La base imponibile
La prima cosa da fare, quando si considera una nuova tassa, è valutare la potenziale base imponibile. Ci sono due indagini recenti della Banca d'Italia che cercano di stimare il livello e la distribuzione della ricchezza delle famiglie italiane: l'indagine "La ricchezza delle famiglie italiane, anno 2010", che è stata pubblicata nel dicembre 2011, e la "Indagine sui bilanci delle famiglie Italiane, anno 2010", pubblicata nel gennaio 2012. A nostra conoscenza si tratta delle due fonti più aggiornate sul tema. La prima indagine fornisce una descrizione più dettagliata degli aggregati, mentre la seconda è più centrata sulla distribuzione della ricchezza. Nella prima pubblicazione, la tavola 1A a pagina 28 riassume la situazione della ricchezza delle famiglie per l'anno 2010 (dati in miliardi di euro).
Attività reali (a) | 5.925 |
Attività finanziarie (b) | 3.600 |
Passività finanziarie (c) | 887 |
Ricchezza netta ((a)+(b)-(c)) | 8.638 |
Ricchezza finanziaria netta ((b)-(c)) | 2.713 |
Come si vede si conferma il dato ben noto che la ricchezza degli italiani è principalmente data dagli immobili (il grosso delle attività reali), con un valore di circa 6.000 miliardi. Il resto è dato da un coacervo di altre attività che per comodità si chiamano '''finanziarie''.
Nel dibattito corrente si commette spesso l'errore di confondere la potenziale base imponibile con l'effettivo valore dell'aggregato "ricchezza" come stimato dalle indagine campionarie. Questo è sempre un errore, per qualunque tipo di imposta. Per esempio, quando consideriamo il potenziale gettito di un'imposta sul reddito sappiamo che esiste una notevole differenza tra il PIL valutato dall'Istat (che contiene anche stime dell'economia sommersa) e il reddito imponibile effettivamente accertabile. Per la ricchezza succedono cose molto simili: alcune componenti della ricchezza sono di assai difficile tassazione, altre sono stimate in modo molto impreciso. In un dibattito precedente sulla proposta di patrimoniale della CGIL avevo segnalato in particolare questo problema per gli immobili, dato che questi rappresentano la parte principale della ricchezza. Visto che ora la proposta di tassazione riguarda unicamente la componente non immobiliare, su tale componente ci concentreremo.
Veniamo dunque ai dettagli. La Tabella 3A, pagina 29, sempre nella ''Indagine sulla ricchezza'', fornisce i dati disaggregati per tipologia di attività finanziaria. I dati, riferiti al 2010 ed espressi in miliardi di euro, sono riassunti in questa tabella
Contanti | 107,5 |
Conti bancari | 657,3 |
Depositi postali | 322,5 |
Titoli debito pubblico | 181,4 |
Obbligazioni di banche e imprese | 366,7 |
Obbligazioni straniere | 165,1 |
Prestiti a cooperative | 15,7 |
Azioni di imprese non quotate | 471,6 |
Azioni di imprese quotate | 85,5 |
Partecipazioni in quasi-società | 212,0 |
Fondi d'investimento | 238. |
Riserve tecniche assicurazioni | 669,1 |
Altri conti attivi | 8,3 |
Crediti commerciali | 98,6 |
Quante di queste attività sono effettivamente tassabili? Il contante va escluso; andare a scovare le banconote che le famiglie tengono in tasca o sotto il materasso è praticamente impossibile. Ci sono un po' di altre cose minori (prestiti dei soci alle cooperative, altri conti attivi, crediti commerciali) che sono anch'esse tassabili solo con certa difficoltà, ma si tratta di poca roba. La voce più grossa tra quelle non tassabili è quella delle riserve tecniche di assicurazione. Queste corrispondono a somme versate dalle famiglie a fondi pensione e assicurazioni vita, oltre che alle risorse accantonate dalle imprese per fondi di quiescenza per il personale. La tassazione di queste cifre sarebbe in completa contraddizione con la politica da sempre seguita di favorire il risparmio privato, in concreto prevedendo la parziale deducibilità dall'imposta sul reddito delle somme versate a fondi pensione e assicurazioni vita, e renderebbe il nostro sistema fiscale ancora più assurdo. Assumiamo quindi che qui prevalga un minimo di buon senso e che questa componente sia esclusa da un'eventuale imposta patrimoniale. Queste quattro voci fanno in totale 899,2 miliardi, lasciando una base potenzialmente tassabile di 3.600-899,2=2700,8 miliardi circa. Fra questi, possiamo distinguere due grandi categorie.
- Ricchezza che è effettivamente liquida e prontamente scambiabile sul mercato. Mettiamo qui sotto le categorie che soddisfano questi requisiti (in verità per obbligazioni e fondi il livello di liquidità varia, ma ignoriamo questo aspetto)
Conti bancari 657,3 Depositi postali 322,5 Titoli debito pubblico 181,4 Obbligazioni di banche e imprese 366,7 Obbligazioni straniere 165,1 Azioni di imprese quotate 85,5 Fondi d'investimento 238,2 Totale 2016,7 - Ricchezza non liquida e il cui valore di mercato è difficile da stimare. In questa categoria rientrano le azioni e partecipazioni in società di capitali non quotate e le partecipazioni in quasi-società. Sostanzialmente si tratta nel primo caso delle quote di proprietà di spa ed srl, nel secondo caso della proprietà di piccole imprese e società. Si tratta di 684,1 milardi.
La seconda categoria è quella in cui è più probabile vi sia un'ampia divergenza tra le stime fatta dalla Banca d'Italia e il valore reale delle base imponibile che può essere soggetta a tassazione. Un primo punto metodologico da far notare è che, anche volendo assumere che la stima aggregata della Banca d'Italia sia corretta, questo non implica che la stima del valore di ciascuna piccola azienda artigiana o società di persone sia corretta. È chiaro che la valutazione del valore di queste attività è soggetta a grossi errori di misura in ogni singolo caso individuale. Nell'aggregato, se le stime sono fatte in modo appropriato (e abbiamo fiducia che questo sia il caso per le indagini della Banca d'Italia) gli errori di misura tendono a compensarsi, fornendo una stima abbastanza ragionevole del totale.
Purtroppo, quando invece si definisce per via legale la base imponibile, questi errori non sono ammessi. È ovvio che l'unica via perseguibile è la stessa che si usa per gli immobili a fini residenziali, ossia assegnazione per via burocratica di valori (la rendita catastale, nel caso degli immobili) il cui legame con l'effettivo valore di mercato non risulta particolarmente forte. L'Agenzia delle Entrate, o chi per essa, dovrà quindi mettersi a fornire stime del valore commerciale di tutte le attività di barbiere, pizzicagnolo e così via, con una procedura che possiamo immaginare simile a quella degli studi di settore.
Anche così, l'applicazione di una tassa a questo tipo di patrimonio andrà incontro a resistenze fortissime. Molti artigiani e piccoli imprenditori chiuderanno il 2012 (e probabilmente il 2013) in perdita. A costoro lo Stato chiederà comunque di pagare l'IRAP. Aggiungere un'ulteriore imposta basata su un valore presunto dell'attività commerciale deciso in forma burocratica verrà visto come l'ennesimo odioso balzello che getta ulteriore sabbia nelle ruote di chi cerca di fare impresa nel paese. Se queste considerazioni non convincono, invitiamo a rileggere l'intervista che Vincenzo Visco (non un selvaggio ultraliberista) ha dato all'Unità il 24 novembre dello scorso anno. In essa affermava:
la patrimoniale sulle grandi fortune può essere aggiuntiva, ha più un valore simbolico che un effettivo valore in fatto di gettito. C'è da aggiungere che se si tocca il capitale finanziario si hanno effetti sulla produzione, cosa che non accade nel caso degli immobili.
La conclusione che traiamo da questa analisi è che la base imponibile reale di questa nuova tassa è assai più modesta di quella ipotizzata: sono i 2016.7 miliardi di attività finanziarie scambiabili (più o meno) sui mercati. Circa metà di questa ricchezza consiste in conti correnti bancari e postali, sommando ai quali i titoli di debito pubblico detenuti dalle famiglie si arriva a circa 1100 miliardi. A rigor di logica, a questa cifra andrebbero sottratte le passività finanziarie delle famiglie, pari a 887 miliardi. Se si facesse, andremmo da 2000 a 1100 miliardi in tutto di base imponibile. E se volessimo tassare, come dice Bersani, solo ''i grandi patrimoni mobiliari'', ne resterebbe probabilmente molto meno della metà. Ma di questo parleremo più in dettaglio dopo. Qui osserviamo solo che, realisticamente, la ricchezza finanziaria verrà tassata al lordo delle passività, allo stesso modo in cui oggi l'IMU viene pagata per intero anche da chi sulla casa ha un congruo mutuo ancora da pagare (la composizione delle passività la trovate nella tabella 3A, pag. 29; i mutui sono circa 368 miliardi) . Riassumendo, alla fine questo sarebbe la "patrimoniale aggiuntiva'': una tassa sulle attività finanziarie e, se proprio si vuole sfidare la sorte, sulle piccole imprese.
Elusione, evasione e problemi amministrativi
Le potenzialità di elusione sono legate alla forma della tassazione. Due sembrano essere le potenziali strutture delle aliquota più discusse: la prima prevede che tutta la ricchezza finanziaria venga tassata con la stessa aliquota proporzionale, la seconda prevede che la tassazione sia invece progressiva, con una significativa soglia di esenzione e un'aliquota proporzionale per la parte che eccede la soglia. La prima corrisponde grosso modo in buona sostanza a come vengono già ora tassati i rendimenti delle attività finanziarie. La seconda è il modello adottato in Francia, dove la soglia di esenzione è di circa 800.000 euro (la base imponibile include la ricchezza immobiliare, ma con esenzioni varie).
Sulla prima versione consentiteci semplicemente di dire: se questa è la proposta, a che pro tanto casino? Non chiamatela nuova tassa, è semplicemente un inasprimento dell'attuale tassazione delle attività finanziarie. Al momento questa avviene colpendo con una aliquota proporzionale i rendimenti, e si passerebbe a colpire direttamente invece il capitale. Una cosa buona di questa modalità è che almeno risulta relativamente facile da applicare dal punto di vista amministrativo, si tratterebbe banalmente di aumentare la ritenuta di imposte già vigenti. Non possiamo però fare a meno di notare che gran parte della ricchezza che si intende colpire in questo modo è già stata colpita recentemente, con l'aumento delle imposte di bollo per deposito titoli etc. Inoltre, è abbastanza palese che il contenuto redistributivo di questa tassa addizionale sarebbe assai limitato. Quando si tassa con aliquote proporzionali ovviamente non si possono colpire solo i ''grandi patrimoni mobiliari''.
Ben altro discorso invece si applica se l'imposta che si intende applicare è di tipo progressivo, ossia con una soglia di esenzione e un'aliquota costante, o aliquote crescenti, sul patrimonio che eccede la soglia. Come detto, questo è il modello francese e questo, da quel che è dato capire, è quello che ha in mente Bersani. Il primo problema di un'imposta del genere è che l'unico modo sensato di applicarla è a livello di nucleo familiare. Il sistema fiscale francese è costruito intorno alla tassazione della famiglia, quello italiano no. Sarebbe necessario individuare, per questa tassa, una unità di imposta (la famiglia) diversa da quella dell'imposizione sul reddito (l'individuo). Sarebbe inoltre opportuno aggiustare, come si fa in Francia, per l'ampiezza della famiglia. Questo non pare essere una preoccupazione di Bersani, che ha parlato esplicitamente di ''imposta personale''.
Facendo l'ipotesi eroica che i relativi problemi amministrativi vengano superati, resta il problema che l'elusione diventa abbastanza facile. Facciamo un esempio pratico. Una coppia di sessantenni ha un conto in banca con 40.000 euro. Si stabilisce una soglia di esenzione di 25.000. La coppia ha anche una figlia, che se ne è andata di casa da poco e quindi costituisce famiglia a sé. Tipicamente, la giovane ha una ricchezza molto inferiore a quella dei genitori, dato che è all'inizio del processo di accumulazione, e ha in banca 5.000 euro. Se i genitori e la figlia vanno d'accordo è sufficiente bonificare 15.000 euro dal conto dei genitori a quello della figlia per eludere la tassa (queste manovre non sono invece possibili con la tassazione proporzionale). Se non si vogliono far apparire i bonifici basta prelevare contanti e darli alla figlia. Questo è solo un esempio di attività perfettamente legali, le opportunità di elusione di una tassa progressiva sono molteplici. Di fatto in Francia l'imposta ha un gettito variabile e ha reso tra i 3 e i 5 miliardi di euro negli anni recenti, in un paese in cui la ricchezza è sia più alta sia nettamente più concentrata che in Italia. Ma ricordate che in Francia la tassa colpisce sia la ricchezza mobiliare che quella immobiliare. Naturalmente questi problemi sono moltiplicati se l'imposta è personale. Due famiglie identiche sia per composizione sia per ricchezza porebbero pagare tasse molto differenti a seconda di come la ricchezza è imputata ai membri della famiglia.
Comunque, facciamo pure l'ipotesi eroica di superare queste difficoltà (siamo economisti dopotutto, e alle ipotesi eroiche siamo abituati). Quale sarebbe il potenziale gettito? Qui la risposta dipende dalla soglia di esenzione. In Italia ci sono 24 milioni di famiglie. Diciamo che l'obiettivo è quello di far pagare solo il 10% delle famiglie più ricche, ossia 2,4 milioni di famiglie (che saranno soprattutto le famiglie più anziane). Non abbiamo sottomano dati sulla distribuzione di conti correnti e depositi postali, quindi è difficile dire direttamente qual è la soglia di esenzione che porta a colpire solo il 10% più ricco. Nella "Indagine sui bilanci delle famiglie italiane, anno 2010", la Banca d'Italia stima che per appartenere al 10% più ricco una famiglia deve avere una ricchezza netta di 560.000 euro (si veda la tabella E1, pagina 65). Questa però è la ricchezza netta totale, che include la ricchezza immobiliaria e a cui sono sottratte le passività finanziarie. Nell'indagine non appare una divisione per decili della ricchezza finanziaria lorda, anche se la tabella E2 riporta una ricchezza finanziaria mediana di 6.800 euro. Un calcolo molto grezzo può essere il seguente: se le attività finanziarie effettivamente tassabili sono pari a 2.000 miliardi e la ricchezza netta è 8.600 miliardi, allora la frazione è pari a circa il 23%. Il 23% di 560 mila è circa 130.000 euro. Questo può apparire eccessivo, ma per avere un'idea della potenziale entità del problema, osservate che se la soglia di esenzione fosse pari a 50.000 euro, allora alla base imponibile (la ricchezza mobiliare in mano al 10% delle famiglie più ricche) andrebbero sottratti 50.000x2,4 milioni = 120 miliardi di euro. In sostanza, ci pare che il punto di vista espresso da Vincenzo Visco secondo cui la patrimoniale aggiuntiva ''ha più un valore simbolico che un effettivo valore in fatto di gettito'' sia completamente corretto.
Riassumendo: o si tassa tutti e proporzionalmente, e allora l'operazione è equivalente a un ulteriore aumento di aliquote su tasse che già si pagano. O si prova a far pagare solo "i ricchi" e allora da un lato la gestione del tributo diventa un incubo amministrativo e dall'altro il gettito sarà molto limitato.
Considerazioni finali
Finora abbiamo fatto un'analisi quasi esclusivamente contabile. Vorremmo ora spendere una parola in più sugli effetti economici. Dato che, presumibilmente, l'imposta avrebbe gettito limitato è probabile che anche i danni siano contenuti, a meno che la nuova tassa non venga vista come un segnale di cose più gravi a venire.
Va però detto che è molto probabile che le famiglie riallochino la propria ricchezza da attività tassate ad attività non tassate (o meno tassate), a cominciare dal contante, mettendo in atto tutte le attività legali di elusione possibili, oltre ad alcune strategie illegali di evasione. Inoltre, se nel patrimonio immobiliare verranno compresi i titoli del debito pubblico, la maggiore tassazione ne ridurrà la domanda da parte dei residenti italiani. La diminuzione della domanda domestica condurrà probabilmente a un aumento dei rendimenti. Parte del gettito della nuova tassa servirà quindi a finanziare l'aumentata spesa per interessi, risolvendosi dal punto di vista contabile in una partita di giro e dal punto di vista economico in una riduzione degli incentivi al risparmio.
Dal punto di vista distributivo, come abbiamo avuto già modo di osservare, un effetto importante sarà quello di colpire le famiglie intorno all'età della pensione e che quindi sono all'apice del ciclo vitale di accumulazione della ricchezza. La tabella E 2 nella ''Indagine sui bilanci delle famiglie'', mostra che la ricchezza mediana netta delle famiglie con un capofamiglia tra 55 e 64 ani di età è circa 233 mila euro, contro i 41 mila delle famiglie con meno di 34 anni. Un altro modo di vedere la cosa è questo: più o meno metà delle famiglie nella fascia d'età 55-64 appartiene al terzo più ricco del paese (quello che Amato voleva tassare a sangue, nell'ennesima proposta di patrimoniale apparsa qualche tempo fa). Forse Bersani è convinto che Il famoso 10% dei più ricchi sia costituito da orde di Berlusconi e Benetton. Non è così, e su questo lo consigliamo di chiedere lumi a Vincenzo Visco.
Infine, permetteteci di osservare che il mercato mobiliare italiano si è sempre distinto per essere piccolo e asfittico. Nel suo recente relazione annuale il presidente della Consob (oltre a esibirsi in farneticazioni varie su spread e democrazia) ha ricordato questa situazione. Riprendo qui il quadro riassuntivo tratteggiato da Fausto Panunzi su lavoce.info
Giuseppe Vegas ha confermato che la Borsa in Italia è un canale sempre meno efficace per convogliare il risparmio delle famiglie, peraltro ormai ridotto a causa della crisi, al settore delle imprese. Il numero d’imprese quotate si è ridotto ormai a 263 e la capitalizzazione della Borsa rappresenta solo il 21 per cento in rapporto al Pil, contro il 37 per cento della Germania, il 55 per cento della Francia e il 140 per cento del Regno Unito. Poche sono state le nuove quotazioni (solo cinque in tre anni), così come pochissime sono le medie imprese (quelle con una capitalizzazione sotto i 50 milioni) presenti sul mercato.
La tassazione della ricchezza mobiliare fornirebbe un motivo in più per rendere ancora meno importante il finanziamento delle imprese per via non bancaria, in un momento in cui invece dovremmo moltiplicare gli sforzi per garantire un maggiore accesso al finanziamento da parte delle imprese.
Premetto che io sono una di quelle persone generalmente a favore di tasse (non di imposte!) sugli immobili, tasse la cui entità dovrebbe essere decisa a livello locale, dovrebbe interamente entrare nelle casse di chi gestisce la controprestazione (perlopiù enti locali), e sulla cui qualità della controprestazione i contribuenti andrebbero chiamati a esprimere il proprio parere almeno una volta all'anno (nel borough in cui vivo per ora nel RU, in 14 anni hanno fatto 11 elezioni per il council).
Questo premesso, le patrimoniali mobiliari che già ci sono nella RI sono una tragedia, a partire da quell'odioso balzello sugli estratti conti, e se andiamo a vedere la prima vera patrimoniale immobiliare che sono riusciti a mettere sù (l'IVIE) viene veramente da piangere (ed ad 1 mese ed 1 giorno dalla prima scadenza di pagamento, ancora la maggior parte dei potenziali contribuenti ne ignora l'esistenza, e quella minoranza che per caso ci si è imbattuta, non sa calcolarne l'importo in alcuna maniera di senso compiuto).
Se le prossime patrimoniali mobiliari ed immobiliari saranno fatte in questa stessa maniera, non si farà altro che continuare a perdere di competitività, di credibilità, di produttività e praticamente di speranza.
Capisco che l'obiettivo di chi materialmente crea questi veri e propri mostri sono gli ormai celebri 32 mila euro di pensione al mese, e che per questi quelli sul sistema paese non sono altro che effetti collaterali, ma non ci arriveranno su questa strada ...