Sanità e istruzione o costo dei privilegi acquisiti?
Fa parte della paccottiglia standard sull'intoccabilità della spesa pubblica la tesi secondo cui ogni tentativo di ridurla debba ledere il diritto alla sanità e all'istruzione e trascinare le masse nella destituzione e nella miseria. È una tesi diffusissima tra i politici italiani di qualunque schieramento: chi non ne è convinto guardi questo dibattito tra Michele Boldrin da una parte e Bruno Tabacci e Francesco Storace dall'altra. È anche una tesi palesemente falsa, come cercheremo di documentare in questo post.
Prima di farlo però vorremmo ricordare che cosa significa in concreto per gli italiani, e particolarmente per quelli più poveri, l'eccesso di spesa pubblica e quindi di tassazione che caratterizza l'Italia. Più specificamente, cosa si potrebbe fare con i famosi 50 miliardi che, ci spiega Fassina, è impossibile reperire? Per favorire la crescita economica, la priorità dovrebbe essere ridurre la tassazione su lavoro e impresa. Vi sono molte tasse che incidono sui fattori produttivi, ma probabilmente le due imposte più dannose per gli incentivi alla costituzione e alla crescita delle imprese e per la partecipazione alla forza lavoro sono l'Irap e l'Irpef sui redditi più bassi.
I dati più recenti sul gettito IRAP riguardano il 2010. In quell'anno, il settore privato pagò 23 miliardi di euro. Se la spesa pubblica fosse inferiore di 50 miliardi pertanto si potrebbe azzerare completamente l'Irap per i privati e resterebbero 27 miliardi per ridurre l'Irpef. Per quanto riguarda questa imposta, gli ultimi dati disponibili riguardano l'anno 2011. Se si guarda alla distribuzione dell'imposta, si può osservare che i contribuenti con reddito inferiore a 15.000 euro pagano complessivamente 8,2 miliardi, mentre i contribuenti con redditi inferiori a 20.000 euro pagano in totale 23,2 miliardi. In sostanza, sarebbe senz'altro possibile portare il reddito esente almeno a 15.000 euro per tutti i contribuenti, abbassando anche le aliquote per redditi superiori in modo da evitare balzi eccessivi nelle aliquote marginali. In altre parole, si potrebbe eliminare completamente l'Irpef per la metà dei contribuenti più poveri, spalmando il resto della riduzione per i contribuenti di classe media e medio bassa. Si noti che secondo i dati del ministero i contribuenti con un reddito tra 12mila e 15mila euro (ossia, poco più di 1000 euro lordi al mese) pagano in media 1410 euro di Irpef a testa.
Ci rendiamo conto che, al momento, eliminare l'Irap e l'Irpef per il 50% più povero dei contribuenti possa sembrare fantascienza. Ma l'unico motivo per cui è fantascienza è che la spesa pubblica in rapporto al PIL si trova a un livello storicamente alto. Secondo la nota di aggiornamento al DEF di settembre, nel 2013 il PIL nominale è previsto essere pari a 1.557 miliardi, per cui 50 miliardi rappresentano il 3,2% del PIL. Lo stesso documento ci dice che la spesa primaria sarà pari a al 46,5% del PIL. Aggiungendo una spesa per interessi di 5,4% si ottiene una spesa complessiva di 51,9%. Anche ipotizzando che la spesa per interessi sia intoccabile (non lo è, se si accetta di privatizzare sul serio imprese come ENEL ed ENI e di dismettere massicciamente gli immobili) portare la spesa primaria al 43,3% del PIL non è un obiettivo impossibile. Tanto per dire, nell'ultimo anno in cui il centrosinistra ha governato dal primo gennaio al 31 dicembre, ossia il 2007, la spesa primaria è stata il 43,17% del PIL. Prima del 2007, l'ultimo anno in cui il centrosinistra ha governato per un anno intero è stato il 2000, anno in cui si raggiunse un minimo nel rapporto spesa primaria/PIL (devono essere stati gli effetti della subalternità al neoliberismo). In ogni caso, ecco il grafico con l'andamento del rapporto spesa primaria/PIL dal 1990 al 2013.
La linea rossa è il famoso 43,3% cui si giungerebbe se la spesa fosse inferiore di 50 miliardi. Con l'eccezione del 1993 l'Italia rimase sotto tale livello fino al 2004. Il picco del 2009 è naturalmente imputabile alla crisi finanziaria, che fece crollare il PIL (denominatore del rapporto). Ma l'aumento dal 41,59% del 2001 fino al 44,33% del 2006 è tutta farina del sacco di Tremonti, che sfruttò il calo della spesa per interessi per aumentare la spesa primaria, e lì non ci sono scuse. Sono quasi tre punti di PIL e fu un aumento del tutto non necessario, un incredibile sperpero dell'opportunità che venne offerta al paese con il calo dei tassi d'interesse.
Abbiamo già visto nel post precedente che questo aumento non è affatto andato all'istruzione, ma principalmente all'aumento della spesa pensionistica. La spesa sanitaria è effettivamente aumentata, ma lo stesso è successo negli altri paesi europei. Ma ridurre la spesa primaria di 3 punti di PIL è perfettamente possibile, anche se politicamente non banale. Tra le due voci generali di spesa che possono essere aggredite ci sono le spese generali di funzionamento dello Stato e la spesa pensionistica. Eviterò di appesantire ulteriormente questo post entrando nel dettaglio di come ridurre la spesa pubblica (chi ne ha voglia vada qui e qui). Mi limito qui a osservare due cose ovvie su cui si potrebbe intervenire subito senza gettare nessuno nella miseria:
- vanno rivisti tutti gli stipendi degli alti burocrati dello stato; il costo dei parlamentari è solo la punta dell'iceberg.
- vanno riconsiderati, almeno per le pensioni più alte, gli ammontari pensionistici ottenuti con il sistema retributivo. Al momento il costo del riaggiustamento del sistema pensionistico è stato praticamente sopportato unicamente dalle generazioni più giovani. Un po' di equità intergenerazionale non guasterebbe.
Sono cose politicamente difficili e che sicuramente desteranno le proteste di gruppi di pressione potenti, che è la ragione per cui non sono mai state fatte. Ma la verità è che quando persone come Fassina cianciano di ''impossibilità di ridurre la spesa'' forniscono un determinante aiuto a questi gruppi di pressione.
Fatemi essere molto chiaro, dato che non voglio assolutamente fare la figura del populista che dice ''tagliamo i soldi ai partiti e tutti i problemi sono risolti''. No, non è possibile diminuire di botto la spesa di 50 miliardi immediatamente, sia per ragioni legali sia per ragioni politiche. Quello che è possibile fare è ridurre in un arco di tempo relativamente ridotto (diciamo tre-quattro anni) il rapporto spesa pubblica/PIL di 3 punti addizionali rispetto a quanto attualmente previsto dal governo, accompagnando la riduzione della spesa con una riduzione della pressione fiscale. Bisogna volerlo fare. Bisogna, soprattutto, che ogni volta che si aprono spazi nel bilancio si pensi prioritariamente a ridurre la pressione fiscale e non si blateri di ''tesoretti'' da spendere.
Il ruolo anticiclico della politica fiscale
Finora abbiamo solo parlato del perché è falsa la tesi per cui in Italia la spesa pubblica è bassa e non ulteriormente comprimibile. Ma Fassina dice qualcosa di più: che in ogni caso, anche se si riuscisse a tagliare la spesa e ridurre le tasse di pari ammontare, questa sarebbe una cattiva idea. Ecco quello che dice nel famigerato articolo del 16 ottobre (quando non si era ancora accorto che il suo governo è un grande tagliatore della spesa).
Quanti continuano a insistere sugli effetti espansivi dello scambio minori spese-minori tasse dovrebbero sapere che il moltiplicatore della spesa è molto superiore al moltiplicatore delle imposte, soprattutto in una fase recessiva, segnata dalle difficoltà di accesso al credito: secondo una recente ricerca dell'IMF sui G7 (Baum, A. Poplawski-Ribeiro, M. e Weber, A. "Fiscal multipli ars and the state of the economy", n. 12/286) un taglio di spesa di 1 euro ha un impatto recessivo di 1,34 euro, mentre una riduzione di imposte di un euro implica un effetto espansivo di 0,35 euro. In sintesi, un taglio di spesa accompagnato da una corrispondente riduzione di tasse determina un effetto recessivo di pari importo. In altri termini, continuare a affrontare i problemi secondo il paradigma neo-liberista significa aggravarli. Dopo anni di austerità distruttiva dovrebbe essere chiaro. Invece, l'ideologia e la miopia degli interessi più forti va avanti senza se e senza ma.
Ho voluto riportare per intero il pezzo perché è veramente rappresentativo del modus operandi di Fassina, quel ''vorrei ma non posso essere rigoroso'' che caratterizza tutto il suo articolo e più in generale i suoi interventi. Fassina ci spiega che ridurre al tempo stesso le tasse e la spesa è recessivo, e a prova dell'affermazione riporta ''una recente ricerca dell'IMF''. La ricerca la trovate qui. Il sommario della ricerca va assolutamente letto, e per facilità del lettore ne offro qua sotto una traduzione in italiano:
Pochi studi empirici hanno analizzato la relazione tra moltiplicatori fiscali e lo stato sottostante dell'economia. Questo lavoro indaga su questo legame su una base paese-per-paese per le economie dei paesi del G7 (esclusa l'Italia). I nostri risultati mostrano che i moltiplicatori fiscali variano attraverso i paesi, e richiedono quindi un uso mirato della politica fiscale. Inoltre, la posizione nel ciclo fiscale influenza l'impatto della politica fiscale sulla produzione: in media la spesa pubblica e i moltiplicatori dei ricavi tendono a essere più grandi nei periodi recessivi che nei periodi espansivi. Questa asimmetria ha implicazioni per la scelta tra un aggiustamento fiscale immediato rispetto a un approccio più graduale.
L'evidenziazione in grassetto è mia. Ebbene sì, signore e signori, Fassina ha preso uno studio che afferma che i moltiplicatori fiscali sono diversi tra i paesi e che esclude l'Italia dai paesi studiati ed è riuscito a concludere che il moltiplicatore della spesa in Italia è 1,35 mentre quello delle tasse è 0,34. Gli va dato atto che almeno ha citato lo studio (seppur sbagliando il titolo, con involontario effetto comico: è ''multipliers'', non ''multipliars''). Un Tremonti avrebbe seguito pedissequamente il manuale del cialtrone perfetto, sparando numeri a vanvera senza citare nulla e senza spiegarne l'origine. Fassina no, lui ci prova a non fare il cialtrone, ma proprio non ci riesce. Cita lo studio per dimostrare che lui non parla a vanvera, ma poi risulta che lo studio non dice assolutamente nulla di quello che lui vorrebbe dicesse. Chiaramente Fassina non si è preso la briga di leggere nemmeno il sommario di quell'articolo, gli deve essere stato suggerito da qualche portaborse poco sveglio. Se poi, il cielo non voglia, Fassina si fosse letto pure l'articolo per intero avrebbe trovato frasi come questa (pagina 18).
When thinking about the exact design of a fiscal consolidation package one needs to take into account other factors in addition to the size of multipliers. Notably, the long-term effects of specific adjustments and the efficiency of tax and expenditure changes depend on their preexisting levels and structure. For example, the current high tax pressures in some countries (particularly in Europe) suggest that the bulk of the fiscal adjustment should focus on the expenditure side (although revenue increases may be inevitable when the targeted adjustment is large).
Traduco solo la parte che ho messo in neretto, che è la più rilevante:
l'attuale alta pressione fiscale in alcuni paesi (particolarmente in Europa) suggerisce che il grosso dell'aggiustamento fiscale dovrebbe essere focalizzato sul lato della riduzione della spesa
Chissà quale sarà mai il paese europeo con alta pressione fiscale e che ha bisogno di mettere in atto un grosso aggiustamento fiscale ....
Per concludere questa parte, faccio notare che dopo la frase, rivelatasi completamente campata per aria, secondo cui ''un taglio di spesa accompagnato da una corrispondente riduzione di tasse determina un effetto recessivo di pari importo'' Fassina, con una disonestà intellettuale da mozzare il fiato, aggiunge ''In altri termini, continuare a affrontare i problemi secondo il paradigma neo-liberista significa aggravarli. Dopo anni di austerità distruttiva dovrebbe essere chiaro''.
La frase è incredibilmente disonesta perché Fassina non può non sapere che ''l'austerità distruttiva'' è stata cosa completamente differente da una riduzione della spesa accompagnata da un taglio delle tasse. Ecco i dati su spesa primaria ed entrate fiscali in valori assoluti dal 2009 al 2015, tratte dagli ultimi tre DEF (ovviamente i dati dal 2013 in poi sono previsioni).
2009 | 2010 | 2011 | 2012 | 2013 | 2014 | 2015 | |
Spese finali al netto interessi (miliardi euro) | 727 | 724 | 721 | 714 | 724 | 726 | 739 |
Entrate tributarie e cont. sociali (miliardi euro) | 655 | 661 | 672 | 689 | 690 | 709 | 730 |
Non c'è mai stata, nemmeno negli anni in cui la crescita del PIL è stata negativa, una riduzione nell'ammontare di tasse pagate. C'è stato, nel periodo 2010-212, uno sforzo di contenimento della spesa che ha prodotto reali risultati in termini aggregati, anche se ci sarebbe molto da discutere sull'efficienza del modo in cui i tagli sono stati fatti. Sappiamo come sono andate le cose: si è trattato di una reazione di panico delle classi dirigenti alla crisi della primavera 2010, a suon di tagli lineari e aumenti delle imposte. Ma di un programma cosciente di riduzione simultanea di spese ed entrate (o più banalmente di una qualche riduzione delle entrate) non c'è traccia.
La storia rimane la stessa se si guarda alle grandezze in rapporto al PIL.
2009 | 2010 | 2011 | 2012 | 2013 | 2014 | 2015 | |
Spese finali al netto interessi, rapporto al PIL | 47,84 | 46,63 | 45,60 | 45,62 | 46,47 | 45,29 | 44,53 |
Entrate tributarie e cont. social, rapporto al PIL | 43,08 | 42,56 | 42,50 | 43,99 | 44,34 | 44,21 | 43,95 |
Anche qui, chi vede una riduzione della pressione fiscale in cambio della riduzione della spesa faccia un fischio. L'unica cosa che appare chiara è che, al momento, questo governo intende mantenere alta la pressione fiscale anche per gli anni futuri.
La bancarotta intellettuale e morale
Siamo giunti al termine della requisitoria, ed è quindi il momento di tirare le somme. Ho parlato di bancarotta intellettuale, un termine che non dovrebbe essere usato con leggerezza. Ma, dopo un'analisi attenta degli argomenti, quale altra conclusione è possibile? Stiamo parlando di un pezzo in cui si fanno errori che disturberebbero perfino in uno studente di economia del primo anno. Stiamo parlando di citare a difesa delle proprie tesi articoli che dicono l'opposto di quello che si afferma, e che probabilmente non si sono letti. Un simile livello di divorzio dagli standard normali di rigore nelle discussioni di politica economica non è normale fuori dall'Italia. E il fatto che invece sia normale in Italia denota la bancarotta intellettuale non solo di Fassina e della sua ''sinistra non subalterna al neoliberismo'' ma di tutte le principali forze politiche.
Questa ovviamente è la cosa più preoccupante. Che Fassina non sia in grado di articolare ragionamenti coerenti, che debba ricorrere a citare numeri senza senso per difendere le proprie tesi è sconcertante. Dopotutto non stiamo più parlando del ragazzo di bottega di Visco, questo è un signore maturo che occupa cariche importanti: responsabile economia del PD, viceministro dell'economia. Ma la cosa ancora più sconcertante è che intorno a lui nessuno sembra accorgersene. Così come succedeva con Tremonti, un imbarazzante ciarlatano che veniva continuamente osannato come grande intellettuale, sembra esserci una congiura del consenso affinché le sciocchezze non vengano smascherate. Agli italiani possono sempre e solo essere somministrate bugie: siamo poverini perché la nostra spesa pubblica è troppo bassa, la spesa e le tasse non si possono ridurre, ridurre le tasse sicuramente avvantaggerebbe solo i ricchi, è tutta colpa dei cinesi, è tutta colpa dei tedeschi ... e così via, chi più ne ha più ne metta. Non so se il paese è pronto a discutere seriamente dei suoi problemi, ma con tutta evidenza la sua classe dirigente non lo è.
Anche il termine bancarotta morale non va usato con leggerezza ma, di nuovo, che opzione resta? Lo spettacolo è veramente desolante, e si aggiunge alla bancarotta morale di un centrodestra formato da arrivisti meschini e mediocri capitanati da un pregiudicato. La difesa della spesa pubblica nelle forme e nei livelli in cui si è venuta materializzando in Italia è essenzialmente la difesa di poteri forti: settori dell'amministrazione pubblica che ricevono benefici non commisurati ai servizi prodotti, pezzi delle generazioni più anziane che hanno goduto e continuano a godere di trattamenti pensionistici ben superiori a quelli che otterranno le generazioni più giovani, imprese pubbliche o con buone entrature nel pubblico che ricevono sussidi e trattamenti di favore ... l'elenco è lungo. Aver abdicato alla difesa delle classi più deboli del paese, che hanno bisogno più di ogni altra cosa di una robusta crescita economica, è la vera colpa di queste classi dirigenti. La scelta è stata quella di consolidare e difendere i privilegi che la spesa pubblica garantisce, ignorando qualunque progetto di lungo termine per la crescita del paese. Questo è il vero pensiero unico al quale Fassina, in abbondante compagnia, è subalterno.
Gli italiani sembrano preferire le bugie e le favole alla realtà.
Forse dovete imparare dai vari menestrelli di filastrocche come Fassina, Tremonti, Grillo, ecc.
Raccontate più panzane possibili anche voi di Fare e Noise; è probabile che i voti arriveranno a quel punto...
E' uno spettacolo desolante questo Paese.
Scusate il cinismo ma visto che è in gioco il destino del paese debbo essere brutalmente sincero.
Mi spiace dirlo ma quello che dice Andrea è vero. Un partito economicamente liberista e eticamente liberale, o comunque non clericale, in Italia difficilmente raggiungerà voti intorno al 10% e lo farà solo episodicamente, molto probabilmente se ci si limita a parlare onestamente solo alle menti bene che vada ci si assesterà intorno al 4/5%. Daltra parte fare demagogia e populismo è molto pericoloso perché si rischia di restare intrappolati nelle proprie balle grillo, berlusca, comunisti e gran parte degli altri docet.
Io penso che l'unico modo per raggiungere risultati importanti, senza abbassarsi troppo, sia creare delle immagini suggestive, esemplificative, delle visioni grandi e magnifiche (stando attenti a non farsi prendere troppo la mano) in breve bisogna colorare i contenuti di fare con dei miti.
Bisognerebbe utilizzare una retorica suggestiva e ricca di immagini forti, sui periodi migliori della storia economica Italiana e indicare come le ricette di fare riporteranno il paese a vivere nuove stagioni da protagonista, un po come ha fatto la lega con i liberi comuni, bisognerebbe parlare di forza e capacità del singolo individuo e sul suo essere intrappolato da un sistema oppressivo, un po come ha fatto grillo (minuscola voluta) che diceva agli Italiani che la colpa della nostra situazione è tutta della casta, senza arrivare necessariamente a certi eccessi, che ritengo controproducenti, si potrebbe fare un operazione d'immagine puntando il dito sullo stato tassa e spendi, uno stato sprecone, corrotto e inefficiente, uno stato oppressivo e spesso indifferente ai bisogni e ai desideri delle persone e che anche quando si interessa a loro spesso crea più problemi di quanti non ne risolva.
Perché questa strategia possa assicurare un successo elettorale sufficientemente forte e sufficientemente stabile tale operazioni dovrà poggiare sempre su una solida base di verità e dovrà essere coerente e semplice, bisognerà usare parole d'ordine come quelle già usate da voi "la patrimoniale la paghi lo stato" ma bisognerà farlo con maggior insistenza e assiduità, bisogna far diventare le nostre parole d'ordine dei veri e propri tormentoni. Poi bisognerà fare dei discorsi e dei ragionamenti semplici semplici a misura dei ragazzi di seconda media che non stanno neanche seduti nei primi banchi www.youtube.com/watch lo so che il tipo che ha detto questo cose vi fa schifo, fa schifo anche a me io ho votato per oltre un decennio per il P.D. turandomi il naso solo per mandarlo a casa, ma bisogna riconoscere che nessuno sa farsi votare più di lui.
Bisognerà creare un cattivone da indicare come responsabile di tutti i mali e questo cattivone potrebbe essere sia la classe politica sia lo stato. Lo so che il dagli all'untore è una porcata ma cosi va il mondo. Io userei come slogan un semplicissimo "MENO TASSE!" Cosi senza troppe spiegazioni, poi si dovrebbero fare negli spot e nei manifesti dei ragionamenti semplici semplici del tipo "MENO SPESA=MENO TASSE; MENO TASSE=PIU' DENARO AGLI ITALIANI; PIU' DENARO AGLI ITALIANI=PIU' LAVORO E PIU' BENESSERE"! Forse questo è già fin troppo complesso.
Lo so che a molti di voi semplificare le cose cosi fa raccapriccio ma credetemi con i discorsi giusti e complessi non si vincono le elezioni. Bisognerà creare un rapporto empatico tra i candidati e gli elettori, un rapporto che sarà tanto più forte quanto più punterà sui sentimenti, sull'identificazione e più in generale su motivazioni irrazionali. Storie lacrimose di imprenditori costretti a chiudere per le troppe tasse saranno molto più efficaci di ragionamenti corretti su come risolvere i problemi.
Anzi questi discorsi anche se giusti potrebbero rivelarsi controproducenti dal punto di vista elettorale perché si rischia di far sentire gli elettori stupidi e inferiori, si rischia di passare per arroganti e questo gli elettori non lo perdoneranno mai. Sarebbe più facile farsi perdonare un incidente stradale con tre morti che l'arroganza vera o presunta.
Bisognerà evitare di dare risposte impopolari agli elettori anche quando tali risposte sono oneste e utili insomma bisogna evitare di difendere l'EURO nei discorsi pubblici e lo si faccia solo nei palazzi del potere.
Avevo scritto senza abbassarsi troppo ma visto il popolo che abbiamo mi sa che ci dovrà abbassare tanto ma davvero tanto non è un attività adatta alle persone che si nauseano facilmente. Daltra parte i problemi del paese sono cosi gravi e cosi urgenti che penso non ci si possa fare troppi scrupoli.