Domenica sera Tremonti sembrava riemerso dalle nebbie di un passato remoto, il reduce di una stagione lontana e dimenticata, l'immagine sbiadita di un potente. Eppure meno di anno fa era sulla cresta di un'onda che sembrava non infrangersi mai. Addirittura il Segretario del maggior partito di opposizione si dichiarava più o meno esplicitamente disposto ad appoggiare un governo con a capo Tremonti, se Berlusconi si fosse fatto da parte.
In realtà la caduta del Superministro risale a poco più di due mesi.Ecco alcuni articoli di giornale usciti a ottobre: il Giornale 10 ottobre 2011 “E Giulio ottiene l’unzione dei vescovi”: Il pio Giulio ha ottenuto quello che cercava: ieri mattina prima ancora della Santa Messa aveva gia’ incassato la benedizione dei vescovi [....]. Si dà un gran daffare il catecumenale della Valtellina. Parla con Bossi e lo convince a intervenire, fa fuoco e fiamme con Letta mentre il premier sta in Russia”.
Il Corriere della Sera 17 ottobre 2011 “Pdl e Tremonti al duello decisivo”: Settimana decisiva per sciogliere uno dei nodi gordiani del governo. Nelle intenzioni del premier e della maggioranza il decreto sviluppo su cui Berlusconi ha detto di stare lavorando personalmente [un uomo una garanzia NdA] deve dare una scossa all’economia e dovra’ arrivare sul tavolo del Consiglio dei ministri entro venerdì”.
E non mancavano i coriferi a libro paga ministeriale come il solito Fortis che sul Sole24Ore del 15 ottobe 2011 titolava “E’ l’Italia la scattista del commercio globale" in cui si celebrava un qualche miracolo italiano, merito implicito del noto commercialista.
Poi il tonfo del governo Berlusconi, con il conseguente defenestramento e isolamento politico. Anche nella Lega pochi mostrano di rimpiangerlo. Ma lui insiste con la patina pseudo-intellettualistica demolita in "Tremonti, Istruzioni per il Disuso", nella speranza di riemergere sulla scena. C'e' un aspetto che è rimasto sfuggente nelle tante incarnazioni di questo Scilipoti d'antan (come lo chiamiamo ne "Il Timoniere del Titanic"): da dove viene e cosa ha rappresentato Tremonti? In sostanza questa figura che evoca la macchietta più che l'intellettuale rappresenta uno degli agenti patogeni (nonil solo, ma certo uno dei principali) che ha inculcato il virus della Prima Repubblica nel sistema politico emerso dopo Tangentopoli.
Il Libro comincia proprio da questo punto "La Prima Repubblica non è mai stata debellata. Come i micidiali virus di febbri emorragiche ha però subíto delle mutazioni genetiche che le hanno permesso di eludere gli anticorpi inoculati nella stagione di Mani Pulite e di adattarsi al nuovo ambiente creatosi con la distruzione dei partiti e l’eliminazione politica dei mediocrissimi despoti che vi spadroneggiavano. Gli agenti di questa mutazione sono stati uomini rimasti annidati nei meandri del potere consociativo solidificatosi negli anni Settanta e di cui esercitavano una fetta più o meno vasta, lontano dalle luci della ribalta".
La fase di quiescenza del virus non fu lunga. Nemmeno due anni dopo il crollo dei partiti tradizionali (escluso il Pci), la discesa in campo di un piduista, cresciuto imprenditorialmente sotto la ben remunerata tutela craxiana, fu un richiamo della foresta potente. Già in quella fase Tremonti, mollato Mario Segni diventa uno degli uomini-chiave, alla testa del ministero delle Finanze. All'epoca è uno dei commercialisti di maggior successo, con un passato di consigliere dei ministri Reviglio e Formica (che pochi giorni fa gli ha dedicato un'affettuosa lettera aperta sull'Avanti di Lavitola, un ambientino di tutto rispetto).
Tremonti firma editoriali sul “Corriere della Sera” dal 1984 (direzione Ostellino) dandosi una veste da liberista, riformatore radicale e iconoclasta del fisco rapace. Dietro questo paravento si muove a suo agio nei corridoi e nei sottoscala romani, curando incarichi delicati (con parcelle commensurate) di grandi gruppi industriali.
Il ruolo di Tremonti nella galassia berlusconiana viene spacciato per quello di un tecnico. In Italia c'e' sempre la fascinazione per questa parola, sin dagli anni '70 in cui si attribuiva questa patente a personaggi variegati da Stammati a Visentini. A Tremonti la maschera del tecnico serve per una tragica messinscena. A questoil libro dedica un passaggio chiave in cui viene messo in luce che per eludere gli anticorpi un virus geneticamente modificato deve trovare un agente in cui inocularsi. Certo, esistevano tanti riciclati e sdoganati provenienti dal defunto pentapartito, da Cicchitto a Casini, da Tabacci a Pisanu, da poter utilizzare all’uopo. Ma tali personaggi erano comunque percepiti dal grande pubblico come politici di professione, quando la narrazione berlusconiana sull’uomo del fare, imponeva sul palcoscenico un background professionale. Occorreva il Gattopardo nella veste di specchietto per le allodole, l’homo novus da cornice al mito dell’imprenditore prestato alla politica per reciderne i nodi gordiani.
Nella storia repubblicana non c’è stato alcuno che abbia concentrato così tanto potere per un tempo così lungo e continuo. Un potere istituzionale superiore a quello del Presidente del Consiglio (esercitato per otto dei passati dieci anni) che personaggi come Andreotti, Ciampi, Craxi, Carli, Andreatta, Colombo, Einaudi, avevano potuto soltanto sognare. A fronte di un ambito decisionale vastissimo e godendo di un credito senza precedenti sui giornali, nei media e persino negli ambienti intellettuali (o pseudo tali), Tremonti puó vantare risultati risibili a parte la vanagloria e l'abilita' a infinocchiare due furbastri di tre cotte come Berlusconi e Bossi.
Berlusconi di politica economica capisce nemmeno il minimo che si può estrapolare dalla lettura di TV Sorrisi e Canzoni. Ha lasciato a Tremonti mano libera perché sostanzialmente non ha convinzioni politiche ma la mente rivolta alle sue aziende e i suoi processi, che costituiscono un unicuum. E in questo senso Tremonti non ha deluso: ha sempre mantenuto un occhio particolare per Mediaset, a partire dalla depenalizzazione del falso in bilancio e le circolari compiacenti sugli "investimenti" in film.
Il rapporto d’acciaio che ha unito fino a due mesi fa Tremonti alla Lega è sconcertante. Come accade ai cani, che quando si incontrano tendono fiutarsi a lungo nelle parti intime, anche Tremonti e Bossi hanno impiegato un po’ di tempo prima di stringere amicizia. Tremonti intuisce che in seno alla Lega, oltre ai personaggi folkloristici alla Borghezio, esiste un’ala che ha assaporato il profumo del potere ministeriale e ne è rimasta inebriata. Si tratta di gente senza arte né parte, mezze tacche di provincia, dei Bossi in sedicesimo. Di questo, milieu Tremonti non fa parte, ma lo conosce bene perché è stato incubato in posti come Sondrio e la cintura prealpina, per poi estendersi alla pianura e alle plebi inurbate. Tremonti sa che la rabbia parolaia nasconde il concreto desiderio di poltrone e scalate sociali. Ha la freddezza di capire - come sfruttare quella voglia per i propri fini. Tuttavia rimane oscura l’origine di questa apertura di credito. Non è chiaro come sia riuscito ad ottenere la fiducia incondizionata, soprattutto nei momenti cruciali, quando gli amici si rivelano, di un gruppo molto chiuso e diffidente verso l’esterno.
Per di più i leghisti raramente hanno incalzato il Superministro. Dall’appoggio incondizionato a Tremonti la Lega non ha mai ottenuto uno straccio di risultato da buttare sul piatto della bilancia celtica nei comizi sul Pratone. Nelle ampolle ristagnava l’acqua inquinata del Po, mentre la pazienza della base tracimava e soldi prendevano la volta della Tanzania.
Ora lo Zelig della Valtellina passato dal Manifesto a Craxi, da Segni a Berlusconi, da Borghezio all'Aspen, dal liberalismo all'antimercatismo, vuole compiere un'altra piroetta acrobatica di riciclo. Certo nel Consiglio di Amministrazione della Rai vanta ancora qualche ammiratore. Ma si tratta di brandelli di influenze che non resisteranno troppo a lungo nel nuovo clima da solidarietà nazionale. Finita la girandola dei talk show, non e' chiaro chi dovrebbe seguire questo autoproclamatosi generale che non ha mai vinto una battaglia, al massimo ha soddisfatto qualche capriccio e la sete di potere andreottianamente fine a sé stesso. Uscita quindi, forse di sicurezza, certo di scena.
Inquadri bene 'articolo avendo letto con soddisfazione Il timonere del Titanic. L'analisi qui sintetizata mi pare solida ma temo che l'ipotesi finale non sia quella dell'uscita ma di un temopraneo allontanamento dalla scena. Mont è una eccezione, ne sono certo ma è una eccezione che qualunque ne si il motivo ha portato al governo diversi dei personaggi del milieu nel quale Tremonti guazza bene. In aggiunta, l'immobilismo dei partiti e la persistenza dei medesimi squallidi ed inadeguati personaggi, mette Tremonti un gradino più in alto second il criterio "eati monoculi in terra coecorum" circostanza che il nostro conosce e sa sfruttare a suo vantaggio. Temo quindi che le comparsate televisive, le interviste, la presentazione del nuovo libro, la sudditanza mediatica di chi non sa anocra da quale parti buttarsi sian parte del progetto di autorilancio del personaggio. La memoria corta che imperversa nel paese ad ogni lvello, tem possa essere l'altra componente che il rilancio aiuta. Temo che la vicenda pubblica di Tremonti non sia finita.
anch'io non penso che sia uscito di scena.
Sfrutterà l'ondata di protesta contro i provvedimenti di Monti(troppo timidi, visto che cmqe ti "spareranno" addosso tanto vale andare giù piatto), l'elettorato già sta dimenticando le manovre tremontiane e chi ha causato questo macello, per riproporsi contro i poteri forti le banche le liberalizzazioni ecc.ecc.