponte previsti dal D. Lgs. 180/15, andrà esclusivamente a vantaggio degli azionisti delle medesime e non a vantaggio delle bad banks originali e quindi dei loro creditori, tra cui vanno annoverati gli azionisti attuali delle quattro banche e gli obbligazionisti subordinati della cui esistenza ora tutti sono consapevoli. Certo, i nuovi azionisti hanno immesso capitale nelle nuove banche ed avendolo immesso, quasi totalmente, nella forma di prestito contano di rivalersi attraverso i proventi della futura vendita. Tutto logico e coerente sul piano "macroeconomico", meno su quello strettamente giuridico e della regolazione dei contratti di debito e credito sulla base della certezza giuridica.
C'è quindi un primo sospetto di incostituzionalità per irragionevolezza (art. 3 Cost.) e violazione del diritto di difesa (art. 24 Cost.) rispetto a ciò che accade nelle procedure fallimentari ordinarie, nonchè una possibile violazione anche dell'art. 47, dato che "la Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme."
Il tutto si inserisce in un contesto (non a caso, perché tutto era ben noto) iniziato con un altro D.L., il numero 83/2015, avente lo scopo di velocizzare le procedure di recupero dei crediti. Nuovamente: anche queste sono certamente scelte fondate su giusti criteri di tipo macroeconomico. Si dà il caso, però, che sia per le procedure adottate nel salvataggio, sia per la natura della gestione precedente (e del ruolo della politica nella medesima) sia per i tempi e le modalità d'intervento di Consob e Banca d'Italia nella questione, la peraltro apprezzabile logica macro-ecoonomica entri in conflitto con la tutela dei diritti contrattuali dei singoli.
A valle di tutto questo si inserisce il tema della tutela dei portatori delle obbligazioni subordinate. In assenza di interventi statali costoro - lo abbiamo già detto - nulla potrebbero ricevere dalle bad banks qualora dimostrassero che i titoli sono stati loro venduti in modo truffaldino o comunque in violazione delle norme in materia di investimenti finanziari.
Non tutti gli investitori sono uguali, però. Lasciando da parte i c.d. investitori istituzionali, potrebbe anche darsi che taluni abbiano torto e altri ragione. Di regola spetta al giudice civile stabilire chi ha torto o ragione e a quello penale verificare se sono stati commessi reati. Tutto questo nei paesi normali, in cui la giustizia funziona e le decisioni arrivano in tempi umanamente ragionevoli.
Dato che l'Italia notoriamente normale non è, poiché notoriamente la giustizia ha tempi biblici e dato che al nostro legislatore piace da morire inventare eccezioni alle regole, ecco che spunta dal cilindro la regola speciale dell'arbitrato.
Il Governo, infatti, intende bypassare ancora un volta le regole, ignorando le fonti del diritto (ma, si sa, ormai le nuove e primarie fonti del diritto sono le slides ...) imponendo a coloro che si ritengono danneggiati di rivolgersi a un arbitro. Più precisamente il soggetto scelto per dirimere queste controversie dovrebbe essere la camera arbitrale costituita all'interno dell'Autorità Nazionale Anti Corruzione - ANAC, un ente che si occupa di appalti pubblici.
Quali competenze specifiche abbia poi l'ANAC non è dato sapere e non si capisce, per esempio, perché non si sia scelto l'Arbitro Bancario Finanziario, che su queste materie ha in media dato buona prova di sé.
A parte l'aspetto della scelta del nome dell'arbitro, c'è però un'altra questione ben più grave.
Ovviamente scriviamo senza conoscere le norme, che sono tutte ancora in fase di scrittura, ma parrebbe che quella arbitrale sia l'unica possibilità offerta ai titolari delle obbligazioni subordinate per tentare di recuperare il maltolto (che gli verrebbe versato dal fondo appositamente costituito e non, ovviamente, dalle bad banks né dagli enti-ponte, per le ragioni sopra esposte).
Non dunque una procedura alternativa al giudizio o una fase di conciliazione preliminare obbligatoria, come è già previsto in molte materie.
Al contrario, una strada a senso unico senza possibilità di deviazione.
In altri termini, coloro che lamentano un danno per essere stati raggirati da chi gli vendeva dei titoli spazzatura, non potrebbero esercitare alcuna azione davanti al giudice ordinario, tantomeno un'azione volta a fare valere, in qualità di creditori, la responsabilità degli organi amministrativi delle banche (essendo tale possibilità esclusa da una norma contenuta nel D.Lgs. 180/15).
Tutto questo, a chi si occupa di cose legali, fa sorgere molti interrogativi, il primo dei quali è il seguente: quante disposizioni della Costituzione verrebbero violate dalla previsione di un arbitrato obbligatorio che escluda la possibilità di rivolgersi all'autorità giudiziaria? Almeno due secondo noi. L'art. 24, commi 1 e 2: "1.Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi. 2. La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento." L'art. 25: "Nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge".
La stessa norma che prevede la costituzione dell’Arbitro Bancario Finanziario, cioè l’art. 128 bis del Testo Unico Bancario, prevede che “"Fermo restando quanto previsto dall’articolo 5, comma 1, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 non pregiudicano per il cliente il ricorso a ogni altro mezzo di tutela previsto dall’ordinamento."
La parola alla Corte Costituzionale, quindi (e chissà che i "maneggi" per la nomina dei tre nuovi giudici non siano dipesi anche da questa vicenda), che ricordiamo si è già pronunciata negativamente riguardo alla procedura di mediazione quale step obbligatorio per poter agire in giudizio.
mi pare che il primo punto evidenziato, cioè pagano alcuni in modo iniquo e arbitrario, in conseguienza di un esproprio e non di una procedura fallimentare, sussista in pieno anche con la nuova norma di bail-in prossima ad entrare in vigore.
il secondo punto critico è invece specifico (ancora, mi pare) del decreto governativo, cioè l'invenzione di una autorità che risolva i casi umanitari, che potrebbero anche essere reati, con un rimborso inappellabile a carico dell'erario. questo secondo è in pratica poi molto meno importante, visto che se si andasse a una procedura di liquidazione e/o a una azione penale contro amministratori e dirigenti, le vittime (comunque da accertare) non avrebbero con ogni probabilità nessun maggior ristoro.
allora: il bail-in è stato discusso e approvato da un bel pezzo, con tanto di esperimento in corpore vili (cipro) e, credo, il contrasto con alcuni principi fondamentali comuni a tutti i diversi ordinamenti europei doveva essere evidente anche allora...cos'è successo? ignavia di tutti i parlamenti? situazione bancaria in realtà molto più grave di quanto è dato di sapere? presa di potere di economisti creativi a scapito dei legulei, a cui pure la storia patria deve tanto? :-)