Introduzione
Il programma di Italia Unica è articolato in 12 aree tematiche che cercano di dare al movimento una connotazione politica complessiva. Mi occuperò solo delle parti relative alla politica economica, unica area in cui posso sperare di dire qualcosa di non banale. Niente discussione quindi della scelta di appoggiare le unioni civili ma di opporsi alle adozioni da parte di coppie omosessuali, o delle proposte di politica estera.
Il documento è lungo 72 pagine. È troppo lungo per essere un manifesto con pochi e chiari punti programmatici. È troppo corto per essere un vero programma. Forse c'è più materiale nel libro che Passera ha recentemente pubblicato, ma mi fido del fatto che se il movimento vuole sul serio far conoscere le sue proposte programmatiche le renderà disponibili gratuitamente.
Il programma non comprende un'analisi esplicita delle principali cause della crisi italiana, che il lettore deve cercare di inferire dalle proposte. Il quadro che sono riuscito a ricostruire può essere sintetizzato in questo modo:
- nell'immediato l'Italia ha un grave problema di carenza di domanda aggregata, per cui è necessario un intervento massiccio per riattivare l'attività economica. Il programma parla di mobilitare 400 miliardi di euro, poco più di un quarto del PIL;
- inoltre vi sono forti inefficienze, in buona misura causate da leggi sbagliate che riducono la competitività del paese. Per far crescere la produttività occorrono sia riforme strutturali sia investimenti pubblici.
Questo post è dedicato al primo punto, quello relativo alla domanda aggregata e allo ''shock da 400 miliardi''. In un post successivo analizzerò le proposte sulle riforme strutturali.
400 miliardi. Reali o immaginari?
Spoiler per chi ha poca voglia di leggere: largamente immaginari.
La parola d'ordine dei ''400 miliardi di risorse'' sembra essere una su cui il movimento conta molto per associare il nome di Passera a una proposta riconoscibile e popolare. La cifra è convenientemente ripartita in 4 voci principali e di simile peso:
- 100 miliardi rendendo disponibile a chiunque lo chieda la liquidazione (il cui nome burocratico è TFR, trattamento di fine rapporto) e aggiungendo ''fino a due mensilità senza contributi e tasse -- a fronte di accordi di produttività aziendali''.
- 100 miliardi dal rimborso immediato dei debiti commerciali scaduti della Pubblica Amministrazione.
- 100-200 miliardi ''raddoppiando, almeno, la potenza di fuoco della Cassa Depositi e Prestiti e del Fondo Centrale di Garanzia aumentando il capitale di 30-50 miliardi attraverso apporti di attivi pubblici''.
- 100-200 miliardi di nuovi investimenti mediante uso dei Fondi Strutturali per grandi progetti infrastrutturali e accelerando cantieri già sbloccati e finanziati nel 2012.
Nei conti di chi ha scritto il programma quindi 400 è un limite inferiore, e la massa di risorse mobilitabili varia tra 400 e 600 miliardi. I primi due punti dovrebbero servire a contrastare la diminuzione di domanda aggregata causata dal credit crunch, il fenomeno per cui le banche sono riluttanti a fare credito a famiglie e imprese. Gli altri due punti propongono un aumento della domanda aggregata mediante investimenti pubblici. Se vi sembra curiosa l'idea che un partito di centrodestra proponga un massiccio programma di investimenti pubblici (finanziati, cercando di non dirlo, largamente a debito) tenete conto che in Italia altri partiti di centrodestra, Lega e Fratelli d'Italia, propongono il finanziamento in deficit di aumento delle pensioni e della spesa corrente. In ogni caso, almeno in questa parte, il programma di Italia Unica sembra aderire senza esitazioni a un impianto analitico di tipo paleokeynesiano: il problema attuale è la deficienza di domanda aggregata e quindi la cura è uno shock esogeno di spesa.
Prima di passare all'analisi delle 4 voci, sono opportune tre osservazioni più generali. La prima osservazione è che il problema dell'equilibrio di lungo periodo dei conti pubblici è trattato in modo estremamente sbrigativo e superficiale. Per esempio, nell'introduzione si propone di ridurre l'Irpef di 25 miliardi l'anno finanziando il provvedimento con ''tagli non lineari, recuperi di entrate [sic] e il risultato della potente crescita innescata dai 400 miliardi di shock''. La spesa si autofinanzia perché fa aumentare il reddito, essenzialmente, e resta pure spazio per tagliare le tasse. Come voodoo economics non c'è male.
La seconda osservazione è che i problemi che derivano dalla gestione opportunista da parte della politica delle risorse pubbliche sono completamente ignorati. Le inefficienze del settore pubblico vengono trattate come problemi di carattere ingegneristico/manageriale, ignorando che molta parte sono invece il risultato atteso del gioco politico democratico in cui i partiti cercano, tra le altre cose, di acquisire consenso elettorale con programmi di spesa finalizzati all'acquisto di voti. Il mancato riconoscimento del problema porta gli estensori del programma a essere molto spensierati al momento di proporre programmi di investimenti pubblici facendoli gestire da enti pubblici (quale è, al di là delle finzioni giuridiche, la Cassa Depositi e Prestiti).
La terza infine è che il programma ha una fastidiosa tendenza a mascherare con trucchi contabili il peso per i conti pubblici che deriva dai provvedimenti di stimolo della domanda. Gli estensori del programma di Passera ragionano da paleokeynesiani, puntando su massicci investimenti pubblici per l'uscita dalla crisi, ma non vogliono ''venir meno agli impegni europei sul deficit pubblico'' (pag. 7). Come si conciliano le due cose? Dal punto di vista della realtà economica non si conciliano. Ma con un po' di finanza creativa e trucchi contabili si può dare la sensazione che siano conciliabili. Veniamo comunque all'analisi delle 4 voci principali di stimolo, in modo da capire meglio ciò di cui si parla.
L'anticipazione del TFR
Il primo provvedimento mischia, in modo inopportuno, due cose diverse: il cambiamento delle regole sull'anticipo del TFR e la possibile ''detassazione del salario di produttività''. In nessun punto viene spiegato da dove viene la cifra dei 100 miliardi e come si dovrebbe ripartire tra le due componenti. Dato che della ''detassazione del salario di produttività'' (che è veramente un'idea orrenda) parlerò nel post successivo, mi concentrerò qui sulle regole di anticipo del TFR.
Il TFR è in buona misura un'anomalia italiana. Molti paesi hanno forme di incentivazione fiscale del risparmio. In Italia il risparmio viene imposto forzosamente; la legge regola la quantità di reddito che il lavoratore deve mettere da parte e ne stabilisce il rendimento. Inoltre, per completare il quadro perfettamente paternalistico, la legge stabilisce in quali casi è legittimo usare il risparmio forzosamente accumulato prima di quanto prescritto dallo Stato: si può per esempio ottenere anticipatamente il TFR per acquistare la propria case o quella dei figli. Si tratta di uno strumento chiaramente anacronistico e che dovrebbe essere riformato con cura, per evitare di penalizzare i redditi da lavoro dipendente. Però la proposta di Italia Unica è più terra terra: permettere di ottenere l'anticipo del TFR senza vincoli. In concreto, l'anticipo di TFR potrà essere utilizzato per comprarsi la macchina o la lavatrice, non solo per comprarsi la casa o per pagare le spese mediche straordinarie. Venisse presentato così e basta si potrebbe commentare che è un modesto passo nella giusta direzione. Invece si sostiene che il provvedimento provocherebbe un tsunami di domanda aggregata, qualcosa di prossimo a 6 punti di PIL. D'accordo, forse meno dato che i sei punti di PIL si raggiungono con la detassazione del salario di produttività, ma comunque tanta roba.
È questo uno scenario plausibile? Direi di no. L'onere di spiegare come vengono calcolati 100 miliardi ricade sugli estensori del programma, che non lo hanno fatto. Io osservo che la cifra spesa deve essere il prodotto di due componenti: da un lato la quantità di risorse a disposizione, dall'altro la propensione a spendere le risorse qualora messe a disposizione. La propensione è alta se è vera la teoria per cui le famiglie italiane non spendono solo perché nessuno fa loro credito. In altre parole, le famiglie sono fiduciose nel futuro, ritengono di star già risparmiando a sufficienza o di potersi indebitare (perché in futuro potranno comunque ripagare i debiti), ma sono forzosamente costrette a risparmiare. Io non sono a conoscenza di evidenza empirica che affermi la plausibilità di questo scenario. Trovo inoltre abbastanza improbabile che le famiglie che più soffrono gli effetti del credit crunch siano quelle che hanno accesso a un TFR. Le famiglie che vorrebbero rendere a prestito ma non possono sono tipicamente quelle con un reddito che è attualmente anormalmente basso e che hanno ragionevoli aspettative che il reddito aumenti nel futuro. Chi ha accesso all'anticipo di TFR è invece un lavoratore dipendente che tipicamente ha un reddito stabile.
Un paio di osservazioni finali su questo punto. Primo, la legge permette da qualche anno di versare i fondi del TFR in fondi pensioni e una parte dei lavoratori, minoritaria ma non esigua, ha optato per tale scelta. Il programma non dice se tali fondi vanno soggetti o meno al nuovo regime. Attendiamo spiegazioni. Secondo, i soldi del TFR non si creano dal nulla. A seconda della dimensione aziendale devono essere pagati dalle imprese o dallo Stato. Ammesso e non concesso che i lavoratori decidano effettivamente di ridurre i propri risparmi per acquistare automobili e lavatrici, l'effetto netto sulla domanda aggregata dovrà tenere conto della riduzione dei fondi delle imprese. La parte pagata dallo Stato invece sarà stimolo netto solo se sarà spesa pubblica aggiuntiva, ossia se non verrà finanziata da nuove tasse. Vista la situazione attuale dei conti pubblici la domanda è ovvia: davvero è possibile aumentare la spesa senza aumento della tassazione presente e futura? Come al solito tutto dipende dal magico "moltiplicatore" paleokeynesiano ...
Il pagamento dei debiti commerciali
Anche in questo caso si cerca di presentare quello che è un modesto miglioramento come se si trattasse di chissà quale potente operazione espansiva. Il ritardato pagamento dei debiti commerciali da parte dello Stato è una pagina vergognosa nella gestione della cosa pubblica e ogni azione che porti alla fine di questo costume da imbroglioni di periferia è benvenuta. Detto questo, l'operazione di pagamento dei debiti commerciali non può essere presentata come un gigantesco influsso netto di risorse nel sistema. Per una impresa un credito commerciale verso l'amministrazione pubblica rappresenta comunque un attivo. Il fatto che sia incerto il momento in cui l'amministrazione paga ovviamente riduce il valore di tale attivo, ma teniamo conto che questo è un periodo di tassi di interessi bassi e che comunque il rischio che il debito non venga pagato è estremamente basso. Ripagare i debiti commerciali significa quindi sostituire tali attivi (crediti di durata incerta) con moneta sonante pari al principale del credito. Indubbiamente la situazione delle imprese migliora, ma dire che migliora per un ammontare pari alla cifra pagata è chiaramente un grave errore. Se poi l'impresa ha già scontato il debito presso una banca l'effetto sarà nullo per l'impresa, e positivo per la banca. Ma l'effetto benefico è assai piccolo, pari alla eliminazione dello sconto sul valore degli attivi dovuto all'incertezza sui tempi di riscossione.
L'impressione è che gli estensori del programma abbiano in mente che i soldi liquidati si tradurranno immediatamente in investimenti fissi lordi, sotto l'ipotesi che le imprese attualmente muoiano dalla voglia di investire ma non lo facciano a causa della mancanza di fondi liquidi. Questa storia è simile a quella che le non particolarmente eccelse menti di Tremonti e Calderoli sfornarono in occasione del condono fiscale. Anche allora, ricorderete, la improvvisa disponibilità di fondi dovuta al condono avrebbe dovuto portare a un diluvio di investimenti. Come andò a finire lo sappiamo. Perché mai questa volta dovrebbe essere differente ci sfugge.
La ''forza di fuoco'' della Cassa Depositi e Prestiti e l'uso dei Fondi Strutturali.
Unifichiamo la discussione di queste due voci, che dovrebbero contare tra 200 e 400 miliardi, perché alla fine il ragionamento è sempre lo stesso: espandere la spesa pubblica per investimenti finanziandola in modo opaco. Allora, come si fa a spendere soldi che non si hanno? Una opzione è prenderli a prestito. Questo, in poche parole è l'aumento della ''forza di fuoco'' (speravamo che questo linguaggio da imbonitore da sagra di paese fosse stato archiviato con Tremonti, ma in questo mondo non c'è mai una gioia) della CDP. Si danno 30-50 miliardi di attivi pubblici alla CDP e si usa questa nuova dotazione per espandere la capacità della CDP di prendere a prestito. I soldi ottenuti in questo modo si prestano. Non è ben chiaro quali siano gli attivi conferiti, ma vista la storia recente è facile capire che la proposta è quella di fare qualche privatizzazione all'italiana, di quelle in cui le società e gli immobili passano dal controllo diretto del Tesoro al controllo di una società posseduta per il 70% dal Tesoro. L'idea che in questo modo effettivamente aumenti la quantità di credito nell'economia è perlomeno azzardato. Dopotutto, i fondi che arrivano alla CDP per essere reinvestiti devono essere levati da qualche altra parte, quindi ci sarà qualcun altro la cui ''potenza di fuoco'' sarà ridotta. Anche in questo caso quindi il potenziale stimolativo appare ampiamente sovrastimato. Visto che la quantità complessiva di credito non aumenta, l'unico effetto positivo può derivare dal fatto che la CDP è meglio di altri nell'allocare il credito. Ora, per carità, alla CDP c'è gente in gamba ma l'idea che la soluzione ai problemi italiani sia la de facto statalizzazione del settore creditizio lascia parecchi dubbi.
Il programma di Italia Unica prevede anche il potenziamento del Fondo Centrale di Garanzia. Si tratta di un altro esempio di intervento statale nel settore del credito. In questo caso i costi sono più opachi, lo Stato offre semplicemente la propria garanzia su prestiti fatti da altri intermediari finanziari. Alle imprese queste cose piacciono perché riducono il costo del credito mediante sussidi statali "occulti" (si fa per dire, ma c'è chi ci crede ...). Ai politici piacciono anche di più, dato che i sussidi non sono immediatamente visibili all'elettore meno accorto. I costi si materializzano solo se e quando le imprese non restituiscono i prestiti. Non c'è che dire, ai partigiani della statalizzazione del credito tutto questo deve sembrare molto bello ed efficace. Io sono scettico, molto scettico. Mi ricrederò quando qualcuno mostrerà che un simile meccanismo veramente migliora l'allocazione del credito. Prima di allora, questo sembra semplicemente uno dei tanti meccanismi poco trasparenti di corporate welfare.
Sull'uso dei Fondi Strutturali, lo sblocco dei cantieri, l'uso dei fondi già impegnati etc. etc. veramente non ho voglia di commentare. Tutti sembrano convinti che sia facile e semplice utilizzare meglio tali fondi e tutti (per ultimo, il governo Renzi) sembrano convinti che sbloccando di qua e di là e razionalizzando questo e quello si possono ottenere risultati mirabolanti. Passera è soltanto l'ultimo dei demiurghi che afferma che grazie alle sue capacità gestionali d'incanto tutto andrà meglio. Mah, vedremo. L'evidenza degli ultimi vent'anni prova il contrario.
Conclusione
Una volta viste da vicino, le misure espansive del programma di Italia Unica si rivelano francamente inconsistenti. I presunti effetti espansivi della possibilità di anticipare la riscossione del TFR e del pagamento dei debiti commerciali sono molto aleatori e appaiono decisamente sovrastimati.
È più consistente la parte che punta in modo più o meno camuffato all'aumento della spesa pubblica. Qui, come ormai da parecchio tempo, sorge però la questione dell'effetto di tali manovre sul bilancio pubblico. Il mantenimento formale del rigore dei conti pubblici dovrebbe essere ottenuto da un lato grazie a regalie da parte degli altri paesi dell'Unione Europea (non diversamente dalla continua evocazione renziana dei ''300 miliardi di Juncker'') e dall'altro con trucchi contabili vari che permettano di accollare i debiti creati per finanziare gli investimenti a società che sono pubbliche di fatto ma che giuridicamente appaiono private. La parti più inconsistenti del piano (TFR e debiti commerciali) sono in realtà moderatamente utili e probabilmente attuabili senza eccessiva fatica; un piccolo passo nella giusta direzione, in attesa di riforme molto più radicali (che comunque non vengono proposte). Sull'espansione della spesa pubblica per investimenti, la cui utilità non appare immediatamente ovvia, bisognerà aspettare a vedere come vanno le cose e quali sono i tempi di attuazione. Nel complesso, un piano veramente deludente.
Per quel che vale, sottoscrivo al 100%.
Non capiro' mai perche' ci si dimentichi cosi' spesso che, alla fine, sono le risorse reali che contano e che, per imperfetti che siano i mercati finanziari, una "meta-versione" di Miller-Modigliani in qualche modo conta sempre. A meno che, ovviamente, non si sia davvero convinti che politici, burocrati di stato e nominati siano migliori imprenditori con i soldi altrui di quanto lo sia l'imprenditore medio con i propri.
Mi auguro questo ed i seguenti post di Sandro stimolino gli amici di Italia Unica ad una riflessione pubblica e seria sul vero programma economico di cui il paese ha bisogno ogni giorno di piu'.
Per quel che vale, sottoscrivo al 100%. è anzi il mio personale mantra quando verrebbe voglia di cedere al canto delle sirene di soluzioni indolori e inodori, puramente monetarie, a base di equilibri multipli, moltiplicatori, aspettative che si autorealizzano etc.
Semplice: le pastette monetarie hanno un alone di magia, di creazione dell' energia e di facilità geniale che affascina e cattura il bambino interiore che guida le scelte politiche dell' italiano medio; del tipo: "C' era una volta la fata cattiva merchelina che voleva affamare 60 milioni di alacri nanetti; ma il mago renzino disse al suo cospetto: "Ohibò, ci autorizzerete nuovo deficit e noi ci faremo miracoli, come quello di confondere ulteriore disavanzo con i mezzi monetari con cui pagare i fornitori e fare investimenti a tutto tondo, a dispetto di quei cattivoni di nfa, turbo liberisti kattivissimi, che vorrebbero sfoltire un po' di inefficienze italiane inquinandoci col pericoloso boldrinio radio-attivo " ! Così edotti, i nanetti si recarono alle urne e per il perfido diavoletto oscarino non ci fu manco il voto della sua mamma. Adesso buoni, nanetti italiani, dormite e sognate.